la porta del paradiso - Opificio delle Pietre Dure

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la porta del paradiso - Opificio delle Pietre Dure
COMUNICATO STAMPA
Termina il restauro di uno dei più grandi capolavori del Rinascimento
LA PORTA DEL PARADISO
Dall’8 settembre tornerà visibile al pubblico nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze,
dopo un restauro durato 27 anni, tanto quanti occorsero per costruirla,
che non ha eguali per complessità
Realizzata da Lorenzo Ghiberti in bronzo e oro per il Battistero di Firenze,
quando Michelangelo la vide le diede il nome di Porta del Paradiso
Rimossa per proteggerla dalla guerra nel 1943,
fu danneggiata dall’Alluvione del 1966 e sostituita con una copia nel 1990
Secondo il Vasari fu Michelangelo a darle il nome di Porta del Paradiso: “elle son tanto belle che starebbon
bene alle porte del Paradiso”. Al Ghiberti occorsero 27 anni per realizzarla in bronzo e oro, e quando i
committenti la videro, tale era la bellezza, che decisero di metterla nel posto d’onore, sul lato orientale che
guarda la Cattedrale, il Paradisium. Nel giugno di 560 anni fa, Lorenzo Ghiberti termina quello che può
essere considerato uno dei grandi capolavori del Rinascimento, la Porta del Paradiso del Battistero di
Firenze. Un mese dopo la Porta è solennemente messa in opera.
L’8 settembre di quest’anno la Porta del Paradiso tornerà visibile al pubblico nel Museo dell’Opera di Santa
Maria del Fiore, dopo un restauro durato 27 anni, per coincidenza gli stessi che occorsero per realizzarla,
senza eguali per complessità, che ha permesso di salvare la Porta e la mitica doratura da distruzione sicura.
Diretto ed eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, su incarico dell’Opera di Santa Maria del
Fiore, il restauro è stato possibile grazie ai finanziamenti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e al
contributo dell’Associazione Friends of Florence.
La Porta del Paradiso - del peso di 8 tonnellate, alta 5 metri e venti, larga 3 metri e dieci, dello spessore di
11 centimetri - sarà collocata all’interno di una grande teca appositamente progettata dalla ditta Goppion, nel
cortile coperto all’ingresso del Museo dell’Opera, in attesa di essere definitivamente esposta nel nuovo
museo in via di realizzazione. La teca si è resa necessaria perché la Porta deve essere conservata in
condizioni costanti di bassa umidità per evitare il formarsi di sali instabili tra la superficie del bronzo e la
pellicola dorata, che salendo, sollevano e perforano l’oro causandone la distruzione. Per il futuro, si sta
studiano la possibilità di creare una protezione con una barriera d’aria, che consenta di vedere la Porta
senza un’intercapedine di vetro davanti.
Terza in ordine di tempo, dopo quelle di Andrea Pisano (1330 - 1336) e del Ghiberti (1402 -1424), la Porta
del Paradiso fu commissionata all’artista dalla potente Arte di Calimala nel 1425, appena un anno dopo aver
terminato l’altra. Una vera e propria impresa epica che vedrà impegnato il Ghiberti dal 1426 al 1452,
affiancato negli anni da numerosi collaboratori del calibro di Donatello, Michelozzo, Luca della Robbia,
Benozzo Gozzoli, Bernardo Cennini. Con la Porta del Paradiso il progetto trecentesco che prevedeva tre
porte per il Battistero di uguale formato, con le storie organizzate secondo 28 riquadri contenenti dei
quadrifogli gotici, cambia radicalmente. Ghiberti elimina i quadrifogli e riduce i riquadri a 10, e su ognuno di
loro rappresenta diversi episodi tratti dell’Antico Testamento, oltre ad un fregio composto da 48 elementi con
teste e figure intere di profeti e sibille, tra cui l’autoritratto.
La Porta del Paradiso non lascerà mai la sua collocazione originale fino al 1943 quando, a causa della
seconda guerra mondiale, fu rimossa per ragioni di sicurezza e portata al sicuro. Tornerà in Battistero nel
1948 dopo un restauro, condotto da Bruno Bearzi, che porterà alla luce la doratura al mercurio, da secoli
nascosta sotto lo sporco e una vernice nera apposta nel 1772, che aveva fatto dimenticare l’esistenza della
mitica doratura dei rilievi. Scampata alla guerra, la Porta del Paradiso sarà danneggiata dall’alluvione del
1966: l’urto dell’acqua sarà talmente violento da aprire le ante e staccare 6 pannelli dal telaio di bronzo (due
in alto, due centrali e due in basso), che il Ghiberti aveva incastrato di misura. Per capire con quale forza
l’acqua si sia abbattuta sulla Porta del Paradiso, basti pensare che negli anni Novanta quando l’Opificio ha
deciso di staccare gli altri 4 pannelli della Porta, per eseguirne il restauro, sono occorsi 5 anni per toglierli dal
loro alveo.
La spiegazione di questo, come racconta Annamaria Giusti direttrice dei lavori di restauro dal 1996, sta nel
fatto che “La Porta del Paradiso è una macchina complessa e perfetta, realizzata con una perizia senza
precedenti e mai eguagliata”. Ciascuna delle due poderose ante furono gettate in bronzo in un unico
colossale pezzo. Sul telaio bronzeo della porta erano stati predisposti degli alvei, profondi alcuni centimetri,
per contenere i 58 rilievi che vi furono incastrate a forza, probabilmente riscaldando il telaio in modo da
ottenere una leggera dilatazione. I 58 rilievi furono fusi uno ad uno, rinettati a freddo e finemente cesellati in
superficie per essere, infine, dorati con il metodo dell’amalgama di mercurio.
Dopo l’alluvione, ripuliti dalla nafta e dal fango, i 6 pannelli distaccati furono rimontati sulla Porta del
Paradiso forando dal retro i battenti e avvitandovi gli stessi. Ben presto a contatto con l’inquinamento
atmosferico la doratura della Porta riprese ad offuscarsi e soprattutto, tra il bronzo e la pellicola dorata,
continuavano a formarsi dei sali che affiorando in superficie sollevavano e perforavano l’oro con
conseguente perdita dello stesso. Per questo nel 1978, l’allora soprintendete dell’Opificio delle Pietre Dure,
Umberto Baldini, decise di fare una campagna diagnostica per accertare le cause del deterioramento e
studiare un intervento. Un primo pannello fu portato all’Opificio per restaurarlo nel 1979, seguito da altri tre
pannelli negli anni Ottanta. Fu scelto di pulire i pannelli con un lavaggio in una soluzione di sali di Rochelle,
in grado di rimuovere lo sporco e i sali solubili: “Ma fu chiaro, afferma Marco Ciatti Soprintendente
dell’Opificio delle Pietre Dure, che in presenza di umidità, l’instabilità chimica del bronzo-oro portava al
riprodursi dei sali e che la Porta del Paradiso non poteva più stare all’esterno”. Nel 1990 la Porta fu
trasportata all’Opificio e al suo posto collocata una copia, realizzata grazie alla generosità del mecenate
giapponese Choichiro Motoyama. La copia fu fusa a Firenze da Aldo Marinelli della Galleria Frilli, su calchi
eseguiti al tempo del restauro del dopoguerra, e trasportata a Parigi per esser dorata con il metodo
galvanico, in sostituzione di quello a mercurio “fuori legge” in Italia per la sua tossicità. Dopo una pausa
dovuta ad altri importanti impegni del settore bronzi dell’Opificio, i lavori sono ripresi nel 1996. A quel punto
si iniziarono a staccare gli altri 4 pannelli della Porta, non distaccati dall’Alluvione, per poterli sottoporre al
bagno nei sali di Rochelle. Questo lavoro si è rivelato difficilissimo e per questo fu deciso di studiare un
nuovo metodo per la pulitura che evitasse lo smontaggio dei restanti 48 rilievi della cornice. La soluzione è
arrivata nel 2000, quando l’Istituto di Fisica Applicata del CNR di Firenze è riuscito a mettere a punto un
nuovo laser in grado di “bruciare” i depositi presenti sull’oro, con un tempo di azione così ridotto, che il calore
non ha modo di propagarsi al bronzo. La pulitura della Porta all’Opificio è così potuta procedere più
rapidamente: i rilievi una volta restaurati sono stati protetti con delle sacche di polietilene sigillate, alimentate
con azoto per evitare il contatto con l’aria e l’umidità.
Tra giugno e luglio di quest’anno, la Porta del Paradiso sarà trasportata al Museo dell’Opera del Duomo di
Firenze dove sarà posta in una grande teca con un vetro frontale che ne permetterà la visione, mentre
all’interno sarà mantenuto un tasso di umidità basso e costante, grazie all’aria filtrata e deumidificata. “Prove
effettuate per un anno all’Opificio, spiega sempre Annamaria Giusti, hanno dimostrato che l’aria secca è più
o meno equivalente all’azoto e di più agevole gestione”. Per il futuro dei gruppi scientifici dell’Opificio,
dell’Università e del CNR continueranno a lavorare per poter realizzare una protezione della Porta con
barriera d’aria ed evitare così il vetro frontale.
MUSEO DELL’OPERA DI SANTA MARIA DEL FIORE
Piazza del Duomo 9, Firenze
www.operaduomo.fi.it
UFFICIO STAMPA
Ambra Nepi Comunicazione
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