RODRIGUEZ E IL FETICCIO DELLO ZOMBIE

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RODRIGUEZ E IL FETICCIO DELLO ZOMBIE
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Robert Rodriguez
“PLANET TERROR”: IL RITORNO DEGLI ZOMBIES
Il film del pupillo e fratellino minore di Quentin Tarantino era in origine la seconda
metà del progetto doppio “Grindhouse” che in Europa è stato distribuito in due
pellicole separate. Si tratta, in sostanza, di un’abile parodia degli z-movies, un
sanguinolento splatter con vari feticismi e scene che strizzano l’occhio a
“Deathproof”. Dunque un’opera virgolettata sul genere horror dove i mostri, alla fine,
sono quasi il meno peggio che c’è. La ‘trash-star’ è qui Rose MacGowan, che
esibisce una mitragliatrice al posto della gamba amputata.
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di Alessandra Lo Russo
I piedi stanno a Tarantino come gli zombies stanno a Rodriguez: il pupillo di Quentin, prolifico
creatore di film come un fiume in piena, con il suo cappello da cowboy, la sua aria spavalda e un
po’ fiera, ha firmato lungometraggi a go-go dagli anni ’90 ad oggi ma da Dal tramonto all’alba ha
scelto come feticcio non parti del corpo femminili o sexy, ma mostri inumani, come vampiri e
zombies. E li ama a tal punto da riproporli in versione da film di serie B anni ’70: proprio come
Tarantino ha realizzato la prolessi di sé stesso in quel magnifico film virgolettato che era
Deathproof- a prova di morte, così Rodriguez cristallizza le sue perversioni emofiliache e zombifile
nell’esageratissimo Planet Terror, fratellino separato alla nascita del film di Quentin. Infatti, le due
pellicole avrebbero dovuto comporre il film doppio Grindhouse, e invece dopo la divisione forzata
(perché negli Stati Uniti il progetto aveva floppato al botteghino), entrambi i registi hanno
rimpolpato i loro mediometraggi in sala montaggio rendendoli due film a sé stanti. Solo la pellicola
di Tarantino riuscì ad arrivare a Cannes, forse perché il regista era ritenuto, più di Rodriguez, un
vero autore e Deathproof riuscì ad affrontare per primo la vita autonoma nelle sale. Poi, una
preoccupazione: forse Planet Terror non avrebbe trovato lo stesso spazio al cinema. Infine, arriva la
ricompensa, in autunno il film esce sugli schermi italiani, con un divieto ai minori di 14 anni e un
consiglio, quest’ultimo personale: basta avere uno stomaco forte per vederlo interamente.
Veramente nel titolo è contenuto tutto il senso del film, che è un sanguinolento splatter fatto di
testicoli tagliati e collezionati da delinquenti maniaci, militari americani contaminati da radiazioni
durante una missione in Afghanistan alla ricerca di un gas che per loro è ossigeno e li aiuta a restare
in vita, zombies che si contagiano, siringhe colorate. Il ‘bello’ è che i personaggi pre-zombizzati
sono ignobili almeno quanto i mostri in cui poi si trasformano: solo i superstiti dell’epidemia
avranno l’occasione di diventare migliori e rimediare agli errori compiuti in vita fino a quel punto.
Diventare zombie è come un’espiazione dei mali degli uomini comuni. Chissà, forse l’apocalisse
sarà così come viene descritta in questo pianeta del terrore. Il film è un’opera virgolettata sui film
horror, genere elogiato fin nei suoi aspetti più raccapriccianti, proprio come Deathproof lo era dei
b-movies degli anni ’70: il modus del racconto è come quello usato da Tarantino, personalizzato ed
esagerato secondo gli stilemi rodriguesiani. In quanto siamesi, i due film corrono su due binari
paralleli. Primo elemento comune, Rose MacGowan, bionda e bambolina nel film di Tarantino,
(anche se finisce ben presto con il collo spezzato nell’auto a prova di morte), bruna e con una
mitragliatrice al posto della gamba che le viene amputata in Planet Terror. Poi, molte scene dei due
film si assomigliano, solo che i registi le girano a modo loro: ad esempio, nella scena di sesso tra
Rose McGowan e Freddy Rodriguez , l’immagine si interrompe come nella sequenza della lapdance
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di Deathproof , ma se nel film di Tarantino la scena veniva smaccata dando l’effetto di una pellicola
tagliata con le forbici da un proiezionista, nel film di Rodriguez l’operazione risulta molto più
macchinosa e innaturale: mentre vediamo i tatuaggi di Freddy, le immagini si allargano e
restringono, l’audio sembra disturbato, poi la scena salta completamente e dopo un messaggio sullo
schermo che ci avverte della mancanza del finale, si passa a quella successiva.
L’altra equazione del film è: i b-movies stanno a Tarantino come i z-movies stanno a Rodriguez.
Ovvero, distinguo un po’ convenzionalmente la b e la z, per indicare rispettivamente i film cui si
ispira il primo, dai western alle pellicole ‘on the road’, dalle commedie sexy ai thriller demenziali
‘alla Fulci’ e con il secondo i film soltanto horror nella loro accezione più ‘weird’, ridicoli e
consapevoli della loro assenza di verosimiglianza. Infatti, è a questi ultimi che Rodriguez rivolge
non solo una ‘strizzata d’occhio’, ma uno sguardo a 360 gradi. Planet Terror potrebbe essere un
film di Carpenter o di Romero per il modo di affrontare l’orrore. Tutto è curato nei particolari e le
atmosfere sono talmente allarmanti che finiscono per provocarci una risata, mai sonora ma
agghiacciante. Basti pensare ad una delle prime scene in cui Rose MacGowan, la go-go dancer che
piange mentre si esibisce nelle performance al palo (ritorna la lap dance di Deathproof), ritirandosi
a casa si ferisce alla gamba: è la metonimia di quello che le accadrà ed è anche un parallelismo con
il film di Tarantino, perché anche lì c’erano amputazioni di arti: la gamba della bella Sydney Poitier
saltava come quello di una Barbie dal finestrino dell’auto.
Il trailer all’inizio di Planet Terror del film Machete non è solo un modo per Rodriguez di
confondere le idee al pubblico che in sala si chiede se il film è già iniziato: sembra un vero trailer
anni ’70, che nella breve durata propone già tutte le caratteristiche di un b-movie: un protagonista
grosso e violento, inseguimenti in moto, primi piani velocissimi, frasi di lancio promozionale ‘da
far accapponare la pelle’. Ma l’operazione del regista in realtà è molto più complessa perché ci fa
entrare nell’ottica del genere che sta per affrontare già prima che parta la vera narrazione: ci
trasporta con Machete nell’inferno di terrore proprio come Caronte, il traghettatore delle anime
trasportò Dante nell’Acheronte per arrivare nel vero Inferno.
La parodia del genere è diventata ormai un genere proprio e definito, ma occorre metodo e
conoscenza per poterlo affrontare in modo serio. Ad esempio, quest’anno il regista Adam
Shankman ha proposto un remake della commedia grottesco-demenziale Hairspray di John Waters,
conservando il titolo e la storia dell’originale, ma traslandolo in una parodia del musical usando i
suoi stessi linguaggi e sfruttando il significato della parola Hairspray, un sinonimo di Grease,
storico musical di Randal Kleiser con John Travolta e Olivia Newton John. Lo stesso lo fa
Rodriguez, che dà spessore al genere parodia horror usando i suoi medesimi linguaggi; cambia solo
il punto di vista dello spettatore, cosciente della finzione proprio come il regista: entrambi sanno
che la vicenda sta accadendo nella dimensione parallela del cinema e non della finta realtà. Al
contrario, le serie di “Scary movie” e simili propongono solo imitazioni scellerate dell’horror,
demenziali e tese al non sense.
Robert Rodriguez ha realizzato anche la musica per il suo film, che riesce a fondersi
completamente con le atmosfere dell’horror. Gli attori sono scelti ad hoc, tra cui le piccole parti
giocano un ruolo di valore: Bruce Willis in tuta mimetica e contagiato dall’agente biochimico parla
di una missione voluta da Bush in cui ha ucciso Bin Laden. Cosa vuol dirci Rodriguez? Che il
mondo sarà un pianeta del terrore eppure non è tanto diverso dal nostro? I posti rappresentati sono
totalmente fuori dalla normalità ma i personaggi parlano di verità attuali, fanno sarcasmo sul
criminale numero uno del pianeta e su una vera guerra in corso. Forse a tutti i colpevoli di quei
crimini di guerra spetterà di morire contagiati da strani gas o nella follia della zombizzazione?
Anche a Bush?
Poi, come vuole la ‘tradizione’, Quentin Tarantino nel film di Rodriguez interpreta uno dei
soldati, proprio come più di dieci anni fa era il fratello di George Clooney in Dal tramonto all’alba.
Il suo è un personaggio disgustoso, molto diverso da quello di Deathproof, è un cattivo che sta dalla
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parte dei ‘buoni’, prima vuole violentare la donna senza gamba, poi inizia a liquefarsi per colpa
della mancanza del gas necessario alla sua sopravvivenza.
Planet Terror è un film per fanatici, non degli horror di serie B, ma di quelli che ci disturbano,
inquietano e che ci fanno scoprire che anche se si supera la paura della vista di sangue e
amputazioni, non è detto che si possa superare quella di vivere. La cosa più ‘terribile’ (proprio
perché Rodriguez vuole farci ridere anche in quelle scene), è quando il dramma non è solo
orrorifico, ma anche familiare. Come la madre medico, che fino ad un certo punto con tre siringhe
colorate anestetizza pazienti con metodi non proprio ortodossi, poi diventa preda del marito medico
geloso che le anestetizza le mani rendendole quasi impossibili la fuga dall’ospedale già straripante
di zombies, guidare l’auto e salvare il figlio. Infatti, quando riesce ad allontanarsi apparentemente
dal caos di mostri, la donna lascia il bambino in auto, spiegandogli bene: “Mi raccomando, se arriva
papà, sparagli, attento alla pistola però. Non te la puntare contro.” E invece, arriva il marito, non più
geloso, ma post zombizzato e il figlio per sbaglio spara a sé stesso e non al padre. La madre gli
corre incontro urlando: “Ti avevo detto di stare attento!”. Questa, come tante altre situazioni del
film, ci fa dubitare che Rodriguez sia umano e purtroppo fa dubitare anche noi stessi
dell’appartenenza al genere perché la scena ci ha regalato quel brivido di goduria cinefila che solo
un film per fanatici trasmette.
Odio quasi tutti gli horror, ma Planet Terror è grande, ci ricorda che spesso gli incubi sono
stimolanti anche più dei sogni, gli umani sono i veri personaggi antagonisti, gli zombies sono quasi
‘i buoni’ e i sopravvissuti… sono gli eroi.