Famiglia-Lavoro: un binomio possibile

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Famiglia-Lavoro: un binomio possibile
Famiglia-Lavoro: un binomio possibile
di Daniela Bianco, Rossana Bubbico, Silvia Lovati
(Responsabili della ricerca per The European House - Ambrosetti)
L’Italia ha bisogno di maggiori politiche per la conciliazione tra lavoro e famiglia. Questa è una
raccomandazione che più volte l’OCSE ha ripetuto al nostro Paese, dove sembra quasi che le donne
si trovino a dover compiere una scelta tra avere un lavoro ed avere dei figli con ripercussioni negative
sia sul tasso di natalità sia sul tasso di occupazione femminile.
La ricerca di una condizione lavorativa più stabile spinge le giovani donne a posporre l’età in cui
hanno il primo figlio con un conseguente aumento della probabilità di non avere figli in futuro.
Mediamente in Italia nascono solo 1,4 figli per donna, contro i 2 della Francia e gli 1,8 del Regno
Unito. E il primo figlio arriva quasi a 31 anni, più tardi che nel resto delle economie europee più
industrializzate (Paesi della UE-15).
L’occupazione femminile nel Paese, sebbene in crescita negli ultimi anni si mantiene tra i più bassi
dei Paesi UE-15. Se in Svezia più di 7 donne su 10 hanno un’occupazione, in Italia meno di 5 donne
su 10 lavorano. Tassi di occupazione tra i più bassi in Europa si registrano qualsiasi sia la fascia d’età
delle donne presa in considerazione.
Impatta negativamente sull’occupazione femminile anche la nascita di un figlio: se il 62% delle donne
senza figli ha un’occupazione, la percentuale scende al 59% per le donne con un figlio e al 54% per
quelle con 2 figli. Se i figli sono 3 o più l’occupazione scende addirittura al 41%. Il divario tra
occupazione maschile e femminile cresce con l’aumentare del numero di figli, passando da 22,8 punti
percentuali nel caso di un solo figlio a 40,9 nel caso di 3 o più figli, ma “un figlio è una responsabilità
che si prende insieme” per cui “la donne ha gli stessi diritti dell’uomo che lavori o non lavori” come
sottolinea Matteo Marini, Presidente di ABB Italia.
L’arrivo di un figlio stravolge sicuramente gli equilibri di una coppia richiedendo di ripensare e
ripianificare la vita quotidiana di una famiglia. Ma il tema di come riuscire a conciliare vita privata e
vita professionale non riguarda soltanto i primi mesi di vita del bambino bensì si manifesta fino a
quando i figli diventano, almeno in parte, indipendenti.
La constatazione che la conciliazione sia problematica non solo durante i primi mesi di vita del
bambino è testimoniata da una survey che abbiamo condotto su 10 aziende medio-grandi operanti
in Italia1 che ha visto protagonisti sia i dipendenti - attraverso un questionario online - sia i CEO e i
top manager – attraverso interviste ad hoc. Il 52% delle donne con figli intervistate ha dichiarato che
i problemi maggiori sono stati riscontrati oltre l’anno di vita del proprio figlio, al rientro cioè dal
periodo di maternità.
Le famiglie riscontrano problemi sia sul lato dell’offerta di servizi che su quello delle risorse
economiche necessarie per riuscire a gestire i propri figli durante le ore di lavoro. Ad esempio
soltanto il 23% dei bambini al di sotto dei 3 anni frequenta asili nido pubblici contro una media
europea del 33%: l’offerta appare quindi largamente insufficiente. Quando i figli crescono, la scarsa
offerta di corsi sportivi, attività pomeridiane gratuite, la lunghezza delle vacanze estive porta le
famiglie a sostenere ingenti spese per la gestione dei figli.
Sono state coinvolte: ABB Italia, HP Italia, L’Oréal, Merck Sharp & Dohme, Microsoft Italia, Qui! Group,
Sanofi Pasteur MSD, The European House – Ambrosetti, Valagro, Vodafone Italia.
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Le realtà aziendali coinvolte nella survey lavorano intensamente alla definizione di politiche
aziendali che permettono la conciliazione tra famiglia e lavoro. C’è ad esempio chi paga la maternità
al 100% per quasi un anno, c’è chi sta implementando lo smart working e garantisce flessibilità negli
orari di entrata e di uscita. Altri danno la possibilità alle mamme di lavorare part time fino ai 10 anni
del bambino. Molti offrono polizze sanitarie per la famiglia o il rimborso parziale del costo dell’asilo
nido. C’è anche chi ha istituito nell’organizzazione un team cross-funzionale per valutare e
implementare le proposte dei dipendenti sulla conciliazione. Si possono evidenziare quindi due
direttrici di lavoro: una è rappresentata dall’aiuto economico mentre l’altra da una maggiore
flessibilità. La prima offre un aiuto concreto per far fronte a tutte le spese che un figlio comporta; la
seconda permette ai dipendenti di poter organizzare al meglio il proprio tempo. La flessibilità
contribuisce sicuramente in maniera positiva alla conciliazione famiglia-lavoro, ma come sottolinea
Nicoletta Luppi, Presidente e Managing Director di Merck Sharp & Dohme Italia “non bastano
strumenti di flessibilità, ma ci vuole la mentalità giusta dei capi… si dovrebbe lavorare di più per
garantire che i manager siano capaci di sostenere e tutelare il valore della famiglia nelle aziende”.
I dipendenti apprezzano molto gli aiuti offerti dalle aziende per le quali lavorano ma chiedono
ulteriori sforzi per aumentare ancor di più il supporto alla conciliazione. Tra le richieste più diffuse
figurano le convenzioni con strutture ricreative per bambini, quali gli asili nido – meglio se vicini al
proprio domicilio piuttosto che all’interno dell’azienda – i campus estivi e o corsi di lingua. I
dipendenti richiedono babysitter referenziate o a tariffa agevolata e servizi di supporto quali la
lavanderia, il disbrigo di pratiche burocratiche. Infine vorrebbero poter fare un più ampio ricorso
allo smart working.
A livello di sistema-Paese è forte la richiesta di una offerta potenziata di servizi per l’infanzia,
soprattutto di asili nido pubblici sul territorio nazionale e una revisione dell’offerta formativa
scolastica con attività e corsi pomeridiani che tengano impegnati i bambini durante le ore di lavoro
dei genitori. Sul fronte delle risorse economiche i dipendenti auspicano una maggiore
defiscalizzazione delle spese per i servizi dell’infanzia come ad esempio quelle relative a babysitting,
asili nido, corsi extrascolastici.
Lavorare sulla conciliazione famiglia-lavoro è una scelta strategica da parte delle aziende e del Paese
in generale che ha implicazioni positive importanti nel medio-lungo termine. Un maggiore
bilanciamento tra vita personale e professionale motiva gli individui e garantisce loro serenità.
Individui più sereni favoriscono in azienda un clima aziendale migliore. Individui soddisfatti e
motivati garantiscono una maggiore qualità nel lavoro che svolgono e più alti livelli di produttività,
con conseguenze positive sulle performance aziendali. Guardando invece al sistema Paese nel suo
complesso, lavorare per favorire la conciliazione famiglia-lavoro vuol dire incrementare la
partecipazione femminile al lavoro. La crescita dell’occupazione femminile a sua volta aumenta la
richiesta di servizi per l’infanzia e di servizi di supporto all’attività quotidiana, permettendo la
crescita di alcuni settori dell’economia e la riduzione del sommerso. Uno studio OCSE ha mostrato
che – a parità di altre condizioni – se nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse i
livelli maschili la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il PIL pro capite crescerebbe di 1 punto
percentuale l’anno.
Permettere alle donne di lavorare e al tempo stesso di avere una famiglia è un dovere morale ma
appare anche come una scelta vincente per le aziende che decidono di perseguirla e per l’intero
sistema-Paese.
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