CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd 11 11 2010 19:36 Pagina 1

Transcript

CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd 11 11 2010 19:36 Pagina 1
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 1
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 2
Fr14x21_conoscere:FrCeur-14x21.qxd 11/11/10 11:26 Pagina 1
CONOSCERE
È UN AVVENIMENTO
A cura di Nicola Sabatini
MARIETTI 1820
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 4
Realizzazione editoriale: Enrica Z. Merlo
Stampa e confezione: Rilegatoria Varzi, Città di Castello (PG)
I edizione italiana 2010
© 2010 Casa Editrice Marietti S.p.A. – Genova-Milano
ISBN 978-88-211-8924-1
www.mariettieditore.it
Finito di stampare nel mese di novembre 2010
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 5
Indice
Introduzione
7
Conoscere è un avvenimento
Conoscenza, esperienza e avvenimento
di Carmine Di Martino
13
L’avventura della scoperta di sé
di Vittorino Andreoli
41
Molecole, DNA, Origine della vita.
Cosa si cerca nella ricerca scientifica?
di Tommaso Bellini
69
Poesia e musica. Il grido della bellezza
di Walter Gatti e Davide Rondoni
87
Dall’esperienza alla coscienza. Dall’uomo all’uomo
di Carlo Romeo e Giuseppe Di Fazio
133
L’evoluzione del mercato globale: le nuove sfide per
la conoscenza
147
di Giancarlo Anselmino
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 6
Un’avventura nella fisica
di Ettore Fiorini
171
Condividere per conoscere
di Arturo Alberti
181
Conoscere e informare
di Gianni Riotta
213
L’avvenimento di un incontro
di Giorgio Vittadini
243
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 7
Introduzione
Viviamo attualmente in un clima di sfiducia e di incertezza verso il futuro, che tocca e influenza soprattutto i giovani. Abbiamo ritenuto che potesse essere
loro di aiuto mettere a tema di una serie di incontri i
processi dinamici attraverso cui è possibile conoscere
il reale. Come l’uomo conosce il reale? Si tratta solo
di una costruzione del soggetto o vi è qualcosa di più?
Riportiamo un pensiero di Alain Finkielkraut, citato
per la presentazione del Meeting per l’amicizia fra i
popoli del 2009: «Un avvenimento è qualcosa che irrompe dall’esterno. Un qualcosa di imprevisto. È questo il metodo supremo della conoscenza. Bisogna ridare all’avvenimento la sua dimensione ontologica di
nuovo inizio. È un’irruzione del nuovo che rompe gli
ingranaggi, che mette in moto un processo».
Partendo da esperienze diverse, i relatori che sono
intervenuti nei vari collegi e residenze C.E.U.R., nell’ambito della rete CAMPLUS, hanno tentato, attraverso il proprio percorso umano e scientifico, di rispondere alla domanda sulla conoscenza del reale.
Gli interventi delle diverse personalità del mondo
accademico, della scienza e dello spettacolo hanno
avuto l’obiettivo di verificare se la conoscenza è ridu-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
8
11 11 2010
19:36
Pagina 8
L’IO E IL DESIDERIO
cibile a una «creazione» del soggetto conoscente (soggettivismo - idealismo) oppure se occorre attribuire tutto il peso della conoscenza all’oggetto (oggettivismo realismo).
È emerso chiaramente come all’inizio di ogni percorso di conoscenza, soprattutto scientifica, vi sia l’imbattersi in qualcosa di nuovo, qualcosa che fa irruzione,
che accade.
Ci limitiamo a citare pochi spunti emersi dagli interventi di soltanto alcuni degli oratori, rimandando alla lettura del testo che offre un panorama veramente
ricco e multidisciplinare sull’argomento.
Ettore Fiorini, Accademico dei Lincei, tra i principali esperti mondiali nel campo della fisica dei neutrini, ha parlato di una vera e propria «avventura della Conoscenza»: utilizzando misure di radioattività
molto avanzate, è riuscito a far luce su un famoso
“giallo” storico, la morte di Napoleone. L’analisi dei
capelli di Napoleone, dall’infanzia alla morte a Sant’Elena, ottenuti da vari musei ha permesso di escludere l’avvelenamento per arsenico. I principali giornali
del mondo hanno dato ampio spazio a questa «scoperta della fisica».
L’esperienza personale del professor Tommaso Bellini ha offerto un elemento di riflessione sul tema. Cosa si cerca nella ricerca scientifica? La conoscenza
scientifica è motivata dall’aspettativa che perseguendo
quella conoscenza ci sia la possibilità di capire meglio
chi siamo, cosa cerchiamo, che cosa è il mondo e se
esiste un bene per tutti.
La conoscenza è sempre una risposta a una provocazione, la venuta dell’altro. L’atto conoscitivo è una
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
PRESENTAZIONE
Pagina 9
9
risposta, è un sì detto a qualcosa o a qualcuno che viene, altrimenti non ci sarebbe nemmeno la conoscenza. Nessun artista può dire, afferma il poeta Rondoni, «adesso faccio l’artista».
Le parole del filosofo Carmine Di Martino contribuiscono ad approfondire la risposta alla iniziale urgente domanda: la conoscenza è sempre un avvenimento perché ogni comprensione, ogni intuizione, ogni
novità scoperta, ogni scoperta della novità è sempre
vissuta come un avvenimento, cioè come qualcosa che
non è la semplice risultante di quello che noi abbiamo fatto.
Nosce te ipsum, un motto della riflessione di Socrate,
ha dato lo spunto all’intervento del professor Vittorino Andreoli, cioè se non conosci te stesso non hai l’identità per conoscere l’altro. Non è possibile capire
l’immagine che noi percepiamo se non conosciamo lo
specchio che la raccoglie, che riflette quell’immagine.
Qual è il punto di arrivo del nostro percorso culturale? Giorgio Vittadini, docente di statistica, testimonia una conoscenza come avvenimento di un incontro. Attraverso l’incontro con degli amici tutti possiamo fare l’esperienza di una conoscenza intesa come corrispondenza tra quello che desideriamo e ciò
che incontriamo nella realtà.
Mariano Cristaldi
Direttore Collegio Turro
Elio Sindoni
Presidente Fondazione C.E.U.R.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 10
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 11
Conoscere è un avvenimento
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 12
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 13
Carmine Di Martino*
Conoscenza, esperienza e avvenimento
1. Il senso e l’esperienza
La conoscenza non è un’attività professionale separata, che si può eventualmente affiancare all’esperienza, ma non è ad essa necessaria. Nella sua accezione più ampia, la conoscenza è la forma stessa del
rapporto che tutti noi originariamente intratteniamo con
la realtà, rapporto che si presenta dunque come costitutivamente “capace” del senso. Un certo intellettualismo di matrice moderna ed empirista ci ha invero fornito una rappresentazione del tutto astratta dell’uomo e dei suoi rapporti col mondo, immaginando
l’esperienza primigenia come una somma di sensazioni elementari, puntuali, cieche, un agglomerato di impatti ed emozioni, che solo a posteriori riceverebbero
un senso. Ma si tratta di un costrutto: noi non abbiamo anzitutto mere sensazioni a cui in un secondo momento verrebbe attribuito un significato; non percepiamo cose meramente sensibili che poi si rivestireb*
Intervento tenuto a Milano presso Camplus Rubattino in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico il 17 dicembre
2009; Carmine Di Martino è Docente di Propedeutica filosofica
presso l’Università degli Studi di Milano.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
14
11 11 2010
19:36
Pagina 14
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
bero di uno strato di valore: abbiamo originariamente a che fare con una realtà provvista di valore e di
senso, cioè con segni. Un bambino, anche molto piccolo, non percepisce odori in generale, ma l’odore della madre; non ode suoni, ma il vociferare dei fratelli;
non vede colori, ma il bianco del tiepido latte contenuto nel biberon che finalmente entra in scena ecc. Le
cose ci vengono incontro fin dall’inizio come segni e
il rapporto con esse è sempre significativo. Una ricettività sensisticamente intesa presuppone una nozione
posticcia dell’uomo e dei suoi inaugurali commerci col
mondo. Noi siamo “affetti” dalle cose perché esse ci
riguardano, non perché colpiscono i sensi astrattamente intesi o perché attivano i nostri neuroni: la realtà ci “tocca” non in quanto urta il nostro corpo senziente e stimola la nostra macchina cerebrale, ma perché e nella misura in cui rappresenta una risposta alla nostra umanità bisognosa e desiderante, una possibilità d’azione per il nostro essere nel mondo con gli
altri. L’esserci umano che noi stessi siamo è «quell’ente per il quale sempre ne va del proprio essere»,
direbbe Heidegger, che è sempre in gioco, e per questo è “affetto” dal venire in presenza delle cose, ne
comprende il senso, le riconosce come segni e compie costantemente il percorso dai segni al significato.
L’esperienza umana non è mai riducibile ad un mero provare, ad una serie di dati registrati passivamente, ad un coacervo di momenti, sensazioni, emozioni,
che un intelletto collettivo o individuale provvederà a
rivestire di un senso: per parlare di esperienza umana
nel pieno senso del termine occorre considerare come
suo fattore costitutivo la comprensione di ciò che vie-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 15
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
15
ne provato e quindi il paragone con la propria struttura esigenziale, con il proprio aver da essere. La conoscenza, nella accezione comune e più specializzata del
termine, non è che lo sviluppo di una tale originaria
comprensione.
Dai suoi inizi la filosofia ha riflettuto, secondo il suo
canone, su questa forma del nostro rapporto col mondo che chiamiamo conoscenza, cogliendola come quel
vivo incontro in cui si tratta di «lasciarsi rivolgere la
parola dai fenomeni»1, di «essere-aperti per ciò che si
dà da sé»2. In questo incontro, in cui si compie l’auto-manifestazione dei fenomeni, è implicata una originaria correlazione e quindi una corrispondenza, un libero gioco tra i modi di darsi delle cose e i modi dell’essere aperti, del lasciar essere ciò che si dà. Anche
un semplice riconoscimento visivo implica una presa di
posizione, perciò un’apertura e una decisione. La conoscenza è intrinsecamente drammatica ed è fin dall’inizio intrecciata con quella fondamentale dimensione
dell’esperienza umana che chiamiamo libertà. Perché vi
sia conoscenza, all’evidente differenza nei modi di datità delle diverse realtà deve corrispondere una differenza nei modi di rivolgersi ad esse: conoscere non significa la stessa cosa se si tratta di un procedimento
matematico, dell’origine del cosmo, della salute di una
pianta, di un evento culturale, del comportamento della persona che ha suscitato la nostra interessata ammirazione ecc. La filosofia, con Aristotele, ha cristal1
M. HEIDEGGER, Seminäre, in Gesamtausgabe, Bd. XV, Klostermann, Frankfurt a.M. 1986, tr. it. di M. Bonola, Seminari, a c.
di Franco Volpi, Adelphi, Milano 1992, p. 94.
2
Ibid., p. 96.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
16
11 11 2010
19:36
Pagina 16
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
lizzato i diversi stili di evidenza, le difformi implicazioni
di disposizioni e atteggiamenti umani, la diversa incidenza di volontà e interesse nella dinamica del rapporto
conoscitivo, istituendo una peculiare sintassi dei saperi, che è giunta sino a noi (logica, fisica, metafisica, etica, politica ecc.). In ognuno di essi la ragione è all’opera, nelle sue diverse modalità.
La modernità eredita questa ricchezza e nasce interamente sotto il segno del «problema» della conoscenza. L’impostazione e lo sviluppo moderni di esso
dominano in maniera così profonda e pervasiva che nessuno può considerarsene estraneo. Descartes è universalmente considerato il padre della modernità, poiché
è colui che ha posto il problema della conoscenza nei
termini in cui ancora oggi lo affrontiamo, certamente
riprendendo un cammino già iniziato con l’antichità e
la filosofia medievale, ma anche in una significativa
presa di distanza da esso. Il suo progetto era quello di
una rifondazione del sapere, filosofico in primo luogo,
in vista di quello scientifico, realmente al centro del suo
interesse. «Si trattava – egli scrive – di cominciare tutto di nuovo dalle fondamenta, se volevo stabilire qualche cosa di fermo e durevole nelle scienze»3. A questo scopo occorreva trovare «qualcosa di veramente
indubitabile»4 come base dell’edificio della conoscenza. Per ottenerlo Descartes usa il metodo critico-negativo dello scetticismo, ma per lo scopo opposto: non
per distruggere, bensì per fondare una conoscenza as3
R. DESCARTES, Meditazioni metafisiche, «Prima meditazione»,
in Opere, Laterza, Bari 1967, vol. I, p. 199.
4
Cfr. ID., Discorso sul metodo, IV.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 17
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
17
solutamente giustificata. Egli estende quindi il «dubbio» alla verità e realtà di tutto ciò che solitamente gli
uomini ritengono vero e reale nella vita quotidiana.
Che cosa resiste ad un simile dubbio? Il cogito, l’attività della mente. Proprio nel momento in cui estendo
il dubbio a tutto ciò che esiste, oltre che a tutte le conoscenze di cui dispongo, mi ritrovo in mano qualcosa di veramente indubitabile: il mio dubitare stesso, come modalità del mio pensiero, che attesta il mio essere: «Se penso, allora esisto». Il cogito e l’essere del cogito: ecco il punto fermo della conoscenza, da cui è possibile ricostruire l’edificio del sapere. A partire dal cogito egli si propone di risalire in direzione di tutte le
altre esistenze e di tutte le verità. Alla luce di ciò che
è accaduto dopo di lui e per suo tramite, possiamo dire che a partire da Descartes l’essere delle cose è assicurato dalla loro rappresentazione intellettuale. Il cogito viene ad essere la condizione della conoscenza e il
reale, corrispondentemente, diviene il correlato di un
atto di rappresentazione, un “oggetto” (ob-jectum, ciò
che sta di contro). La coscienza, come mostra bene
Heidegger5, si pone come la chiave del diventare fenomeno dei fenomeni; radicalizzando i termini, con l’occhio rivolto agli sviluppi aperti dalla svolta cartesiana:
il mondo diviene il “costituito” del pensiero e il pensiero diviene il “costituente” del mondo.
Tuttavia, nel momento in cui la conoscenza assume il senso di una rappresentazione mentale, prendono avvio anche tutti i problemi che l’epoca moderna,
fino a noi, si troverà ad affrontare. Se la mente si rap5
Cfr. M. HEIDEGGER, Seminari, cit., p. 93.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
18
11 11 2010
19:36
Pagina 18
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
presenta il mondo, la questione che anzitutto si pone,
se si vuole fondare una conoscenza “oggettiva”, è quella del passaggio dal “dentro” della mente al “fuori”
del mondo, dai vissuti soggettivi delle cose alle cose
reali che li trascendono. Come e a quali condizioni posso dire di conoscere con certezza il mondo che è “fuori” di me? Descartes risolverà il problema appellandosi alla bontà assoluta di Dio, il quale, per mantenersi fedele a se stesso, non può volerci ingannare. Ma
tale problema costituirà un filo rosso di tutta la riflessione filosofica fino ai giorni nostri. Lasciando ad
altre occasioni una considerazione tematica del percorso
di Descartes, ci interessa qui solo ravvisare i caratteri
dell’impostazione cartesiana del problema della conoscenza, che il costruttivismo e il cognitivismo contemporanei mostrano nella sua estrema attualità.
2. Il principio di manifestatività
La filosofia moderna ha indubbiamente avuto il merito di una grande scoperta (benché vi siano stati importanti precursori, come Agostino): nella manifestazione delle cose è essenzialmente implicato l’operare soggettivo. “Dato” significa sempre “dato-a” qualcuno e
ogni fenomeno è fenomeno per qualcuno, per un “soggetto” necessariamente coinvolto nel suo apparire. «Non
si può concepire una cosa percepita – osserva MerleauPonty – senza qualcuno che la percepisca. Ma è altresì vero che la cosa si presenta, a colui stesso che la percepisce, come cosa in sé e che essa pone il problema
di un autentico in-sé-per-noi»6. Da questo punto di vi-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 19
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
19
sta, la dimensione adeguata per far questione della conoscenza è quella della relazione, dell’incontro tra l’energia della ragione e la cosa. Nel termine «incontro»
vi è la precisa attenzione, in nome di una fedeltà all’esperienza, a non ridurre un polo all’altro. Ancora Merleau-Ponty, in un abbozzo dedicato al problema dell’origine della conoscenza e della verità, scriveva che
«l’assunto di attenersi all’esperienza di ciò che è, al senso originario o fondamentale o inaugurale, non presuppone altro che un incontro fra “noi” e “ciò che è”
[…]. L’incontro è indubitabile»7.
Un’indagine fenomenologica sulla conoscenza è chiamata a valorizzare tale dimensione relazionale e in questo senso a interrogarsi sulle modalità attraverso le quali i due poli del rapporto conoscitivo (soggettivo e oggettuale) rimangano al tempo stesso distinti ed essenzialmente correlati. Questo compito filosofico coincide
con quello di fondare un realismo autentico, al di là dell’opposizione tra una prospettiva idealistica e una prospettiva realistica ingenua, perciò al di là della loro unilateralità. Idealismo e realismo ingenuo tendono a ridurre un polo del rapporto conoscitivo all’altro. Per l’idealismo, nulla esiste se non come oggetto per la coscienza e conoscere significa sempre costruire, “costituire” l’oggetto; per il realismo ingenuo, la cosa non ha
alcun bisogno di un soggetto per manifestarsi nel suo
essere o senso d’essere, essa fa tutto da sé e l’operare
6
M. MERLEAU-PONTY, Phénoménologie de la perception, Gallimard,
Paris 1945, tr. it. di A. Bonomi, Il Saggiatore, Milano 1965, p. 420.
7
ID., Le visibile et l’invisible, Gallimard, Paris 1964, tr. it. di A.
Bonomi, a cura di M. Carbone, Il visibile e l’invisibile, Bompiani,
Milano 1993, pp. 175-76.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
20
11 11 2010
19:36
Pagina 20
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
soggettivo non è messo in linea di conto. Ora, se è vero, come abbiamo detto, che la modernità pone positivamente in luce l’intreccio di operazioni soggettive
implicate nella manifestazione determinata delle cose,
bisogna anche osservare che essa ha “trasformato” tale dimensione dativa in una dimensione produttiva e legislatrice. L’idealismo fa propria e radicalizza questa direzione inglobando, per così dire, l’elemento oggettuale nelle operazioni di costituzione soggettive; il realismo
ingenuo, in reazione a questa posizione e temendo di
perdere l’attrito del reale, tende a minimizzare l’apporto della soggettività nel processo conoscitivo.
Un “realismo” autentico, effettivamente radicale,
deve allora ottenere la sua legittimazione a partire dall’esperienza, non può cioè costruirsi sulla negazione o
sulla delegittimazione di una delle dimensioni che l’esperienza ci mostra come essenzialmente implicate nella manifestatività del mondo, nella rivelazione delle
cose. Quando per esempio e a giusto titolo affermiamo che la realtà è conosciuta come indipendente dall’esperienza che io ne ho o ne posso avere, dovremmo, con Husserl, aggiungere che «è ancora pur sempre l’esperienza che dice: questa cosa, questo mondo,
per me, per il mio proprio essere, è del tutto trascendente. È mondo “oggettivo”, e come tale è anche
esperibile ed esperito da altri»8. Conosciamo la realtà
come irriducibile al pensiero attraverso un’esperienza;
8
Husserliana, in E. HUSSERL, Gesammelte Werke, Martinus Nijhoff, Den Haag - Dordercht-Boston-Lancaster, vol. XVII: Formale und
traszendentale Logik, hrsg. von P. Janssen, 1974, trad. it. a cura di
G. Neri, Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari 1966, p. 289.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 21
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
21
ogni realtà – nel senso più lato, tale da includere anche le oggettualità ideali della matematica – si offre e
può offrirsi, nel suo essere e senso d’essere, solo in un’esperienza. Altrimenti di essa non sapremmo nulla. Il
compito di una impostazione fenomenologica sarà allora chiarire, attraverso una analisi dell’esperienza, il
delinearsi del reale nella sua consistenza e nel suo senso d’essere, mostrare in che senso e a quale livello il
mondo generi il proprio riconoscimento e il suo evento non possa essere sciolto nell’acido di una soggettività “costruttiva”.
Ma come dobbiamo intendere l’esperienza? La modernità è contrassegnata dal delinearsi di un certo concetto di esperienza che trova in Kant la sua più compiuta espressione. Nella Critica della ragion pura9 vi sono due affermazioni particolarmente significative al riguardo: «L’esperienza è il primo prodotto (Produkt) che
il nostro intelletto fornisce, quando esso elabora la
materia grezza delle sensazioni empiriche» (A 1). «L’intelletto è l’autore (Urherber) dell’esperienza» (B 127).
Anche per Kant, come per la fenomenologia, noi possiamo conoscere solo ciò di cui facciamo esperienza,
ma – ecco la differenza – noi possiamo fare esperienza solo di ciò che si conforma preventivamente al nostro potere di conoscere, cioè alla nostra sensibilità e
al nostro intelletto. «Ci sono due condizioni, senza le
quali la conoscenza di un oggetto non è possibile: innanzitutto l’intuizione, attraverso la quale un oggetto
9
Tra le traduzioni disponibili segnaliamo quella curata da C.
Esposito. Cfr. I. KANT, Critica della ragion pura, Bompiani, Milano
2004, testo tedesco a fronte. Noi la seguiremo solo in parte.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
22
11 11 2010
19:36
Pagina 22
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
è dato, ma solo come fenomeno (nur als Erscheinung,
gegeben wird); secondariamente il concetto, attraverso
cui un oggetto è pensato, come corrispondente a questa intuizione» (A 92/B 125). L’intuizione e il concetto determinano così anticipatamente le possibilità di apparizione di tutti i «fenomeni», ossia degli «oggetti per
noi» (di contro alle «cose in sé», ai «noumeni», che
restano inaccessibili). Ma intuizione e concetto rimandano alle forme a priori della sensibilità (il tempo, forma del senso interno; lo spazio, forma del senso esterno) e alle categorie o ai concetti puri dell’intelletto. Tali forme e limiti del potere conoscitivo dell’uomo fissano dunque a priori le condizioni della nostra esperienza. È questo il senso della nota affermazione: «Le
condizioni della possibilità dell’esperienza in generale
sono al tempo stesso condizioni della possibilità degli
oggetti dell’esperienza, e possiedono quindi validità oggettiva in un giudizio sintetico a priori» (B 197).
Nella impostazione kantiana, è l’io la condizione di
possibilità dell’esperienza, in quanto esso, la sua struttura conoscitiva, determina i «dati» di questa stessa
esperienza, costituendoli come “oggetti”, vale a dire come gli esatti correlati delle condizioni a priori della conoscenza. Si attua con ciò un capovolgimento: l’orizzonte dell’esperienza non si conforma a partire da ciò
che ci è dato, ma – precisamente al contrario – è la
nostra mente che condiziona a priori ciò di cui si può
fare esperienza e ciò di cui l’esperienza ci è irrimediabilmente negata. Le condizioni dell’esperienza vengono quindi articolate sul potere di conoscere, o meglio, su un certo potere di conoscere, concepito sul modello meccanicistico della scienza della natura (si è
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 23
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
23
spesso sottolineato il tentativo kantiano di rendere
inattaccabile la fisica newtoniana, con le sue leggi), non
sul potere del fenomeno (della realtà) di apparire, vale
a dire sull’ampiezza e sulla sovrabbondanza della «datità» o della «donazione», come direbbe Marion.
Se, dunque, «la realtà si rende evidente nell’esperienza»10, questo principio di manifestatività implica
qualcosa di diverso dal concetto kantiano di esperienza soggettivisticamente improntato, dice cioè che
l’esperienza è il luogo di rivelazione della realtà, del
manifestarsi della «cosa stessa», che si rende presente
nei suoi modi nell’apertura comprendente e corrispondente dell’uomo11. Questa concezione di esperienza assume la donazione (il darsi del fenomeno)
come sorgente di diritto, senza predeterminarne le
possibilità e il senso: è la donazione che fissa i confini della fenomenalità, che regola e plasma quel campo di manifestazione che chiamiamo esperienza. Que10
L. GIUSSANI, Vivere la ragione, in “Tracce”, n. 8, settembre
1996 (ripubblicato in “Tracce”, n. 1, gennaio 2006, p. 1).
11
È questo il senso della presa di distanza della fenomenologia
da ogni fenomenismo; ogni esperienza è esperienza di cose, cioè luogo di datità in originale e di manifestazione diretta delle «cose stesse», nella loro peculiare realtà; ciò che si dà nelle molteplici forme
della nostra esperienza e nella specificità dei modi ad essa relativi
sono le cose stesse. «Non è forse assolutamente evidente – afferma
Husserl – che, quando vedo, ad esempio un tavolo, una casa, un
albero, non vedo qualcosa come dei complessi sensoriali o delle immagini interne di…, dei segni di un albero o di una casa, ma l’albero, la casa stessa?» (Husserliana, in E. HUSSERL, Gesammelte Werke, Den Haag-Dordrecht-Boston-Lancaster, Martinus Nijhoff,
vol. VII: Erste Philosophie I, hrsg. von R. Boehm, 1956, trad. it. parziale a cura di G. Piana, Storia critica delle idee, Guerini, Milano
1989, p. 130).
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
24
11 11 2010
19:36
Pagina 24
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
st’ultima si annuncia perciò come un ambito mobile
e aperto di rivelazione e di incontro, non come un perimetro stabilito sulle misure di un certo potere conoscitivo e assicurativo del soggetto. Ciò, lungi dal far
scomparire il ruolo del soggetto, lo ridefinisce e lo valorizza al massimo grado: l’esperienza dell’io è il luogo di manifestazione del mondo, in cui il reale si presenta come significativo e comprensibile; ma il soggetto,
la ragione, non è la sorgente e la norma della manifestazione, bensì il testimone, la soglia rivelativa di
tutto ciò che si mostra, di tutto ciò che si dà.
3. Il primato dell’avvenimento
Riguadagnare un concetto originario di esperienza,
al di qua della limitazione kantiana e dello svuotamento empiristico, significa riconoscere un’ampiezza
della fenomenalità che nella interpretazione soggettivistica dell’esperienza è misconosciuta e ristabilire la
precedenza della donazione. Al cuore dell’esperienza,
quindi della conoscenza, si trova l’improducibile e irriducibile «darsi» del fenomeno. La dimensione permanentemente inaugurale della conoscenza è l’accadere
della donazione, nel duplice senso della parola: donazione come datità inanticipabile e come movimento del
donare. Il momento generativo della conoscenza – che
ridisegna la correlazione stessa tra i modi di datità e
i modi intenzionali – è l’evento della donazione. Tra
conoscenza e donazione vi è dunque una asimmetria,
un disallineamento: la prima dipende dalla seconda.
Perciò, come dice bene Marion, «la donazione deter-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 25
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
25
mina sempre la conoscenza e non l’inverso»12. Qualcosa di simile pensavano i Greci con l’automanifestazione del fenomeno. Il Lógos è un lasciar-vedere il
phainomenon, ciò che si mostra da sé. Il dischiudersi
dell’ente nel suo essere, nella sua verità (alétheia), si
compie dunque nel e attraverso il Lógos. Ma senza l’automanifestazione del fenomeno, il potere originario
dell’ente di dischiudere da sé il proprio essere, il logos non potrebbe essere se stesso, non potrebbe “lasciar-vedere” nulla. Nei nostri termini: vi è un ritardo
di principio (non in senso meramente temporale) tra
conoscenza e avvenimento.
Ma quando, a quali condizioni, possiamo parlare di
avvenimento? Chiamiamo avvenimento ciò che sorprende, sospende, eccede ogni previsione, ogni attesa,
ciò di cui possiamo dire: imprevisto, imprevedibile,
senza precedenti, impossibile. L’avvenimento segna il
punto di rottura di ogni idealismo: esso è in eccesso
nei confronti di ogni ragione speculativa o pratica, di
qualsivoglia precomprensione, precognizione, previsione, è irriducibile a “condizioni di possibilità” legate a
una soggettività costituente, è quindi oltre il possibile
nel senso del prevedibile, programmabile, producibile.
L’avvenimento è ciò che non è anticipabile. Con la parola «avvenimento» si tratta in altri termini di pensare l’insorgere, la venuta, il venire di chi o di ciò che
viene, nella sua eccedenza, nella sua evenemenzialità,
nella sua abissale gratuità, immotivazione, nella sua irriconducibilità agli antecedenti, e perciò nella sua dis12
J.-L. MARION, Étant donné, PUF, Paris 1997, tr. it. di R. Caldarone, Dato che, SEI, Torino 2001, p. 243.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
26
11 11 2010
19:36
Pagina 26
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
continuità, singolarità. Quando il venire di chi o di ciò
che viene non è già previsto, contenuto in un orizzonte
di attesa, noi lo definiamo, appunto, un evento. L’evento
è un accadere che sorprende e sconvolge l’orizzonte,
lo rivoluziona, lo riscrive, è un’irruzione senza annuncio, senza preparazione, irriducibile al regime dell’anticipazione (in cui il senso dell’apparire è già prescritto e ha sempre lo statuto del “costituito”).
Ogni fatto storico, ad esempio, si situa sotto la categoria di avvenimento. Ciò che infatti lo caratterizza
è precisamente lo scarto rispetto alla somma dei suoi
antecedenti, l’irriducibilità a ciò che si chiamano “cause” (le quali si rivelano come tali, beninteso, solo a posteriori). Ma il fatto storico non è un effetto di cause, è ogni volta singolare, non si lascia iscrivere nella
concatenazione causale universale: esso è preceduto
da motivazioni che solo il suo accadere rende tali, senza risolversi in esse. Il prodursi di un fatto storico resta indeducibile.
Ma consideriamo la nascita di un bambino. Per
quanto essa sia preparata, condizionata, anticipata entro un orizzonte d’attesa, «il bambino che giunge resta imprevedibile»13, assolutamente altro; pur previsto,
sorprende e sospende la previsione, si mostra nella
sua inappropriabilità (con le gioie o il disappunto conseguenti). Il suo carattere di avvenimento è “misurato” dall’irriducibilità alle previsioni e alle premesse
che ne hanno preceduto l’arrivo. Pur essendo in tan13
L’espressione è di Derrida, in J. DERRIDA, B. STIEGLER, Echographies de la télévision, Galilée/INA, Paris 1996, tr. it. di L. Chiesa
e G. Piana, Ecografie della televisione, Cortina, Milano 1997, p. 47.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 27
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
27
ti sensi anticipato, esso resta un “avvenimento”, poiché lacera l’orizzonte d’attesa e lo riscrive.
A questo punto potremmo osservare: «D’accordo,
vi saranno rivoluzioni che scoppiano, bambini che nascono, incontri impossibili che accadono, ma vi è soprattutto molto altro, che rientra nell’ambito dell’anticipabile e del possibile, ossia del non-evento; insomma non tutto merita il nome di evento». Senza dubbio, rispondiamo, ma ciò che qui vorremmo affermare – nei limiti di questa occasione – è che in ogni accadere (che pure vediamo venire, ampiamente previsto, addirittura familiare) vi è un nucleo irriducibile di
imprevedibilità, inappropriabilità, alterità radicale, qualcosa di sorprendente e inatteso. «L’evento – scrive
Derrida – è un altro nome per quanto, in ciò che accade, non si riesce né a ridurre né a disconoscere»14.
Si tratterebbe di pensare, insomma, che il carattere di
evento come arrivo imprevedibile non sia da riservare a questo o a quello, ma, in un senso certamente diverso e tuttavia profondamente comune, da estendere
a tutto ciò che accade, ci viene incontro, ad-viene, eviene: a tutto il «reale», a cominciare dall’altro, dal tu.
In terzo luogo, allora, generalizzando, possiamo dire che “evenemenziale” è tutta la realtà nella sua inappropriabilità, nella sua indeducibilità. Il reale anzitutto e permanentemente accade, si dà, si mostra, cioè mi
raggiunge, mi si impone, mi tocca, mi appare, potendo sempre non apparire o apparire diversamente, oppure non essere affatto: originale e irriducibile evene14
J. DERRIDA, B. STIEGLER, Echographies de la télévision, cit.,
pp. 11-12.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
28
11 11 2010
19:36
Pagina 28
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
menzialità, abissale gratuità. Il reale scaturisce e irrompe, qui e ora. «Dopo tutto – osserva ancora Derrida –, ogni volta che qualche cosa accade e anche nella più banale esperienza quotidiana, c’è una parte di
evento e di singolare imprevedibilità: ogni istante segna un evento, come anche tutto ciò che è “altro”, ogni
nascita e ogni morte, anche le più dolci e naturali»15.
Beninteso, avvenimento non dice l’esteriorità assoluta. Avvenimento dice l’alterità in quanto mi arriva, mi
coinvolge, mi provoca. L’avvenimento mi accade, mi raggiunge, mi muove, e il primo modo del mio coinvolgimento (in quell’incontro che abbiamo chiamato esperienza) è incassare il colpo del suo irrompere: una passività in cui già si annunciano ricettività e riconoscimento. Qui, per richiamare la terminologia che abbiamo messo in questione, i ruoli del costituente e del costituito si invertono: l’io non fornisce il senso, ma lo
riceve; è attirato e attivato dalla venuta di ciò che viene e dalla sua forza affettiva; è chiamato a lasciar essere la automanifestazione del fenomeno, non a produrla. Nel suo sorgere, l’atto conoscitivo è l’adesione
a una direzione di senso che si predelinea passivamente. Come Husserl ha mostrato nelle Lezioni sulla
sintesi passiva, al cuore della conoscenza vi è una pas15
J. DERRIDA, Autoimmunità, suicidi reali e simbolici. Un dialogo con Jacques Derrida, in G. BORRADORI, Filosofia del terrore. Dialoghi con Jürgen Habermas e Jacques Derrida, Laterza, Roma-Bari
2003, p. 99. Qualche capoverso prima, Derrida afferma: «Il decorso dell’evento, ovvero ciò che nel suo decorso si apre e al contempo resiste all’esperienza, consiste, mi sembra, in una certa inappropriabilità di ciò che accade. L’evento è ciò che accade e che, accadendo, giunge a sorprendermi, a sorprendere e a sospendere la
comprensione» (ibid., p. 98).
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 29
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
29
sività che è la profondità e la risorsa di ogni nostra attività: una passività caratterizzata dalla tendenza affettiva che il mondo in manifestazione esercita sull’io, reclamando un volgimento dell’io che può risolversi nella risposta ricettiva; una risposta che consiste nella
partecipazione a un senso d’essere che si è precostituita passivamente. Il soggetto si attiva dunque nella
e come risposta, nell’aderire, nel lasciar essere l’automanifestarsi del fenomeno: il «recepire» si svela, osserva
Husserl, «come quella funzione originaria dell’io attivo che consiste meramente nel rendere manifesto, nel
guardare e nell’afferrare attenzionalmente ciò che si
costituisce nella passività»16. Alla luce di questo riferimento alla passività e all’affezione, l’atto dell’io, nel
suo momento sorgivo, non può venire considerato come la messa in forma soggettiva del mondo, bensì come il riconoscimento di una direzione di senso che si
è formata passivamente e che si impone al soggetto.
Questo è ciò che qui ci preme sottolineare: il senso
“estetico” del mondo non è una proiezione del soggetto.
All’inizio della conoscenza, come della filosofia, vi
è una originaria affezione. Heidegger parla in questi termini dell’esperienza aurorale della filosofia. «Nel clima
greco l’uomo è sopraffatto dal venire alla presenza di
ciò che è presente, che lo costringe alla domanda di ciò
16
Cfr. Husserliana (E. HUSSERL, Gesammelte Werke, Martinus
Nijhoff, Den Haag -Dordrecht-Boston-Lancaster, Vol. XI: Analysen
zur passiven Synthesis, hrsg. von M. Fleischer, 1966, trad. it. di V.
Costa, a cura di P. Spinicci, Lezioni sulla sintesi passiva, Guerini,
Milano 1993). «Il recepire», scrive Husserl, si svela come «quella
funzione originaria dell’io attivo che consiste meramente nel rendere manifesto, nel guardare e nell’afferrare attenzionalmente ciò che
si costituisce nella passività» (ibid., p. 104).
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
30
11 11 2010
19:36
Pagina 30
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
che è presente in quanto tale. Il riferimento a questo
afflusso della presenza i Greci lo chiamano thaumázein»17 (meraviglia, stupore). La filosofia stessa scaturisce dal contraccolpo per la sovrabbondanza della presenza; essa, osserva Heidegger, «è la risposta di un’umanità colpita da un’eccedenza della presenza»18. Questo “essere colpiti”, il prodursi di un tale stupore, rappresenta la dimensione inaugurale del rapporto con la
realtà e perciò dell’umana conoscenza. Se partiamo dal
primato fenomenologicamente incontestabile della donazione, l’io non si rivela come la coscienza costituente cartesiana o kantiana, come l’intelletto autore dell’esperienza, ma come l’interpellato, colui che è anzitutto
soggetto-a ciò che si dà e lo raggiunge. Originariamente, il soggetto del conoscere non è un “io penso”, uno
“spettatore disinteressato”, un kosmotheoros (la parola
è utilizzata da Kant): l’io è colpito, destato, attirato.
4. L’incontro con altri
Nell’incontro, l’io, come abbiamo detto, è toccato
e messo in movimento da ciò che lo raggiunge, gli accade, gli si impone; la sua identità si riceve e si dispiega nella e come risposta alla precedenza e alla prevenienza dell’altro. «Io significa eccomi», per usare
una nota espressione di Lévinas19. L’io è sempre pre17
M. HEIDEGGER, Seminari, cit., p. 95.
Ibid., p. 96.
19
E. LEVINAS, Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, Poche,
Paris 1974, ed. it. a cura di S. Petrosino, Altrimenti che essere o al
di là dell’essenza, Jaca Book, Milano 1983, p. 143.
18
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 31
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
31
ceduto dall’altro: non solo dall’altro come “cosa”, ma
dall’altro come “altri”. «L’altro è in me prima di me:
l’ego […] implica l’alterità come propria condizione»20. Ciò è anzitutto attestato dall’avvenimento della
nascita, che inscrive la nostra soggettività in un’originaria e inaggirabile dipendenza, in un’eteronomia di
principio irriducibile, inespugnabile: la mia nascita accade senza la mia iniziativa, senza e prima di me, di
ogni cogito ergo sum; essa mi accade e mi chiama subito a rispondere, situa in un ritardo strutturale qualsiasi tentativo di appropriazione. Perciò, come osserva Marion, «la soggettività metafisica potrebbe definirsi
anche come la denegazione caparbia del fatto sempre
già compiuto della mia nascita»21.
Questo tuttavia può non bastare: l’evento della nascita non è infatti il «calcio al mondo» (così Pascal accusava Descart di concepire l’universo e la sua genesi)
che dà avvio ad un processo che poi si evolve e si struttura per proprio conto: il rapporto all’altro è il metodo
permanente dello sviluppo, in ogni senso e ad ogni livello, dell’io. All’avvenimento della nascita, incancellabile traccia dell’altro nel medesimo, segue quello dell’incontro con l’altro, che rappresenta l’avvenimento per
eccellenza nella vita dell’io: attraverso di esso l’altro si
presenta, si mostra, e l’io può iniziare il cammino della sua identificazione, cominciare a diventare ciò che è.
Dobbiamo allora completare la formula usata prima: se
l’evento del “dato” mi affetta e istituisce la mia ragione come suo testimone, la ragione può realizzare la sua
20
J. DERRIDA, M. FERRARIS, Il gusto del segreto, Laterza, RomaBari 1997, p. 100.
21
J.-L. MARION, Dato che, cit., p. 355.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
32
11 11 2010
19:36
Pagina 32
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
vocazione allo svelamento del mondo solo grazie ad una
improgrammabile, ma necessaria catena di incontri.
Il soggetto della conoscenza non può essere solipsistico; un soggetto isolato non potrebbe eventualmente
nemmeno avvedersi di vivere in un’allucinazione, soprattutto non potrebbe corrispondere conoscitivamente alla richiesta della realtà: noi siamo infatti abilitati a
farci trasparenza del dato, ovverosia a conoscere, ad avere pensieri, dall’incontro con l’altro, col «tu». Senza l’incontro con l’altro l’io non può pervenire alla coscienza di sé (non può diventare autocosciente) e non può
farsi coscienza del mondo, non può attuare la sua apertura comprendente al mondo («Il mondo del solipsista – scrive dalla sua prospettiva Donald Davidson –
può avere qualsiasi dimensione; che è come dire che
esso non ha alcuna dimensione, non è un mondo»22).
I nostri occhi hanno «il dono del visibile», afferma
Merleau-Ponty, ma «questo dono si conquista con l’esercizio, non in qualche mese e neppure nella solitudine»23. L’avvenimento dell’incontro con l’altro rappresenta dunque la condizione necessaria all’emergenza e
attuazione di quella capacità di coscienza della realtà
che chiamiamo «ragione» e allo sviluppo della sua concreta avventura. Nessuno può conoscere da solo; conoscere è un verbo che si realizza solo al plurale: nel22
D. DAVIDSON, “The Second Person”, in Subjective, Intersubjective, Objective, Oxford University Press, Oxford 2001, ed. it. a cura di S. Levi, Soggettivo, Intersoggettivo, Oggettivo, Cortina, Milano 2003, p. 153.
23
L’œil et l’esprit, “Art de France”, n. 1, janvier 1961, pp. 187208, tr. it. di A. Sordini, L’occhio e lo spirito, in Il corpo vissuto, a
cura di F. Fergnani, Il Saggiatore, Milano 1979, p. 210.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 33
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
33
la perfetta solitudine – che beninteso è una pura astrazione – l’uomo non avrebbe potuto nemmeno iniziare
a parlare: la genesi del linguaggio, prima ancora che il
suo apprendimento, implica in modo essenziale l’intersoggettività (Wittgenstein, in un’altra prospettiva, ha
mostrato l’impossibilità di principio di un linguaggio
privato)24.
Il solipsismo di un io che parte assolutamente da
sé, che ricomincia da zero, è una finzione: esso può
proporsi solo mettendo tra parentesi quella presenza
dell’altro nella vita dell’io che ha cominciato ad attestarsi a partire dalla sua nascita. Io pervengo a me stesso a partire dagli altri. Perciò, il rapporto all’altro, la
molteplicità di relazioni e di incontri, non rappresenta una condizione rinunciabile per la costituzione della mia identità. Il processo di conoscenza di sé è messo in movimento da incontri. Ne abbiamo una memorabile testimonianza letteraria nei Promessi sposi, là
dove l’Innominato, dopo l’incontro sconvolgente con
Lucia, la notte insonne e un intenso dialogo con il cardinal Federigo, esclama: «Io mi conosco ora, comprendo chi sono»25. È quello che Gadamer ricorda di
24
L. WITTGENSTEIN, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford 1953, tr. it. a cura di M. Trinchero, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1999, §§ 243-315. Dell’argomento si è occupato recentemente anche S. Kripke, uno dei maggiori esponenti
dell’attuale filosofia del linguaggio, in: S. KRIPKE, Wittgenstein on
Rules and Private Language, Basil Blackwell, Oxford 1992, ed. it. a
cura di M. Ranchetti, Bollati Boringhieri, Torino 2000.
25
Cfr. A. MANZONI, I Promessi sposi, capp. XX-XXI. È interessante notare come nella vicenda il processo di conoscenza di sé
dell'Innominato sia messo in moto da incontri: prima quello con il
Nibbio che racconta di Lucia, poi quello con Lucia stessa e infine
con il cardinal Borromeo.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
34
11 11 2010
19:36
Pagina 34
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Heidegger, quando sostiene che fu l’incontro con Hölderlin a «sciogliergli la lingua», cioè a determinare
una svolta nella sua riflessione sul linguaggio e sulla
questione dell’essere. Ma lo stesso accade a ciascuno
di noi. L’incontro con l’altro rende possibile la coscienza e la conoscenza di sé. Anch’esso appartiene all’ordine inanticipabile della “evenemenzialità” e forma
quel tessuto che chiamiamo «storia».
5. La scoperta come avvenimento
Possiamo compiere un ultimo passo: la conoscenza è essa stessa un avvenimento, ossia un risultato che
non è spiegabile in base alla riconduzione a fattori antecedenti, nella fattispecie a facoltà e a strumenti determinati di conoscenza. Anche operando all’interno
del campo della matematica e della logica formale,
quando giungiamo ad un risultato nuovo diciamo che
abbiamo fatto una «scoperta». È un modo di dire
poetico? È una debolezza del linguaggio? Oppure stiamo cogliendo ciò che emerge nell’esperienza? A maggior ragione questo si verifica nel campo aperto dei
fenomeni reali, pieni, ricchi di contenuto intuitivo, e
non formali come quelli logico-matematici. Vale a dire: non solo nella conoscenza ottenuta, ma nel fatto
stesso di averla ottenuta vi è un carattere evenemenziale, un’eccedenza che ci sorprende.
La filosofia si è sempre misurata con il problema
e ha cercato di distinguere la parte meccanica e prevedibile del procedere razionale da quella “creativa”
(come la formulazione di una ipotesi). Ma quando si
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 35
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
35
è trovata a rendere conto di quest’ultima e perciò di
quella dimensione di scoperta cui accennavamo ha
sempre dovuto ricorrere a spiegazioni che ribadivano
la profondità del problema, piuttosto che risolverlo.
Kant ha parlato in proposito di «immaginazione produttiva», «un’arte celata nelle profondità dell’anima
umana», e Peirce (il più originale dei filosofi americani e grandissimo logico) di «istinto razionale». Domandiamoci, per esempio, nei termini di quest’ultimo: di fronte ad un “fenomeno sorprendente”, come
la posizione inaspettata di Marte da cui prese le mosse Keplero, rispetto a cui non si può fare riferimento
induttivamente all’esperienza precedente, come ci viene in mente la regola che utilizziamo come ipotesi: «Se
le orbite fossero ellittiche, le longitudini osservate si
spiegherebbero»? La risposta è: qui non procediamo
né induttivamente né deduttivamente, «l’ipotesi» nasce da una interpretazione, non da un’intuizione empirica, sorge cioè da una peculiare «lettura dei segni»
che Peirce chiama «abduzione» (il passaggio dal conseguente all’antecedente). Non c’è soluzione teorica
che non abbia bisogno di segni. Ma come possiamo avere questa capacità di leggere i segni? Peirce fa appello all’«istinto razionale» quale «radice segreta» del
funzionamento della nostra ragione; che è come dire:
la lettura dei segni accade, ma non sappiamo dire perché, se non facendo ricorso ad una inesorabile quanto misteriosa tendenza alla verità. Vi è cioè un sovrappiù, un indeducibile, non solo all’inizio, come permanente scaturigine della conoscenza, ma anche nel suo
stesso procedere e nel suo risultato. Avvenimento, dunque, non è solo la provocazione che inaugura e ren-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
36
11 11 2010
19:36
Pagina 36
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
de possibile la conoscenza, ma l’attività stessa in cui
essa consiste, colta nel suo aspetto creativo, e la scoperta di cui è portatrice.
6. Vie della razionalità
Una visione dogmatica del metodo scientifico può
dimenticare questa dimensione ultima, interpretativa e
“creativa”, della ragione, che attraversa tutti i campi
del sapere, nessuno escluso, per quanto in modi diversi. Si appiattisce così il procedere scientifico, come
se esso fosse caratterizzato nient’altro che da deduzioni
e induzioni. Ma al di sotto della ragione calcolante, per
dirla in breve, è sempre necessariamente all’opera una
ragione più originaria, altrimenti nemmeno la scienza
potrebbe procedere. Essa consiste – come abbiamo accennato – nella «intelligenza del segno», cioè nella capacità di compiere il continuo percorso dal segno (qualunque realtà) al significato, di cogliere il senso e i nessi che si offrono nell’esperienza del mondo che tutti
facciamo. Questo esercizio della ragione sorregge e attraversa ogni altro modo di procedere, da quello mitico a quello logico-filosofico, da quello analogico a
quello matematico ecc.; esso rappresenta un elemento comune di quella vocazione razionale che identifica l’umano nella sua universalità, al di qua o al di là
della molteplicità di individui e culture. Un tale esercizio della ragione non può mai essere “superato”, per
lasciare definitivamente luogo ad altri e più raffinati
impieghi: esso è sempre necessariamente all’opera e lo
è supremamente nel campo degli umani rapporti, nel-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 37
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
37
la conoscenza dell’altro, che è essenziale per vivere. Il
livello di “fiducia” che possiamo accordare ad una
persona che incontriamo o con cui abbiamo a che fare, fino a raggiungere riguardo ad essa una certezza,
è infatti una questione di lettura di segni, comporta
cioè lo stesso uso della ragione richiesto dalla scoperta di Keplero. La certezza morale è poi la base di un
metodo di conoscenza, di conoscenza indiretta, che avviene attraverso la mediazione di un testimone: se io
raggiungo la certezza che una persona sa quel che dice e non m’inganna, allora ripetere con certezza ciò
che essa dice con certezza è coerenza con la ragione.
Tale metodo di conoscenza, che chiamiamo «fede», non
può essere ridotto ad una sorta di parentesi della ragione, per il semplice motivo che su di esso si fondano la convivenza, la cultura e la storia26. Tuttavia, noi
siamo irresistibilmente condotti a pensare che non si
tratti qui di vera conoscenza, proprio in quanto tale
metodo implica la fiducia, quindi la mediazione del
testimone, dunque il credito e l’evidenza indiretta. C’è
troppa distanza da ciò che oggi riteniamo un «conoscere» fondato. Ma occorre cominciare a mettere in
questione il dominio incontrastato di un dogmatismo
scientista che considera tutto ciò che non è traducibile in termini matematico-quantitativi e sottoponibile al protocollo dell’esperimento non conoscibile, da
confinare nel campo del meramente soggettivo, dove
vigono l’opinione, il sentimento, la fede ecc.
26
Cfr. L. GIUSSANI, Il senso religioso, Rizzoli, Milano 2002, capitolo terzo.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
38
11 11 2010
19:36
Pagina 38
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Un esempio, fatto alla buona, può aiutare a chiarire l’insensatezza e la paradossalità di una tale riduzione del concetto di conoscenza. Immaginiamo un fisico che, al giorno d’oggi, voglia occuparsi dei superconduttori (materiali con peculiari caratteristiche di
dispersione magnetica). Supponiamo anche che questo scienziato si vanti di essere autenticamente positivista e cartesiano, nel senso che abbiamo appena descritto: in altre parole, intende attingere solamente da
procedimenti puramente induttivi e diretti. Ora, nello studio dei superconduttori una grandezza molto
importante è la carica elettrica degli elettroni: la misura di questa grandezza è stata effettuata nel 1909 da
Robert Millikan mediante il famoso esperimento della goccia d’olio. Il nostro fisico però, per essere veramente coerente con la propria idea di conoscenza,
non vuole e non può fidarsi di Robert Millikan, né può
fidarsi della miriade di scienziati che, da allora, hanno fornito evidenze e strumenti scientifici che dimostrano la correttezza della misurazione del 1909. Per
verificare l’esatto valore della carica dell’elettrone dovrà pertanto ripetere l’esperimento. Tuttavia ben presto egli si rende conto che questo non è sufficiente,
poiché per l’esecuzione dell’esperimento egli deve fare uso di alcune leggi fisiche dimostrate da altri suoi
precursori, e che non può accettarle senza averle personalmente dimostrate e sperimentate: ad esempio le
equazioni di Navier-Stokes (sui comportamenti dei
fluidi) e la forza di Coulomb (sull’interazione tra corpi elettricamente carichi) saranno tra i suoi prossimi
oggetti d’indagine. Non è necessario addentrarsi nella fisica teorica né proseguire l’esempio fino al prin-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 39
CONOSCENZA, ESPERIENZA E AVVENIMENTO
39
cipio di Archimede (a cui comunque si potrebbe arrivare), per comprendere che il numero di regressioni concettuali possibili sarebbe infinito, o comunque
talmente alto da impossibilitare di fatto il nostro fisico ad occuparsi dei superconduttori, la sua passione originaria27. Senza il metodo della fede, se esso si dimostra inesorabilmente fallace, ognuno dovrebbe rifare
tutti i processi da capo, e non ci sarebbe progresso alcuno, nemmeno a livello delle scienze positive; il fatto
stesso che il nostro sapere progredisca dimostra che
quell’uso della ragione che abbiamo definito «fede», basato sulla «intelligenza del segno» applicata ai comportamenti umani e fonte di conoscenza indiretta, è all’opera in modo fondamentale in tutte le imprese conoscitive umane.
27
L’elaborazione dell’esempio si richiama, seppur indirettamente, al famoso paradosso di Zenone e alla sua meno nota riproposizione in ambito logico da parte di Lewis Carrol, What the Turtle
said to Achilles, in “Mind”, 14, 1985, pp. 278-280.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 40
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 41
Vittorino Andreoli*
L’avventura della scoperta di sé
Incipit
L’avventura della scoperta di sé: il titolo di questa
conferenza nasce da una condivisione con due cari
amici, Sindoni e Caimi1, persone straordinarie, che
non solo hanno fatto moltissimo nel mondo esterno,
ma hanno anche affrontato un grande percorso dentro se stessi.
A partire dalla convinzione che si tratti di una tappa necessaria al processo di identificazione, abbiamo
deciso di sottolineare l’aspetto attualissimo del nosce
te ipsum2.
Ma questo riferimento non è soltanto legato alle sue
radici nella storia di Atene e della cultura greca, quan*
Intervento tenuto in occasione dell’inaugurazione del Collegio
Città Studi di Milano il 14 dicembre 2009; Vittorino Andreoli è psichiatra e scrittore, attualmente è Direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona.
1
Elio Sindoni, Ordinario di Fisica presso l’Università di Milano
Bicocca, è il Presidente della Fondazione C.E.U.R.; Luigi Caimi, Ordinario di Scienze Biomediche e Biotecnologie presso l’Università degli Studi di Brescia, è stato Presidente della Fondazione C.E.U.R. fino al 2007. Il relatore si riferisce a loro perché presenti in sala.
2
«Conosci te stesso»: versione latina dell’iscrizione sul tempio
greco dell’Oracolo di Delfi dedicato ad Apollo; il motto è centrale
nella riflessione di Socrate.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
42
11 11 2010
19:36
Pagina 42
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
to piuttosto al risvolto profondo che emerge oggi: «Se
non conosci te stesso, non hai strumenti per conoscere l’altro».
L’idea è che non si possa comprendere ciò che noi
percepiamo – l’altro –, se non conosciamo lo specchio
che riflette quell’immagine.
Uno specchio che è dato, appunto, dalla nostra identità.
All’insegnamento antico vanno pertanto aggiunti altri elementi, che esprimono l’universo del tutto soggettivo in cui ciascuno è calato. Mi riferisco a un ambiente da intendersi non tanto in senso fisico, geografico, quanto piuttosto come mondo di relazioni.
Sono convinto che il vero problema di questo momento storico non sia trovare persone “perbene”, giovani straordinari: il problema è che, pur essendoci
persone “perbene”, non sono educate, né preparate a
relazionarsi tra loro.
Rischiamo di creare una società popolata di monadi isolate, ciascuna che circuita attorno a sé, cieca e
sorda agli altri.
Temo una società che, pur ricca di tanti talenti, non
riesca a renderli coesi.
Vorrei darvi un’immagine e lo faccio richiamando la
musica. È come se ci trovassimo ad avere degli straordinari primi violini, dei flautisti incredibili, dei professori d’orchestra eccezionali, ma quando devono eseguire
una sonata di Mozart, o una sinfonia di Mahler, non
riescono a coordinarsi. I fiati si interrompono, ma gli
strumenti a corde non iniziano. I tempi sono sfasati,
manca coesione.
Dunque non c’è musica.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 43
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
43
Una massima antica con un significato nuovo e
moderno
Diventa allora importantissimo l’impegno di ciascuno nella crescita di sé, ma altrettanto fondamentali sono i “direttori d’orchestra”, ossia insegnanti, educatori, che lavorino per rendere compatto e armonico
l’insieme, permettendo che le caratteristiche di ciascuno si esprimano al meglio, coordinandosi a quelle
dell’altro.
C’è una responsabilità in chi ha il compito di guidare l’orchestra. Una responsabilità che si sostanzia anche nel sottolineare non solo quanto un singolo ha raggiunto, ma quanto è riuscito a realizzare con gli altri.
Per insistere nella metafora, la forza di un assolo non
potrà mai competere con la potenza straordinaria di
una sinfonia.
Ecco perché al nosce te ipsum dobbiamo aggiungere una finalità: «Conosci te stesso per poterti relazionare con l’altro».
S’innesca così un processo, che genera una circolarità. Una comunità migliore riversa anche sui singoli
un plus.
Basti pensare alla paura, talvolta all’autentico terrore, che si sperimenta nello stare di fronte a qualcuno che non si conosce. Uno sconosciuto che, in quanto tale, diventa pericoloso, cattivo.
Si è radicata una cultura del sospetto, una vera e
propria cultura del nemico, tanto che ciò che non si
conosce viene interpretato, a priori, come “contro”. Ma
questo percorso emotivo inibisce l’esperienza della scoperta.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
44
11 11 2010
19:36
Pagina 44
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Quale spinta può scaturire ad andare verso ciò che,
in quanto non noto, viene fatto coincidere con un pericolo?
È una perdita. Una grave perdita. Per il singolo e
per la società.
Se non riusciamo a relazionarci con l’altro, se non
siamo in grado di trasformare il nostro sapere individuale in una cultura di gruppo, della cooperazione,
dell’amicizia, persino dell’amore, si prospetterà un rischio che già va delineandosi dinanzi ai nostri occhi:
tante persone perbene, in un’altra metafora, tanti alberi
straordinari e verdi, che cresceranno in una realtà piena anche di alberi secchi. Il loro numero aumenterà nel
tempo, così modificando, inevitabilmente, l’aspetto del
bosco. Quelle macchie marroni, quegli steli senza foglie, cambieranno per sempre l’immagine globale.
Due mondi intrinsecamente legati
Mi rivolgo a voi che siete dei ricercatori, e non solo in senso di definizione accademica. Ricercatori come coloro che cercano di comprendere, che indagano
la realtà per afferrarne il senso profondo.
Lo fate studiando, analizzando testi, libri, pensieri
e teorie elaborate da altri. Questi sono materiali che
recepite e che elaborate, che entrano in voi. Non li “ingurgitate” come una massa acritica di dati.
Il sapere non è ripetere ciò che qualcuno ha detto,
ma elaborare in sé, grazie alla capacità critica, una conoscenza fatta da altri che diventa una conoscenza
personale.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 45
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
45
Come molti di voi sanno, faccio lo psichiatra. Mi
occupo di comportamento umano, anche di quello
che talvolta va fuori delle regole. Dunque comportamenti di uomini che, con grande affetto, chiamo «rotti», perché esprimono un agire disturbo, uomini che
facevano parte, un tempo, del grande capitolo della follia. Questo mi ha permesso di comprendere molte cose della mente umana.
Anche al di fuori della patologia, l’individuo è sempre caratterizzato dalla presenza di due dimensioni, due
mondi che convivono. Ne parlerò come del «mondo
fuori di me» e «mondo dentro di me».
È importante non commettere l’errore di privilegiarne uno, dimenticando l’altro.
Anche chi studia fisica, astronomia, botanica, le
scienze cosiddette “pure”, deve sapere che, per comprendere davvero e analizzare quel mondo fuori, che
ne è il tema specifico, deve ben conoscere il mondo
che ha dentro di sé.
Con quest’espressione non mi riferisco soltanto alla vecchia dizione di mondo interiore, ma mi spingo
oltre, per coinvolgere in questa definizione, anche quell’universo di immagini che ciascuno porta in sé, che
appartiene all’esperienza del singolo, e che si riattiva
anche quando quel soggetto fa un’esperienza concreta. Il «mondo dentro di me» si compone di esperienze, di sensazioni, si compone anche di paure. Paure
precise, paure senza oggetto, sine materia, come aura
della paura.
È questo, insomma, un mondo che, pur non essendo
fisico, influisce sulla vita concreta, incidendo su quel
«mondo fuori di me», al punto, talvolta, nella patolo-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
46
11 11 2010
19:36
Pagina 46
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
gia, di deformarlo del tutto. A questo proposito vorrei portare un esempio estremo, che è utile a comprendere, sebbene in modo macroscopico, un meccanismo che, in misura più attenuata, riguarda tutti gli
esseri umani.
Chi soffre di deliri persecutori immagina che tutto
ciò che percepisce attorno abbia un contenuto contro
di lui. Qualsiasi gesto viene interpretato come espressione del male. Se la madre offre un bicchiere d’acqua al figlio, questi lo rifiuta, convinto che sia un tentativo per avvelenarlo. Insomma, nel delirio persecutorio ogni cosa viene letta contro di sé e quest’interpretazione è talmente pregnante da spingere chi la avverte a isolarsi, a chiamarsi fuori dal mondo, impedendo
di svolgere un’esistenza condivisa. Ciò mostra come una
valutazione, che è assolutamente dentro al singolo,
possa finire per condizionare profondamente la vita reale, quotidiana.
Si tratta, come ho detto, di casi estremi, di “febbri
elevate”, ma i medici sanno che capire da cosa provengono serve anche per comprendere la febbricola.
Esistono paure minori, piccole ossessioni molto diffuse, come quella di chi, uscendo di casa, torna più volte a controllare che il gas sia spento, o la finestra. Ciò
che può trasformare un simile comportamento in patologia sono la frequenza e la reiterazione nel tempo,
poiché il gesto assume un significato di controllo esasperato, un controllo del controllo, al punto che il
mondo interiore paralizza la vita esteriore.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 47
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
47
In viaggio dentro di sé
Vorrei ora accompagnarvi in un viaggio particolare. Un viaggio verso il «mondo dentro di sé». Si tratta di un’avventura straordinaria.
Comprenderete come anche il vostro compito specifico, la ricerca del «mondo fuori di me», abbia bisogno di fondarsi sulla conoscenza delle scatole immaginarie che, come una matrioska, avvolgono e nascondono ciò che sta nel «mondo dentro». Un percorso
fondamentale, che illuminerà, svelerà il significato pieno di quello che c’è fuori.
Nell’intraprendere questo viaggio, il primo obiettivo è domandarsi: «qual è il mio senso?».
Sono certo che voi sappiate spiegare lo scopo fondante di una facoltà come quella di Ingegneria o quella di Architettura, di Medicina. Ma di voi, che cosa
potete dire? Del vostro senso, del senso dell’uomo?
Se non vi ponete questa domanda, se non cercherete una risposta, il rischio è che vi fermiate a una
conoscenza del mondo di fuori che diventa, per ciò
stesso, di superficie. Diverrete, come oggi si dice,
«operativi», preda di un empirismo finalizzato a produrre. E si giunge così al punto di non chiedersi più
perché si fanno le cose. Invece le si fa e poi ci si chiede il perché.
Un mondo alla rovescia, dunque, perché si è trascinati dalle cose, soprattutto in un momento in cui
disponiamo di strumenti straordinari – computer, realtà virtuale, internet. Eppure bisogna fare attenzione che
questo empirismo non venga a coprire il significato del
mondo. Un significato che ciascuno di voi deve inda-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
48
11 11 2010
19:36
Pagina 48
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
gare dentro di sé, a partire da quella dimensione del
«mondo dentro di sé».
Certamente si lega anche alla storia di ciò che vi circonda, della città, della famiglia cui appartenete. Non
lo si trova leggendo un libro di architettura, ma leggendo dentro se stessi.
Avverto però che non intendo certo offrire nessuna ricetta pronta. Credo, anzi, che questa risposta non
esista, perché è del tutto soggettiva. La troverete, se
farete questo straordinario viaggio dentro di voi. Un
viaggio che non finisce mai.
Tecnica e pensiero
Ci stiamo addentrando nei problemi posti, per definizione, dalla filosofia, la filosofia “classica”. Ma non
è così. È una distinzione priva di significato. Dobbiamo superare la dicotomia tra pensiero e tecnica, tra
riflessione speculativa come sterile esercizio dell’ingegno e operatività, senso del fare concreto. Talvolta un
retaggio di questa opposizione si legge in controluce
nei piani universitari. È fuorviante e terribile.
Abbiamo, invece, bisogno di creare dei collegi nel
senso antico, in cui questi saperi dialoghino e si confrontino continuamente.
L’educazione deve incontrare la filosofia, intesa come esercizio del pensare, che comprende anche il pensare a sé, al mondo dentro di sé.
Questo vale anche per la tecnologia, che diventa
sempre più “perfetta”. Deleghiamo ormai la nostra memoria agli oggetti senza accorgerci che, con questo ge-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 49
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
49
sto, in apparenza pratico, meccanico, in realtà stiamo
perdendo la capacità di pensare. Il pensiero comporta, infatti, che si attivi anche una memoria che ricordi
il significato semantico delle parole che usiamo.
Con questo non sto affatto demonizzando la tecnica, che uso, anche se non sono bravissimo come voi.
È una tecnica meravigliosa, ma deve essere sostenuta
e integrata dall’uomo, da quel «mondo dentro di sé».
La digital life non deve sostituire la human life,
bensì spetta a questa servirsi della prima. Mi piacerebbe
che sull’imballo del computer, come sui pacchetti di
sigarette, venisse stampato un avvertimento: «Faccio
parte della human life».
Sostengo il ruolo della ragione, questo grande sistema per capire il mondo, nelle sue duplici dimensioni: dentro di sé e fuori.
In un momento di crisi della civiltà, com’è quello
attuale, dovremmo ricordare che la ragione è nata proprio in quella cultura greca della quale la nostra nazione è stata parte importante. La Magna Grecia, il
mondo delle colonie più ricche dell’Attica, coincide con
il meridione d’Italia, Sicilia, Calabria, che sono state
culla dell’Occidente.
Tuttavia non mi soffermerò ora sulla ragione. Voglio parlare invece dei sentimenti.
Il bisogno dei sentimenti
Innanzitutto bisogna distinguere le emozioni dai
sentimenti. L’emozione è una risposta immediata ad uno
stimolo. Così, se appare sullo schermo televisivo una
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
50
11 11 2010
19:36
Pagina 50
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
macchia di sangue, si attiva in chi guarda una reazione. Non appena lo stimolo scompare, si cancella anche la sensazione scatenata.
Invece il sentimento è un legame che un soggetto
stabilisce con un altro e che permane nel tempo, anche quando la persona verso cui lo si prova è assente. Pensiamo all’amore. Di un lui, Caio, che sente di
non esistere quando lei, la sua Caia non c’è. «Senza
di te sono nessuno».
Il sentimento crea il bisogno dell’altro, che, a sua
volta, ha bisogno del primo. La ragione non costituisce necessariamente uno strumento di comunicazione
o di legame. Ci sono stati grandissimi pensatori che
erano, appunto, seduti a pensare.
Il sentimento ha bisogno dell’altro. Le uniche espressioni sentimentali, che non contemplano questa necessità, sono patologie. Talune piuttosto frequenti, come il narcisismo.
Il nome viene da quello di Narciso, il bel fauno della mitologia, la cui storia è riportata nelle Metamorfosi di Ovidio. Passeggiando nel bosco, un giorno, Narciso, richiamato dalla voce della ninfa Eco, si avvicina alla fonte e, per la prima volta, si specchia nell’acqua. Ciò che vede è il volto di un giovane straordinario, verso cui prova il bisogno di un legame. Un legame, dunque, che è con se stesso.
Il mito di Narciso viene usato nella psicologia per
indicare il disturbo di identità, di chi non si conosce,
non sa com’è, al punto di innamorarsi di un’immagine di sé, senza essere consapevole che è la propria.
Non è questo il mondo dei sentimenti. Sentimento
vuol dire relazione. Nel sentimento si avverte il bisogno dell’altro.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 51
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
51
Legame non è certo solo quello dell’amore, della
coppia. Contano i sentimenti di un figlio verso il padre, il sentimento verso i nonni, i sentimenti verso
quelli che non si conoscono, che di solito chiamiamo
solidarietà, empatia; e ancora il sentimento verso un
dio creatore.
Indagate dentro di voi. Arriverete così a rintracciare i segnali, quelli nascosti, persino forse quelli di cui
parlava Pascal: l’incontro con il Sacro, l’incontro con
Dio, con il Creatore.
Anche quello con Dio è un legame.
Personalmente sono affascinato dagli eremiti, che popolavano un tempo, soprattutto nel II o III secolo
d.C., la Cappadocia, l’Egitto.
Credo che se Dio parla, parla a ciascuno di noi. Nel
nostro silenzio.
Vi rivolgo dunque un invito: guardate al bisogno che
avete dell’altro, degli altri.
Il sentimento esprime bene la condizione umana.
Che cosa si sperimenta, nel legame, se non la forza del
bisogno che lui ha di lei e lei di lui?
E in quell’istante si realizza un’alchimia straordinaria. «Sono felice perché ho trovato Caio», dice Caia,
e Caio lo dice per Caia.
Quello di cui non si accorgono è che ciascuno di
loro ha mostrato la propria fragilità.
Fragilità, ecco la parola che dovete rammentare.
Fragilità che non significa affatto debolezza. La fragilità ricorda la condizione esistenziale dell’uomo, «attaccato sul vuoto/al suo filo di ragno»3.
3
G. UNGARETTI, La pietà, in Inni, Sentimenti del Tempo.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
52
11 11 2010
19:36
Pagina 52
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Io sono veneto e, naturalmente, amo molto i vetri
di Murano. Hanno forme straordinarie, trasparenze, luci, colori incredibili e vivacissimi. Una caratteristica che
viene loro dal fatto di essere molto sottili. Non si può
dire che un vaso di Murano sia debole, ma certamente
un contenitore in ferro non ha il medesimo rischio di
rompersi. Tuttavia non sarà mai in grado di eguagliare la loro unicità.
Insomma è nella condizione stessa di quel vetro di
Murano che si evidenziano tutte le caratteristiche che
lo rendono tale. Fragile, ma non debole.
Allora è dentro di voi che troverete la modalità per
non sentirvi dei superdotati. L’uomo smette di essere
tale solo quando si crede iperpotente.
La condizione umana, proprio perché costellata di
limiti, genera dei bisogni. Ed è a partire da quei bisogni che genera la sua straordinaria capacità.
Non dimenticate che questo è un collegio di eccellenza, ma di eccellenza umana, non di eroi e supereroi.
Un’eccellenza che si fonda, dunque, su una base precisa. Sulla fragilità.
Indagate i sentimenti e chiedetevi che senso ha la
vostra individualità e che senso ha per gli altri.
Non vi serve la razionalità, anzi la razionalità diventa
persino grottesca quando si parla di sentimenti. Conosco razionalisti puri che hanno il terrore de legami
e si rifugiano dietro alla consecutio temporum. Ma i sentimenti hanno bisogno di far saltare per aria anche il
principio di non contraddizione.
Permettetemi qui di fare un accenno anche alle famiglie, alle vostre famiglie. Qualche volta vorrei che
vi domandaste che bisogno hanno vostro padre, vostra madre, vostro nonno, di voi.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 53
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
53
Spesso noi stiamo ad aspettarvi, perché sentiamo un
bisogno enorme della vostra presenza. Abbiamo forse
il difetto di non dirvelo.
Ebbene, qualche volta tornate a casa. Riattiverete
quella circolarità del legame che fa bene a loro, ma fa
un grandissimo bene anche a voi.
Due bussole per orientarsi
Vorrei, per questo viaggio straordinario che intraprendete nell’università, darvi in dono due bussole. Sono due parole importantissime che vi guideranno.
La prima è desiderio.
Il desiderio è la capacità, che ciascuno di noi ha,
di pensarsi domani diverso da come è oggi. Il desiderio ha dunque il potere di attuare una specie di
proiezione dell’io attuale verso un io ideale.
Perché questo desiderio esista, è necessario possedere una funzione fondamentale: il futuro.
Senza dimensione del futuro, non può nascere alcun desiderio, nessuna immaginazione.
Usate il desiderio come indicatore, per sondare come vi sentite, qual è il vostro grado di conoscenza del
«mondo dentro di sé». Fate che funzioni come termometro, utilissimo in una società, come quella attuale,
dove domina il desiderio spot, ossia un imperativo all’omologazione, all’accaparramento, qualcosa che non
attiene affatto all’essere, all’io, ma al possedere. «Esci
e compra quella cosa, perché senza non sei nessuno».
Oggetti che variano a seconda delle strategie di marketing, studiate per un mercato del denaro e del potere, non certo dell’esistenza.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
54
11 11 2010
19:36
Pagina 54
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Quello di cui parlo, invece, è il desiderio individualizzato, il progetto di sé, di un sé proiettato nel futuro.
Allora portate con voi il desiderio. Spegnete ogni
rumore che avete attorno, televisioni, telefonini, internet. Dialogate nel silenzio. Che è un modo di meditare, ma non secondo le mode, quella giapponese,
indiana, new age.
Nel silenzio sentirete ciò che avete dentro. Ascolterete una straordinaria forza che è dell’uomo: la fantasia. È qui che si scopre la pazienza, che si comprende il significato anche di ciò che si fa.
La seconda parola che vi “consegno” per questo
viaggio è mistero.
La voglia di scoprire, che meravigliosa energia!
Quando ero giovane, anch’io frequentavo il laboratorio, come Caimi e Sindoni. Il nostro sogno, allora, era
di spiegare tutto. Il mistero era, per noi, legato all’ignoramus, sed non ignorabimus. Dunque «non sappiamo, ma sapremo». Ci animava una fede, quella che,
prima o poi, si sarebbe arrivati a una risposta, non importava se dopo molti anni. Ecco lo stimolo, la spinta, la consegna anche, una straordinaria consegna, un
legame con le generazioni future.
Ebbene, oggi, da vecchio, dico che la ricerca deve
ancora essere enormemente incrementata. Da medico,
per esempio, penso a quanto dolore si potrebbe risolvere non ignorandolo.
Ma tutto questo va tenuto distinto dal mistero.
Oggi sappiamo bene che al mistero compete un altro ambito. Un ambito che la scienza non potrà eliminare.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 55
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
55
Non è insomma più possibile sostenere che la scienza eliminerà il mistero. A dirlo sono i grandi scienziati,
che sottolineano come ogni conoscenza ponga in sé un
qualche quesito che ha bisogno di un altro per conoscerlo.
Insomma il mistero è strutturale. Oserei dire persino che oggi la scienza non solo non elimina il mistero, ma dà un senso al mistero.
In quel viaggio nel «mondo dentro di me» incontrerete anche il mistero. Che ha bisogno, ripeto, non dell’irrazionalità, ma dell’applicazione della ragione, alla
base del procedere scientifico e delle dimostrazioni. Dovete essere al contempo coscienti che la ragione non potrà essere sufficiente. Permangono delle domande strutturali, a cui è difficile dare una risposta con la ragione.
Certo, la risposta va cercata, per il senso stesso del
vivere. Non si tratta di quesiti teorici, bensì di interrogativi dentro quel senso di cui abbiamo parlato.
Per tutto il tempo che starete all’università, sui libri, nei laboratori, studierete in fondo ciò che era mistero e non lo è più. Basti pensare a quell’affascinante
campo della fisica delle particelle che ha reso possibile un esperimento4 straordinario, ora in corso al
CERN, uno dei più grandi esperimenti per la fisica.
Eppure non è, non sarà la soluzione del mistero.
Un passo importante, certamente, un passo che arricchisce la scienza, e rende ancora più grande il mistero.
4
Il relatore si riferisce alle attività del Large Hadron Collider
(LHC), il più grande esperimento di fisica mai realizzato, presso il
CERN di Ginevra.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
56
11 11 2010
19:36
Pagina 56
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Conclusioni
Ritorno, dunque, in chiusura al punto da cui ho iniziato. Il mistero è intrinseco alla nostra esistenza, alla
storia dell’uomo. Un mistero che si nutre della ragione, ma non solo, perché ha bisogno anche della conoscenza dell’universo soggettivo e silenzioso, fatto di
bisogni, desideri, progetti.
Il mistero affascina, ma spaventa. E lo fa in maniera
diversa a seconda dell’età. Forse a me fa un po’ più
paura che a voi, perché mi avvicino a uno dei misteri più grandi: quello della fine del tempo. Del limite
umano per eccellenza.
Così, nel salutarvi e ringraziarvi, esco da questa sede di grande sapere scientifico stringendo simbolicamente sotto il braccio non un trattato di fisica pura,
ma le Confessioni di sant’Agostino.
Interventi e risposte
Direttore: Mi permetto, più che commentare, di ringraziare, perché le parole che ha detto stasera colpiscono innanzitutto la natura della nostra professione,
non uso la parola educatore perché è veramente pesante e penso che sia compito precipuo anzitutto della famiglia di origine, però sicuramente di formatore
nel senso profondo del termine. Quanto diceva all’inizio rispetto all’identità, di cercare esempi, del guardar fuori, immediatamente mi ha fatto venire in mente alcune discussioni tenute in queste settimane con
un gruppo di studenti; allora pensavo a due frasi di
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 57
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
57
due profeti in senso etimologico della parola cioè di
quelli che «dicono prima» e lo dicono «davanti a tutti». Pensavo a quel monito potentissimo che fa Gesù
nei Vangeli in cui dice «a che vale all’uomo conquistare il mondo se poi perde se stesso?», che in senso
positivo è cerca te stesso, trova dentro di te; ma penso anche al grandissimo Giacomo Leopardi quando al
pastore fa dire che l’uomo probabilmente arriverà a
contemplare le stelle, ma riuscirà a essere felice veramente. In fondo sulle stelle ci siamo arrivati, nessuno
può dire che non ci siamo arrivati. Per cui la ringrazio perché è stato un modo di buttarci dentro di noi
dentro ciascuno di noi, e quello che cerchiamo di fare quotidianamente .
Un altro punto che mi ha colpito moltissimo è stato quando lei ha parlato del desiderio. Perché, lei lo
sa, mi è stato chiesto, sto scrivendo un libro sulle relazioni, su alcune parole fondanti le relazioni umane,
più per un a posteriori che per un a priori, partendo
dal mio lavoro. E l’altra volta parlando con una mia
carissima studentessa, chiacchierando su delle sue questioni, mi sono accorto – sto parlando di una persona splendida e vivace che ama l’università – di come
su alcuni punti fondamentali della sua vita, della nostra vita comune a tutti, a livello sentimentale, a livello
affettivo ci sia un accontentarsi, un fermare i piedi, un
saldarsi, incredibile per ragazzi di vent’anni. Ho riflettuto sulla natura della parola desiderio e sull’etimologia. Io sono un po’ fissato, non controllo il gas
tre volte, ma cerco di capire il significato delle parole, e desiderio viene da de sidera: mancanza delle stelle, dell’infinito. E allora le ho mandato dopo un mes-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
58
11 11 2010
19:36
Pagina 58
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
saggio dicendole: «Guarda mi hai ispirato questa parola in più sulle relazioni», perché noi senza desiderio, senza ricerca di infinito nelle relazioni ci accontentiamo e ci freghiamo.
Un’altra citazione. Leggevo la biografia di De Andrè in cui diceva «mi innamoravo di tutto». È bellissima questa affermazione. Oggi purtroppo, nell’incontro-scontro con l’uomo, parlo di cose molto concrete, non è una domanda filosofica la mia, i giovani
si innamorano poco, si accontentano. E talora leggo,
e questo fa star male me e la mia professione, questa
potente tensione (è una tensione e non un dramma),
tra il dovere e la passione. Per cui dico «ragazzi innamoratevi, il collegio vivetelo un pezzo ciascuno»; io
il regolamento non lo leggo quasi mai, eppure non vengo capito. Mi sono sentito dire «preferirei stare in un
posto in cui ci sono le regole da rispettare e basta».
Io a questo mi ribello perché non voglio fare un lavoro così con loro né seleziono persone attente alle regole e doveristi. La lotta oggi è fare appassionare questi ragazzi di vent’anni. Questa è la questione.
Intervento 1: Buonasera. Innanzitutto la ringrazio
perché questa sera ha parlato di domande, e io più vado avanti più mi rendo conto che le uniche persone
con cui ho dei punti di condivisione sono quelle che
portano avanti le mie stesse domande, più di quelli che
hanno le mie stesse risposte. E poi voglio fare una domanda su dove noi oggi possiamo prendere quel rapporto, secondo me necessario, per spogliarci di quel
complesso di specialità. Perché abbiamo una società
che non promuove spazi di accoglienza, una società do-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 59
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
59
ve la nostra fragilità è scandalo e questo credo che mini completamente uno spazio relazionale, perché se la
fragilità è scandalo, io rimango arroccata sul narcisismo e l’altro non esisterà mai per me. E credo davvero che oggi abbiamo troppo cibo che ci porta a
consumare il sé e a vivere unicamente come un pubblico.
Intervento 2: Lei diceva che l’uomo spesso è al servizio della tecnologia quando in realtà dovrebbe essere il contrario. Già è un primo errore. Il secondo errore che secondo me si fa spesso è il fatto di vedere
la religione al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio della religione. Cioè, forse questo grande bisogno che noi abbiamo di dare per forza una risposta a
tutto, di determinare questo mistero che forse semplicemente ci fa paura e non lo inglobiamo all’interno di noi stessi, come un elemento facente parte della nostra esistenza, forse ci sentiamo più sereni affidandoci a questo Dio buono che in maniera astratta
dà una risposta che ci fa stare più sereni. Quindi sostanzialmente utilizziamo la religione per un nostro
bisogno egoistico. Mentre in realtà dovremmo preoccuparci meno di quello che ci sarà dopo, o meno di
quello che c’è stato prima del nostro essere, e ringraziare semplicemente di quello che siamo, riconoscere
che siamo limitati, che non abbiamo una percezione
infinita di noi stessi, né dell’uomo, della specie. E ringraziare di questa opportunità, cercare di coglierla per
quanto possibile. Credo che questo bisogno infinito di
dare una risposta sia un bisogno un po’ egoistico, soprattutto quando si parla poi di metafisica, di religio-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
60
11 11 2010
19:36
Pagina 60
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
ne. E poi un’altra domanda: secondo lei vale la pena
spendere la propria vita per un desiderio che in sé e
per sé rappresenta per te la vita, che, come potrebbe
farti cambiare la vita in positivo, potrebbe anche ridurla a poco? Quindi vale la pena spendere tutta la
propria vita, tutte le proprie energie per il proprio desiderio anche se non sai com’è al 100 per 100?
Andreoli: Ringrazio per queste domande, che mi
permettono di aggiungere considerazioni su cui prima
non mi sono soffermato.
Vorrei dire subito, però, di non guardare a me come a una Pizia di Delfi. So che è pieno di maestri che
hanno sempre la risposta giusta, che funzionano a gettone. Non sono tra loro.
Due maturità
Il problema della maturità è di enorme importanza. Si evidenzia con sempre maggiore chiarezza come
esistano due maturità o, meglio, due misure di maturazione durante la crescita a una data età. L’una esprime le capacità cosiddette intellettive o razionali. A
questo aspetto si lega anche il curriculum scolastico,
che, seppur non del tutto riducibile alla razionalità, attiene però a una capacità di comprensione (dei testi,
dei materiali), che delinea in maniera precisa quello che
si deve fare. Questa è la maturità razionale.
Esiste però una seconda modalità di valutazione
della maturità, che carica di un senso ancora maggiore la divisione che ho proposto all’inizio tra «mondo
dentro di sé» e «mondo fuori di sé»: è la maturazione affettiva. Così ci sono persone intelligentissime che
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 61
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
61
non sanno reggere una relazione, magari con il proprio padre, con la madre, con la propria ragazza. Persone perfettamente in grado di risolvere complessi
problemi intellettivi, che però non sanno vivere nel
mondo, non sanno stabilire relazioni. Sono immature,
da una parte, ipermature, dall’altra.
Ecco allora che, per evitare questo squilibrio, si deve affrontare quel viaggio dentro di sé di cui ho parlato, preparati anche a trovare eventuali disarmonie,
paure, blocchi, nodi dell’affettività.
È un passaggio ineludibile.
Quando ci si trova di fronte alla difficoltà di legare le generazioni, padri e figli, certamente si rilevano
visioni del mondo diverse, a volte opposte. È giusto
che accada così. Non possiamo pensare e comportarci come i nostri figli, i nostri nipoti, o scivoleremmo
in quella patologia terribile che è la sindrome del giovanilista. Eppure non possono essere le differenze fra
generazioni a distruggere i legami. Se esiste una maturità affettiva, non accade.
Così un padre potrà dire al figlio: «Non condivido
quello che tu hai fatto, perché va contro i miei principi, perché va contro tutto quello in cui ho creduto
da sempre. Però ricordati che qualsiasi cosa tu faccia
io sono sempre tuo padre – o tua madre – e che ti
voglio bene».
Dobbiamo difendere questo mondo dei sentimenti, che non è possibile che funzioni solo quando siamo d’accordo. Funziona anche quando ci sono due modalità di vita e due stili di vita che sono diversi, purché si cerchino insieme dei punti di contatto.
E dove possiamo trovarli?
Quando parliamo di mistero.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
62
11 11 2010
19:36
Pagina 62
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Porto subito un esempio molto concreto. Prendiamo il motorino. L’adolescente lo usa per uscire la sera. La madre gli ha domandato di tornare a mezzanotte.
Il ragazzo ritarda e già alle 12 e 05 la madre è convinta che sia morto.
Quando il ragazzo entra in casa, non capisce perché sua madre, con il viso stravolto, stia inveendo contro di lui.
La difesa che adduce è: «Mi stavo divertendo».
Solo conoscendo che cosa ha provato sua madre, il
sentimento, il terrore che l’ha attraversata, potrà empaticamente comprendere la sua preoccupazione. Non
ci si può aspettare che lo faccia razionalmente. Accadrà solo in forza del legame.
Dunque è l’immaturità dei sentimenti che esaspera
la lotta fra generazioni.
Attualmente è allo studio della commissione giustizia un progetto di legge per abolire il tribunale dei minori. Lo si vorrebbe sostituire con una sezione speciale
del tribunale per i problemi della famiglia e si ipotizza che l’adolescente, compiuti i 14 anni, possa adire
il giudice, presentando una domanda che più o meno
suona «io di mio padre non ne posso più».
È una follia.
Anziché spingere a indagare nel mondo dei sentimenti, per arrivare a una soluzione condivisa, ci si accanisce sulla lotta.
Passioni e libertà di scelta
Questa sera, il direttore ha utilizzato un’espressione importantissima. Ha detto: «C’è bisogno di passioni».
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 63
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
63
Molti giovani che vogliono essere liberi, in realtà,
chiedono: «Dimmi che cosa devo fare». E cito a questo proposito un passo straordinario de I Fratelli Karamazov di Dostoevskij, il capitolo dedicato al Grande Inquisitore.
La scena si svolge a Siviglia. È il giorno dell’autodafé: ogni anno l’Inquisizione Spagnola portava al rogo coloro che erano stati condannati dal tribunale in
giudizio. Quel giorno cento roghi erano stati accesi.
La piazza era ancora gremita di gente. Tutto d’un tratto serpeggia tra la folla la voce che Cristo è ritornato. Si dice anzi che abbia fatto un miracolo: un bambino malato ora è sano.
Viene interpellato il Grande Inquisitore, un uomo
vecchio, il responsabile dei roghi. Quando sente la
notizia che Cristo è tornato, emette l’ordine: «Prendetelo e riportatelo in carcere».
Così fanno.
Si aprono qui alcune delle pagine più belle della letteratura. Un dialogo, dovrebbe essere. Un dialogo che
in realtà è un monologo, perché Cristo, o il supposto
Cristo, non esprime nemmeno una battuta.
La parola spetta solo al Grande Inquisitore. «Invece di prender possesso della libertà umana, Tu l’hai
accresciuta, e hai aggravato coi suoi tormenti il regno
spirituale dell’uomo, per l’eternità. […] Al posto della solida vecchia legge, con libero cuore l’uomo doveva d’ora innanzi decidere lui stesso che cosa fosse
bene e che cosa male, senz’avere innanzi a sé altra guida che la Tua immagine: ma possibile mai che Tu non
abbia pensato ch’egli avrebbe rigettato infine e addirittura contestato sia la Tua immagine che la Tua ve-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
64
11 11 2010
19:36
Pagina 64
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
rità, se si fosse trovato oppresso da un peso così tremendo, come il libero arbitrio?»5.
Prosegue, il Grande Inquisitore, e inveisce contro
di Lui. Gli dice che ha sbagliato, perché gli uomini
non vogliono la libertà, l’uomo vuole un pezzo di pane ed un padrone a cui rispondere.
Cristo non ribatte nulla.
Rimane muto, immobile.
Il racconto finisce con l’immagine bellissima di Cristo che bacia l’Inquisitore.
Alla logica, alla fredda ragione del potere che predica di sottomettere l’uomo, Cristo risponde con un
gesto di sentimento.
La passione, dunque, occorre la passione.
Passione è un termine molto particolare, la cui tipologia è difficilmente classificabile.
Le passioni non sono in sé né positive né negative.
Le passioni sono pervase sempre anche da una condizione di dolore.
Quella di Cristo è certamente di dolore, ma un dolore che per un cristiano, che crede in quella figura,
è del tutto particolare. Un dolore profetizzato, voluto
da Dio, come gesto d’amore.
In questa cornice umana, umanissima, si fa comprensibile.
La passione ha poi a che fare con la gioia. Gioia e
felicità non sono affatto sinonimi. La felicità è un’emozione, l’ebbrezza di un istante.
La gioia è un modo d’essere, la gioia implica il legame, la serenità.
5
F. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, trad. it. di Agostino Villa, Einaudi, Torino 1993, p. 340.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 65
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
65
Il consumo dei sentimenti
Una delle domande ha proposto una riflessione fondamentale. È stato detto: «Ho un consumo delle esperienze, anzi dei sentimenti». Dunque «vale la pena
davvero di credere fortemente in un legame che, come le cose, si consuma?»
Non permettete il consumismo dei desideri, di sentimenti. Il tempo sa essere un elemento straordinario per
i legami, se c’è quella ricerca del mondo dentro di sé.
Vorrei raccontare una cosa che mi accade spesso.
Come ho detto, faccio lo psichiatra e vengo invitato a
convegni, che si svolgono in località molto belle. Quando ci vado, da parecchi anni, mi capita di incontrare
colleghi, vestiti come giovanotti, con al braccio una ragazza che mi presentano, di solito con la formula:
«Vittorino, conosci Giovanna?»
«No», rispondo, e dovrei aggiungere: «Perché l’anno scorso ne avevi un’altra».
Invece dico: «Conosci Laura, mia moglie?». È sempre quella da quarantadue anni.
I sentimenti hanno un volano, si ricaricano. Certo,
accadono momenti di minore intensità, ma sono straordinari, perché esiste la continuità, perché si nutrono
del tempo, scrivono una storia.
Allora non buttate via i sentimenti. I sentimenti
vanno prima capiti. I sentimenti sono un legame. In
un legame non si può pensare solo a sé. Nel legame
esiste anche l’altro, quella persona che ti è stata vicina, con cui hai creato qualcosa tutti i giorni.
Ci sono i sonni, è vero, sonni che, purtroppo, a volte, hanno risvegli da incubi, ma se scandagliate chi siete, il vostro senso, se fate un’analisi meditata, sceglie-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
66
11 11 2010
19:36
Pagina 66
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
rete qualcuno che vi potrà dare qualche delusione, ma
che corrisponde comunque a un vostro bisogno, a un
bisogno che è dentro di voi.
Questo vale per i legami affettivi, ma anche per le
materie che studierete. Fate che corrispondano alla
vostra passione, che risuonino di quanto avete scoperto
nel profondo di quel viaggio dentro di sé.
Una facoltà la si sceglie per passione. Solo così è
davvero una scelta. Altrimenti diventa una delega, un
gioco con il destino, il caso. Altrimenti è il frutto di
un evitamento, l’aver aggirato l’ostacolo di quell’analisi del mondo dentro di sé.
Insomma non abbiate paura delle delusioni. Le delusioni sono piccoli ostacoli che vanno compresi, affrontati e superati, se la base è buona.
Religio e legame
Si è parlato qui di religione. Vorrei riportare l’attenzione sulla radice etimologica di religio, legame.
Religione come legame, dunque, un legame che esiste
tra Dio e il sacro. Ecco il mistero.
Per qualcuno è un legame che diventa una scelta di
vita, ma non solo quella che può essere dell’eremita o
del monaco. Anche di una qualsiasi persona laica.
Intesa come legame, anche la religione sfugge al rischio della strumentalizzazione. Si nutre di un bisogno,
il bisogno dell’altro, che, in questo caso, è Dio.
Cristo è Colui che ha detto all’uomo: «Sono venuto per te!».
Un messaggio straordinario, che ha fondato una religione di un individuo, cioè il rapporto tra Dio e il
singolo. Non più il popolo nella sua interezza, come
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 67
L’AVVENTURA DELLA SCOPERTA DI SÉ
67
gruppo, ma il legame tra due individualità, l’una sacra.
Ecco perché Pascal, che io amo molto, diceva «non
basta voler credere per credere». Occorre l’incontro, farne esperienza. Esperienza di Dio, dell’incontro con Dio.
Certo, bisogna evitare di comportarsi come le vergini stolte, che hanno finito l’olio proprio quando Dio
è arrivato.
Finisco invitandovi a leggere il Cantico dei Cantici, questa bellissima storia d’amore, storia dei legami,
che unendo le nostre fragilità ci rendono più forti e
vivi. Più umani.
Grazie.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 68
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 69
Tommaso Bellini*
Molecole, DNA, origine della vita:
cosa si cerca nella ricerca scientifica?
«Cosa si cerca nella ricerca», il tema di cui mi è stato chiesto di parlare questa sera, è anche il tema di
tutta una vita di chi ricerca, ed è un tema molto difficile. Pensando a come svolgerlo, direi che vorrei fare una conversazione basata molto sulla mia esperienza. Sono un fisico. Ho cambiato diversi atenei nella
mia storia: sono stato a Pavia, poi sono stato in Colorado per tre anni, quindi sono stato al Politecnico
di Milano per altri tre anni, dove ho insegnato elettromagnetismo e infine, siccome si era resa disponibile una posizione all’università di Milano per le biotecnologie, perché nello studio delle biotecnologie c’è
una componente di fisica importante, sono andato e
sono tuttora all’Università degli Studi di Milano a insegnare fisica ai biotecnologi.
Vi racconterò le fasi della mia storia, almeno a grandi linee: come ho vissuto la ricerca scientifica, e che
cosa mi sembrava di cercare in questa ricerca; poi vorrei fare una serie di considerazioni generali su questo
tema.
*
Intervento svolto durante l’incontro tenuto il giorno 12 aprile
2010, presso Camplus Rubattino, a Milano; Tommaso Bellini è Ordinario di Fisica presso l’Università degli Studi di Milano.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
70
11 11 2010
19:36
Pagina 70
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Parto dall’università. Io sono di Milano, ma mi sono iscritto all’università di Pavia e sono stato ammesso al collegio Borromeo. E nel primo anno di università ho vissuto per la prima volta un po’ chiaramente
una cosa che mi è successa tante volte dopo. È iniziata con un incontro speciale. L’incontro con Paolo,
che mi ricordo fin dal giorno del concorso di ammissione al collegio (grande barba rossa, tutto vestito di
bianco, scarpe rosse – piuttosto difficile non notarlo).
Ho poi scoperto che faceva fisica come me e, un po’
per caso, siamo finiti nello stesso gruppetto di laboratorio di un corso. Così ho cominciato a studiare con
lui. Insieme abbiamo studiato in particolare gli esami
del primo anno dell’università. Studiavamo insieme
nonostante fossimo molto diversi: lui molto estroverso, io all’opposto, però avevamo in comune questa
ambizione di capire e il nostro rapporto è diventato
abbastanza presto un rapporto di scoperta condivisa.
Per esempio, quando preparavamo Analisi 1, ci telefonavamo per dirci «sai che ho trovato un controesempio, una funzione che è discontinua in tutti i punti… (non mi ricordo com’era, forse non derivabile in
alcun punto ma continua quasi ovunque)», oppure altre cose di questo genere. La nostra amicizia era soprattutto fatta dalla condivisione della bellezza e dell’emozione di capire, di chiedersi le cose, di trovare
le soluzioni ai problemi. Nello studio, in fondo, quando si capisce non succede niente di importante. Quando invece non si capisce e poi si capisce, quello è il
momento più significativo, in cui uno fa dei passi
avanti giganteschi. Abbiamo vissuto insieme molti momenti così e già in questi ci si può chiedere: «Ma che
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 71
MOLECOLE, DNA, ORIGINE DELLA VITA
71
cosa si ricerca quando si studia?». Ci sono tante risposte: si può dire «voglio passare l’esame... voglio fare carriera... voglio prendere la laurea... voglio trovare un lavoro...». Sono tutte vere. È anche vero che
quando uno studia, nella conoscenza c’è qualcosa che
è un po’ di più di tutte queste risposte: c’è come un’aspettativa. Quando non capiamo un teorema, un passaggio e poi a un certo punto lo capiamo, il contenuto di quell’esperienza è un po’ di più di un passo
avanti verso la laurea o il lavoro: è qualcosa d’altro,
che io ho cominciato a conoscere proprio in quel periodo, appunto, proprio nel rapporto così intenso con
il mio amico Paolo. Qualcosa che poi ha continuato
nella mia storia seguente e che adesso racconto a brevi passi per poi tornare su questo tema.
Dopo la laurea sono rimasto a Pavia a fare il dottorato e ho lavorato con un professore molto “quadrato”, molto chiaro nelle idee, che mi ha insegnato
tantissimo, perché io avevo le idee un po’ confuse. Anche con durezza, mi ha insegnato l’esigenza di essere
limpido. Con lui ho studiato i sistemi “colloidali”, che
attualmente vengono spesso chiamati nanoparticelle –
cioè frammenti nanoscopici1 di materiali solidi dispersi
in un fluido – e l’impostazione del lavoro di quel periodo era cercare verifiche o smentite ad alcune ipotesi che c’erano in giro: per esempio con un metodo
molto nuovo, usando la diffusione di luce, abbiamo stu1
Nanoscopico significa di dimensioni lineari pari a circa 10–9
metri (un milionesimo di millimetro), ovvero un nanometro. Il nanometro (nm) è usato nella misura di distanze su scala atomica e
molecolare; la doppia elica del DNA ha un diametro di circa 2 nm.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
72
11 11 2010
19:36
Pagina 72
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
diato l’equazione di stato – cioè come sono legate tra
loro le variabili termodinamiche2 – in una sospensione
di nanoparticelle. C’erano delle ipotesi molto chiare
sul tipo di equazione di stato che doveva esserci in un
sistema che si chiama «sistema di sfere rigide», e noi
con una misura molto precisa siamo riusciti a verificarle:
in effetti tornava stupendamente su un intervallo molto grande di concentrazioni. L’esperienza di quei tre anni è stata “di ricerca” nel senso di “possesso intellettuale”, motivata dal tentativo di sviluppare una visione delle cose che mi permettesse di capirle fino in fondo. Si cercavano degli esempi sperimentali abbastanza
semplici per cercare di verificare teorie di fisica statistica anche piuttosto sofisticate. E questo era, da un
certo punto di vista, soddisfacente, perché era molto
bello fare un esperimento che produceva un risultato
interpretabile nel dettaglio e fino in fondo. C’era la soddisfazione di poter dire: «adesso ho capito tutto». Eppure mi sembrava che mancasse di qualche cosa.
Finito il dottorato sono andato negli USA a lavorare con una persona che è stata veramente il mio
maestro. È stata veramente una fortuna trovare qualcuno che potesse essere un maestro per me. Ed è successo per una serie di circostanze fortunate. Avevo infatti ottenuto una borsa per andare a fare ricerca all’estero. Dovevo decidere dove andare e con chi lavorare e proprio in quel periodo questo professore, di
cui avevo sentito parlare, è venuto a fare un seminario a Milano. Così, nel bar del Dipartimento di Fisica dell’Università, ci siamo trovati a un tavolino e lui
2
Pressione, Volume e Temperatura.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 73
MOLECOLE, DNA, ORIGINE DELLA VITA
73
cercava di spiegarmi i cristalli liquidi, avete in mente,
quelli dei display... Lui aveva fondato anche un paio
di ditte di cristalli liquidi, e possiede uno dei brevetti più importanti di una classe di display. Me lo ricordo,
questo incontro al bar di fisica, in cui lui mi ha chiesto di andare a recuperare delle cannucce; ci ho messo un po’ a capire che cosa voleva: voleva quelle cannucce con lo snodo che si piega. Allora le ha piegate
tutte a S e ha cominciato a spiegarmi cosa sono i cristalli liquidi ferroelettrici3 e di come commutano direzione sotto effetto di campo elettrico in modo molto veloce, a causa di una loro certa proprietà. Mi ha
molto colpito il fatto che lui fosse lì a raccontarmi questa cosa come un bene, «una cosa bella che faremo io
e te», come una possibilità che avevo, e allora ho deciso di andare lì. E lì con lui ho conosciuto un atteggiamento un po’ diverso nel fare ricerca. Prima era,
come dicevo, un po’ un tentativo di sviluppare una conoscenza che arrivasse a cogliere fino in fondo un fenomeno circoscritto per rispondere a certe domande
ben specifiche. Lui invece aveva un atteggiamento
completamente diverso: gli interessavano le cose nuo3
La ferroelettricità è una proprietà di alcuni materiali solidi che
presentano una polarizzazione elettrica in assenza di campo elettrico. Questi materiali vengono polarizzati con l’applicazione di un campo, e mantengono la polarizzazione anche dopo lo spegnimento del
campo stesso. Nei cristalli liquidi ferroelettrici questa caratteristica
determina il loro orientamento a seconda dei campi elettrici che li
attraversano. Le molecole di cristallo liquido, infatti, in presenza di
un campo elettrico si allineano con esso, alterando la polarizzazione della luce in un determinato senso. Sfruttando questa capacità
è possibile filtrare la luce che passa entro appositi pannelli polarizzati, creando per esempio i display.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
74
11 11 2010
19:36
Pagina 74
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
ve, cose che non rientravano in ambiti di indagine già
noti. Che ci fosse una chiara domanda a cui rispondere o una teoria da verificare, non poi era tanto importante. Mi ricordo che dopo un po’ di tempo che
ero lì è venuto da me proponendomi un tema. È arrivato con un pezzettino di vetro. O meglio di una cosa che sembrava vetro, ma che era più difficile da vedere di un pezzo di vetro. Era quasi invisibile. Si trattava di un aerogel di vetro, un oggetto fatto di vetro
ma in cui il vetro è il 3 per cento della struttura: è
una specie di cespuglio di rametti finissimi di vetro in
cui c’è tantissimo vuoto. È fatto come un cespuglio,
un nano-cespuglio di vetro. È arrivato dicendomi: «Ho
un’idea fantastica: ci mettiamo dentro il cristallo liquido». E io: «Va bene, ok... perché?», e lui: «Come
“perché?”: è bellissimo!». Ci ho messo veramente anni a capire che lui inseguiva qualcosa di diverso. Il punto di interesse era guardare cose che per intuizione ci
avrebbero portati in un ambito ancora non conosciuto, studiare dei sistemi che potessero portarci a delle
conoscenze nuove, fuori dall’ordinario, non a rispondere a delle domande che avevamo già. E in effetti
quando lo ho riempito, quando ho messo il cristallo
liquido nell’aerogel, ho capito che c’era qualcosa di strano. È difficile costruire dei mezzi molto torbidi: la
carta diffonde molta luce, o anche il latte, ma è difficile costruire dei mezzi in cui la luce penetri di sole
poche lunghezze d’onda, di una o due lunghezze d’onda. Questo materiale “misto” (cristallo liquido in aerogel) aveva invece una torbidità pazzesca, era un materiale veramente interessante e ci siamo messi a studiarlo. I cristalli liquidi sono fatti da molecole rigide
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 75
MOLECOLE, DNA, ORIGINE DELLA VITA
75
di forma allungata, che tendono a orientarsi nella stessa direzione. Invece, in questo sistema con il vetro, succedeva che le molecole erano dentro questo cespuglio
e dovevano trovare una specie di compromesso tra la
tendenza naturale ad allinearsi in una direzione comune
e l’effetto di “disturbo” del vetro che tende a disordinarle. Ci siamo messi a studiare questo sistema e guardandolo ci è venuta in mente una chiave importante:
ci siamo chiesti che differenza c’era tra gli effetti del
disordine termico – dovuto all’agitazione termica – e
quelli di un disordine “artificiale” dovuto ai nano rametti di vetro. Cioè: se io prendo un sistema e lo disordino artificialmente o termicamente, che differenza c’è tra queste due situazioni? La nostra ricerca
quindi è nata da un atteggiamento diverso, «un sistema nuovo: studiamolo!». In quel periodo c’era una cosa che da un certo tempo non capivamo: perché questo sistema, nonostante fosse molto complicato, avesse dei comportamenti molto semplici. Per certi aspetti era quindi un sistema complicatissimo, eppure aveva delle leggi chiare che non capivamo quali fossero.
Una volta eravamo in mensa – si andava spesso in mensa insieme, lì a Boulder, in Colorado, e si finiva sempre per discutere; non so perché, ma non abbiamo mai
imparato a portarci dietro i fogli per scrivere, per cui
si arrivava lì, si prendeva da mangiare e poi e si cominciava scrivere sui tovagliolini di carta. Avevamo pigne di tovagliolini di carta scritti, che poi si disfano,
si macchiano… Eravamo quindi in mensa, stavamo
come al solito “ronzando” attorno a questo problema,
e mi ricordo di questo fenomeno: stavamo parlando,
io ho detto qualcosa, lui mi ha detto qualcosa, ci sia-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
76
11 11 2010
19:36
Pagina 76
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
mo guardati, a un certo punto abbiamo capito! La cosa curiosa è che io in quella mensa ci sarò stato almeno cento volte, ma di quel giorno lì mi ricordo come lui era vestito, qual era il tavolino, il clima che c’era fuori, che cosa stavamo mangiando, di che colore
era il tovagliolino… Abbiamo capito una cosa di fisica (che il massimo del calore specifico c’era quando
una certa lunghezza di correlazione incrociava un’altra lunghezza; non è che fosse una grande scoperta,
non rivoluzionerà la nostra vita né la vita del mondo),
ma è stato un avvenimento di conoscenza, parafrasando il titolo di questo incontro, cioè è successo qualcosa che non investiva solo le mie capacità intellettuali.
Ecco perché ho detto che il mio atteggiamento era diverso da prima: lì è stato molto chiaro che quello che
uno cerca nella ricerca è sì diventare famoso, pubblicare, aver successo, ma è anche qualcosa d’altro. È solo negli avvenimenti importanti della vita che si ricordano i dettagli: il primo bacio si ricorda nei dettagli, i fatti salienti della vita si ricordano nei dettagli,
non solo dell’oggetto ma di tutto l’ambiente. Di quel
fatto ho un ricordo come di un avvenimento importante della mia vita. Il che vuol dire che quel fatto mi
rivela che la mia aspettativa, nella conoscenza, è di più
del possesso intellettuale, anzi, il possesso intellettuale che si acquisisce genera quel momento di entusiasmo, ma di per se non lo possiede. Infatti, quella stessa idea, ripensata dopo, non restituisce la stessa soddisfazione vissuta nel momento della scoperta. Ma in
fondo questo lo sappiamo già tutti, succede anche
quando studiamo, anche quando appunto capiamo il
teorema che sono quattro giorni che non riusciamo a
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 77
MOLECOLE, DNA, ORIGINE DELLA VITA
77
capire come mai funzioni. In questo avvenimento c’è
come un’aspettativa che travalica ampiamente i contenuti specifici di quello con cui si lavora. Quel giorno ho capito cosa regola il calore specifico del nostro
sistema così complesso, e come si relazionano il disordine termico con quello artificiale. Ma in fondo la
vita è molto più grande di quel dettaglio: come mai
tutto questo entusiasmo? Eppure quello è un avvenimento della mia vita di cui sono orgoglioso, e non perché io sia fissato con i calori specifici.
Faccio un altro passaggio. In seguito sono tornato
in Italia, sono andato a lavorare al Politecnico e poi
sono passato all’Università Statale di Milano, e in questo passaggio sono stato costretto a cambiare direzione di ricerca. Prima lavoravo su nanoparticelle, cristalli
liquidi, polimeri, fluidi complessi, sistemi molecolari
complessi di varia natura; poi, passando all’università
di Milano, essendo inserito nel settore medico biotecnologico, ho dovuto cambiare direzione e occuparmi
un po’ più di bio, di cui peraltro non sapevo niente.
Ci ho messo anni a imparare le “bio-cose”, ancora
adesso le balbetto. Però ho continuato ad andare in
Colorado da questo mio amico e, combinando la mia
esigenza di studiare queste cose e le sue visioni, ho “incontrato” una di questa sue varie visioni: «facciamo i
cristalli liquidi con il DNA». Ancora una volta l’ho
guardato e ho pensato: «A cosa può mai servire?». Comunque, adesso ho imparato a non chiedere più a cosa serve, ma a dire «bella idea», e poi aspettare un po’.
Ho comprato il DNA. Non ne sapevo praticamente
niente. Ho inventato una sequenza che mi sembrava
sensata: un DNA fatto da 12 basi, un pezzettino pic-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
78
11 11 2010
19:36
Pagina 78
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
colissimo. Ho mandato la sequenza in questo posto dove si compra il DNA e mi è tornato il barattolino
(con una quantità davvero piccolissima) e lo abbiamo
messo in acqua e abbiamo guardato al microscopio i
polarizzatori incrociati. Abbiamo trovato che questi
piccoli frammenti di DNA tendevano a orientarsi e ordinarsi molto coerentemente, facendo appunto delle
strutture simili ai cristalli liquidi. Il fatto era che però non avevamo assolutamente idea di come potesse
succedere un fenomeno di ordine spontaneo di questo genere. Abbiamo poi capito che i piccoli segmenti di doppia elica di DNA che si formano hanno un’interazione attrattiva per gli altri pezzettini di doppia elica: la testa di un pezzo di doppia elica tende ad appiccicarsi alla coda di un altro pezzo di doppia elica,
anche se non è legato chimicamente, quindi si formano delle specie di “collanine” di segmenti di DNA impilato. Queste collane poi si orientano nella stessa direzione, dando luogo all’ordine osservato. Questo fenomeno era piuttosto soddisfacente da osservare e siccome ogni volta che facevo una cella era diverso il disegno formato da queste molecole ordinate, abbiamo
passato un sacco di tempo al microscopio per cercare di capire perché i segmenti si orientavano in un modo o in un altro. Insomma, è stato abbastanza divertente. Prima di fare qualche riflessione un po’ più generale, vi racconto un altro piccolo episodio. Era un
periodo in cui stavamo studiando questa cosa, due anni fa, e questo mio amico americano (che non guarda
mai l’orologio prima di telefonarmi) mi telefona alle 3
di notte e mi dice «sono io, ho una domanda: what’s
the purpose of life? Qual è lo scopo della vita?». Gli
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 79
MOLECOLE, DNA, ORIGINE DELLA VITA
79
rispondo: «Abbi pazienza, mi hai svegliato nel cuore
della notte, sono contento di sentirti, ma non sono in
grado di rispondere a questa domanda». Lui dice:
«No, no, no, scusa: è una domanda retorica, ho io la
risposta». Quindi io: «Però! Va beh, allora qual è il
senso della vita? Dimmelo tu!». «Lo scopo della vita
è fare i cristalli liquidi! Pensaci su!», e attacca. Sono
rimasto impietrito, ci ho messo un po’ – ci ho sempre messo un po’ – a capire quello che mi diceva, poi
ho capito. Voleva dire che quello che stavamo studiando era molto importante per capire l’origine della vita. Ci sono tantissime questioni aperte sull’origine della vita, e certo noi non abbiamo risolto il problema, se no saremmo sui giornali. Ce n’è però una
tra le tante che è questa: come è stato mai possibile
che si siano formati dei polimeri lunghi ed omogenei
(come il DNA e l’RNA)? Perché, se si pensa a fenomeni chimici caotici, quello che è ragionevole aspettarsi è che si siano combinate fra loro le molecole che
c’erano, i piccoli pezzi di molecole che c’erano. Miller4 in un certo senso aveva ragione, cioè probabilmente
sulla terra primordiale erano disponibili piccoli pezzettini di molecole organiche, ma se uno sta ad aspettare che questi piccoli pezzettini si compongano per
fare un polimero lungo e omogeneo, non c’è verso che
avvenga. Nessuno infatti pensa più che questo possa
essere avvenuto, è una cosa assolutamente insosteni4
L’esperimento di Miller-Urey è il primo tentativo di dimostrare che molecole organiche si possono formare spontaneamente, nelle giuste condizioni ambientali, a partire da sostanze inorganiche più
semplici. L’esperimento fu condotto negli anni ’50 da Stanley Miller e dal suo docente, il premio Nobel Harold Urey.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
80
11 11 2010
19:36
Pagina 80
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
bile, e allora il problema resta. Ma se esistono delle
molecole che si cercano a vicenda, si isolano dalle altre, si ordinano, si impilano, beh, allora diventa molto più facile che si leghino chimicamente. Certo, è ancora poco probabile, ma è molto più probabile che non
che si debbano trovare per caso.
Lo racconto per dire sì, certo che uno che fa ricerca
che cosa di meglio può volere che studiare un grande tema, cioè l’origine della vita? È uno dei grandi temi, però lo racconto non per dire che sono stato fortunato a trovare questo tema, ma per dire che sono
molto contento che il tema sia così importante, ma che
in fondo quello che importa non è neanche quello. Il
fatto di aver trovato un tema così importante non segna una particolare discontinuità nell’atteggiamento
della ricerca, perché già da sempre quando si cerca di
capire il funzionamento di un oggetto tramite la ricerca
scientifica si ha una aspettativa che travalica i contenuti specifici di quello che si studia. Quindi, se voi ci
pensate bene, la tensione a risolvere il problema che
avete davanti – pensate ai problemi che avete voi, che
sono quelli dello studio –, è provocata da una specie
di qualcosa che, non trovo modo di dirlo meglio, nasce da un presagio di bene, una aspettativa, una speranza. Forse potrei dirlo così: una speranza che capire quella cosa che ho davanti, che arrivarci fino in fondo, che risolverla, che capirla meglio in qualche modo misterioso mi metta in comunicazione con i grandi misteri della vita. Cioè che capendo quella cosa lì
capisco meglio chi sono, cosa voglio, cosa è il mondo, cosa sono qui a fare. In fondo la ricerca scientifica è motivata, o meglio, la conoscenza è motivata dal-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 81
MOLECOLE, DNA, ORIGINE DELLA VITA
81
l’aspettativa che ci sia la possibilità di capire meglio
chi siamo, cosa cerchiamo, cosa siamo qui a fare, che
cosa è il mondo e se c’è un bene. Ed è come una forza molto forte e molto fondamentale nella vita. Nell’ambito scientifico, si trovano molti per cui questa attrattiva per il «dài, mettiamoci e capiamo questa cosa» è fortissima. Alcuni di questi personaggi hanno un
impeto che è un impeto quasi istintivo. Un giorno, appunto, prendevo in giro il mio amico americano perché... Avete visto il film Up5? C’è questa bellissima presa in giro dello spirito canino che quando vede uno
scoiattolo non riesce più a pensare a nient’altro e punta a quello. In fondo è una forza viscerale, fondamentale per cui uno vede una cosa e gli viene questo
moto di speranza che andando lì possa conquistare un
pezzo del segreto della vita. E allora riflettevo su questa cosa e mi sono accorto che questo stesso dinamismo, cioè adocchiare una cosa e incominciare a pensare che approfondendola si possa arrivare chissà dove, è quella che muove tantissima parte della conoscenza, scientifica e non scientifica. Mi chiedevo quale era la dinamica del conoscere. Per esempio Carver,
non so se l’avete mai letto, Raymond Carver, uno scrittore americano di racconti che dice: «il compito dello scrittore è di investire quel qualcosa appena intravisto [cioè, uno ha una piccola visione di qualcosa] con
tutto ciò che è in suo potere. Egli deve metterci tutta l’intelligenza e tutta l’abilità letteraria che possiede,
tutto il suo senso delle proporzioni e della forma, del5
Up è un film in computer graphic realizzato dalla casa di produzione Pixar nel 2009.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
82
11 11 2010
19:36
Pagina 82
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
l’essenza reale delle cose esterne e del modo in cui lui
– e nessun altro – le vede». È un po’ l’atteggiamento
che io trovo nella ricerca scientifica, perché c’è questo presagio di bene, perché uno guarda un tema e dice «studiamo come mai il DNA si compone così», e
devo dire, se dovessi stare qua a dirvi se c’è una vera ragione razionale, che giustifica tutto, non direi tutta la verità. C’è certamente una ragione di questa ricerca, e infatti io ho fatto carriera, mi danno i soldi
per fare ricerca quando ci riesco, ma in fondo in fondo c’è anche un’altra cosa che è una visione di bene
e un investirci sopra, uno scommetterci.
E qui ricordo un’altra frase di Van Gogh6, in cui
lui dice più o meno la stessa cosa, perché lui andava
in giro e vedeva questi cipressi, e il colore di questi
cipressi era veramente difficile da riprodurre, però lui
voleva assolutamente farlo, allora passava le giornate
a guardare questi cipressi che avevano una tonalità, ma
ne avevano contemporaneamente un’altra tanto che
veramente per lui era diventato fondamentale fare i cipressi della tonalità giusta. E “giusta” vuol dire che
6
«I cipressi stanno occupando continuamente i miei pensieri.
Vorrei farne qualcosa di analogo alle tele dei girasoli, perché mi pare incredibile che non siano ancora stati mai resi come li vedo io.
La bellezza delle loro sagome e proporzioni è come quella di un
obelisco egiziano. E il loro verde ha in sé un aspetto di questa loro grandezza. Sono un getto di nero in un paesaggio assolato, ma
è una tonalità di nero del tipo più interessante. Non riesco ad immaginare un colore più difficile da catturare con precisione. E in
più dovresti vederli contrastare col blu, o piuttosto dovresti vederli immersi dentro al blu. Per dipingere la natura che si incontra da
queste parti, come del resto dappertutto, devi rimanerci dentro a
lungo», Van Gogh in una lettera al fratello Theo (1889).
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 83
MOLECOLE, DNA, ORIGINE DELLA VITA
83
corrispondano a questa chiamata, e la cosa interessante di questo periodo in cui lui faceva gli alberi è
che non era particolarmente realista – faceva i tronchi viola – perché quello che cercava non era tanto
una fotografia della realtà, ma catturare un momento
in cui la realtà lo aveva emozionato e se un tronco doveva esser viola era viola.
Faccio un ultimo paio di considerazioni e poi mi
dite se riuscite a seguire qualcosa di questo strano
punto. Secondo me c’è un “però”, che è questo: che
col passare degli anni diventa sempre più difficile, e
io lo vedo, lo vedo negli scienziati, col passare degli
anni io vedo che molte persone si induriscono, si incupiscono e poi gli viene questa malattia che è tipica
degli scienziati oltre una certa età, cioè che non riescono più a parlare di nient’altro che non quello che
hanno fatto loro. Un disastro! Molti lo fanno, un po’
no, alcuni rimangono vivi e interessati alla vita, ma moltissimi prendono una posizione di difesa, dura, incattivita. E la ragione secondo me è che questa dinamica che vi raccontavo prima non è facile, è un continuo inseguire questo presagio di bene, ma poi non è
che porti facilmente a una soluzione. L’aspettativa che
crea è molto grande e quello che porta sono avvenimenti di comprensione, avvenimenti di bellezza, di
soddisfazione perché ce la si fa, ma non è che uno abbia in mano qualcosa permanentemente, poi gli succede di nuovo e poi di nuovo, di nuovo e poi di nuovo. Ci sono delle chiare testimonianze di come questa
dinamica di continuare a farsi chiamare dalla realtà, a
inseguirla, a investire, a cercare di scoprire, e poi scoprire cose fantastiche e poi dire «ma adesso?». E al-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
84
11 11 2010
19:36
Pagina 84
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
lora riparti. Questo dinamismo è sfiancante. Ci sono,
magari negli scienziati non tanto, ma nell’ambito artistico ci sono tante testimonianze di percorsi così. Per
esempio, uno scrittore che ho letto tanto è Jack Kerouac, non so se avete in mente La strada. Era una persona piena di impeto, però è impressionante vedere che
nelle ultime righe del suo ultimo romanzo – Vanità di
Duluoz – sono su una nota molto cupa. Dice qualcosa del tipo: «Sapete, io ho inseguito nella vita tutto
quello che bisognava inseguire, ho pubblicato, ho avuto successo, ho fatto tutto quello che un uomo nella
vita deve fare, ma non ne è venuto fuori nulla». Punto. Ultimo romanzo, ultima riga. Perché? Perché uno
è continuamente attratto, è sinceramente attratto, e
più è uomo e più è vivo, è più fortemente attratto, e
ha più soddisfazione quando trova ma non si capisce
dove porta questa cosa. Per cui volevo concludere dicendo che cosa si ricerca nella ricerca scientifica: ci sono risposte più facili, la nuova tecnologia, oppure il
successo personale, il bene mio, il bene degli altri, sono tutte vere, non è che stia dicendo che son false,
ma sono solo un pezzo. Più profondamente si cerca
una soddisfazione profonda, si cerca di connettersi a
qualche significato nascosto della vita. Questo porta a
una domanda, a una domanda piuttosto “ustionante”
secondo me, negli anni, non quando siete giovani come voi, per cui magari, non so se si capisce bene, negli anni, nel ripetersi, questo dinamismo porta ad una
domanda un po’ bruciante, che è: «Ma questo presagio di bene mi sta portando da qualche parte o no?
È vano o è utile?» Per cui alla fine la domanda nascosta sotto l’esperienza umana, non sotto la ricerca
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 85
MOLECOLE, DNA, ORIGINE DELLA VITA
85
scientifica, ma sotto l’esperienza umana che spinge la
ricerca scientifica, è una domanda in fondo, permettetemi, religiosa: cioè, questa dinamica in cui siamo continuamente sollecitati a una speranza è il riflesso di un
bene che c’è da qualche parte oppure è come il cane
che insegue lo scoiattolo e dopo ce ne è un altro e
dopo ce ne è un altro, ma è sempre lì che aspetta che
qualcuno dica «scoiattolo!» e poi parte? E questa è
una domanda che – io tra non molto avrò cinquant’anni – diventa una domanda importante. Quello che
si ricerca nella ricerca scientifica tocca delle cose profonde di quello che siamo, di quello che crediamo, portandoci ad affrontare il bisogno sconfinato di significato che abbiamo dentro.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 86
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 87
Walter Gatti e Davide Rondoni*
Poesia e musica: il grido della bellezza
Questa sera abbiamo invitato Walter Gatti, critico musicale, e Davide Rondoni, poeta e scrittore. L’incontro
di questa sera ha una forma diversa dal solito: questa
infatti non sarà una conferenza, ma un ascolto di musica e un ascolto di poesia. Affronteremo il fatto che la
conoscenza è un avvenimento quando ti stupisce: è il tema della bellezza. Se ci pensate è stato il tema dominante di alcune cose che abbiamo provato a fare insieme questo anno in collegio, sono tante piccole occasioni in cui lo stesso taglio dell’incontro di stasera è quello che ci interessava di più: parlare di conoscenza come
qualcosa che ti tocca, che ti stupisce.
Walter Gatti: Allora, Davide, comincio io? Buonasera. Della presentazione correggo solo che io non mi
sento un critico musicale, perché essendo un giornalista che ha sempre fatto il giornalista, a me piace definirmi «cronista musicale che sa un pochettino più di
cose di tutti i giorni», mentre la definizione «critico musicale» è come se già mettesse dentro un quid nel qua*
Intervento tenuto presso il Camplus Alma Mater di Bologna
il 15 maggio 2010; Walter Gotti è giornalista, Davide Rondoni poeta e scrittore.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
88
11 11 2010
19:36
Pagina 88
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
le non mi ritrovo. Dunque, «cronista musicale». In
realtà come è stato detto io non sono assolutamente qui
a fare una lezione di musica perché sarebbe di una noia
infinita, sia per voi che per me. Sapendo tre o quattro
cose, cioè che nel 1954 nasce la musica Rock perché
vengono incisi i primi rock and roll, che tra ’61 e ’62
esordiscono Dylan e i Beatles, che nel ’70 muoiono Jimi Hendrix e Janis Joplin, direi che le quattro cose che
uno deve sapere da un punto di vista storico sono queste qui; poi sulle altre se vogliamo possiamo anche disquisire, però stasera, cercando di confrontarmi con il
titolo, io vorrei raccontare un’altra storia, cioè l’unica
storia che mi interessa proporvi, che è la storia del mio
rapporto con la musica. Siccome il titolo di stasera è
«Poesia e musica: il grido della bellezza», io l’unica cosa che posso fare è provare a proporvi non tanto dove io ho percepito un grido di bellezza nella musica,
ma provare a proporvi dove questo grido è diventato
un grido mio; perché soltanto in certi momenti io mi
sono appassionato. La storia che vorrei raccontarvi
– scusate se la faccio un po’ lunga ma è proprio per
provare a spiegare – è quella mia, di un ragazzo della
Bassa milanese (sono di Lodi) di quando avevo 14 anni. Era il 1973 e c’erano due canali televisivi, il primo
e il secondo, entrambi in bianco e nero, e alla radio
non c’era praticamente niente di musica giovanile tranne due programmi: uno si intitolava «Per voi giovani»,
che era alle cinque del pomeriggio, e uno, «Supersonic», che era alle otto di sera. Vi sto raccontando proprio un pezzo della mia vita: alle otto di sera di un giorno che non mi ricordo, ero in prima superiore, parte
il conduttore, che non si chiamava ancora Dj, e pre-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 89
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
89
senta un pezzo. Io comincio a sentire questo pezzo...
e per me si è aperto un mondo, perché per la prima
volta sentivo che la musica era un’altra cosa; cioè che
non era musica, non era una cosa che si ascoltava, ma
che la musica in quel momento era qualcosa che superava me, mi prendeva dentro, mi tirava fuori! È stato il pezzo che ha veramente cambiato la mia vita. Io
il giorno dopo – succedeva così a quei tempi – sono
uscito di casa per andare a scuola al liceo, facevo un
chilometro e mezzo in bicicletta e da una strada usciva sempre un mio amico e facevamo un pezzo di strada insieme e commentavamo i pezzi della sera prima
e, anche lui mi diceva «ma che cosa era quella roba
lì?». Quella cosa era Janis Joplin che cantava Piece of
my heart, un pezzo di musica soul che lei aveva reinciso e l’aveva fatto diventare una cosa “fisica”. La canzone dice: «Tesoro, se vuoi prendi un altro pezzo del
mio cuore», ma la percezione che ho sempre avuto è
che non lo stesse cantando, che da un certo punto di
vista lo stesse dando sul serio, fisicamente questo pezzo di cuore. Vi ho raccontato questa storia non perché
adesso ve la faccio vedere, perché non esiste nulla di
presentabile di Piece of my heart di Janis Joplin, ma perché io ho la percezione che la bellezza nella musica c’entri con questa fisicità, c’entri con questa esperienza fisica di sorpresa che in una qualche maniera ti può capitare. Siccome quella è stata la prima volta che io sono stato colpito da questa cosa, vorrei farvi vedere l’ultima volta che sono stato colpito. È stato nel novembre scorso quando è uscito il disco di un giovane, 27
anni, cantautore piemontese, lui si chiama Deian Martinelli e ha fatto il suo primo disco quasi autoprodot-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
90
11 11 2010
19:36
Pagina 90
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
to con una sua band. Non è una cosa particolarmente
catalogabile, c’è dentro qualcosa di John Lennon, c’è
dentro del Jazz, c’è dentro del Dub, adesso vedrete di
che cosa si sta parlando, ma la cosa che mi ha sorpreso
è che questo qui ha scritto questa canzone su una cosa, sul fatto che la luna è bella. Lui abita a Torino, tra
i palazzoni, alza la testa e di colpo si accorge che la luna è bella. Evidentemente stiamo parlando di musica;
se la confezione sonora, quindi se il tecnicismo, l’approccio di tecnica artistica fosse stato banale, forse non
mi avrebbe affascinato. Ma qui ci troviamo di fronte a
uno che scrive una cosa che riguarda la sua sorpresa
di fronte al mondo ed è capace di sorprendere, tanto
per cominciare me, dal punto di vista dell’orecchio.
Quindi per cominciare questa serata io volevo proporvi
prima questo collegamento tra il primo pezzo che mi
ha affascinato e, vi propongo di andarvelo a sentire Janis Joplin, Piece of my heart (Cheap Thrills è il disco,
1968), oppure se volete adesso vediamo questo qui, lui
è Deian, la sua band si chiama Lorsoglabro – un bello scioglilingua –, Deian e Lorsoglabro sono torinesi e
il pezzo si intitola «Nonostante i lampioni».
Video1
1
«Nonostante i lampioni»; Deian e Lorsoglabro, Snowdonia
2009 (Testo: Parola nuova non c’è/ Una frase nuova non c’è/ Per dire ancora una volta che/ La luna è così bella/ Nonostante ’sti cazzo
di lampioni/ Nonostante tutte le porcherie/ Veramente una bellezza./
Non si capisce il motivo/ È un asteroide butterato/ Non mi interessa il motivo/ Non voglio sapere perché/ La luna è così bella/ Nonostante i progetti edilizi/ Nonostante tutte le porcherie/ Veramente
una bellezza).
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 91
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
91
Walter Gatti: E così va a sfumare per un paio di
minuti di Jazz. Voto? Medio? Interessante? Quelli
della band cosa dicono? Un nove più? Come Milito,
sostanzialmente, dieci più come ha detto il Corriere
della Sera... Volevo iniziare con questo pezzo che sicuramente è stranissimo, poi chi magari è un pochettino smaliziato ha fatto anche il suo collegamento tra «la luna è una bellezza» e The dark side of the
moon dei Pink Floyd. Ci sono tantissime cose: loro
sono vestiti d’astronauti, si vedono dentro un televisore che è un televisore vintage americano degli anni
’60, nel ’69 Armstrong è andato sulla luna.. ma tutto
questo fa parte della forma visiva. Quello che secondo me è veramente interessante ed è esplosivo nella
sua forma naive, è questa cosa del «La luna è una bellezza/ Nonostante ’sti cazzo di lampioni/ Nonostante
i progetti edilizi». Uno nel bel mezzo di Torino (se
voi avete presente Torino, magari qualcuno di voi c’è
stato...), alza lo sguardo e dice «c’è la luna». Siccome io vorrei parlarvi della musica che colpisce me e
non della musica che in astratto dovrebbe colpire
qualcuno, perché il qualcuno astratto non esiste, vi racconto come alcune canzoni hanno colpito me. A me
onestamente colpiscono soprattutto quelle canzoni che
purtroppo, diciamo così, non ci sono più tanto, cioè
le canzoni che raccontano una storia. Io ho questa malattia, lo dicevo all’inizio, io sono un giornalista, sono un cronista, a me piace sapere che il gatto della
“sciùra Maria” è stato preso sotto il furgone del lattaio. Cioè secondo me le storie sono questa cosa qua:
uno fa qualcosa dopo di che quella cosa viene raccontata ad altri. Ci sono delle storie in musica che ti
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
92
11 11 2010
19:36
Pagina 92
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
lasciano veramente a bocca aperta; faccio un esempio a noi vicino. A chi piace Ligabue? Io i primi
due-tre dischi di Ligabue li adoro. Se qualcuno ha presente il primissimo, lì c’è «Bar Mario», è un pezzo
fantastico: è la fotografia di un pezzo d’Italia. Che cosa non mi è piaciuto dopo in Ligabue, come purtroppo in gran parte della musica italiana? Che non
ci sono più storie, non ci sono più nomi e cognomi,
ci sono io che mi sveglio pieno di sentimenti, di problematiche, «io chi sono? In che città sono? Mi sveglio e che giorno è? Fuori piove o c’è il sole?». Queste cose qui che fanno parte della vita vera non le raccontano più, invece «sono io che mi sveglio, penso
che… Ripenso a te...». E «te» chi è? Dove abita,
«te»? È mia moglie, abita nel pianerottolo di fianco,
in Russia? «Te» è un uomo? Una donna? chi è? Non
ci sono più le cose reali. Allora io adesso vorrei farvi vedere una canzone e raccontarvela, perché secondo me è una canzone capolavoro. Stati Uniti, uno
dei più grandi autori di musica country, quella dei cowboys, per capirci, si chiama Kris Kristofferson. A chi
piace il cinema qua? Chi è che si ricorda Pat Garrett & Billy the Kid? Due: è già qualcosa. Kris Kristofferson è stato ed è tuttora un cantante, attore ecc.
Ai suoi tempi era considerato il più bell’uomo di
Hollywood, era il moroso di Barbara Streisand, che
invece non era la più bella donna di Hollywood... Kris
Kristofferson ha scritto una serie di canzoni meravigliose tra cui questa qua che si intitola Here comes
that rainbow again, cioè «Qui arriva di nuovo l’arcobaleno». E quando prima dicevo raccontare storie, non
sto dicendo raccontare storie che sono capitate a lui,
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 93
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
93
ma storie, piccoli racconti. Questa storia adesso dovete immaginarvela come se fosse un piccolo cortometraggio. Inizia quasi in modo cinematografico: la
scena è un piccolo bar di fronte ad una strada di grande scorrimento, dentro c’è la cameriera che sta pulendo per terra e due camionisti, due truck-drivers, che
stanno bevendo il caffè seduti al tavolino; entrano due
bambini, due okie-kids (l’Oklahoma in America è considerata un po’ la nazione sottosviluppata), due ragazzini dell’Oklahoma entrano e chiedono alla cameriera: «Quanto vengono due caramelle?», e la cameriera chiede: «E voi quanto avete?», e i ragazzini
dicono «noi abbiamo due penny», «ecco, due caramelle fa due penny». I bambini danno i soldi ed escono. Uno dei due camionisti dice alla cameriera «due
caramelle non fanno due penny!». E la cameriera gli
risponde: «E a te cosa ti interessa, cosa ne viene?»
Silenzio. I due camionisti finiscono di bere il caffè,
si alzano, lasciano dei soldi, escono. La cameriera gli
dice: «Avete lasciato troppi soldi!», e il camionista le
dice: «E a te cosa ti interessa, cosa te ne viene?». Ritornello: «Nell’aria fuori c’è vento, fulmini e odore
di pioggia, non c’è nulla come un gesto umano e qui
viene di nuovo l’arcobaleno». Questo è Kris Kristofferson!
Ascolto2
2
«Here comes that rainbow again»; Kris Kristofferson, EMI (testo: The scene was a small roadside cafe/ the waitress was sweepin’
the floor/ two truck-drivers drinkin’ their coffee/ and two okie-kids
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
94
11 11 2010
19:36
Pagina 94
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Walter Gatti: A voi queste facce3 probabilmente
non dicono niente. Johnny Cash, Willie Nelson, Waylon Jennings: provate ad immaginare che ad un certo
punto si mettesse su una band con Guccini, De Andrè, Battisti e De Gregori. Il concetto è questo qui.
Uno di questi, Johnny Cash, è considerato il più grande autore country di tutti i tempi, è morto alcuni anni fa, e quando è morto il “Times” – che non è esattamente il giornalino della Bassa Lodigiana, dove sono nato io – è uscito con la sua foto in copertina e
sotto il titolo «Il più grande musicista americano del
’900», poi la data di nascita e la data di morte. Questa band, questo super-gruppo che è nato soltanto per
by the door/ how much are them candies, they asked her/ how much
have you got, she replied/ We’ve only a penny between us/ them’s
two for a penny, she lied// Chorus: And the daylight grew heavy with
thunder/ and the smell of the rain on the wind/ ain’t it just like a
human/ here comes that rainbow again// One truckdriver called to
the waitress/ after the kids went outside/ them candies ain’t two for
a penny/ so what’s it to you, she replied/ in silence they finished their
coffee/ got up and nodded goodbye/ she called, hey, you left too
much money/ so what’s it to you, they replied// Chorus. – Traduzione: La scena era un piccolo bar lungo la strada/ la cameriera stava pulendo il pavimento/ due camionisti stavano bevendo il loro
caffè/ e due bambini dell’Oklahoma dalla porta/ quanto sono le caramelle, le chiesero/ quanto hai, lei rispose/ Abbiamo solo un penny
tra noi/ Due caramelle fanno un penny, mentì// Rit.: E la luce del
giorno diventa pesante col tuono/ e l’odore di pioggia nel vento/
non c’è nulla come un gesto umano/ qui viene di nuovo l’arcobaleno// Un camionista chiamò la cameriera/ dopo che i bambini
uscirono/ due caramelle non fanno un penny/ e a te cosa te ne viene, rispose/ in silenzio hanno terminato il loro caffè/ si alzano e salutano/ lei chiamò: hey, avete lasciato troppi soldi/ e a te cosa te
ne viene, risposero// Rit.).
3
Walter Gatti fa riferimento ad alcne immagini che vengono
proiettate mentre parla.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 95
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
95
due dischi a distanza di dieci anni, si chiamava «The
Highwaymen», cioè «Gli uomini dell’autostrada» e
aveva dentro questi quattro che sono stati sostanzialmente i più grandi autori del country del dopo guerra. Willie Nelson probabilmente qualcuno di voi l’ha
visto, è dentro moltissimi film, anche un paio di film
di Robert Altman. In ogni caso quello che volevo buttarvi lì è la forza di una storia semplicissima, come quella di questa canzone, e l’idea che qualcosa di umano
può essere l’arcobaleno della vita. Però siccome non
vorrei darvi la sensazione di essere troppo filoamericano, adesso vorrei farvi sentire una canzone, richiamare la vostra attenzione su una canzone che non
c’entra niente con l’America del Nord ma che nasce
in America del Sud, nasce in Brasile. E nasce da due
“pseudo anzianotti”, che erano Vinìcius de Moraes,
grande poeta e autore di canzoni brasiliano e Antonio Jobim, che era un pianista. Vinìcius de Moraes, –
forse a qualcuno dice qualcosa, è morto un po’ di
tempo fa; è uno che ha avuto nove mogli, insomma
uno che se la è goduta abbastanza – aveva scritto una
canzone, che si intitolava «Samba delle Benedizioni»,
tradotta e incisa in Italia nel 1966 da un cantante che
probabilmente nessuno di voi ha sentito, Sergio Endrigo; un disco in cui Sergio Endrigo e Ungaretti, che
penso alcuni di voi al di là di Davide Rondoni possano aver sentito, insieme a Vinìcius de Moraes avevano tradotto questa canzone in questo disco che aveva
forse il più bel titolo che si sia mai dato nella storia
ad un disco, che è «La vita, amico, è l’arte dell’incontro»; in Italia non esiste nemmeno in CD, oggi come oggi, questo per dire come siamo lungimiranti con
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
96
11 11 2010
19:36
Pagina 96
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
le cose di casa nostra. In ogni caso, Vinìcius de Moraes e Jobim molto spesso sono a bere in un bar della loro città, Rio De Janeiro, e vedono passare spesso
e volentieri una ragazzina di 15-16 anni, che si chiamava Helo; non era una ragazzina di fantasia, ma una
persona vera e propria. Helo, si chiamava Heloisa,
persona notissima, e questi due ultra quarantenni, vedendo passare questa ragazza, scrivono questa canzone: «Guarda che cosa bella/ Piena di grazia/ È lei la
ragazza/ Che sta passando/ Dondolandosi dolcemente/ Verso il mare... Bambina dal corpo dorato/ Dal sole di Ipanema/ Il suo dondolio/ È più di una poesia/
È la cosa più bella/ Che ho mai visto passare/ Ah, perché sto così solo.../ Perché tutto è così triste/ La bellezza che esiste/ La bellezza che non è solo mia/ Anche lei passa da sola.../ Se le sapesse/ Che quando passa/ Il mondo intero sorride/ Si riempie di grazia». Credo che il nesso con la canzone precedente, il gesto umano e l’arcobaleno, sia abbastanza evidente. Non mi interessa che loro qui stiano parlando di Helo che sculettando andava, come era vero, dal tabaccaio a prendere le sigarette per il padre o per la madre. Questi
rimangono lì e dicono: «Il mondo si riempie di grazia,
di bellezza». Credo che questo sia un pochettino il tema di oggi. Vinìcius de Moraes non cantava, raccontava; lui è morto prima di Antonio Carlos Jobim. Vi
faccio vedere Garota de Ipanema, che è il titolo di
questa canzone che conoscete tutti, in una versione dal
vivo in cui c’è Jobim al pianoforte e Joao Gilberto,
grandissimo cantante e chitarrista, alla chitarra, evidentemente.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 97
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
97
Video4
Walter Gatti: Chi non l’aveva mai sentita? L’han
fatta tutti, anche Diana Krall. Io sono un appassionato di Rock sudista, riveliamolo, del tipo uno dice «io
tengo al Frosinone». Ecco sono appassionato del Rock
sudista. Questa, per tutta la mia vita professionale –
io ho fatto il giornalista di musica per tanto tempo –,
è stata la mia salvezza. Il Rock sudista è come quando tu tieni al Frosinone e ci sono i mondiali di calcio, le due cose non c’entrano. Il Rock sudista è quella cosa che nasce nella South Carolina e finisce sostanzialmente in Texas. In quella striscia di 1500 chilometri ci sono state dagli anni ’70 fino ad oggi circa
duemila band, ma al di là di quella striscia lì non li
ascolta quasi nessuno, tranne tre o quattro. Cioè i
Lynyrd Skynyrd di Sweet home Alabama li conoscono
4
«Garota de Ipanema»; V. De Moraes, A. C. Jobim (Testo: Olha que coisa mais linda,/ Mais cheia de graça/ E ela menina/ Que
vem que passa/ Num doce balanço/ Caminho do mar/ Moça do corpo dourado/ Do sol de ipanema/ O seu balançado/ E mais que um
poema/ E a coisa mais linda/ Que eu já vi passar/ Ah, porque estou
tão sozinho/ Ah, porque tudo e tão triste/ Ah, a beleza que existe/
A beleza que não é só minha/ Que também passa sozinha/ Ah, se
ela soubesse/ Que quando ela passa/ O mundo sorrindo/ Se enche de
graça/ E fica mais lindo/ Por causa do amor – Traduzione: Guarda
che cosa bella/ Piena di grazia/ È lei la ragazza/ Che sta passando/
Dondolandosi dolcemente/ Verso il mare/ Bambina dal corpo dorato/ Dal sole di Ipanema/ Il suo dondolio/ È più di una poesia/
È la cosa più bella/ Che ho mai visto passare/ Ah, perché sto così solo/ Ah, perché tutto è così triste/ Ah, la bellezza che esiste/
Ah, la bellezza che non è solo mia/ Anche lei passa da sola/ Ah,
se lei sapesse/ Che quando passa/ Il mondo intero sorride/ Si riempie di grazia/ E diventa più bello/ A causa dell’amore).
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
98
11 11 2010
19:36
Pagina 98
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
tutti, ma – non so – i Grinderswitch non li conosce
nessuno. Questa è stata la mia salvezza, perché siccome io avrei nella vita voluto scrivere solo e soltanto
di Rock sudista e nessuno mai mi avrebbe pagato per
fare quello, ho dovuto metterla via, ma stasera posso
giocare la mia carta di rivincita con voi e vi farò sentire ottanta pezzi di Rock sudista... No, vi faccio sentire un pezzo che vi tirerà un po’ su perché fino adesso come avete visto i generi sono stati un pochettino
diversi, fino adesso non si poteva parlare di Rock. Il
primo pezzo è un pezzo indie italiano, il secondo pezzo è un pezzo country, questo è un genere della musica Latino americana, forse è il pezzo più famoso della Bossanova, adesso sentiamo un pezzo di Rock tosto, vero e proprio. Una band che tra il ’93 e ’94, negli Stati Uniti ha venduto qualcosa come 10-12 milioni di copie, dopo di che ha avuto vari travagli. La band
si chiamava, si chiama ancora adesso Collective Soul
cioè «Anima collettiva». Sono di Atlanta, che secondo me è la città più bella degli Stati Uniti, perché ci
è nato il Rock sudista evidentemente. E questo è il pezzo, che è un pezzo secondo me interessante perché lo
sentirete: sentirete il Rock. Non è un pezzo “affettato”, è un pezzo fortemente religioso; nel sud degli
Stati Uniti il senso religioso delle cose è ancora estremamente presente. La cosa interessante di questo pezzo è questa: «dammi una parola/ mostrami dove guardare/ Dimmi cosa troverò/ Lasciami sul terreno/ Fammi volare nel cielo/ Ma dimmi cosa troverò/ Oh, Dio
illuminaci qui giù/ L’amore sta nell’acqua/ L’amore sta
nell’aria/ Mostrami dove guardare/ E dimmi se lì ci
sarà l’amore/ Insegnami a parlare/ A condividere/ In-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 99
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
99
segnami dove andare/ Oh, Dio illuminaci qui giù». Provate a sentire queste parole nella forma che i Collective Soul gli hanno dato e secondo me potrete forse
da un lato appassionarvi al Rock sudista e, dall’altro
lato, capire che dentro il Rock, che è una cosa che io
scrivo nei miei libri, il 50 per cento delle grandi canzoni sono o preghiere o maledizioni, che sono comunque un modo per confrontarsi con l’eterno bene
o l’eterno male. Questi sono i Collective Soul di Shine in una versione interessante e penso che vi piacerà, soprattutto ai chitarristi.
Video5
Walter Gatti: … e adesso vanno avanti per un’ora!
Come era? Voto 5-6, chitarristi? Voto 3... Secondo me
però questa è una canzone che spiega bene, che racconta bene la cosa nella forma che quella cosa cerca di
avere. Cioè è una canzone esplosiva. Chi fa musica un
pochettino capisce di cosa sto parlando, è un proble5
«Shine»; Ed Roland, Atlantic 1994 (Testo: Give me a word/ Give
me a sign/ Show me where to look/ Tell me what will I find/ Lay
me on the ground/ Fly me in the sky/ Show me where to look/ Tell
me what will I find/ Oh, heaven let your light shine down/ Love is
in the water/ Love is in the air/ Show me where to go/ Tell me will
love be there/ Teach me how to speak/ Teach me how to share/ Teach
me where to go/ Tell me will love be there/ Oh, heaven let your light
shine down – Traduzione: Dammi una parola/ Dammi un segno/
Mostrami dove guardare/ Dimmi cosa troverò/ Lasciami sul terreno/
Fammi volare nel cielo/ Mostrami dove guardare/ Dimmi cosa troverò/ Oh, Dio illuminaci qui giù/ L’amore sta nell’acqua/ L’amore
sta nell’aria/ Mostrami dove andare/ Dimmi se lì ci sarà l’amore/
Insegnami a parlare/ Insegnami a condividere/ Insegnami dove andare/ Dimmi se lì ci sarà l’amore/ Oh, Dio illuminaci qui giù).
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
100
11 11 2010
19:36
Pagina 100
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
ma di metrica, di spazi, di pause, di velocità; secondo
me l’esplosione del «shine!» in una canzone di questo
tipo è in grado di comunicare. Ma – e adesso vi voglio
far vedere questa cosa – c’è una canzone italiana del
1966 che comunica altrettanto bene quell’esplosione di
splendore che entra dentro la vita. Qua dentro i Collective Soul parlano a Dio, è una preghiera: «arriva a
terra e illuminami». C’è una canzone che non parla di
Dio, parla di amore, parla di tu che entri nella mia vita e illumini quello che c’è dentro la mia vita. Io vi voglio far sentire questa canzone italiana scritta da una
regista che probabilmente molti di voi conoscono, di
nome per lo meno, che è Lina Wertmuller. Lina Wertmuller era una degli aiutoregisti di Federico Fellini; a
un certo punto giovanissima viene assunta in Rai e siccome la parcheggiano lì e non sanno cosa farle fare –
lei è una che ama la musica – scrive questa canzone.
Questa canzone diventa famosa interpretata da Mina.
Video6
Walter Gatti: Chi è che conosceva questa canzone?
Una! Lei è la nostra archivista, le sa tutte. Chi è che
6
«Mi sei scoppiato dentro al cuore»; L. Wertmuller, Ri-Fi, 1966
(Testo: Era solamente ieri sera/ io parlavo con gli amici/ scherzavamo tra di noi/ e tu e tu e tu/ tu sei arrivato/ m’hai guardato e
allora/ tutto e’ cambiato per me// Rit.: Mi sei scoppiato/ dentro al
cuore all’improvviso/ all’improvviso non so perché/ non lo so perché all’improvviso/ all’improvviso/ sarà perché mi hai guardato/
come nessuno mi ha guardato mai/ mi sento viva/ all’improvviso
per te// Ora/ io non ho capito ancora/ non so come può finire/
quello che succederà/ ma tu, ma tu, ma tu/ tu l’hai capito/ l’hai capito ho visto/ eri cambiato anche tu// Rit.).
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 101
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
101
la conosceva a parte lei? Al di là del fatto che la forma chiaramente è, coi violini... questa era Studio Uno,
cioè stiamo parlando di cose arcaiche, però io credo
che difficilmente tanto Rock inglese, americano, sia in
grado di raccontare così la bellezza che entra dentro
la vita. È una storia d’amore, caspita! Per fortuna che
è una storia d’amore. Da un certo punto di vista la
Shine dei Collective Soul, che è una preghiera, («Illuminami!»), ha come risposta – non c’entra niente,
cambiano i tempi, cambia tutto – uno, l’amore di uno
che arriva, ti guarda e tutto cambia. Secondo me la
bellezza ha a che fare con questo tipo di colpo che ti
arriva addosso. Lascio la parola a Davide con un ultimo video, che è una storia, ma non nel senso che è
una canzone che racconta una storia, ma che è una
canzone che ha una storia incredibile. Io quando ho
scritto questi libri7 nella prefazione ci ho messo il fatto che per me le canzoni sono persone, cioè hanno una
loro storia, vivono, si sviluppano, muoiono da una
parte, e la stessa canzone la trovi con altre vicende da
un’altra parte e via di seguito. Per esempio sarebbe bello star qui a raccontarvi la storia di Amazing Grace che
è probabilmente il più famoso spiritual di tutti i tempi, che è una storia che parte dal 1720, è la storia di
uno schiavista ecc. Ma la storia che vi voglio raccontare adesso è la storia di un pezzo inciso in circa 25
anni di vita. Siamo nel 1972, Londra è la capitale di
tutte le mode e via di seguito, a un certo punto la BBC
prende un compositore che lavorava per colonne so7
Help! – Il grido del Rock (2008) e Cosa sarà – L’esperienza del
mistero nella canzone italiana (2009), curati da Walter Gatti, editi
da Itacalibri.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
102
11 11 2010
19:36
Pagina 102
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
nore, un compositore di estrazione classica, un contrabbassista che si chiamava e si chiama tuttora Gavin Bryars e gli dice «vai con questo regista, state in
giro per Londra per due mesi e registrate la Londra
che cambia, la Londra giovanile, delle mode, ma anche dei barboni, registrate quello che volete». Loro vanno fuori, il regista cine-riprende mentre lui registra i
rumori della città. Finisce sui docks del Tamigi, in una
zona di barboni e registra quello che si dicono i barboni; ad un certo punto sente uno di fianco a dei cartoni che canta una melodia. Va lì e la registra. E questo qui cantava una canzoncina, mezzo ubriaco cantava questa nenia. Gavin Bryars ritorna, fanno questo
documentario, ma nella colonna sonora lui non ci mette dentro questa registrazione. Anche perché non funzionava rispetto al documentario, ma perché gli diceva qualche cosa. Due anni dopo nel ’74, Bryars riprende questa registrazione e sente che è assolutamente intonata «sol, la, sol, la» con le sue tastiere. Comincia a lavorare attorno a questa registrazione e ne
tira fuori una suite, cioè per venti minuti incide un LP
in cui la registrazione del barbone continua a ripetersi, continua a ripetersi.. Lui prima ci mette dentro le
tastiere, poi un pezzo orchestrale ecc. e diventa una
suite, letteralmente. Esce questo disco, vende 25 o 26
copie nell’ambiente della super avanguardia sperimentale della musica classica. Se lo dimenticano tutti, fine.
Nel 1982-83, arriva a Londra un grande cantante
californiano, uno di quelli attenti alle cose un pochettino sperimentali. Fa dei concerti e qualcuno, non
si sa chi, io per lo meno non lo so, gli regala il disco
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 103
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
103
di Gavin Bryars. Questo qui se lo porta a casa, quando torna in California sente questo disco e fa avere
attraverso vie discografiche e di management a Gavin
Bryars una lettera, dicendo: «È un disco bellissimo,
complimenti! Grazie!», fine. Prima puntata nel ’72-’74,
seconda puntata nell’83 quando questo cantante sente il disco.
Passano gli anni; si passa dall’analogico al digitale,
arriviamo nel ’94-95, sono nati i CD. Gavin Bryars,
mente diabolica e perversa, dice: «Perché soltanto un
CD di 21 minuti, io adesso posso fare una suite di 68
minuti!». E la cosa grave è che lo fa, cioè ritira fuori
tutti i propri nastri, comincia a coinvolgere gente. Insomma, la suite parte con il barbone che canta, poi
dopo il barbone ricanta, stracanta, prima c’è il pianoforte, poi entrano gli archi, poi cresce, poi diminuisce… Però Gavin Bryars dice «qui manca qualcosa, il
colpo di scena finale, serve la cosa finale». Allora dice: «Chiamo il Californiano e gli chiedo di sovraincidere la sua voce su quella del barbone negli ultimi 78 minuti». Entra in contatto col manager, il manager
parla con il cantante, il cantante dice: «sì, fallo venire qui» ed è il ’94-95 (francamente non mi ricordo,
dovrei tirare fuori le date), Gavin Bryars va in California perché gli dà appuntamento a Los Angeles. Arriva lì, per una settimana quell’altro non si fa vedere,
per due settimane non si fa vedere. Finalmente – mettiamo la parola fine a questa mia digressione –, pochi
giorni prima di Natale, appare il cantante, dice «ci vediamo allo studio di registrazione alle 10.00». Si vedono allo studio: buona la prima, buona la seconda,
Gavin Bryars torna a casa: capolavoro. Allora chi era
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
104
11 11 2010
19:36
Pagina 104
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
il cantante? Tom Waits, che è l’unico che poteva cantare con la voce del barbone sovrapponendosi alla voce del barbone; anzi, adesso quando sentirete vi verrà il dubbio chi dei due fosse l’homeless. La storia è
ancor più bella secondo me facendo un po’ di collegamenti; il barbone cantava: «Il sangue di Gesù non
mi ha mai tradito». E se ci pensate chi di voi ha letto uno dei più grandi libri di tutti i tempi che è La
leggenda del santo bevitore, se ci pensate c’è un grosso afflato, un’empatia tra queste due storie. Joseph
Roth muore più o meno allo stesso modo in cui lui
stesso racconta, perché se vi ricordate il santo bevitore è quello che non riesce a portare i soldi in restituzione all’altare di Santa Teresina, a Parigi. Gavin Bryars
dice che non fu mai più ritrovato, quindi probabilmente
è morto da qualche parte poco dopo la registrazione.
Qualcuno ora mi sta guardando male perché pensa:
«mica ci farai veder i 68 minuti di registrazione...» È
noiosissimo. È magnifico ma di una noia... mia moglie
voleva divorziare la prima volta che l’ha sentito. Io vi
faccio vedere questo spot, questo clip, che è stato realizzato per il Festival dei corti di Toronto nel ’95 o
giù di lì. È il mio saluto. È una cosa emozionante: credo che l’emozione e la bellezza facciano parte dell’esperienza umana. Grazie!
Video8
8
«Jesus’ blood never failed me yet» (Testo: Jesus’ blood never failed me yet/ Jesus’ blood never failed me yet/ Never failed me yet/
Jesus’ blood never failed me yet/ This one thing I know/ That He
loves me so – Traduzione: Il sangue di Gesù non mi ha mai tradi-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 105
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
105
Davide Rondoni: Attacco? Allora, buonasera. Grazie per l’invito. Io farò una cosa molto breve e senza
video, ma solo con le parole, che sono la materia dell’arte, della poesia e quindi se volete la materia più povera e al tempo stesso anche più ricca che abbiamo.
Dico solo due cose, poi leggerò magari due o tre poesie. La prima cosa è questa: che, per ricollegarmi anche a quanto è stato detto prima, siccome la poesia è
una cosa che non è che abbiamo inventato a un certo punto, nella loro storia gli uomini l’hanno sempre
fatta. Cioè, la poesia, come anche la musica in questo
senso, è una proprietà antropologica, non è una cosa
culturale, cioè non è che ad un certo punto qualcuno
ha inventato la poesia, ma da quando esiste l’uomo c’è
la poesia; e ci sarà sempre finché l’uomo esiste. Perché l’esperienza della lingua come poesia nasce, come
è stato detto anche prima, quando la realtà ti colpisce, quando qualche cosa ti parla, può essere la ragazza
di Ipanema, può essere il barbone sul Tamigi, può essere un cambio di colore dell’aria, può essere una cosa che ti ricordi, magari… però quando la realtà ti colpisce e ti accorgi che le parole solite non bastano più.
E siccome la vita ci colpisce spesso se ci lasciamo colpire, se non ci lasciamo colpire non ci colpisce mai.
Ma se siamo ancora liberi, se siamo ancora svegli la
vita ci colpisce, magari anche solo per una notizia che
sentiamo al telegiornale, per una cosa che vediamo
uscendo di qui. La vita è noiosa solo per chi è noioto/ Il sangue di Gesù non mi ha mai tradito/ Non mi ha mai tradito/ Il sangue di Gesù non mi ha mai tradito/ Questa è l’unica
cosa che so/ Che lui mi ama davvero).
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
106
11 11 2010
19:36
Pagina 106
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
so; ma normalmente la vita ci riserva mille colpi al giorno, anzi è quasi insopportabile la vita per quanto ci
colpisce. E quando ci lasciamo colpire quindi, le parole solite non bastano più, le parole formali non bastano più; questa è un’esperienza che l’uomo ha sempre fatto, per questo esiste la poesia da sempre. Ed è
un’esperienza che facciamo sempre anche noi, perché,
scusate se l’esempio può sembrare banale ma lo faccio sempre perché è chiaro, quando vieni colpito da
una persona, per esempio quando ti innamori di una
ragazza o di un ragazzo, il nome dell’anagrafe non basta più; generalmente non dici: «Rossi Laura quanto
ti amo», o «Bedei Giuseppe quanto mi piaci», ma comincia quello strano fenomeno, che però è comune a
tutti, per cui si inventano dei nomi, dei soprannomi:
«cipollina mia, fiorellino mio, dromedario mio,
Snoopy...». Ed è così, può sembrare banale, ma è così. Questo soprannominarci perché accade? Uno quasi non ci pensa, ma lo fa. Da una parte dare un soprannome è come fare un regalo, è come regalare un
foulard a una donna o un fiore, è come fare un regalo; ma dare un soprannome è una cosa che ci viene
da fare, questo vale con i figli per esempio, dare un
soprannome ci viene perché appunto stai provando con
un nome strano, con un nome che al di fuori di quel
rapporto che ti ha colpito sembrerebbe assurdo, tanto è vero che magari in pubblico non la chiami così,
stai provando a dare un nome a quella cosa che ti ha
colpito e non sai. C’è una conversazione tra me e Benigni dove facciamo riferimento a questa cosa che poi
in realtà dice Dante, cioè che la poesia sono le parole che si usano per dire qualcosa che non si sa; cioè
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 107
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
107
normalmente noi diciamo le cose che sappiamo o diciamo di sapere: «Questa è l’acqua, ci vediamo alle cinque, questa si chiama Residenza Alma Mater, io vengo da lì, tu vai di là…»; poi accade, appunto, che a
volte la vita ti chiede, ti provoca e allora cominci a
parlare di lei che non sai, di qualcosa che non sai e
dài nomi strani a questa cosa che non sai. O meglio:
non sono nomi strani, ma è come se la lingua si mobilitasse, si accendesse. Io uso di più questa espressione:
una lingua accesa, rispetto a una lingua spenta che di
solito usiamo. E questo può accadere di fronte a una
cosa bella come di fronte a una cosa orrenda; anche
di fronte a una cosa orrenda non riesci più a parlare
normalmente. Di fronte a una ferita grave che ti viene per un lutto o per una cosa che ti colpisce, non è
che riesci a parlare normalmente. Anzi, addirittura lì
succede che le parole si tendono così tanto fino a diventare silenzio, che è un silenzio non vuoto ma è un
silenzio pieno, pieno di tensione a quella cosa. Ecco:
la poesia è sempre nata così, come “soprannominare
il mondo”, la necessità di soprannominare il mondo
quando il mondo mi parla. Infatti l’esperienza dei poeti non è quella di tirarsi fuori da dentro, come se ci
fosse dentro un pozzo di cose che gli altri non hanno, delle cose da dare; ma l’esperienza dei poeti e degli artisti in generale è sostanzialmente un’esperienza
di obbedienza, ob-audire, cioè di ascoltare molto. Devi ascoltare molto la realtà, guardare molto la realtà,
farti colpire dalle cose; questo vale per i poeti, ma per
tutti gli artisti veri. Se voi sentite parlare della loro esperienza, i grandi artisti di tutte le epoche, da Michelangelo a Ungaretti, a Leopardi, a Dante, raccontano
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
108
11 11 2010
19:36
Pagina 108
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
sempre non «ah! Cosa c’ho dentro io che vi esprimo...»,
ma raccontano «c’è qualcosa nella pietra che devo tirare fuori, c’è qualcosa nella montagna di Sainte Victoire che devo dipingere, c’è qualcosa che amore mi
detta dentro e allora noto...». E per Dante amore non
era appena un sentimento, ma era quel che muove il
Sole e le altre stelle, cioè era l’energia che fa tutto l’universo. Quindi l’esperienza dell’artista fondamentalmente è un’esperienza di obbedienza. In questo senso conoscere è un avvenimento per un’artista, sempre.
Poetare e conoscere sono lo stesso movimento, diceva un grande critico; cioè, la poesia nasce innanzitutto come ascolto della realtà a cui tu provi a rispondere con delle parole per parlare di qualcosa che non
sai che ti sta parlando. Ungaretti diceva «il segreto del
mondo». Questa è la prima cosa che volevo dirvi. E
quindi, insomma, per finire il primo aspetto, la poesia è sempre esistita; l’uomo stava nella caverna di Altamira, usciva dalla caverna, vedeva il bisonte, rientrava
e dipingeva il bisonte, oppure dipingeva con parole il
bisonte. Uno dice: «Ma che bisogno c’era? C’era fuori il bisonte, caspita! Perché lo dipinge?». Perché era
come se dovesse ri-guardarlo, dovesse metterlo a fuoco. In questo senso l’arte aiuta a conoscere; non come la scienza, è un altro metodo, potremmo dire così; ma come diceva un grande poeta che si chiama Rimbaud, di cui ho tradotto Una stagione all’inferno, diceva che la scienza è troppo lenta per noi, cioè la
scienza ha un metodo di conoscenza del reale che procede per analisi, giustamente, per separazione dei fenomeni e quindi ci fa vedere più cose, ma è molto più
lenta, necessariamente; non è sbagliato, è più lenta, ma
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 109
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
109
l’oggetto, diciamo così, reale a cui guardano gli artisti
e gli scienziati è il medesimo. Quando Dante dice che
Amore muove il Sole e l’altre stelle – per dire un verso che più o meno tutti conoscono – sta dicendo una
cosa che nel ’900 scoprirà Max Planck, quando scoprirà la teoria dei quanti, cioè che tutto quello che vediamo non è fermo, è tutta energia che si muove. Per
Dante dire che Amore muove il sole e l’altre stelle non
è una bella metafora: è la descrizione della realtà, che
poi la scienza ci metterà altri settecento anni ad analizzare, cioè a dare poi nomi precisi ai fenomeni; ma
Dante l’aveva già visto che era così, l’aveva già visto:
per lui era già chiaro che la realtà è un movimento,
che qualcosa la muove. La seconda cosa che volevo
dirvi e qui la prendo a prestito ancora da Dante, perché Dante è come il Maradona dei poeti, cioè il migliore, e quindi bisogna guardare lì. Dante cosa diceva, cosa fa Dante, perché Dante fa la Commedia (che
più o meno è un’opera che vi sarà passata tra le mani)? Dante fa la Commedia perché incontra Beatrice e
perché Beatrice muore. Perché la incontra e perché
muore, cioè perché incontra una bellezza che gli «bea»
la vita, Beatrice. La donna reale, di cui sappiamo quando è morta, di cosa è morta, eccetera... Incontra questa ragazza che gli fa vedere un miracolo, una «donna venuta dal cielo in terra miracol mostrare», dice.
Vede questa donna che gli fa vedere un miracolo e poi
questa donna muore. Quindi Dante, con la frase più
commovente forse di tutta la storia della letteratura,
quando finisce la Vita nova dice: «Io spero che Dio
mi dia abbastanza giorni per scrivere di lei quello che
nessuno ha mai scritto per nessuna». Perché Dante sa
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
110
11 11 2010
19:36
Pagina 110
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
che deve mettere a fuoco questa cosa che gli è successa; cosa c’è dentro a questa beatitudine data e poi
tolta? E infatti Dante dirà: «ho scritto la Commedia
per trarre via gli uomini dall’infelicità». Perché se Dio
ti dà Beatrice e poi te la toglie, vuol dire che il destino è l’infelicità, che Dio è una carogna, è uno che gioca con te. Infatti Dante cosa fa? Fa un viaggio, lo sapete, la Commedia, in cui rimette a fuoco tutta la sua
realtà, la sua vita, quello che conosce, la Filosofia, la
Storia, i fatti, la cronaca addirittura. Riguarda tutto per
poter capire cosa è successo, per poter vedere dentro
al mistero di questo incontro e di questa perdita. E fa
quello che tutti vorrebbero fare quando succedono
queste cose, va fino in faccia a Dio, prende per il bavero Dio e lo guarda negli occhi e dice «cosa c’hai dentro agli occhi Dio? Il fatto che mi stai prendendo in
giro? Cioè la vita è una presa per i fondelli? Mi dài
Beatrice poi me la togli? Mi dài un figlio poi me lo
togli? Mi dài la salute poi me la togli?». Cioè, la vita
è una presa in giro? O, come avrebbe detto Shakespeare «una commedia scritta da un pazzo ubriaco»?
«Oppure sei solamente indifferente? Non te ne frega
niente? Cosa c’è?». E Dante fa questo viaggio, fa un
processo di conoscenza; un fatto che gli è successo,
un evento, un incontro con Beatrice, è il fatto che gli
ha aperto la strada per andare a conoscere il segreto
del mondo, il segreto delle cose. Poi un giorno magari parleremo anche solo della Divina Commedia. Ma
è per dire che in questo senso la poesia, l’arte in genere, ma la poesia non è una distrazione dalla realtà
(l’arte concepita come distrazione è poca cosa, è banalizzante, è solo intrattenimento). L’arte non è in-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:36
Pagina 111
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
111
trattenimento; l’arte è sempre stata la più seria dell’attività tra gli uomini, non la più banale; e banalizzare l’arte avviene solo nella nostra epoca. Questo avviene abbastanza spesso e uno dei segni di crisi della
civiltà è quando l’arte viene banalizzata, quando l’arte è solo intrattenimento, quando al massimo di fronte un’opera d’arte dici «è carino». Noi oggi siamo
dentro un po’ a tutte cose così, la musica ci viene data così nella maggior parte dei casi, non quello che abbiamo visto prima, ma molte volte ci viene spacciata
per arte robetta da intrattenimento. Dante fa questo
viaggio per guardare, quindi; in questo senso la conoscenza è sempre un avvenimento. Gli artisti lo sanno perché il primo verso è dato, cioè è dall’incontro
con qualche cosa che nasce l’arte, non è un processo
di conoscenza che si mette in moto perché lo decidi
tu, nessun artista dice «adesso faccio l’artista». Non
solo per vocazione; io ho un fratello che ha tre anni
più di me, abbiamo avuto gli stessi genitori, mangiato la stessa minestra, avuto la stessa tata, lui non ha
mai scritto niente; io non so perché io scrivo e lui no.
Cioè, non solo c’è il fatto che di partenza c’è un dato che non dipende da te; ancora diceva Rimbaud je
est un autre, «io è un altro», cioè l’artista in fondo
quando guarda in fondo a se stesso vede che c’è un’alterità con cui deve fare i conti, un’alterità irriducibile. Anche in fondo a sé c’è altro che lo muove, che lo
ha messo in moto. E poi, appunto, l’ispirazione, la famosa favola bella dell’ispirazione, cosa vuol dire? Che
il respiro, l’ispirazione, ti viene da qualcosa di fuori,
da un fatto che incontri, la passante... Baudelaire, in
una poesia, per nulla togliere alla Bossanova, aveva
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
112
11 11 2010
19:36
Pagina 112
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
scritto 150 anni prima «A una passante di cui ammira la bellezza», dice «... con gli occhi pieni di temporali… chi sei tu? Chi sono io?... Noi non ci incontreremo mai...», la ragazza che passa.. perché è proprio
un’esperienza umana il fatto che la bellezza ti passi di
fronte, come dicono anche Jobim e Moraes. Infatti secondo me Moraes un po’ l’ha copiato da Baudelaire;
i grandi artisti copiano, copiano bene, chi sa copiare
bene non si vede che copia. Detto questo vi leggo tre
poesie. Vi leggo prima una poesia che forse dice meglio di quanto detto fino adesso quello che provavo a
spiegarvi. Non è una poesia mia ma è una poesia di
un mio amico, un poeta purtroppo che è morto giovane, si chiamava Antonio Santori, marchigiano. È
molto semplice, è una poesia che sembra semplicissima ed è invece molto profonda:
“La linea alba”
Perché essere in questo luogo
è molto, e certo dire
dove siamo
è nostro compito
Oscurità e acque,
albe, ventre dell’inferno,
albero di prua, inseguimento.
E, vedi, il corpo,
il nostro corpo soltanto può dire
bianco, tellina, lontano, vento.
Blues, inverno, ombra
delle cose, aldilà.
Ascolta, bacio.
Pensaci,
è un privilegio dire
odore delle case, mano
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 113
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
113
sopra la pelle, la prima volta.
Dire infinito
nelle erbe, è accaduto,
è strano, sorellina, madre, stelle.
Dire
Per sempre,
innevato, accanto,
spaventato,
Sono
esistito.
Per questo mentre
vivo tutto mi sembra
innominato.
Ecco questo fatto di vivere come se tutto fosse innominato, come se tutto aspettasse il tuo soprannome,
il soprannome che gli dai per avere un rapporto vero
con quella la cosa; non il nome standard, non il nome
comune, ma il nome che dice del tuo rapporto segreto con quella cosa. Ascoltare o leggere una poesia è
come iniziare un rapporto con una persona, non è la
stessa cosa, è analogo. Una poesia non la si capisce,
proprio per questa sua qualità che dicevo prima, per
essere parole che entrano in tensione di fronte alla realtà che ti colpisce. Una poesia – lo dico perché magari molti non sono abituati ad avere a che fare con la
poesia, magari si spaventano perché a scuola l’hanno
spiegato come una cosa noiosa e difficile –, avere a che
fare con una poesia è come avere a che fare con una
danza, con un corpo, con un albero; non è che capisci una poesia come un discorso, come un racconto,
come uno slogan, come una pubblicità, come un articolo. Sono parole che portano alla realtà in un modo
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
114
11 11 2010
19:37
Pagina 114
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
per cui devi stare di fronte a queste parole senza la
preoccupazione di aver per forza subito la comprensione logica; come quando sei di fronte ad una persona, non è che la vuoi capire nel senso che la vuoi
analizzare; infatti la parola «capire» viene da càpere,
latino, «prendere con te». Cioè, la prima cosa che devi fare con una poesia, così come devi fare con una
persona, non è interpretarla nel senso di “definire”.
Quanti errori nascono nella vita perché l’altro lo vuoi
definire, cioè lo vuoi analizzare invece che càpere, invece che prendere con te; tanto è vero che si dice che
le amicizie, gli amori, finiscono quando non c’è più segreto, cioè quando tu dici di uno «io so tutto di te»;
e per cui è nata la famosa canzone di uno che purtroppo non abbiamo ancora citato questa sera, il grande Vasco Rossi, che dice nella canzone Siamo solo noi.
Quella canzone è nata perché sua madre diceva «voi
siete così!», e lui diceva «si, siamo solo noi...» come
dire «si, lo sai tu come siamo». Mentre invece noi tutti sappiamo che anche nostra madre, che ci conosce
fino al midollo, non può avere la pretesa di esaurire
tutto quello che siamo, perché sentiamo che in noi c’è
qualche cosa che lei non sa, che neanche la persona
che ci conosce meglio può dire. Poi uno questa cosa
qui la può chiamare anima, la può chiamare spirito,
la può chiamare io: la puoi chiamare come ti pare, però c’è. E anche in una poesia, non puoi capire una poesia come se tu la facessi a pezzi, a bocconi, come fanno a scuola, con gli schemini eccetera, così poi la capisci logicamente; ma è come una presenza che ti parla. Tanto è vero che perché succede questo strano
prodigio per cui uno legge L’infinito di Leopardi o,
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 115
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
115
abbiamo visto parlare della luna, «... che fai tu luna
in ciel? Dimmi, che fai?», il «Canto notturno di un
pastore errante dell’Asia», scritta da uno con cui tu
non hai niente in comune, né cultura, né tradizione,
a volte neanche la lingua, non c’è niente in comune
con lui, però lui ti parla, sembra che dica delle cose
che ti riguardano, ti mette di fronte qualcosa che riguarda anche te? Come è possibile questo? Come è
fatto? Proprio perché appunto la poesia non è un’arte per cui uno sviscera se stesso; non è che Leopardi
scrive per esprimere se stesso; insisto, nessuna arte nasce per esprimere se stessi, semmai nasce un diario,
nasce uno sfogo che normalmente ha poca gittata.
Non so se c’è qui qualcuno che fa Attività artistica,
chi fa Attività artistica lo capisce bene, dopo un po’
non si fa arte per esprimere se stessi, quella è vanità,
quella è esibizionismo, non è arte. Ma l’arte è il fatto
che tu metti a fuoco la vita e succede questo strano
prodigio appunto che tu, mettendo a fuoco la tua vita con le parole, quello che ti è capitato a te con le
tue parole, cosa fai? Fai parlar la vita, non la tua biografia. Per cui quando tu leggi L’infinito di Leopardi,
non è che tu ti commuovi per l’infinito del signor
Leopardi, non è che ti commuovi per l’esperienza che
ha fatto lui, ma per l’esperienza che fai tu dell’infinito, che in qualche modo hai visto negli occhi di qualcuno, in un panorama, in una cosa, in un pensiero.
Per questo lui ti parla, ti parla di te. E per questo infatti succede questo strano prodigio che la poesia – e
l’arte in genere, non solo la poesia – hanno questa funzione utile e inutile da un certo punto di vista; tra l’altro la poesia è la più povera delle arti, non ha gua-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
116
11 11 2010
19:37
Pagina 116
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
dagni, non ha un’utilità nel senso di come normalmente
intendiamo questa parola, ma ha questa funzione che
ti fa ricordare di essere vivo. Dice «guarda la luna: c’è,
guarda l’amore: sta accadendo, guarda il mondo: sta
accadendo in questo momento, la vita sta succedendo...». E questo avviene non perché uno ha espresso
se stesso, perché se no si sarebbe solamente reso conto della sua biografia; ma ha dato voce alla realtà e la
realtà parla a te adesso; e ti fa ricordare che la realtà
esiste e ti colpisce. Comunque, insomma, non voglio
farla lunga perché è tardi, vi leggo tre poesie veloci
da questa mia raccolta9. Scusate, sono poesie magari
non bellissime però sono anche un po’ a mo’ di esempio. Una è una poesia nata in un posto che forse conoscete, che è la stazione di Milano, non so se l’avete in mente, è un posto non allegrissimo, soprattutto
in certe ore. Una volta che passavo lì, una delle tante volte che passavo lì verso l’alba, vedevo alcune cose che anche voi vedete quando passate lì. All’inizio
di questa poesia c’è un esergo, le esergo sono delle citazioni piccole in alto a destra, che è di un mio amico poeta francese vivente, contemporaneo, si chiama
Jean Pierre Lemaire, di Parigi; dice questa cosa che a
chi si interessa di musica per me è molto bella, dice:
«C’è una musica nel mondo, se non canti non la puoi
sentire». Fra l’altro, non so se tra voi c’è qualcuno che
studia filosofia o matematica o queste cose, ma tutto
il tema dell’armonia che ha a che fare con la bellezza
è sempre stato nei grandi temi del sapere di tutti i tempi, perché non senti la musica del mondo se non can9
D. RONDONI, Apocalisse amore, Mondadori, Milano 2008.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 117
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
117
ti anche tu, cioè non riesci a comprendere la misura
della realtà se in qualche modo non provi a essere a
lei corrispondente. E la bellezza, come dice il mio
amico Gambardella di Milano, scrittore che non riesce
mai ad esordire veramente, dice una frase molto intelligente: «Come fai a capire che ti trovi di fronte ad
una cosa bella? Ti accorgi che non la meriti», cioè che
tra te e quella cosa c’è una sproporzione, e ti sembra
un po’ troppo per te. Infatti quando uno si innamora,
se il vostro innamorato o innamorata vi dice «tu sei giusta per me», scappate! Cioè se uno dice «io ti merito»,
non è un grande amore. Mentre invece l’esperienza
della bellezza è nel fatto che non sei proporzionato, come fosse un regalo troppo grande. Per questo l’esperienza della bellezza è come uno shock che rimette in
questione quale è la misura del mondo e la tua misura. Quale è la misura con cui stai comprendendo il mondo? È una misura, una dismisura adeguata oppure no?
Comunque:
“La stazione di Milano all’alba”
L’alba o neanche
Milano o neanche
fuori e dentro gli atri
stanno piccoli, feroci accampamenti
bottiglie, scoppi di voci
e si moltiplicano i soli
bambini dall’occhio zingaro tra le sirene
e dolcissime madri della maledizione
avanza contro tempo Italia meticcia
cerchi la grazia necessaria
porti al tuo cuore di pezza
la miccia, per far esplodere una lentissima ninna nanna
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
118
11 11 2010
19:37
Pagina 118
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
sull’aria del viso a ognuno di questi piccoli
venga dai piloni, dalle gradinate, dagli archi sperduti delle
tue facciate,
dalle scale mobili deserte un sogno di canto ancora umano
prima che venga l’alba, prima che sia Milano.
Poi vi leggo una poesia un po’ strana che è una poesia d’amore e dice così:
“Addosso vienimi, non lasciare”
Addosso vienimi, non lasciare
spazio, che l’aria il cielo o cosa
sento fare pasto di me se
non ti stringi, non spezzi con linee
strane il disegno delle braccia, il bavero
il torso
se non disponi con il tuo il mio corpo
ai nuovi assalti del giorno
ferma le piastre del respiro
ho qualcosa di troppo antico nel petto,
radunami da tutte le città del mio volto
sono solo ombra che brucia
se la tua non mi viene
subito addosso.
Poi come ultima poesia, vi leggo una poesia un po’
strana, visto che l’amico Walter prima ha terminato
con questa strana preghiera, molto dolce e dura anche,
vi leggo una poesia che è nata qui in una osteria a Bologna. Una notte, i poeti sono un po’ anime notturne,
ero lì a bere con… non mi ricordo chi sinceramente,
ma eravamo in due, mi ricordo che era una donna, questo me lo ricordo; mentre bevevamo, al tavolo di fianco ad un certo punto ho sentito una parola e allora da
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 119
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
119
lì è nata questa poesia che una sorta di poesia-preghiera.
Forse preghiera è una parola grossa, perché appunto
le poesie nascono in modo strano; nascono, poi dopo
per scriverle ci vuole un po’ di tempo, infatti a me quando mi chiedono «cosa fai tu nella vita?» «Ma sai, io
soprattutto scrivo libri di poesie», «Ah, che bello!»,
«Bello un cavolo!». Bello è leggerle le poesie, scriverle è una fatica durissima, se uno lo fa con un po’ di
coscienza e attenzione. Il lavoro artistico, lo dico perché magari c’è anche gente che vuole intraprendere, la
poesia non è un mestiere, ma insomma l’arte, il lavoro artistico è veramente duro; è duro nel senso che non
è solamente il problema «sai ho una bella idea e la esprimo», ma un lavoro durissimo di tempo; ci sono delle
poesie che ho impiegato cinque anni a scriverle e che
poi non sono neanche belle. Però c’è un tempo nella
creazione delle cose che è tutt’altro che la spontaneità. Diceva un grande poeta che si chiama Pound, forse l’avete anche sentito, Ezra Pound, che «qualsiasi
idiota può essere spontaneo», perché la spontaneità è
il contrario dell’arte. Mentre invece oggi per molti motivi, che adesso è inutile qui ripercorrere, viene sempre scambiata la spontaneità con ciò che è artistico, come se ciò che è artistico è ciò che è più spontaneo. Mentre invece, per esempio, Carlotta è una ballerina e
quando vedi una ballare, dici «ah, che bei movimenti
naturali che fa», ma anche quando vedi Milito che
scatta sulla sinistra, dici «guarda che bel movimento naturale che fa», ma quanto si allena Milito? Quanto si
allena una ballerina per fare quel movimento naturale? Dici «bello: che fai, tu luna in ciel/ dimmi che fai?
È spontaneo...»? Leggetevi lo Zibaldone, quanto ha la-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
120
11 11 2010
19:37
Pagina 120
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
vorato Leopardi sulla lingua. Quindi attenzione perché
molte volte si scambia l’arte con ciò che è spontaneo.
Mentre invece la spontaneità, come poi sappiamo anche per esperienza al di là dell’arte, è quasi sempre la
replica di cose meccaniche; spontaneamente ti viene da
fare la cosa più stupida, non per forza stupida nel senso che tu sei stupido, più stupida nel senso che è la
prima che ti viene in mente, la prima che viene lì. E
questo in tutto, non so nell’ira, ma anche nell’amore,
nell’amicizia; le cose spontanee sono quasi sempre le
più banali, se ti fermi un attimo e ci lavori su può darsi che venga fuori una cosa migliore. E in arte è sempre così. C’è un pittore francese che diceva: «Ma quanto c’hai messo a fare quel quadro?» «Due minuti e tutta la vita». Perché magari c’hai messo due minuti a fare quel gesto, ma è tutta la vita che dipinge, non è che
quella mattina si è svegliato, non ha mai fatto niente e
fa il gesto. No: è tutta la vita che dipinge e allora a
uno che per tutta la vita che dipinge, può anche darsi che gli venga il gesto strano. Il Fontana che fa il taglio e forse cambia la storia della pittura in Italia, era
uno che dipingeva da un bel po’: non è che si è svegliato la mattina e ha fatto il taglio. E questo ve lo dico perché l’arte ha sempre questa fatica, è un lavoro
nel senso nobile e latino del termine, un labor. Comunque la poesia è nata nell’osteria e dice così.
«Ho sentito il nome al tavolo»
Parlava forte un tizio
pantaloni bassi in vita –
..............e lei, candelabri
persi negli occhi
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 121
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
121
han riso molto
di qualcosa. No, poca luce
nel locale,
.......o troppo in ombra il volto
ma la voce un attimo ha detto:
Gesù. E si è fermato
il sorso,
il nome tra i bicchieri.
È su tavoli di questo genere
che ha iniziato a correre, confuso nel suo splendore
tra le mani, le fiaccole, le carte.
Tu che stai sognando e disegni le linee dei golfi
e muovi le ombre su Marte, e reggi
il petto degli uccelli in volo
non andartene
dalle sere dove i corpi bevono
e si scambiano pensieri nelle tenebre,
non restare Dio così da solo.
Intervento: Io volevo sapere se il poeta, Davide, se
la intravede e che tipo di differenza intravede tra i testi delle canzoni e le poesie. C’è un rapporto diverso
con l’arte?
Davide Rondoni: È un tema enorme su cui anche
Walter può dire la sua, tanto è vero che ho fatto nascere con Lucio Dalla apposta questo centro sulla canzone d’autore a Bologna10 perché non ne potevo più
10
Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
122
11 11 2010
19:37
Pagina 122
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
delle banalità su questo tema, banalità di vario genere. E Lucio per esempio è d’accordo con me sul fatto che un poeta è un poeta ed un cantante è un cantante; un cantante fa delle buone canzoni, un poeta
delle buone poesie. Raramente le due cose hanno coincidenza; poi tutte e due sono arti che hanno a che
fare con la parola e con il ritmo, potremmo dire così. Dante diceva che la poesia sono «parole per legame mosaico armonizzate», quindi c’è un legame. Lasciamo stare la storia quasi sempre finta che dice che
la poesia e la musica iniziano unite, non è vero; la poesia esisteva, la musica accompagnava la poesia ma con
degli elementi molto poveri di suono ritmico, di sottolineatura ritmica dell’andamento delle parole, niente a che fare con le canzoni come le intendiamo adesso. Però dal punto di vista diciamo così, operativo, creativo, uno che lavora con un testo, su un testo e sa poi
che questo testo si incontrerà, si fonderà con una musica, lavora in un certo modo e l’esito anche di questo lavoro è un certo oggetto in cui parole e musica
convivono, diventano una cosa sola ma sono anche separabili, d’altronde puoi fare il karaoke, puoi sentire
solo la musica oppure leggere solo il testo; nella maggior parte dei casi se leggi solo il testo e non hai la
musica nemmeno in mente. Anche le canzoni più belle hanno testi un po’ così, mentre invece sommati alla musica sono canzoni bellissime, mi spiego? E anche un testo a volte, come abbiamo visto anche in alcuni casi di prima, magari non straordinariamente bello ricco ma grazie alla musica, perché deve essere così, diventa una cosa meravigliosa. Un poeta lavora invece diversamente, per un poeta il problema della mu-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 123
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
123
sica non è mai esteriore, non è mai un testo che poi
sarà accompagnato dalla musica, ma la musica nella
poesia è qualcosa di interiore e quindi con «che fai tu
luna in ciel, dimmi che fai?» non puoi fare il karaoke, lì musica, senso e parole sono una cosa sola e non
puoi cambiarlo, è una generazione diversa potremmo
dire così. In assoluto quindi si può dire che ci sono
molte cose in comune perché è chiaro che devi lavorare su un testo per scrivere una canzone, ma anche
per scrivere un diario hai bisogno di saper scrivere, e
si vede quando un cantante sa scrivere e quando no.
La bellezza poetica di un testo di una canzone può essere molto varia e non importa molto ai fini della canzone. Io qualche tempo fa ho suscitato un certo “vespaio” su un po’ di giornali perché ho detto che secondo me da un punto di vista poetico è molto più
interessante Tiziano Ferro di De Andrè, come invenzione linguistica è molto più interessante Vasco Rossi
che De Andrè; però siccome in Italia ci sono alcune
icone sacre che non si possono toccare – De Andrè
ormai l’hanno messo lì che sembra la Madonna di San
Luca, poveretto –, allora l’hanno preso come un’offesa; mentre non è un offesa, è che, dal punto di vista
di uno che lavora con la lingua, è molto più interessante l’invenzione linguistica di Vasco Rossi che blatera parole strane e fa una canzone solo con la parola toffee, che non è una storia o meglio è una storia
ma con poche parole, ma è molto più interessante
quell’invenzione lì che il testo pur bello e letterariamente interessante di De Andrè. Era solo per fare un
esempio che, appunto, non è detto che una canzone
bella abbia nel suo testo un valore poetico alto; può
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
124
11 11 2010
19:37
Pagina 124
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
succedere che ci sia una canzone bellissima con un valore poetico basso, oppure può esserci una canzone con
un valore poetico del testo, cioè poetico nel senso di
lavoro sul testo, molto alto che però è una brutta canzone. E sono due problemi generativi diversi proprio
nel rapporto con il ritmo e con la musica. Non so se
ho risposto. Per capire bene queste cose, noi siamo
sempre un po’ schiacciati sull’autorità per cui pensiamo appunto a De Andrè, a Dalla, ma uno per capire
bene queste cose deve guardarsi Monteverdi, la lirica,
cioè tutta la storia di questo rapporto tra parole e musica che è una storia lunghissima; e allora lì si incominciano a capire certe cose in maniera più interessante. Poi gli scambi fra le due cose sono infiniti. È
chiaro che un poeta che scrive oggi ha un background,
come si dice adesso, anche musicale di canzoni che inevitabilmente influenza anche la scrittura, ma anche il
cinema influenza la scrittura. Ma questo è un altro discorso. Così come tanti cantanti hanno letto poesia e
si sente e si vede.
Intervento: Io – forse è una domanda un po’ ampia – vorrei sapere cosa pensa lei del rapporto tra arte
e cultura. Una mia professoressa mi disse che non esistono artisti che non siano colti, cioè un’artista non può
esprimersi se non ha un background culturale che glielo possa permettere. Altamira non è arte in questo senso. Vorrei sapere lei cosa ne pensa a riguardo. Grazie.
Davide Rondoni: Altamira è arte, preistorica. Beh,
secondo me non è vero, o meglio un’artista deve essere esperto della sua arte; non deve essere per forza
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 125
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
125
“colto” come intendiamo normalmente in termini illuministici la parola cultura. Anche perché secondo me
è sbagliata quella accezione della parola cultura, cioè
noi siamo figli di un epoca per cui si pensa che la cultura sia l’essere, diciamo così, mediamente informato
a conoscenza di tutta una serie di cose: quello è l’uomo colto. Solo che questa è un’idea di cultura non solo che è andata in crisi, perché abbiamo visto nella storia che quegli uomini “colti” lì sono capaci di fare orrori peggio di quelli incolti e quindi non c’è un’aggiunta
di valore di per sé in un uomo per il fatto di essere
colto: Hitler amava Mozart e anche Bin Laden scrive
poesie. Non è che la cultura li ha resi migliori, quindi quel paradigma illuminista è andato in crisi. Per cui
io dico sì, un’artista deve essere colto nel senso che
deve essere coltivata la sua arte, sicuramente; non può
improvvisarsi pittore o scrittore uno che non legge o
uno che non dipinge, uno che non copia dagli altri quadri e non ha un’esperienza un po’ alta, ma non è l’idea di cultura che normalmente si intende per cui
uno deve essere molto colto. È chiaro che l’artista più
prende sul serio la sua arte più si addentra in qualche
modo nei misteri della sua arte, seguendo i suoi maestri, seguendo le cose, ma la chiamerei più esperienza
che cultura come si intende normalmente. In questo
senso sicuramente un’artista non può essere incolto,
cioè non può non aver coltivato la propria arte, questo sicuramente no.
Walter Gatti: Posso aggiungere un paio di cose io
su tutte e due le domande? Sul tema poesia e canzone è sempre molto divertente pensare che alla fine
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
126
11 11 2010
19:37
Pagina 126
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
della fiera i grandi autori della canzone degli ultimi cinquant’anni non hanno mai avuto il problema di essere dei poeti. Vi faccio due o tre esempi; colui che probabilmente è il più grande autore della canzone francese, Georges Brassens, personaggio molto particolare che ha vissuto quaranta anni a Parigi a casa di due
pensionati, anche quando era ricchissimo viveva in
questa casa di due pensionati e ha scritto per il suo
pensionante la sua più bella canzone Chanson pour
l’Auvergnat, diceva sempre «io non capisco perché
tutti mi chiedono se le mie canzoni sono poesie, io sono interessato all’aspetto musicale delle mie canzoni;
io prima scrivo le melodie e poi dopo ci scrivo sopra»;
la canzone contro i preti, la canzone contro le suore,
la famosa canzone sul suo pisello che cornificava tutti quelli del vicinato... perché gli venivano così, ma lui
scriveva musiche e quando gli chiedevano, rispondeva «io sono interessato al lato musicale delle mie opere». La stessa cosa l’ha sempre detta Bob Dylan, che
non è un personaggio di quelli leggeri su questo tema, anche perché ogni anno sembra che lui debba vincere il Nobel per la letteratura; e lui a un certo punto se avete presente, ha cercato di affrancarsi dal Bob
Dylan poeta per affermare sempre di più che lui è un
grande musicista. Quindi il problema oggettivamente
poesia-canzone, i grandi musicisti, i grandi autori della canzone non ce l’hanno. Però questo si connette anche un pochettino alla domanda che facevi tu adesso,
che è un problema intrinseco alla musica leggera, alla musica pop, che da sempre ha approcciato la propria produzione in un senso sostanzialmente romantico, cioè: la canzone è frutto di ispirazione? E secon-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 127
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
127
do me Davide, questo è un tema bruciante. Pensiamo
a colui che probabilmente secondo me è il più grande musicista di tutti i tempi, cioè Bach: Bach a un certo punto arrivava a scrivere anche 85 grandi cose all’anno, non canzoni, stiamo parlando di messe, cantate eccetera. E come correttamente dice, se qualcuno
lo conosce, quel pianista geniale che è stato Glenn
Gould – c’è un libro che raccoglie le sue opere che è
L’ala del turbine intelligente –, «io non capisco perché questi deficienti continuino a considerare Mozart
un grande autore; il vero grande autore era Bach». Perché era il vero grande autore? Perché lui non aveva
problema di ispirazione, che è già un problema mozartiano; lui era pagato per scrivere trenta, quaranta
opere mensilmente; aveva la grande capacità di considerare unita l’arte, la tecnica e la vita e lui nel giro di
venticinque anni ha scritto probabilmente il più grande opus artistico di tutti i tempi. Questo oggi nella musica leggera-pop è assolutamente stato spazzato via.
Voi sapete benissimo oggi come nasce un disco (io sono stato dietro la nascita di dischi di personaggi anche abbastanza rilevanti)? Un disco nasce perché c’è
un contratto, e una volta ogni due o tre anni – stiamo parlando di musicisti importanti cioè di Pink Floyd,
U2, in Italia di Ligabue e anche Vasco Rossi, senza nulla togliere alla sua capacità –, gli autori una volta ogni
tot vanno in studio e incidono. Devono farlo, l’ispirazione non c’entra nulla: viene fuori quello che viene fuori. Ormai, passata la fase in cui i grandi riescono ad esprimere e a rappresentare perché sono giovani, tutta la parte finale della loro vita è come se fosse calante, mentre dal punto di vista della professio-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
128
11 11 2010
19:37
Pagina 128
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
nalità tecnica dovrebbe invece essere molto innalzante, così come è stato in Bach. Secondo me questo è
un tema fondamentale: nella musica leggera non esiste quasi più la capacità di far seguire a grandi professionalità grandi espressioni, grandi prodotti; mentre invece, soprattutto nella fase preromantica e nella
musica classica, sostanzialmente questo era un dono che
veniva dalla professione. Non so Davide se concordi.
Intervento: Posso chiedere una cosa? Non sono in
parte d’accordo con quello che dice lei. È vero che i
cantanti, parliamo sempre di musica pop, dopo tot anni di dischi, concerti, canzoni, calano e c’è un perché.
Io ho avuto l’opportunità di conoscere determinati artisti e ho fatto una domanda, è sempre la stessa quella che rivolgo: «Dopo che hai avuto il tuo boom, hai
cercato, hai esplorato qualcos’altro nel campo musicale?» e mi è sempre stato detto «no, mi sono fermato». È questo che danneggia la cultura di oggi. È verissimo quello che dice su Bach; Bach a trent’anni ha
sperimentato la toccata e la fuga, è andato avanti, su
commissione, però ha sempre avuto il genio creativo.
Ma è un contesto diverso, cioè noi adesso viviamo in
una società dove esistono milioni di generi, milioni di
artisti, e ogni artista si crede speciale, però quando riesce ad ottenere quello che vuole si ferma, non va mai
avanti. Sono pochissimi gli artisti che si sono cimentati in qualcosa di diverso. E possiamo un attimo tornare al discorso di testo/poesia-canzone; io penso che
la poesia in generale esprima sempre qualcosa di molto cupo perché interiore e gli artisti che hanno tentato di mettere la poesia in musica sono stati o sotto-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 129
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
129
valutati, o non presi sul serio... l’esempio che mi viene è Tenco; Luigi Tenco scriveva testi magnifici, soggettivamente per me sono delle poesie, Tenco passa come la persona più triste del mondo perché ha i testi
più tristi del mondo. Quindi io penso che siamo arrivati ad un punto dove le persone i ragazzi, i giovani,
che ne so Ramazzotti, Vasco Rossi, debbano un attimo lasciare le redini della vecchia carriera ed esplorare un mondo diverso per regalare al pubblico emozioni diverse, semplicemente questo.
Davide Rondoni: Posso essere un po’ tranchant? Io
il termine «artista» per Ramazzotti, Vasco Rossi, faccio fatica ad usarlo. Bisogna intendersi, non ho niente contro di loro, però bisogna che ad un certo punto ci si intenda, perché non è che manchino di qualità artistiche nelle cose che fanno, però appunto anche
per i motivi che abbiamo detto prima, c’è qualcosa che
ha a che fare molto con l’industria dell’intrattenimento, cioè ci sono logiche che con l’arte hanno poco a
che fare. Per cui secondo me appunto, la parola «artista» non costa niente, si può usare per tutti, naturalmente, però se uno lo fa con un po’ di coscienza
lo fa almeno con un po’ di attenzione. Detto questo
non sono d’accordo con te sul fatto che le poesie sono cupe perché interiori; e quelle di Tenco erano canzoni belle, ma erano canzoni tristi, non è che erano
poesie tristi, erano canzoni tristi, cioè non è che erano così a caso. Era veramente cupo lui, e le sue canzoni. Lo dico solo per un’altra questione importante
sulla poesia; perché in genere si scrive, e non solo le
poesie ma anche le canzoni, quando si tocca un’espe-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
130
11 11 2010
19:37
Pagina 130
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
rienza di tristezza, di malinconia (non è sempre così,
eh! Perché si scrive anche quando si incontra, si trova una gioia pazzesca…)? È perché uno degli elementi
fondamentali della vita umana è di essere limitata, noi
siamo fatti di limite. Cioè la nostra verità è che siamo
limitati, non che siamo illimitati, ma che siamo limitati. Però quando la vita ci fa fare questa esperienza
del limite, nel dolore questa esperienza del limite la
fai più velocemente, come se il dolore fosse il fatto di
essere portato più velocemente a toccare la verità della vita, una verità della vita che è il limite; il dolore ti
porta più velocemente a questo, ma anche la gioia se
ci pensi, infatti si dice «morire di gioia», cioè ti spacchi di gioia come se ti rompessi. Il problema non è la
tristezza o la gioia, è il fatto che l’arte nasce sempre
toccando un’esperienza di verità; che sia nell’epifania
della ragazza bella che passa, che sia nel toccare il limite come natura della vita... Per questo in quel momento – diciamo così – “reagisce” di più l’aspetto artistico; ma non per la tristezza o la cupezza, ma per
il limite! Infatti, siccome noi viviamo normalmente dimenticandoci del limite o facendo finta che non esista o volendo dimenticarlo, è in quel momento lì che
in genere l’arte ci sorprende di più; ma l’arte, e ci sono poesie straordinarie su questo, non nasce solamente
per l’esperienza del dolore, nasce per l’esperienza della verità. Il dolore è una delle cose – se volete – che
più radicalmente, più facilmente, che più ci porta, anche se non lo vogliamo, di fronte all’aspetto della verità della vita. Ma anche lo stupore. Per esempio, la
cosa più bella della Garota di Ipanema è quando dice
«una bellezza non mia», avete presente quel verso lì?
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 131
POESIA E MUSICA: IL GRIDO DELLA BELLEZZA
131
La verità di quell’esperienza lì, quella è la bellezza, ma
non perché è bella, ma perché è una bellezza che non
è mia. Quello è il punto di verità che ha fatto sorgere quella canzone. Per questo insomma si scrive a volte e non per questo sono belle poesie, sono delle “gnole” tremende.
Walter Gatti: Comunque: sono d’accordo con quello che dici? Non lo so se sono d’accordo... Ma su quello che hai detto di Tenco, io vorrei farvi un esempio:
una delle canzoni più tristi di Tenco, più cupe di Tenco, che però vorrei farvi vedere che ha un aspetto insolito, è Vedrai vedrai, avete presente? Allora, provate a pensarci un attimo, il testo dice «quando la sera
me ne torno a casa/ non ho neanche voglia di parlare/ tu non guardarmi con quella tenerezza/ come fossi un bambino che ritorna deluso/ si lo so che questa
non è certo la vita/ che hai sognato un giorno per noi/
vedrai, vedrai/ vedrai che cambierà/ […] preferirei
sapere che piangi/ che mi rimproveri di averti delusa/ e non vederti sempre così dolce/ accettare da me
tutto quello che viene». Allora, non so se lo sapete,
lui sta parlando con sua madre, non sta parlando con
la sua donna; questa è una canzone che racconta della storia di Luigi Tenco e di sua madre. Ma, provate
a pensare in questa canzone così cupa, che luce è la
madre. Adesso rileggiamola, provate a pensare. Tenco
torna a casa deluso, non riesce a vendere un disco, e
la madre lo guarda con quella tenerezza con cui si guarda un bambino che torna deluso e lui le dice: «Preferirei sapere che piangi e non vederti invece sempre
così dolce accettare da me tutto quello che viene». È
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
132
11 11 2010
19:37
Pagina 132
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
una canzone che dentro la sua cupezza ha la luce della figura della madre che secondo me è una delle cose più belle e non volute, inconsapevolmente volute
dall’autore, che io abbia mai sentito. Un’ultima cosa,
i cantanti non vogliono essere poeti ma i poeti vorrebbero essere cantanti per guadagnare come i cantanti.
Davide Rondoni: No, questa è la balla che dicono
sempre i cantanti, ma i poeti vorrebbero guadagnare
e basta, non essere come i cantanti; è un’altra cosa!
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 133
Carlo Romeo e Giuseppe di Fazio*
Dall’esperienza alla conoscenza, dall’uomo
all’uomo
Romeo: Grazie per l’invito. Non vi nego che provo un profondo, violento, fortissimo, inesorabile senso di invidia nei vostri confronti, cosa che può comprendere solo chi ha fatto l’università a Roma negli anni ’70. La prima lezione di… non mi ricordo più nemmeno che materia fosse, c’erano millequattrocento studenti in aula. Mi ricordo che incontrai alla fine del primo anno un amico che si era iscritto a medicina che
mi chiese disperato dove fosse la segreteria di medicina. Questa era La Sapienza e guardate che non sto
caricaturizzando le cose, sto dicendo che era estremamente difficile studiare, perché sull’Università gravavano le aspettative dei nostri familiari (volevano il
figlio laureato) e tu trovavi il fuoricorso di trentacinque anni che continuava ad essere “nutrito” dai genitori perché studiava. Non riuscivi a trovare strumenti, le biblioteche avevano degli orari impensabili, e
l’Università sembrava quasi un luogo per ritrovarsi,
*
Interventi tenuti in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico del Camplus d’Aragona, il 19 gennaio 2010; Carlo Romeo è responsabile del Segretariato Sociale della RAI, Giuseppe Di
Fazio è vice capo redattore del quotidiano “La Sicilia”.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
134
11 11 2010
19:37
Pagina 134
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
per cercare se stessi, più che per cercare una cultura.
Le occasioni di cui parlava chi mi ha preceduto1, meritatevele, perché se non le sfruttate le rimpiangerete.
Dove sarete tra dieci anni? Quale sarà la vostra vita?
Che lavoro starete facendo? Io ricordo come fosse
adesso, che negli anni ’70 il 2000 era un mito, e negli anni ’70 nelle Università si sparava, mica si chiacchierava. Il problema non era se domani la squadra
di calcio avrebbe vinto o avrebbe perso, ma che il tuo
compagno di corso poteva essere morto di droga il giorno prima, e noi le scoprivamo così queste cose. Non
voglio dire che oggi le cose siano molto più semplici,
dico che oggi voi avete occasioni e strumenti molto più
forti: avete internet, avete una serie di cose che erano
impensabili per la mia generazione: meritatevele! Perché è di fronte a voi stessi che vi dovete guardare. Perché quando avrete cinquant’anni vi dovrete chiedere
se quello che avete avuto oggi qui lo avrete sfruttato
a pieno. Non createvi gli alibi – la colpa è sempre del
professore cattivo che ha bocciato o che «sono sfortunato» –: tutto l’avvenire è nelle vostre mani, e il sorriso che oggi c’è davanti al vostro futuro, può diventare un ghigno e poi una cicatrice, oppure può diventare qualcosa che tiene in piedi la vostra vita.
Dall’esperienza alla coscienza è un camminare, l’esperienza deve portare alla coscienza e la coscienza deve riportare all’esperienza: è il passo con cui l’uomo
cammina da sempre.
1
Romeo si riferisce ai saluti delle autorità all’inizio della serata
(Rettore dell’Università di Catania, Presidente della Regione Sicilia,
AD di C.E.U.R.).
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 135
DALL’ESPERIENZA ALLA CONOSCENZA
135
Centomila gesti noi facciamo ogni giorno senza renderci conto che li facciamo, poi improvvisamente quel
gesto lì acquisisce un valore, una coscienza, ci rendiamo
conto che appartiene a qualche cosa, vediamo un albero centomila volte sulla strada che facciamo per andare da casa all’Università e poi un giorno ci fermiamo a guardarlo e l’abbiamo finalmente visto.
Guardiamo il volto di una persona che per noi è
familiare e improvvisamente ci rendiamo conto di
quant’è invecchiato, di quanto è cresciuto o di quanto è diventato più bello, e questa forse è la chiave
della conoscenza e del sapere: lo stupore. Prima il Direttore raccontava della sua bambina che sta iniziando a gattonare e c’era la parola stupore, l’abbiamo ritrovata poi in Leopardi e poi è ritornata: se noi
riusciamo a stupirci, noi continueremo a conoscere.
La peggior maledizione che si può dare a una persona è la noia, perché quando ci annoiamo siamo morti. Conoscere oggi è nel mettersi in discussione, nel
cercare di capire. Noi siamo abituati ad avere già
tutto pronto, tutto facile, ci dicono qual è la cosa più
bella, quella che non funziona, quella che funziona,
noi siamo prigionieri di queste cose e quindi ci dimentichiamo molto spesso che c’è un solo bisogno.
C’è qualcosa che conta molto più della fame, del sesso, del bere: è il bisogno primario dell’uomo di far
sapere agli altri che lui esiste, che lui c’è, di non essere trasparente, di non essere fuori dal gioco; la nostra vita è un grido continuo che dice: «Attenzione,
io esisto!».
E questa è la conoscenza, perché attraverso quell’io esisto, io ci sono, si comincia a vedere che esisto-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
136
11 11 2010
19:37
Pagina 136
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
no anche gli altri, ed è un camminare, perché è di questo che stiamo parlando.
Vengo alla mia esperienza; io ho cominciato a fare il
giornalista molto presto, mi sono ritrovato in situazioni che oggi vengono considerate storia, ma come sempre accade, quando vivi nella storia non te ne rendi conto. Ero nell’83 a Beirut durante il settembre più difficile; sono stato arrestato a Praga mentre facevo le riprese per una manifestazione di Solidarność, sono stato arrestato ad Ankara mentre facevo un reportage
per Canale 5 sugli obiettori di coscienza, sono stato
nel deserto quando c’era la sécheresse negli anni Ottanta, ho visto la Jugoslavia durante e dopo il conflitto, nel capodanno del ’91 ero sul fronte di Vukovar.
Sembrano tutte belle cose, ma non ti rendi conto che
sono cose che ti lasciano dentro un senso di inadeguatezza perché tu non puoi raccontare a un bambino che non l’ha mai vista la pioggia, che non la capisce, perché da dieci anni nel suo paese non piove e per
lui l’acqua è vita; come fai a dirgli che la pioggia cade
dal cielo gratis? Io in Mauritania mi sono trovato di fronte a questo, se io avessi detto al bambino che l’albero
camminava, egli avrebbe avuto la stessa identica reazione:
ecco il limite che abbiamo noi uomini che ci sentiamo
spesso in cima all’evoluzione; chi ha vissuto esperienze
realmente tragiche ha visto quanto è difficile raccontarle.
Andate a parlare con uno dei vostri nonni, se ancora
si ricorda, cosa voleva dire la guerra a Catania, o in Sicilia, o lo sbarco. Vedrete che probabilmente stanno zitti, non parlano, perché la comunicazione passa attraverso
queste cose, non si può raccontare ciò che ancora non
si è trasformato in coscienza, e a volte non ci riesci per
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 137
DALL’ESPERIENZA ALLA CONOSCENZA
137
tutta la vita. Un grandissimo scrittore che ha descritto
l’orrore dei campi di sterminio, Primo Levi, probabilmente si è ucciso perché non riusciva più a dare forma a quelle cose che viveva. E l’esperienza diventa coscienza, ma allora diventa una prigione, una galera e non
te ne riesci più a liberare…
Nel ’95 ho cambiato e sono passato a fare il manager della comunicazione e questo è un altro aspetto che a mio avviso può esservi d’aiuto: imparate a cambiare strada quando quella vecchia non vi piace più.
Noi siamo abituati a volere il posto fisso, lo stipendio;
io quando passeggio per viale Mazzini2, che è un luogo di prestigio, vedo gente che è entrata lì a vent’anni e ne uscirà a sessantacinque e la cosa più interessante di cui riesce a parlare è la partita della Roma o
della Lazio, mi chiedo se forse chi li ha messi lì a vent’anni, gli ha fatto realmente un piacere, perché erano raccomandati di ferro. Entrare lì: figuriamoci!
Non so com’è qui, ma immagino che diventare funzionario della Regione Sicilia sia il top, ma siamo sicuri?
Ecco, cominciate a chiedervi anche questo: se voi
volete uno stipendio fisso o volete vivere una vita.
Questi sono gli argomenti che poi vi dovete porre,
perché di che parliamo se non della coscienza di voi
stessi? Ho letto un sondaggio del “Corriere della Sera”
di qualche estate fa, che voleva essere uno di quei sondaggi brillanti, simpatici, che si leggono sotto l’ombrellone: sette italiani su dieci sono convinti che le parole furbizia e intelligenza siano sinonimi. Vi rendete con2
Il relatore si riferisce alla sede della RAI di Roma.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
138
11 11 2010
19:37
Pagina 138
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
to? Questa è la pietra tombale che cade su un paese, e
quando un furbo e un intelligente sono considerati
uguali non c’è possibilità di crescita. È agghiacciante!
Una volta mi avevano invitato a fare una lezione alla Sapienza a Roma in un corso di specializzazione in
Scienze della Comunicazione: trentadue laureati al secondo anno di specializzazione. La prima cosa che ho
chiesto è quanti di loro parlassero perfettamente inglese.
Su trentadue uno solo ha alzato la mano. Vuoi fare
scienze della comunicazione e non parli inglese? «Eh,
ma io sono furbo, faccio in modo che non si sappia».
Viviamo in un mondo di comunicazione, di immagine,
poi però quando cominciamo a chiederci se è meglio
una buona immagine o una visibilità la gente si ferma:
perché, che differenza c’è tra immagine e visibilità?
Questo è il mio mestiere, io mi occupo di comunicazione sociale e forse qualcuno di voi lo sa perfettamente, ma immagine e visibilità noi oggi le confondiamo
così come confondiamo intelligenza e furbizia. Sono due
cose totalmente diverse, rendiamoci conto di questo.
Per fare un esempio banale, Fabrizio Corona ha
un’ottima visibilità, ma ha una buona immagine?
Mina ha un’ottima immagine, ma come visibilità?
Ecco, le cose cambiano e noi confondiamo la visibilità con l’immagine, basta che ci si veda e siamo positivi; non è così! Per diventare famosi, diceva Ennio
Flaiano, basta ammazzare la portiera, non è difficile
diventare famosi, ma è qualcosa d’altro avere un’immagine, che è poi quello che resta, che ci resta nella
memoria, che poi fa una buona fama, perché fra quindici anni quando voi vi rincontrerete tutti e settantacinque e vi racconterete i vostri tic, i vostri difetti e
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 139
DALL’ESPERIENZA ALLA CONOSCENZA
139
vi racconterete cose che oggi non vi direste mai, quella memoria che lasciate lì la ritroverete tra quindici anni, col vostro capello pettinato oppure con la vostra
barba spettinata, e fra quindici anni sarete prigionieri delle cose che avete fatto, della vostra cravatta di
Hermès o delle vostre Clarks sfondate; ma dietro queste cose cercate di metterci delle persone, se no fra
quindici anni restano soltanto quelle cose lì.
Non voglio farla lunga, io non so se esiste un Dio,
ma so che esiste la giustizia di Dio che dà ad alcuni
il talento, ad alcuni il genio e ad alcuni nulla. Cosa
vuol dire questo? Che una persona “normale” in una
bottiglia vede una cosa, una persona di talento ne vede tre, e una persona di genio ne vede dieci.
Quando noi parliamo di informazione o comunicazione, una persona non abituata all’informazione o alla comunicazione vede questa bottiglia con dentro dell’acqua; un buon giornalista, un buon comunicatore comincia a chiedersi da dove arriva quest’acqua, chi si
è inventato la bottiglia pieghevole in maniera tale che…
e comincia a porsi delle domande, perché la chiave della conoscenza è tutta lì, fatevi delle domande e cercate delle risposte.
Se impigrite il cervello il discorso è finito. Mi rendo conto che sembro una vecchia zia che dà le indicazioni al nipote, però questo posso dire.
Concludo dicendo – ma credetemi, non è un colpo ad effetto – che stamattina mi hanno chiamato e
mi hanno detto che lunedì alle otto e mezza devo essere a Pratica di Mare perché mi parte un aereo e devo stare venti giorni ad Herat a fare un corso agli operatori della comunicazione lì.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
140
11 11 2010
19:37
Pagina 140
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Cosa vuol dire? Herat in questo momento è uno dei
posti più “fetenti” del mondo e tu hai un figlio, una
casa, una famiglia e dici: «Ma perché?» Poi sai che
quella cosa te l’hanno chiesta, hai dato la disponibilità, sai che non puoi ricostruire l’Afghanistan se non
ricostruisci anche l’informazione. Immaginatevi come
può essere interessante come obiettivo una cosa del genere, non dico come obiettivo di vita, ma lo fai, lo affronti non perché sei un eroe, ma perché è consequenziale al tuo lavoro, fai la tua parte fino in fondo,
qualsiasi essa sia.
Al di là di questo altri suggerimenti da vecchia zia
non ne ho, vi dico soltanto cercate di rispettare voi
stessi e la fortuna che avete avuto. Grazie.
Di Fazio: Io non ho, almeno in tempi recenti, esperienze di viaggi a Beirut, o in Turchia, al massimo riesco ad arrivare in viale Odorico da Pordenone 50,
nella Circonvallazione di Catania. Ma l’esperienza che
faccio è abbastanza singolare perché ogni giorno mi
trovo a vagliare sul video del mio computer un flusso di notizie che è un fiume in piena. A fine serata,
quando gli occhi cominciano a “protestare”, calcolo di
aver letto i titoli di qualcosa come cinquemila notizie,
cinquemila flash di agenzia.
Notizie tra le più diverse, dall’autobomba che è esplosa in Iraq, alle cronache dell’assemblea regionale siciliana, dal problema delle arance di Scordia alla vicenda di Pippo Baudo che litiga con Maurizio Costanzo;
quindi un po’ di tutto. E sono tante notizie che passano, scorrono sul computer come se fossero tanti fatti
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 141
DALL’ESPERIENZA ALLA CONOSCENZA
141
anonimi che il giornalista tratta spesso, come farebbe
un impiegato, come fascicoli da archiviare e basta.
Mi tornavano in mente le parole di Benedetto XVI
pronunciate alla festa dell’Immacolata poche settimane fa in piazza di Spagna, quando diceva: «Vediamo
tutto in superficie, le persone diventano corpi, questi
corpi perdono l’anima, diventano cose, oggetti, senza
volto, scambiabili e consumabili».
Spesso a fine giornata, torno a casa e mi chiedo se
posso dire di conoscere quello che accade in Italia e
nel mondo per la mole di notizie che leggo. Dietro
quelle notizie, quali e quanti fatti, vicende personali,
familiari si nascondono?
Due settimane fa mi è capitato di andare a trovare
le mie figlie che vivono a Milano e andare con loro a
trovare un mio carissimo collega brasiliano, con cui ho
lavorato per tre anni dall’85 all’88 a Roma.
Allora entrambi eravamo impegnati in un mensile
internazionale che si chiama “30Giorni”, lui curava
l’edizione brasiliana e io mi occupavo di Islam e Medio Oriente. Non lo vedevo dall’88, oggi vive alla periferia di Milano, alla Cascinazza, in un monastero benedettino: è divenuto monaco.
La prima cosa che mi ha colpito, quando l’ho incontrato dopo lunghi anni, è stato il fatto che Paulo
(questo il nome del mio ex collega) non ha cellulare,
non segue la televisione, non ascolta la radio. Perciò,
d’impeto gli ho chiesto: «Ma come fai a conoscere
quello che accade nel mondo?»
E pensavo: sarà rimasto fuori dal mondo, rispetto
a me che seguo invece il flusso delle notizie…
Dopo averlo incontrato mi chiedevo: Paulo cono-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
142
11 11 2010
19:37
Pagina 142
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
sce la realtà italiana e internazionale meno di me? Dopo avergli parlato, devo proprio rispondere di no.
Perché per conoscere veramente la realtà non basta restare in superficie, bisogna andare in profondità, e a volte chi rimane in superficie, anche se conosce tantissime cose, non è detto che conosca veramente, perché, come dicevate prima, all’origine della
conoscenza c’è sempre, per dirla con Montale, un avvenimento, un imprevisto.
Io posso osservare un fatto, posso raccontarlo, eppure non conoscerlo.
Faccio una piccola parentesi: noi oggi abbiamo
smarrito quasi totalmente la domanda sulla verità dei
fatti. Quando nella redazione dei giornali arriva una
notizia, la prima domanda non è se è accaduta realmente, ma si cerca subito chi può commentarla, il sociologo, lo psicologo ecc.
Dunque s’è smarrita la domanda sulla verità, a lungo andare s’è persa l’idea che possa esserci una verità sui fatti. L’importante è che sia verosimile. A volte
quando scopri la verità sei costretto a non dirla perché il titolo della notizia era così bello prima che sarebbe un peccato cambiarlo.
Il secondo punto, a cui vorrei fare cenno, è che un
fatto io lo conosco se tocca la mia umanità, cioè se lascia una traccia in me, altrimenti scivola.
Faccio due esempi tratti dalla mia esperienza recente.
Primo ottobre 2009. È stato il giorno dell’alluvione
di Messina. La notizia è arrivata in redazione alle 23.00,
quando stavo andando via dal giornale, e avevo già lasciato le consegne al collega del turno di notte. Proprio in quel momento chiama il corrispondente da
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 143
DALL’ESPERIENZA ALLA CONOSCENZA
143
Messina dicendoci che c’era una situazione piuttosto
grave, forse c’era un morto, forse anche dei feriti.
Allora rimango anche io in redazione per capire
cosa fosse accaduto e alla fine comprendiamo che bisognava rifare la prima pagina. Finisco dopo l’una di
notte, ho fatto il mio dovere, punto.
L’indomani mattina mandiamo, secondo prassi, gli
inviati e i fotografi sui luoghi della frana, però per me
rimaneva una cosa neutra. Esattamente quarantotto
ore dopo mi è arrivata una e-mail, di una ragazza di
Messina che vive in Canada, che aveva sentito la notizia. La tragedia la tocca personalmente, immediatamente si muove, inizia ad informarsi sullo stato di salute dei suoi genitori, lancia una sottoscrizione in università, cerca la confindustria locale, i club siciliani
del Canada e mi scrive questa e-mail: «Ciao, sono Maria Chiara residente in Canada per motivi di studio.
Appena ho sentito dell’alluvione che ha interessato
Messina, i miei genitori vengono da Altolia e Giampilieri, sono stata scossa e ho immediatamente chiesto
aiuto ai miei amici di Montreal, per lanciare un appello di raccolta fondi e venire in aiuto agli alluvionati». Poi seguivano tutta una serie di richieste…
Il giorno dopo la stessa ragazza mi scrive: «Oggi ho
sentito mio zio Giacomo che è rimasto isolato ad Altolia, mi confermava che la situazione è molto brutta
e che solo oggi hanno ricevuto l’elettricità…».
Questa lettera è stata per me come quando Ciàula
scopre la Luna3.
3
Di Fazio allude alla novella di Pirandello Ciàula scopre la luna,
di cui durante l’introduzione è stato letto un brano da parte di uno
degli studenti Camplus: «La scala era così erta, che Ciàula, con la
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
144
11 11 2010
19:37
Pagina 144
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
In modo imprevisto essa mi ha permesso di guardare a quello che era accaduto andando oltre i dati
dei bollettini della Protezione Civile. Dietro quelle notizie c’erano delle storie umanissime, di dolore, di eroismo, che mi interpellavano e che non mi lasciavano
in pace, non foss’altro che per trovare i riferimenti da
dare a quella ragazza, ma anche e soprattutto perché
dietro quei fatti c’era una domanda che quella ragazza si poneva e poneva a me sul Mistero della vita, cioè
testa protesa e schiacciata sotto il carico, pervenuto all’ultima svoltata, per quanto spingesse gli occhi a guardare in su, non poteva veder la buca che vaneggiava in alto. Curvo, quasi toccando con la fronte lo scalino che gli stava di sopra, e su la cui lubricità la lumierina
vacillante rifletteva appena un fioco lume sanguigno, egli veniva su,
su, su, dal ventre della montagna, senza piacere, anzi pauroso della
prossima liberazione. E non vedeva ancora la buca, che lassù lassù
si apriva come un occhio chiaro, d’una deliziosa chiarità d’argento.
Se ne accorse solo quando fu agli ultimi scalini. Dapprima, quantunque gli paresse strano, pensò che fossero gli estremi barlumi del
giorno. Ma la chiarìa cresceva, cresceva sempre più, come se il sole, che egli aveva pur visto tramontare, fosse rispuntato.
Possibile? Restò – appena sbucato all’aperto – sbalordito. Il carico
gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d’argento. Grande, placida, come in un fresco
luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna. Sì, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non
si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in
cielo ci fosse la Luna? Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal
ventre della terra, egli la scopriva.
Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola,
eccola là, eccola là, la Luna... C’era la Luna! la Luna! E Ciàula si
mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per
lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora
piena del suo stupore».
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 145
DALL’ESPERIENZA ALLA CONOSCENZA
145
di quello che stava accedendo lì a quelle persone, in
quella circostanza.
Altro esempio: ogni anno arriva il rapporto Svimez,
per lo più analisi trite e ritrite sul Sud in difficoltà.
In mezzo alle cose ovvie quest’anno c’era qualcosa
di interessante: negli ultimi dieci anni c’è stata una
emorragia di giovani dal Sud al Nord, di circa 700.000
unità.
Anche qui una notizia come tante. Sennonché ne
parliamo in redazione col collega che siede di fronte
a me, che ha come me la figlia che studia al Nord.
La notizia arriva su un terreno arato. Ci accorgiamo che non stiamo parlando appena di una statistica,
ma di qualcosa che ci tocca personalmente, che dietro ogni giovane che va via c’è una storia, c’è una famiglia, noi stessi verifichiamo le diverse sfaccettature
di quel problema. Allora non si tratta appena di dare
la notizia, proviamo a capire: ma perché se ne vanno?
Perché dopo essere andati via non tornano? E noi cosa possiamo fare? E chi resta che fa?
Così a dicembre insieme ai miei colleghi decidiamo
di dedicare a questi temi i quattro inserti di fine anno che usualmente prepariamo al giornale. Tante volte avevamo parlato di questi argomenti, ma solo quando una luce nuova ha illuminato il nostro sguardo e
ha squarciato il velo della routine, abbiamo cominciato
a intuire, a conoscere quel fenomeno.
Dire che la conoscenza è sempre un avvenimento,
significa che tra me e la realtà c’è sempre bisogno di
un evento che la illumini e me ne faccia scoprire i tratti imprevisti, c’è bisogno che mi porti «faccia a faccia
con la Luna», che rischiari la notte della mia cono-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
146
11 11 2010
19:37
Pagina 146
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
scenza. Citando Pirandello possiamo dire: «sì, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva».
Solo quando ci capita questa esperienza straordinaria
di scoprire la realtà cominciamo a conoscerla e ad
amarla, perché la conoscenza è sempre insieme frutto
di intelligenza e di affezione.
Nel momento in cui conosce uno si affeziona, nel
momento in cui si affeziona ha desiderio di conoscere sempre di più. Vi auguro questa intelligenza della
realtà, che sia piena di stupore e di affezione verso il
reale, perché questo vi renderà capaci di affrontare tutto nella vita.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 147
Giancarlo Anselmino*
L’evoluzione del mercato globale:
le nuove sfide per la conoscenza
Anselmino: Vi ringrazio per la vostra presenza e
per il fatto che ci teniate a conoscere un po’ la mia
esperienza che potrebbe anche essere simile alla vostra nei prossimi anni.
Ruggeri: Desidero introdurvi brevemente a questo incontro con Giancarlo, un amico che conosco da venticinque anni e con cui collaboro ancora oggi. Vorrei
sottolineare che negli ultimi vent’anni la realtà industriale
in generale e del nostro settore in particolare è molto
cambiata. Negli anni ottanta la nostra azienda operava ancora prevalentemente a livello nazionale, il nostro
principale cliente era il Ministero della Difesa Aeronautica. C’era una attività molto significativa di supporto
alla flotta dei velivoli dell’Aeronautica Militare, con
contratti di revisione e di aggiornamento configurativo. In quel periodo abbiamo avviato lo sviluppo di un
nuovo caccia denominato AM-X, con la partecipazione di Aermacchi e della società brasiliana Embraer.
*
Incontro tenuto presso Camplus Lingotto – Torino, il 21 giugno 2010; Giancarlo Anselmino è Ingegnere e Direttore di Alenia
Aeronautica; l’incontro vede come moderatore l’Ing. Vittorio Ruggeri, Vicedirettore della Qualità di Alenia Aronautica.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
148
11 11 2010
19:37
Pagina 148
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Anselmino: Questo Programma è stato, per noi progettisti, una grande palestra di addestramento, abbiamo iniziato a confrontarci con una realtà internazionale.
Ruggeri: In quel periodo negli stabilimenti di Torino e Caselle si faceva un po’ di tutto: progettazione,
prove, produzione, assistenza clienti: tutto il ciclo di
vita del prodotto. Da questo periodo e con una forte
accelerazione negli anni successivi, sono avvenuti grandi cambiamenti. Agli inizi degli anni ’90 ci fu una grave crisi internazionale del trasporto aereo e dell’industria del settore aeronautico. Colossi del calibro di
Pan American o McDonnell Douglas, sono letteralmente stati travolti da quella crisi e sono scomparsi o
assorbiti da altre aziende. Ci fu quindi una sorta di
“razionalizzazione” del settore, che comportò la riduzione ed accorpamento di varie imprese, per poter
continuare a competere. Fu proprio durante questo periodo che la nostra azienda – che allora si chiamava
Aeritalia – si unì ad altre realtà industriali (Selenia) e
cambiò anche nome: nacque Alenia Aeronautica. Iniziò anche un’integrazione con altre aziende dell’area
campana, pugliese, veneta e successivamente anche
con un’azienda lombarda. Da allora cambiò lo scenario dell’organizzazione del lavoro. A motivo dei sempre più ridotti fondi disponibili all’Amministrazione della Difesa, l’azienda dovette necessariamente provvedere
a una razionalizzazione del comparto, attraverso un piano industriale, per ridurre duplicazioni e creare centri di eccellenza per competere in un mercato non più
solo prevalentemente nazionale ma anche internazio-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 149
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO GLOBALE
149
nale. Si strinsero nuove alleanze ed accordi, sempre a
più ampio spettro, con costruttori francesi, tedeschi,
inglesi, statunitensi, russi, turchi, cinesi, indiani e arabi. Pertanto oggi operiamo in un mercato globale e la
nostra realtà si confronta in un contesto internazionale. Questo comporta nuove sfide e spesso la necessità di cambiamenti. Dopo questa premessa, a Giancarlo pongo questa domanda: cosa ha significato per
te affrontare questa realtà in continuo cambiamento,
quali sfide ha rappresentato?
Anselmino: per rispondere a questa domanda, partirei dalla fine e cioè vorrei parlare dell’attività che mi
ha visto molto impegnato ultimamente.
Negli ultimi due o tre mesi infatti abbiamo negoziato, con un mio team ed un team statunitense, la definizione delle partecipazioni industriali del programma F35, che è l’unico programma di sviluppo di velivolo da difesa moderno, di quinta generazione, del
mondo occidentale. A questo programma americano
partecipano nove Nazioni del mondo occidentale, tra
le quali Italia, Gran Bretagna, Canada e Australia e questo fa capire il livello di integrazione industriale che il
mondo aeronautico ha raggiunto. Riallacciandomi a
quanto precedentemente detto da Vittorio, la sfida attuale, nel mondo della difesa, ma che possiamo dire
in tutta tranquillità coinvolga l’intero mondo industriale, è la capacità delle aziende di rispondere alle
esigenze del cliente a costi competitivi. La differenza
sostanziale rispetto al passato è che l’azienda fino a poco tempo fa proponeva al cliente un determinato prodotto, che veniva acquistato dal cliente con caratteri-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
150
11 11 2010
19:37
Pagina 150
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
stiche definite – e qui posso citare l’AM-X, per fare
un esempio concreto – mentre attualmente è necessario pensare di fornire un servizio completo nell’ottica
di assicurare tutte le capacità operative necessarie ai
nostri clienti. In seguito si è passati all’Eurofighter, un
grande programma europeo, che ha permesso una notevole crescita industriale in Italia, Gran Bretagna,
Germania e Spagna. In passato mi occupavo di progettare sistemi, adesso invece sono coinvolto in una negoziazione difficile, anche perché il Governo Americano, giustamente, protegge e difende molto le conoscenze e le capacità acquisite in questo campo. Obiettivo delle aziende è infatti quello di sviluppare la capacità di mantenere un’ingegneria che sia in grado di
progettare nuovi prodotti a livello di integrazione completa, poiché, come potete immaginare, un velivolo è
un sistema di estrema complessità e questo implica conoscenze che non sono sempre a disposizione di tutti. Per fare un esempio l’Eurofighter e l’ F35 sono macchine che hanno un network di computer molto complesso per la gestione dei sistemi di bordo. In particolare l’Eurofighter ha circa cinquanta computer con
più di centoventi microprocessori, network con sistemi integrati e con parecchie milioni di linee di codice per il volo. Come si potrà facilmente intuire, per
sviluppare un sistema così complesso occorre una capacità sistemistica altamente evoluta, che noi come
Italiani, naturalmente, vogliamo conservare e sviluppare.
In effetti se si osserva il panorama mondiale delle
aziende che possiedono capacità sistemistiche di progettazione a livello completo di un velivolo, sono davvero poche. Quindi l’attuale sfida, anche nei confron-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 151
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO GLOBALE
151
ti degli Americani, è quella di poter partecipare insieme
a loro al progetto per perpetuare questa tradizione e
rimanere un’azienda con tutte le capacità e le conoscenze necessarie a renderla centro di eccellenza di questo settore a livello mondiale. Per poter mantenere le
conoscenze e continuare a svilupparle, è importante uno
scambio continuo col mondo esterno, per cercare di
capire cosa fanno gli altri, riuscire a collaborare con
altri, per potersi così rafforzare, implementando le risorse disponibili e facendo progredire il nostro capitale umano. Si apre perciò un grande dibattito sulla
conoscenza: cosa sia per l’azienda, dove risieda e perché essa sia così importante. In un’azienda si cerca di
oggettivare la conoscenza trasferendola nei processi, nelle procedure che ci si impone, nell’esperienza acquisita che viene trascritta nei processi. Però il vero motore, la base, il fondamento della conoscenza è sempre l’individuo, la persona, colui che in quel momento svolge l’attività, che interagisce con altre persone,
che si è confrontato a livello internazionale con altri
esperti e che, attraverso il suo interesse, la sua attenzione, la sua cura, permette al prodotto del suo lavoro di trasformarsi in un oggetto ad altissimo contenuto
tecnologico. Quindi il vero capitale di un’azienda sono le risorse umane, le persone che lavorano con te,
che vanno valorizzate, ma anche protette preservando
il loro know-how all’interno e anzi, proponendo l’azienda stessa come luogo dove si pratica l’attività, per
mantenere agile la loro mente. Per esempio adesso noi
abbiamo prodotto l’Eurofighter e in seguito ai contatti
e scambi internazionali intercorsi con le aziende partner, per concorrere alla produzione del velivolo, ab-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
152
11 11 2010
19:37
Pagina 152
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
biamo acquisito importanti conoscenze in Europa: ci
siamo potuti confrontare con Inglesi, Tedeschi, Spagnoli e insieme a loro abbiamo prodotto un sistema
integrato. In seguito all’esperienza maturata in quest’occasione, abbiamo potuto partecipare anche a programmi civili tipo il 787, che è il primo velivolo commerciale con strutture costruite completamente in fibra di carbonio, sviluppato da Boeing con Alenia ed
altri partner Giapponesi. Le conoscenze maturate nel
settore militare, le nostre risorse e tutto il nostro skill
è stato messo a disposizione del progetto 787, di cui
produciamo il 14 per cento dell’intero velivolo. Quindi la conoscenza e la capacità di fare cose nuove sono il fondamento della nostra competitività e rivestono un’importanza cruciale in questo particolare contesto economico mondiale. Come giustamente diceva
poco fa Vittorio, ci sono i paesi emergenti, c’è un mercato globale e quindi è necessario sviluppare processi, che il mercato dei paesi cosiddetti low cost, come
quello cinese oppure indiano, non riesce ancora a produrre. Per esempio, in Italia non è più conveniente costruire aerostrutture in metallo chiodato, perché questo tipo di lavorazione è ormai di conoscenza mondialmente diffusa e vi sono dei paesi che sostengono
costi di mano d’opera decisamente inferiori al nostro,
quindi ci si deve indirizzare verso prodotti innovativi,
poco conosciuti, che offrano un vantaggio competitivo sia come prestazioni sia come costi. Il 787 ne è un
chiaro esempio. Mentre le strutture aeronautiche un
tempo erano costituite da ordinate rivestite di lamiere
chiodate, con lavorazioni distribuite su molte parti, sul
787 si costruisce un intero troncone di fusoliera, di cir-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 153
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO GLOBALE
153
ca otto metri di diametro per dieci metri di lunghezza, automaticamente, avvolgendo un nastro di fibra di
carbonio con sofisticati macchinari attorno a un cilindro del diametro della fusoliera. Questa struttura verrà posta in autoclave per un ciclo di cura e da qui uscirà il prodotto finito. Quindi noi dove abbiamo spostato
l’utilizzo delle risorse? Non sulla produzione, ma sull’integrazione, sulla conoscenza. L’esperienza degli ultimi anni nel settore militare e nel settore civile ci inducono sempre di più a dover investire nel nuovo, nell’innovazione, nel fare quello che il mercato richiede
in un modo diverso per essere competitivi.
Ruggeri: Vorrei ora sottolineare con te una caratteristica, sempre più normale e necessaria nello stile di
lavoro di oggi. È il lavoro in team. Pensate cosa significa lavorare fianco a fianco con persone che provengono da tradizioni e mentalità diverse. I colleghi
napoletani o pugliesi sono diversi dai piemontesi, lombardi o veneti. Questo per quanto riguarda lo scenario delle nostre realtà nazionali. Ma poi, quando si tratta di affiancare Tedeschi, Francesi, Inglesi, Spagnoli,
Americani, Russi, Turchi o Arabi, le differenze culturali e di sensibilità delle persone cambiano molto. Voglio dire che diventa importante la conoscenza delle
lingue e una capacità relazionale. Per spiegare l’importanza del lavoro di team vorrei fare un esempio,
raccontando un aneddoto che riguarda proprio Giancarlo quando lavorava ancora come Progettista. Si stava preparando il primo volo del caccia Eurofighter. Come già è stato detto, questo velivolo è particolarmente innovativo e complesso. Pensate che la stabilità del
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
154
11 11 2010
19:37
Pagina 154
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
velivolo è assicurata, istante per istante artificialmente grazie a computer che presiedono la gestione del
volo; pensate a un’ala progettata e realizzata in fibra
di carbonio, per ridurre il peso. Quando si è trattato
di mandare in volo questo gioiello tecnologico, pur
avendo effettuato prima molte prove in laboratorio,
aleggiava tuttavia una certa apprensione, circa il fatto
che tutto potesse svolgersi regolarmente e senza incidenti. Si trattava di garantire la sicurezza del pilota collaudatore. Ricordo che Giancarlo, in quei giorni, da
mattina a sera, stava a fianco degli specialisti, degli operai esperti e dei piloti collaudatori per risolvere i numerosi problemi ancora aperti, prima del volo. Venne
il momento tanto atteso. Tutti eravamo in apprensione. Quando il nostro capo collaudatore decollò, tirammo un respiro di sollievo e fu un momento di
grande soddisfazione per tutti, perché il volo andò benissimo. Quando scese, dopo gli abbracci, i complimenti ed i primi commenti entusiastici sulle qualità del
nuovo velivolo, il pilota collaudatore davanti a tutti disse: «ringrazio tutti voi per l’ottimo lavoro svolto, ma
devo ringraziare in modo particolare una persona qui
presente: Anselmino. Perché prima del volo, mi è sempre stato a fianco e mi ha trasmesso fiducia e sicurezza». Il pilota aveva trovato in Giancarlo una persona che, attraverso un lavoro quotidiano, umile, di
analisi, prove e controlli, aveva saputo creare un clima di fiducia. Questo episodio introduce bene un fattore sempre più importante e decisivo nel lavoro di
oggi: il lavoro di squadra, la collaborazione con i colleghi più diversi, la capacità di integrare molti aspetti che concorrono ad un comune obiettivo.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 155
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO GLOBALE
155
Anselmino: Vittorio, ti ringrazio perché mi ricordi
che il primo volo di un velivolo così complesso come
l’Eurofighter accade poche volte nell’arco di una vita
professionale. Questo velivolo costituisce per l’azienda e per le nazioni europee un grande valore, cruciale per un’azienda perché si tratta di un programma il
cui sviluppo procede anche per molti anni successivi
alla fase sperimentale e prototipica del prodotto, per
poter mantenere le capacità operative sempre allo stato dell’arte. Allora si inizia a lavorare, a presentare il
sistema con le relative specifiche, si va dai fornitori, si
cerca di capire se riescono a fornire gli equipaggiamenti
specifici necessari, insomma, si sviluppa tutta un’attività teorico-pratica, percentualmente più teorica in
quanto progettuale, e si spera che le cose procedano
sempre per il verso giusto per giungere alla realizzazione del progetto. L’Eurofighter, come detto, è un sistema particolarmente complesso proprio per i requisiti e per la sua architettura e lo sviluppo di tale progetto, ha permesso all’industria europea di crescere
insieme a noi. I padri fondatori l’avevano ideato come un sistema molto integrato però diviso per responsabilità: per esempio l’Alenia Aeronautica è responsabile di alcuni sistemi, come il sistema di potenza
secondaria o quello della navigazione. Come l’integrazione di questi sistemi con gli altri potesse realmente
avvenire con il contributo delle altre aziende, devo
ammettere, è sempre stato motivo di preoccupazione.
La finalità era di realizzare un progetto innovativo che
consentisse una crescita tecnologica di tutte le aziende dei paesi partecipanti. Dato che si trattava di qualcosa di veramente complesso, ricordo che un mio col-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
156
11 11 2010
19:37
Pagina 156
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
laboratore diceva: «Guarda, solo Dio sa come far funzionare una cosa del genere».
Tornando all’esperienza del primo volo Eurofighter
devo ammettere che ho avuto la grande fortuna di occuparmi dello sviluppo dei sistemi generali e di propulsione che sono essenziali per la condotta del volo.
Le relazioni di scambio di conoscenze tecniche avvenute in quegli anni con Tedeschi e Inglesi, mi permisero di imparare molto: ricordo per esempio che c’era un signore inglese che lavorava nel mio gruppo, era
già di una certa età, forse proprio in seguito ad una
grande esperienza lavorativa maturata nel corso degli
anni, avendo un forte interesse affinché le cose funzionassero, mi poneva le domande e cercava per me
le risposte. Il bagaglio di conoscenze che ho potuto
acquisire in quel periodo mi è proprio provenuto dalle persone, dall’incontro con esse e dall’intenso scambio di esperienze che ne è derivato: tutto questo naturalmente soprattutto con il mio team di preparazione al volo. Io conoscevo bene la teoria, ma i meccanici con cui avevo occasione di lavorare avevano un’esperienza pratica incredibile! Infatti inizi a provare su
certi impianti, poi le cose di solito non funzionano mai
come sulla carta. E allora occorreva capire dove il
meccanismo si “inceppava”, verificare se il requisito fosse sbagliato, se il resto del velivolo era stato realizzato in modo corretto e via discorrendo fino all’individuazione del guasto o del motivo dell’insuccesso. È stato importantissimo, oserei dire fondamentale, stabilire un rapporto con i meccanici che collaboravano con
me. Si trascorrevano ore ed ore insieme, addirittura turni di ventiquattro ore, giorno e notte. Con loro si è
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 157
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO GLOBALE
157
davvero instaurato un rapporto di fiducia reciproca in
cui io cercavo di dare il mio contributo teorico, però
ammetto che spesso la soluzione giungeva da loro,
dalla loro esperienza, grazie alla quale io avrei potuto
raggiungere l’obiettivo e che allo stesso tempo arricchiva e ampliava le mie conoscenze, permettendomi di
imparare cose che forse avrei dovuto sapere, ma che
praticamente non sapevo. In sintesi, il momento più
esaltante è quello di far volare un velivolo e soprattutto che tutto ciò accade e passa attraverso il lavoro
di gruppo e la fiducia reciproca: questo secondo me
è la cosa che mi ha fatto crescere di più.
Ruggeri: Giancarlo svolge in azienda un lavoro di
grande responsabilità: anche lo stesso stabilimento di
Caselle lavora alle sue dipendenze. Gli chiedo se vuol
raccontare qualche episodio significativo, da cui ha
imparato qualcosa di nuovo.
Anselmino: Ho iniziato i miei studi al Politecnico frequentando i corsi di Ingegneria meccanica, poiché questo era un argomento che mi appassionava e poi, a dire il vero, avevo anche trafficato un po’ in meccanica
ed ero appassionato di automobilismo. Mi piaceva il
«Poli», quindi ho scelto l’indirizzo automobilistico. Terminati gli studi, un po’ per pura casualità – ero già stato assunto in Fiat e avrei dovuto trasferirmi al Sud in
seguito all’apertura di nuovi stabilimenti, ma non ci sono andato, anche perché la mia ragazza di allora, la mia
attuale moglie è piemontese e insomma, per una scelta più di luogo, che di attività – ho iniziato a fare il
progettista in Alenia, all’epoca Aeritalia. Mi piaceva
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
158
11 11 2010
19:37
Pagina 158
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
molto anche perché riconoscevo nella progettazione
l’attività che più si confaceva alla mia indole. Poi pian
piano ho iniziato ad occuparmi dell’integrazione dei sistemi, ho seguito la preparazione del primo volo del
velivolo Eurofighter e poi sono stato avviato alla gestione dei programmi. Gestire i programmi significa gestire processi cioè attività e persone. Anche quando si
trattano aspetti tecnici, inevitabilmente ci si trova comunque a dover gestire relazioni personali. Quindi ci
sono i processi, le attività, le persone e la gestione dei
programmi diventa quindi una gestione trasversale che
tocca non solo enti diversi all’interno dell’azienda, ma
coinvolge moltissime persone ed i rapporti con le quali non sempre sono cordiali, ma possono talvolta rappresentare un ulteriore problema da affrontare e risolvere. «Gestione programmi» significa quindi integrazione di processi, persone e problematiche di vario genere. Quando ho iniziato ad affrontare questi aspetti,
il mio approccio – da buon ingegnere – era quello di
difendere a spada tratta tutto ciò che ritenevo fosse giusto. In progettazione, l’approccio è quello di essere sicuri e certi del proprio progetto e del proprio prodotto
così da difenderlo a spada tratta, affrontando anche vari livelli di tensione: io ero uno che si scaldava abbastanza facilmente con i vari interlocutori!
A tal proposito, vorrei raccontare un’importante esperienza di vita, un insegnamento che ho ricevuto proprio in ambiente lavorativo. A quel tempo ero diventato assistente del Responsabile del programma AM-X,
questi era una persona di grande levatura umana e professionale. Ero stato affiancato a lui per essergli di supporto poiché il programma era in difficoltà. Lui era già
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 159
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO GLOBALE
159
prossimo alla pensione, aveva più di sessant’anni ed
era stato chiamato per risolvere i problemi, mentre io
ero pieno di energie da spendere per la buona riuscita del programma. Nei primi tempi, devo ammettere
che il suo comportamento mi lasciava a dir poco allibito. Nella stessa giornata riceveva nel suo ufficio diverse persone che trattavano lo stesso problema, ciascuno
di loro non soltanto sosteneva una tesi diversa ma anche in netto contrasto rispetto alla persona precedente. Lui ascoltava, recepiva e sebbene talvolta fossi sicuro che non fosse d’accordo con la persona che aveva di fronte, non l’ho mai sentito dire: «no, le cose non
stanno così!». Lui non diceva mai di no a nessuno e
io mi domandavo come facesse poi a sistemare tutte queste cose ed a combinarle fra loro! L’ho capito solo in
seguito. Come per miracolo le cose ad un certo punto
prendevano la giusta piega, si incanalavano e tutto questo senza che lui avesse detto di no a qualcuno! Tutto
si risolveva nel modo giusto: quello che lui voleva, quello che da sempre aveva in mente! Con questo modo
saggio ed equilibrato di interagire con le persone, lui
ha sempre ricevuto la collaborazione di tutti. La sua ragione stava nell’ascoltare tutti, magari convincendo a volte, ma mai e poi mai dicendo di no. Questa è stata anche l’esperienza che cerco di applicare anche con i miei
collaboratori, con i miei interlocutori sia in azienda che
a livello internazionale. Le negoziazioni sono trattative
lunghe e molto spesso difficili, ma si tratta sempre di
rapporti in cui è necessario ascoltare, mantenere una
stima reciproca ed evitare atteggiamenti di ostilità. Proprio attraverso l’apertura nei confronti della persona che
ti sta di fronte, anche fosse un avversario, si predispo-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
160
11 11 2010
19:37
Pagina 160
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
ne l’interlocutore ad un atteggiamento positivo per affrontare meglio la questione da dirimere. Questa è la
mia esperienza professionale di intermediazione.
Intervento: Pensando anche a loro che fanno l’università, ero curiosa proprio riguardo alla partenza: se
ho ben capito, lei viene da una famiglia che proprio non
aveva nulla a che fare con l’ingegneria. Volevo chiederle
quali erano stati gli spunti per cui lei ha deciso di seguire un certo interesse, cosa l’ha mossa nel suo percorso di scelta sia universitaria che post-universitaria e
poi, anche per loro, cosa è più importante tener presente nello stare alla realtà, cioè alla realtà degli studi
e anche del dopo, che comunque spesso è anche pressante, perché fare il «Poli» è comunque impegnativo.
Anselmino: Dopo la licenza media, si imponeva una
scelta: quale iter di studi seguire, quale diploma cercare di ottenere. I miei genitori sarebbero stati più propensi ad un’istruzione agraria o al più quella di un istituto tecnico, ma allora avevo un carissimo amico che
aveva scelto il liceo scientifico e così decisi di seguirlo e presi il diploma di maturità scientifica. I miei genitori, essendo proprietari di un’azienda agricola, mi
chiesero di fare una scelta: lavorare con loro oppure
proseguire gli studi. Mi dissi «proviamo a continuare
gli studi». L’indirizzo di studi era quello giusto, perché insomma la meccanica mi piaceva e le automobili pure! Leggevo moltissime riviste specializzate e non
so neppure se adesso esistano ancora: «Rombo» e
«Auto sprint». La meccanica quindi era una passione:
la mia passione! È andata abbastanza bene tutto som-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 161
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO GLOBALE
161
mato, con calma, senza stressarmi troppo, ho impiegato sei anni per laurearmi.
Intervento: Notevole! «Senza stressarmi troppo» è
notevole...
Anselmino: Lo studio delle materie scientifiche mi
risultava abbastanza facile, poi forse, anche un po’
sbagliando, ho scelto un piano di studi abbastanza facile, pensando che avere una base generica mi avrebbe consentito di entrare presto nel mondo del lavoro:
ho fatto esami ad indirizzo automobilistico di mio interesse. Una cosa che non rifarei più – sto sorvegliando
mia figlia che non commetta lo stesso mio errore – ho
scelto le materie più facili e gli esami più semplici! Però nel complesso è andata bene. Poi ho chiesto e preparato una tesi abbastanza difficile per l’epoca, per poter imparare qualcosa con il computer sul calcolo con
gli elementi finiti. In Fiat ho conosciuto una persona
importante che mi ha aiutato molto per la tesi ed alla fine è risultato quasi naturale per me chiedere di
essere inserito in Fiat. Parallelamente ho ricevuto anche una proposta da Alenia e poiché la mia ragazza
era dispiaciuta di un eventuale mio trasferimento al
Sud, ho scelto l’Alenia. Quindi, quasi per caso, mi sono trovato coinvolto con questo tipo di attività. Ricordo
di aver dovuto dimostrare una grande flessibilità nel
sapermi adeguare alle nuove situazioni che mi si prospettavano, accettando il cambiamento, consapevole
del fatto che certamente il nuovo percorso non sarebbe
stato di minore soddisfazione. Il mio consiglio sempre
più consapevole è quindi quello di essere aperti ai
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
162
11 11 2010
19:37
Pagina 162
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
cambiamenti e di giudicarli in modo obiettivo pensando
che la nuova strada poi porterà alle stesse soddisfazioni.
In questo mi aiutano molto amici come Vittorio.
Intervento: Lei ha parlato prima di interesse delle
aziende a valorizzare le risorse umane; uno studente
come me, appena uscito dall’Università, o come loro,
che stanno ancora studiando, come può interagire con
le aziende? Ho capito che è importante che l’università investa nei rapporti con le aziende proprio per aiutare gli studenti a conoscere meglio il mondo del lavoro, ma a volte, noto, questo accade secondo stereotipi
non sempre esattamente corrispondenti alla realtà delle cose. Per esempio, io non sapevo minimamente che
cosa volesse dire. Iniziare a lavorare rappresenta un
cambiamento della vita. Quindi volevo chiederle: le
aziende, nell’ottica di salvaguardare le risorse umane,
anche quelle che stanno per entrare nel mondo del lavoro, come si stanno muovendo nei confronti dell’università? Qualcosa ho visto, però volevo capire se c’è
qualche investimento in atto, magari non solo in termini economici. C’è un interesse in questo senso? Ho
fatto un tirocinio al terzo anno, che mi ha facilitato
molto per capire cosa volesse dire entrare nel mondo
del lavoro, anche se poi dopo due anni ho perso i contatti con questa realtà. Mi chiedo se dobbiamo essere
noi a muoverci o devono essere le aziende.
Anselmino: Credo che su questo punto in Italia ci
sia ancora molto da lavorare. Rispetto ai miei tempi,
le aziende al giorno d’oggi, come Alenia o come tutte le aziende che fanno parte della holding Finmecca-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 163
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO GLOBALE
163
nica, hanno dei rapporti molto più puntuali e vi sono
opportunità di partecipazione a stage anche per gli studenti. Proprio in seguito ai legami molto più saldi che
si sono venuti a creare fra università e azienda, gli studenti hanno l’opportunità di entrare, come credo sia
successo a te. Certo, le aziende seguono l’andamento
economico ed in relazione ad esso ci possono essere
momenti di maggiore contrazione in cui occorra risparmiare e dove l’ingresso dei giovani potrebbe risultare meno incentivato. Nonostante tutto, data l’importanza che riveste l’argomento per la nostra azienda, vi sono sempre possibilità di stage universitari e in
azienda. Esistono poi esperienze anche a livello internazionale. Ne sono un esempio concreto i ragazzi greci che ci proponiamo di formare al fine di poter creare relazioni durature con le aziende del luogo d’origine per poter proporre meglio il nostro prodotto. La stessa cosa avviene con la Turchia e gli Stati Uniti.
Intervento: Alenia Aeronautica collabora con diverse altre aziende come Boeing, Sukhoi, British Aerospace. Volevo chiederle perché oggi non è più possibile che il progetto di un velivolo sia realizzato da
una sola azienda? Perché un’azienda oggi non può
farsi carico di un intero progetto?
Anselmino: Essenzialmente si tratta di un problema
economico, perché l’investimento nel mondo militare
su programmi così avanzati come l’Eurofighter o F35
richiede finanziamenti ingenti, difficilmente sostenibili da una sola azienda o Nazione. È quindi giocoforza collaborare con altre aziende e Nazioni, soprattut-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
164
11 11 2010
19:37
Pagina 164
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
to per le attività di sviluppo, che noi chiamiamo «non
ricorrente». La fase non ricorrente è quella in cui si
concepisce un progetto, un prodotto, lo si sviluppa,
lo si integra e poi, una volta che il progetto è maturo, lo si industrializza, cioè si progetta il sistema produttivo per realizzarlo in serie. Tutta questa fase richiede uno sforzo enorme in termini di risorse umane e finanziarie: si tratta di affrontare costi molto elevati, dell’ordine di migliaia di milioni di euro. Da qui
nasce la necessità di collaborazioni e coalizioni. La stessa cosa succede per quanto riguarda il mondo delle aerostrutture civili. Per i grandi programmi, Boeing ci ha
proposto di investire una quota pari in percentuale all’ammontare del valore delle parti costruite (14 per
cento di quota). Per contro, con tale investimento ci
siamo assicurati attività per i prossimi venti anni!
Adesso anche il mercato delle aerostrutture dei velivoli civili è un po’ pazzo e scommette molto sull’innovazione; per nostra fortuna ancora prima di volare
il velivolo 787 aveva già ottenuto circa 800 ordini.
Quindi c’è necessità di sostenere un grande investimento che neanche aziende delle proporzioni di Boeing
possono affrontare singolarmente. Questa però diventa una grande opportunità per molte aziende e anche
per gli stessi Americani, che, sebbene siano i più bravi al mondo, hanno modo di conoscere anche i nostri
processi e metodi di lavoro. È quindi interesse reciproco poter suddividere le spese e allo stesso tempo
poter incrementare le conoscenze.
Ruggeri: C’è un aspetto molto interessante da considerare. Nel progetto del caccia Eurofighter, l’Italia
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 165
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO GLOBALE
165
ha partecipato con una quota pari a circa il venti per
cento dell’intero investimento. Con tale quota però si
è partecipato allo sviluppo dell’intero velivolo: una conoscenza tecnologica pari al cento per cento. Visto le
cifre in gioco, le alleanze rappresentano una strada
inevitabile e fruttuosa.
Anselmino: Questo poi permette di progredire e di
stare sulla frontiera tecnologica. Tutte le nostre conoscenze su un sistema di gestione del volo via computer, sistema alquanto complesso, le abbiamo sviluppate sull’Eurofighter insieme a Inglesi e Tedeschi e ora
vengono utilizzate su altri prodotti per i quali magari
ci candidiamo da soli o con pochi altri. La frontiera
nostra attuale è quella del velivolo non pilotato e questo crediamo abbia un’ipotesi di mercato molto importante sia da un punto di vista militare che civile.
Se non avessimo prodotto l’Eurofighter non saremmo
stati in grado di far volare queste macchine. Poi, in
effetti certe dinamiche sono di difficile comprensione,
in quanto si possono creare alleanze su certi progetti,
per esempio con Tedeschi e Inglesi con cui ci troviamo a competere per altri progetti. Anche la gestione
dell’informazione e della conoscenza è di primaria importanza.
Ruggeri: In Alenia abbiamo sviluppato un dimostratore tecnologico dotato di un motore diesel derivato dal modello utilizzato per l’auto Alfa Romeo 156
JTD. È qualcosa di abbastanza inusuale. Comunque
proprio oggi i funzionari dell’ente di certificazione aeronautico ENAC, hanno comunicato che dopo 43 an-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
166
11 11 2010
19:37
Pagina 166
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
ni, questo è il primo nuovo motore sviluppato e certificato in Italia. Questo è significativo e apre nuove
prospettive.
Anselmino: Questa cosa mi ha molto affascinato e
per un certo periodo me ne sono persino occupato,
in parte perché me ne avevano affidato la responsabilità di programma, poi la responsabilità del progetto è stato riportata in Ingegneria perché il prodotto
non era ancora abbastanza maturo, però ho partecipato alle riunioni e l’argomento mi interessava molto.
Ruggeri: Perché un motore diesel? Perché è un motore economico e robusto, valido per certe applicazioni.
Con esso un nostro dimostratore ha volato per otto
ore consecutive.
Anselmino: Sul diesel abbiamo contattato anche la
Ferrari, Piero Landi Ferrari che ha anche una partecipazione importante in Piaggio, azienda aeronautica
ligure. C’è bisogno anche di innovazione in un settore in cui si immagina non ci sia più nulla da scoprire, invece utilizzare un motore diesel a 50mila piedi
di altezza come ci si può ben immaginare significa rimettere in discussione tutto, la gestione dei compressori, la gestione dei materiali e quindi del controllo,
eccetera… Quindi, anche un motore diesel diventa un
oggetto di innovazione importante.
Intervento: Potreste accennare qualcosa in merito ai
progetti UAV (i nuovi velivoli senza pilota), tipo SkyX e Sky-Y? Dal punto di vista etico la vendita di que-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 167
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO GLOBALE
167
sti velivoli è riservata a tutti coloro che hanno i soldi
per comprarli oppure c’è qualche restrizione?
Anselmino: Mi aspettavo questa domanda. Ho iniziato a lavorare in Alenia nel settore dei velivoli militari senza crearmi particolari problemi, poiché ho sempre pensato che comunque questi velivoli sarebbero stati utilizzati per la difesa della nazione, quindi da una
repubblica progredita ed avanzata. La prima volta in
cui mi sono davvero soffermato a riflettere sull’uso dei
velivoli di nostra produzione e mi sono posto la domanda «sarà giusto o meno?» è stato in occasione l’intervento degli AM-X nella guerra in Kosovo. In Kosovo ho visto dei posti che avevo visitato prima della
guerra, luoghi dove erano impegnate le nostre truppe
e le nostre macchine, inserite nella cosiddetta operazione di polizia internazionale, con scopi benevoli – o
quanto meno questa è l’opinione comune del mondo
occidentale –, perciò, anche se da un punto di vista etico lo ritenevo giusto, vedere questa realtà con i miei
occhi mi ha colpito profondamente! È stato davvero
impressionante vedere le nostre macchine impegnate in
azioni di guerra, anche se razionalmente, approvavo
dal punto di vista etico, il loro utilizzo da parte della
NATO. Per quanto riguarda invece la vendita di sistemi
di velivoli ai vari paesi, è un discorso molto delicato,
che viene valutato approfonditamente in accordo e nel
pieno rispetto delle disposizioni NATO.
Ruggeri: Questi dimostratori rappresentano il punto di frontiera tecnologicamente più avanzato, per il
quale anche la azienda sta investendo molto. Lo Sky-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
168
11 11 2010
19:37
Pagina 168
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
X ha un propulsore a getto con prestazione di volo
significative. Permette di esplorare le capacità di volo
di velivoli simili ai caccia. Questo dimostratore ci ha
permesso di partecipare, con una base di conoscenza
già acquisita, ad un programma europeo a conduzione francese. Grazie alla nostra esperienza e con il supporto governativo, partecipiamo a questo importante
progetto in qualità di partner primari. Questo nuovo
dimostratore, denominato Neuron, è in fase di avanzata realizzazione ed il prototipo dovrebbe volare tra
circa due anni. Lo Sky-Y è un dimostratore che appartiene ad un’altra categoria di velivoli: quelli normalmente impiegati in operazioni di sorveglianza. Questi velivoli di pattugliamento rimangono in volo per diverse ore. La Protezione Civile è interessata allo sviluppo di velivoli con queste caratteristiche. Lo Sky-Y
ha l’obbiettivo di dimostrare la capacità di rimanere
in volo a quote di circa dodicimila metri per almeno
dodici ore. Abbiamo volato con questo dimostratore
in un poligono di prova in Svezia, ottenendo buoni risultati ed una certificazione per continuare i voli sperimentali anche Italia. In questi giorni, lo Sky-Y sta volando nei pressi di Decimomannu, in Sardegna. Si
stanno effettuando prove con un sistema di navigazione
sviluppato interamente dalla nostra azienda.
Anselmino: Vorrei ritornare su un punto che collega
il discorso dell’etica con i velivoli non pilotati. In particolare sui velivoli d’attacco tipo Neuron, perché sui
velivoli non pilotati il grosso dell’espansione sarà sui velivoli di sorveglianza per scopi civili, militari, antincendio, eccetera… mentre il Neuron è un velivolo conce-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 169
L’EVOLUZIONE DEL MERCATO GLOBALE
169
pito per entrare in ambienti ostili e distruggere le difese del nemico senza mettere a repentaglio la vita dei nostri ragazzi, dei nostri piloti, dei nostri soldati. Lì sorge il problema etico: come riuscire ad affidare l’indipendenza decisionale di attacco a una macchina, che ha
possibilità di giudicare la situazione in atto solamente
con sistemi elettronici senza mettere in gioco l’intelligenza umana? Per questo il problema etico sui velivoli non pilotati da attacco è ancora molto forte, infatti al
momento non c’è nessuna Nazione, anche fra quelle più
avanzate che abbia già in uso quei sistemi, che abbia
potuto dare o abbia voluto dare un’autonomia totale a
queste macchine – anche se, come sui velivoli civili, la
maggior parte delle volte è l’errore umano che causa le
tragedie. Teoricamente con i sistemi di rilevamento elettronico si è riusciti a fare qualcosa di più oggettivo rispetto alla possibilità di scelta umana, però non si è ancora riusciti a fare il grande passo di dare alla macchina possibilità decisionali. Anche se probabilmente la
fredda valutazione di una macchina da un punto di vista pratico potrebbe essere molto più obiettiva e forse
salverebbe più vite anche nemiche o di civili nemici, però quel passo lì ancora non è stato fatto.
Intervento: Volevo chiudere con una frase che mi ha
molto colpito: quando lei ha detto che è giusto che uno
abbia in mente un’idea, ma essere aperti alla realtà ed
a quello che succede è la cosa fondamentale. Mi sembra che sia proprio un’ipotesi interessante di conoscenza
della realtà, che era proprio il nostro punto di partenza dell’incontro che abbiamo realizzato qui a Camplus.
La ringrazio e ringrazio anche il nostro moderatore.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 170
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 171
Ettore Fiorini*
Un’avventura della fisica
Quando c’è stata una certa pubblicità sui giornali
per il fatto che noi dicevamo che Napoleone non era
stato ucciso, un mio parente mi ha detto: «Ma tu, Ettore, che ti sei sempre occupato di cose del tutto inutili, perché una volta tanto fai qualcosa di utile? Ti senti poco bene?». Vorrei quindi spiegare perché sono arrivato a questa avventura, partendo dai problemi di fisica “inutile” che ho dovuto affrontare, con cui io lavoro. Questa curiosa applicazione è dovuta al fatto che
nelle nostre ricerche ci sono delle tecnologie molto
avanzate, a volte abbastanza sconosciute. Sviluppando
la nostra fisica fondamentale ci siamo accorti che queste tecnologie si potevano applicare con molto successo
anche ad altri argomenti, alcuni di grande interesse.
Per questa ragione, quando Elio Sindoni mi ha gentilmente chiesto di tenere questa conferenza, io avevo
molti dubbi. Poi ho sentito il titolo e mi sono detto
che questa è stata proprio un’avventura per me, e spero lo sia anche per voi. Per me è stata davvero un’avventura, fuori dal mio campo, anche se vi ho lavora* Intervento tenuto presso il Camplus Città Studi di Milano il
14 aprile 2010; Ettore Fiorini è Professore Emerito di Fisica presso l’Università degli Studi di Milano e Accademico dei Lincei.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
172
11 11 2010
19:37
Pagina 172
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
to per un tempo relativamente limitato, con alcuni
miei collaboratori. Perché si è sviluppata questa tecnica? Perché le nostre sono ricerche su eventi rarissimi, come cercare, per esempio, le interazioni del neutrino dal Sole: un’interazione su parecchie centinaia di
tonnellate di materiale ogni giorno – per dare un’idea.
Occorre quindi togliere ogni forma di fondo naturale: la prima sorgente è costituita dai raggi cosmici che
colpiscono la Terra e impedirebbero di fare queste
misure a livello del mare. Bisogna installare l’esperimento sotto terra e i Laboratori Nazionali del Gran
Sasso, molto grandi, permettono di farlo, perché i raggi cosmici si sono fermati in buona parte nello spessore soprastante. Il secondo problema riguarda la radioattività: ogni oggetto è radioattivo, anche noi lo
siamo. Occorrerà quindi cercare di eliminare ogni forma di radioattività e di conseguenza costruire gli esperimenti con grande cura, per evitare che ci sia un effetto radioattivo che copra il processo che stiamo cercando. Una volta introdotta questa eliminazione del
fondo occorrerà ridurre fortemente ogni contributo
della radioattività naturale nei materiali che circondano il rivelatore e nel rivelatore stesso. Occorre cercare, quindi, di eliminare ogni minima presenza di elementi di disturbo. Questo non ha applicazione solo nella fisica – diciamo – “inutile”, ma anche in fisica ambientale, nell’industria, nella fisica medica. Quello di
cui parlerò io, e in cui in cui sono finito per caso, è
una applicazione all’archeometria.
Cominciamo a far vedere un esempio di quello che
ci ha fatto partire per questo curioso e appassionante problema di archeometria. Anche questo ha avuto
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 173
UN’AVVENTURA DELLA FISICA
173
una certa risonanza: ricordo che era stata pubblicata
circa diciannove anni fa circa sul “Washington Post”.
Il problema da studiare era quello del piombo romano.
Il piombo è un materiale pesante, il costo è ragionevole, ma – purtroppo – il piombo ha una radioattività naturale, dovuta al piombo 210. Il piombo 210
è radioattivo e si dimezza in 22,3 anni. Quindi ogni
ventidue anni ce n’è metà. Allora, se si prende del
piombo antico, non necessariamente romano (noi abbiamo utilizzato quello di una nave oneraria magna
romana), questo non conterrà più piombo 210. Chiaramente anche al tempo dei Romani c’era il piombo
210 ed ora non c’è più, però c’è un problema: il
piombo romano non contiene piombo 210, ma non
conterrà magari altro materiale radioattivo che dia fastidio? Abbiamo dovuto quindi compiere delle misure per vedere che il piombo i romani lo facessero veramente bene. Si è cosi constatato che il piombo romano era, dal punto di vista delle impurità radioattive, veramente eccellente.
Per questo abbiamo usato una tecnica che abbiamo sviluppato in collaborazione con l’università di Pavia. In cosa consiste? Abbiamo un fascio di neutroni,
questi producono un nucleo radioattivo e si può osservare l’emissione radioattiva di questo nucleo e in
questa maniera si raggiungono delle sensibilità straordinarie. Nel caso del piombo (che non è il caso dei
capelli di Napoleone) si è raggiunto per la presenza
di Uranio e Torio la sensibilità di 10–12, cioè di un milione di un milione di volte meno degli altri nuclei.
Abbiamo pensato che quello era un pezzo grosso, invece un capello pesa pochissimo dell’ordine di un mil-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
174
11 11 2010
19:37
Pagina 174
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
ligrammo, ma il sistema è così sensibile che potremmo misurare la presenza di arsenico nei capelli di
chiunque. E allora, perché non nei capelli di Napoleone?
L’arsenico si concentra nei capelli, nelle unghie. Naturalmente erano state fatte molte misure (ci sono
quattro articoli su “Nature”) sui capelli di Napoleone. Però – devo dire – alcune misure erano fatte anche bene, ma con strumentazioni non confrontabili
con le nostre. Vi ricordo cosa diceva Manzoni, facendo già immaginare qualcosa di tragico su Napoleone:
«…e i dì dell’ozio chiuse in sì breve sponda,/ segno
d’immensa invidia e di pietà profonda,/ d’inestinguibil odio e d’indomato amor». Anche questo ci ha spinto a studiare il problema. Incidentalmente abbiano
chiesto anche al governo francese se potevamo avere
qualche cosa dalla tomba. Ci han detto: «Te lo sogni!».
Per i capelli, invece, è stato più facile. Il cameriere di
Napoleone, Marchand, aveva scritto giorno per giorno il diario della vita di Napoleone e aveva detto che
non doveva essere mai pubblicato. Una quarantina di
anni fa, recentemente rispetto alla morte di Napoleone, nonostante questo editto di Marchand, gli eredi
hanno deciso di pubblicarlo. È interessantissimo.
La questione è stata ripresa recentemente da un famoso miliardario canadese che si è appassionato di Napoleone. Ha scritto anche un libro tradotto in italiano che si intitola: L’assassinio di Napoleone, uno dei
più grandi delitti della storia? (con una grossa tiratura anche in Italia). L’assassinio di Napoleone è stato
prima teorizzato da un dentista svedese che ha trovato dei segnali di arsenico nei capelli. Di lì si è scate-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 175
UN’AVVENTURA DELLA FISICA
175
nata una serie di misure. In realtà c’è una misura molto bella (riportata da “Nature”): sono riusciti ad avere alcuni pezzettini della tappezzeria di Longwood
House dove abitava Napoleone. Hanno analizzato questi pezzettini e hanno trovato una debole quantità di
arsenico, concludendo che non era stato avvelenato, ma
che aveva assorbito dell’arsenico dalle pareti. Racconto un esempio: c’è stata un’ambasciatrice americana a
Roma la quale si sentiva male quando stava in Italia,
mentre in America stava bene. Era dovuto al fatto che
dormiva nell’ambasciata americana a Roma che è un
edificio del Settecento, dove sulle pareti vi erano delle pitture contenenti arsenico. C’è stata una serie di
risultati negativi (non voglio essere troppo dettagliato
su questo) effettuati con tecnologie piuttosto modeste.
Ma il miliardario canadese Ben Weider ha continuato
a insistere e ha considerato degli esperimenti di altro
tipo. Devo dire che per una misura ha mandato anche
due di questi capelli all’FBI, la quale ha fatto due misure concludendo che Napoleone era stato avvelenato.
Mi spiace dirlo perché spero che altre misure l’FBI le
faccia meglio, ma secondo me hanno sbagliato completamente. Non era confrontabile come tecnica con
le misure fatte da noi. E infatti da quando le abbiamo pubblicate nessuno ci ha mai contraddetto. A questo punto parliamo del nostro esperimento. Abbiamo
creato un gruppo multidisciplinare e poi, cosa importantissima in questi casi, abbiamo reperito materiale sicuro. Cioè, non abbiamo accettato (richiesto e ottenuto)
altro che capelli garantiti e sigillati. Non li abbiamo
presi solo da Napoleone a Sant’Elena (che è stata la
cosa più difficile), ma anche dal Museo Napoleonico
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
176
11 11 2010
19:37
Pagina 176
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
di Roma e da altri musei, in particolare il Museo Lombardi a Parma. Più di tutto abbiamo avuto un grande aiuto dal Museo di Malmaison di Parigi. Ho fatto
amicizia col direttore di quest’ultimo museo che è coordinatore di tutti i musei napoleonici del mondo. Le
nostre misure sono state svolte in collaborazione con
il Laboratorio di Energia Nucleare Applicata dell’Università di Pavia, con un accordo con l’Università
Milano Bicocca. Abbiamo fatto queste misure sia a Milano sia a Pavia. Riguardo al materiale storico – come
ho detto prima – lo abbiamo preso da questi tre musei e sono capelli di vario tipo. Il problema è questo:
ci siamo resi conto che erano tutti pieni di arsenico.
Adesso è proibito e – per dare un’idea – la quantità
di arsenico nei capelli non può superare una parte
per milione. In realtà, nei capelli odierni è molto meno. Abbiamo misurato i capelli di tanti personaggi
storici del tempo di Napoleone, poiché allora la quantità di arsenico era circa cento volte di più di quella
di adesso in tutte le persone. Preciso che noi avevamo capelli di persone importanti, non di contadini
del Settecento. I capelli attualmente hanno una quantità di arsenico molto bassa, molto inferiore a una parte per milione. Abbiamo pensato: se riusciamo a vedere la quantità di arsenico che è cento volte meno di
quella di quei tempi, vuol dire che riusciremo a misurarla molto bene. Abbiamo preso dieci campioni di
capelli di persone attualmente viventi, li abbiamo misurati e abbiamo misurato la presenza di arsenico. Poi
abbiamo preso dei capelli dei familiari, del figlio di Napoleone, l’Aiglon, Re di Roma (dal Museo Glauco
Lombardi di Parma). Maria Luigia, sua madre, anda-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 177
UN’AVVENTURA DELLA FISICA
177
va avanti e indietro a Vienna per trovare suo figlio e
ogni volta portava dei capelli a Parma. Abbiamo, quindi, una misura abbastanza unica, del 1812, 1816, 1821
e 1826. Abbiamo poi avuto dei capelli anche dell’imperatrice Giuseppina e capelli veramente di Napoleone presi a Sant’Elena il 5 maggio e anche il 6 maggio
(com’è noto, i capelli crescono anche quando uno è
morto). Gli altri esperimenti non avevano una quantità così grande di materiale. Nelle misure dei contemporanei si vede che la quantità di arsenico presente
è molto inferiore a quella dei personaggi storici. Uno
dei motivi per cui dicevano che Napoleone era stato
assassinato è perché quando è stata aperta la tomba il
corpo (concesso dalla Regina Vittoria perché fosse riportato in Francia) era praticamente intatto. Di lì si
era pensato che era stato avvelenato, poiché l’arsenico conserva i corpi. Abbiamo misurato l’arsenico nei
capelli di Napoleone quando era un bambino (tra l’altro pare che lui abbia falsificato la nascita, perché alla sua nascita Aiaccio era sotto Genova e lui, invece,
voleva dimostrare di essere cittadino francese), e abbiamo trovato che era nettamente sotto la parte per
milione. Nella misura del campione di Sant’Elena sono molto più elevate, cioè nell’ordine di dieci parti per
milione. Però questo è confrontabile con il campione
di capelli del figlio e per uccidere una persona occorrono almeno cinquanta parti per milione. Questo
ha mostrato che lui sì era pieno di arsenico, ma lo erano tutti e che la quantità di arsenico che aveva lui nei
capelli non era tale da ucciderlo.
Abbiamo poi fatto un lavoro più preciso. Se è stato avvelenato, gli è stato dato tanto veleno in un cer-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
178
11 11 2010
19:37
Pagina 178
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
to momento e in un certo giorno. Allora, siccome i capelli crescono con una velocità di circa un centimetro
al mese, abbiamo preso il più lungo di questi capelli
e l’abbiamo tagliato in tanti pezzettini. Ogni pezzettino del capello si riferiva a un certo giorno a seconda
di dove era stato tagliato. Abbiamo fatto questa misura su uno dei capelli più lunghi (10 cm) corrispondente quindi agli ultimi dieci mesi prima della morte
e abbiamo constatato che l’attività era sempre rimasta
la stessa.
L’isola di Sant’Elena era abbastanza importante allora per lo scambio, adesso non conta molto, però è
un dominio inglese e c’è un governatore. Ha 1200
abitanti, tutti inglesi, però, ma, per ragioni che non capisco, c’è anche un console francese. Cosa fa? Questo console comunque ci ha procurato acqua e terra
della fonte vicino alla tomba di Napoleone ed abbiamo potuto così controllare se per caso ci fosse arsenico. Non c’era. Quindi, a differenza della tappezzeria della casa, l’acqua non conteneva arsenico.
Il lavoro è stato pubblicato su 150 giornali: su qualunque giornale italiano in quel periodo c’era scritto
qualcosa sui capelli di Napoleone, ma anche su molti
giornali francesi, per esempio sul Figaro, e poi anche
sul “Washington Post”. È uscito un articolo, per la verità fatto piuttosto bene, sul “New York Times” (è
uno dei giornali di più gran tiratura, se non quello di
maggior tiratura al mondo), in cui si dice che l’analisi dei cappelli ha mostrato che era sbagliata la teoria
secondo la quale Napoleone era stato ucciso. Avrà fatto piacere al nostro Rettore leggere questo: «Tutto il
mondo dice che è stato ucciso, ma dei fisici dell’Uni-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 179
UN’AVVENTURA DELLA FISICA
179
versità Milano Bicocca hanno mostrato che non è vero...». Un aspetto molto interessante, che mi ha fatto
molto piacere è che non abbiamo riscontrato nessuna
protesta o disaccordo. Nessuno ha detto che ci fosse
qualcosa di sbagliato. Invece, abbiamo avuto un contatto con molti tossicologi e in particolare col professor Lugli, che è direttore del Dipartimento di Patologia dell’Università di Basilea. Lugli aveva fatto qualcosa di analogo a quello che abbiamo fatto noi, ma da
un punto di vista patologico, con grandissima cura. Ha
condotto uno studio accurato delle variazioni del peso di Napoleone col tempo. Ha avuto un contatto con
tutti i musei dove c’erano i vestiti di Napoleone. Ha
fatto misurare la larghezza dei pantaloni, ha fatto fare
delle analisi statistiche su centinaia di casi nella sua clinica e ha ricostruito una curva del peso di Napoleone in funzione del tempo. Si vede da questa curva che
il peso cresce e poi crolla, a causa del tumore. Poi ha
utilizzato un’accuratissima autopsia fatta dal medico
di Napoleone in presenza di medici inglesi. Era il dottor Francesco Antonmarchi che era un allievo di un
famoso anatomopatologo di Pisa. Credo che questo
medico abbia contribuito non poco a uccidere Napoleone. Non l’arsenico, ma i medici l’hanno ucciso, perché veramente gli davano delle cure completamente sbagliate. Antonmarchi era comunque un eccellente anatomo patologo e l’autopsia estremamente accurata. La
conclusione finale di Lugli, come medico, è che Napoleone è morto di tumore allo stomaco, come dimostrano le analisi anatomiche. Vorrebbe che scrivessimo
un articolo in comune. Cercheremo di farlo, unendo
la parte di fisica e la parte patologica.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 180
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 181
Arturo Alberti*
Così lontani, così vicini.
Condividere per conoscersi
Arturo Alberti: Grazie a voi dell’invito. Per me è
sempre molto importante e significativo incontrare dei
giovani. L’altro giorno ero ad un incontro – io sono
nel consiglio di amministrazione di una fondazione
che aiuta i malati di Alzheimer –, e facevo i conti che
in Italia abbiamo un’alta percentuale di abitanti che
supera i 75 anni e abbiamo solo il 14 per cento di abitanti da 0 a 18 anni; infatti, se vedete i numeri quando si vota, quasi tutta la popolazione va a votare, più
di 50 milioni vanno a votare. In Brasile il 52 per cento ha da 0 a 14 anni; quindi le prospettive di sviluppo del Brasile sono maggiori delle prospettive di sviluppo dell’Italia. Incontrare i giovani è sempre importante perché quelli che ci sono bisogna che si diano da fare per andare avanti, quindi vi ringrazio di questa opportunità. Io non farò una lezione teorica sul tema che mi è stato affidato, ma cercherò, attraverso l’esperienza, di far capire cosa è che mi ha mosso. Il tema è la conoscenza, che non significa una maggiore
* Intervento tenuto al Collegio Alma Mater di Bologna il 12 maggio 2010. Arturo Alberti è medico pediatra, Fondatore e Presidente di AVSI.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
182
11 11 2010
19:37
Pagina 182
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
istruzione, ma significa avere dei criteri di giudizio, avere la possibilità di giudicare e di capire intanto se stessi e poi la realtà in cui si è immersi, le altre persone.
Ciò che caratterizza la persona umana è proprio il
giudizio, è la possibilità di fronte alla realtà di scegliere,
perché il giudizio comporta poi una scelta. Io sono un
pediatra, ho tre figli – due in questo momento sono
in America, uno è a Cesena – e ho continuato, dal 1970
in avanti, quando mi sono laureato, a fare il mio mestiere di pediatra, prima ospedaliero poi pediatra di famiglia. La circostanza particolare dell’incontro con alcune persone che si stavano preparando a partire per
il Congo ha determinato gran parte della mia vita, nel
senso che alcuni di questi che partivano erano amici
che conoscevo e mi hanno proposto di andare a fare
il medico in un’area del Congo al confine col Burundi, nella regione est del Congo, dove si stava realizzando
un progetto socio-sanitario per lo sviluppo di quella zona: un oleificio, un’officina meccanica, l’irrigazione dei
campi, l’aiuto ai contadini e in più una componente sanitaria per aiutare la gente. In particolare, quando si
va a fare qualche intervento in Africa, bisogna tener
conto che deve essere supportato anche da una presenza sanitaria, perché la problematica salute è molto
importante in quel continente, più che in altri.
Mi sono sposato nel 1971, in giugno, e nell’ottobre
di quell’anno siamo partiti per il Congo – mia moglie
era incinta del nostro primo figlio – senza sapere esattamente cosa avremmo incontrato perché non c’eravamo mai stati, non l’avevamo mai visto. Ma noi due
eravamo cresciuti all’interno di una esperienza cristiana che allora si chiamava Gioventù Studentesca, poi
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 183
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
183
è diventata Comunione e Liberazione quando noi eravamo già in Africa. Un’esperienza, quindi, di fede che
ci aveva aiutato; questa appartenenza ci aveva aiutato
anche a maturare un atteggiamento di fiducia nelle persone, negli amici con cui stavamo e nelle persone che
ci aiutavano in questo cammino, e anche la fiducia è
un criterio di conoscenza. La parola fiducia è molto
vicina a «fede», è una modalità attraverso cui puoi conoscere o non conoscere una realtà. È sempre necessario avere fiducia in qualcuno per camminare e noi
ci siamo fidati di queste persone che ci avevano chiesto di andare, di quelli che, confrontandoci con loro,
ci avevano incoraggiato a fare questa scelta. Mi ricordo che quando siamo arrivati all’aeroporto di Bujumbura, in Burundi, siamo saliti su una Land Rover, mia
moglie davanti e io dietro in mezzo a tante cose, e guardavo il paesaggio africano che non avevo mai visto, le
capanne, e pensavo anche alla fatica che ci aspettava.
In quel momento ho sentito comunque fortissimo su
di me che stavo facendo una cosa che presentava dei
rischi, dei pericoli, soprattutto per una donna incinta,
però sapevo, anzi ero certo, che chi ci aveva aiutato a
far quella scelta lo aveva fatto per un bene, per un bene nostro, non per un’ipotesi ideologica, non per un’idea di dover andare a salvare il Terzo Mondo o di dover andare a fare delle iniziative per lo sviluppo. Avevo la certezza che la proposta che ci era stata fatta, e
che noi avevamo accettato, era per il nostro bene, era
per un bene, anche se in quel momento le circostanze potevano sembrare particolarmente difficili. Così
questa esperienza di essere lì per l’espressione di una
preoccupazione su di noi come persone, ha continua-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
184
11 11 2010
19:37
Pagina 184
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
to a permanere nel tempo. Sono stati due anni anche
abbastanza complicati. Per due anni non abbiamo mai
telefonato né comunicato con l’Italia, perché non c’era nessuna possibilità; adesso c’è internet, il cellulare
e si riesce a parlare con l’Africa. Allora per due anni
praticamente scrivevamo solo delle lettere numerate
(per sapere se arrivavano tutte), e così si avevano delle notizie ogni tanto. Però, anche nel momento in cui
mia moglie ha partorito in una clinica, una cosiddetta “clinica”, di Bukavu, la città più grande vicina a dove abitavamo, assistita da una suora ginecologa spagnola e con la preoccupazione, essendo medico, di
tutto quello che poteva capitare, lo ripeto, non ho
mai, non abbiamo mai percepito di aver fatto un passo sbagliato, perché c’era questo rapporto di stima, di
fiducia e di considerazione. Eravamo sicuri che ci era
stata fatta una richiesta per il bene del nostro destino, anche in quel momento lì piuttosto drammatico;
a volte uno può considerare un po’ incosciente la decisione, poteva capitare una emorragia o qualcosa del
genere, non c’erano molti mezzi...
Dentro questo tema che affrontiamo questa sera,
perciò, sottolineo il valore di un’appartenenza, caratterizzata da una fiducia nelle persone che stanno con
me legate da una comune esperienza cristiana. Credo
che questa modalità di vivere la realtà debba essere
valida per tutti; cioè non esiste secondo me, come stimolo che vorrei darvi, la possibilità di fare un’esperienza positiva da soli. Ci possono essere appartenenze di vario tipo, però l’uomo è fatto in modo che è
chiamato a realizzarsi e raggiunge lo scopo della sua
vita in una relazione con gli altri, in un rapporto con
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 185
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
185
gli altri, in una crescita comune. Insomma la felicità
tua è legata alla felicità dell’altro. Questa è una frase
che mi ha molto colpito perché l’ha detta anche un
sacerdote, ma l’ho letta recentemente in un testo di
Adam Smith1, che dice esattamente che l’uomo sembra egoista, ma ci sono dei principi innati in lui per
cui la propria felicità dipende dalla felicità degli altri,
quindi è un’esperienza che non è propria solo dell’ambito religioso, ma è un’esperienza che accade anche a un intellettuale così importante come è Adam
Smith. Questo è un primo punto che volevo dirvi, cioè
che la decisione di partire, di andare in Africa, di far
nascere lì il nostro primo figlio – poi dopo siamo tornati qui, perché mia moglie era incinta del secondo,
le circostanze erano un po’ difficili e siamo tornati –
è stata determinata da questa esperienza di fiducia
nata in un’appartenenza amichevole tra amici, nella decisione di fare un cammino insieme verso il destino
di felicità cui tutti siamo chiamati, tutti gli uomini. Poi
le strade magari divergono, ma siamo chiamati tutti a
questo. Quindi, una parola che mi sta molto a cuore,
che ha caratterizzato la mia esperienza in questi anni
è proprio questa parola appartenenza, e fiducia dentro questa appartenenza. Naturalmente, avendo fatto
anche un’esperienza di fede, ho capito nel tempo che
per me la fede cristiana aveva un significato in quanto pretendeva di essere uno strumento adeguato per
giudicare e valutare tutto ciò che accade nella vita,
1
Adam Smith, 1723-1790, filosofo ed economista scozzese, a seguito degli studi intrapresi nell’ambito della filosofia morale, gettò
le basi dell’economia politica classica. È definito come il padre della moderna scienza economica.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
186
11 11 2010
19:37
Pagina 186
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
quindi le circostanze, la realtà presente, il lavoro, gli
affetti, la famiglia; ed è solo facendo questa esperienza di fede, che abbracciava globalmente tutta la mia
vita e non lasciava niente fuori, che ho percepito la
positività di questo cammino. Però, ripeto, questo è
un aspetto di un’esperienza e di un incontro che uno
può aver fatto, ma quello che dicevo prima vale per
tutti secondo me, cioè che non si può fare un cammino positivo se non in una relazione. Questo è molto importante ed è un criterio che aiuta a comprendere la realtà, a comprendere se stessi, a comprendere anche il proprio lavoro, le proprie possibilità, quindi è un criterio di conoscenza, per usare un termine
che abbiamo messo a tema questa sera. Quando siamo partiti per l’Africa, perciò, è stata proprio una risposta a una proposta libera, liberamente data, ma
con la consapevolezza che era una proposta che andava bene per la nostra vita.
Che conseguenza ha avuto questo «sì»? Io ho fatto il medico in Africa per due anni. A un certo punto siamo rientrati e un altro aspetto importante è che
l’esperienza cristiana, l’esperienza di quei due anni
aveva fatto sorgere dentro di noi, in me, in mia moglie e anche in altri amici che ci avevano accompagnato dall’Italia in questa esperienza, aveva fatto maturare una passione per l’uomo, una passione reale per
l’uomo visto nella sua concretezza. Quello che mi stupisce molto – qui c’è gente che fa Relazioni Internazionali – nel mondo delle grandi Organizzazioni del
sistema ONU, è che sembrano affrontare il problema
del bisogno identificandolo in categorie sociologiche,
come se i bisogni fossero delle categorie sociologiche,
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 187
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
187
non delle persone; l’infanzia, le donne, i malati di
Aids, i rifugiati... Sono categorie sociologiche. E se vai
a vedere, perché in questi quarant’anni di esperienza
ho incontrato molta di questa gente, capisci che effettivamente spesso la persona è come se non fosse vista; cioè si vede la programmazione, si vede l’intervento da fare, si vede il progetto, ma non si vede la
persona. L’esperienza che ho fatto io in questo luogo
lontano dal mondo, in un villaggio sperduto (le due
città erano Uvira e Bukavu a 70-80 chilometri, noi eravamo al centro), è stata proprio invece la consapevolezza della centralità della persona. Ci ha fatto nascere una passione dell’uomo, una passione per l’uomo
concreto, con un nome e un cognome; tanto è vero
che potete andare a leggere i numeri di AVSI, che sono utili per capire le dimensione del lavoro, però se
io dovessi rappresentare oggi, dopo tanti anni, in un
planisfero il lavoro che abbiamo fatto, metterei tanti
segnali luminosi per quante sono le persone che attraverso l’incontro che abbiamo fatto hanno riacquistato un senso della propria dignità, del desiderio di
crescere, di diventare protagonisti dello sviluppo proprio e della propria nazione. Se dovessi mettere un segno, non metterei delle cifre ma metterei delle persone, e tutto questo lavoro di quarant’anni avrebbe
avuto un senso – e questo lo capisco sempre di più –
anche se solo una o due persone avessero, attraverso
l’incontro con noi, trovato la strada che le ha portate a superare la loro difficoltà, l’emarginazione, la disperazione e a compiere il loro cammino verso il compimento. Ma sono molte di più di una o due: sono
tante. Per cui la persona è il punto centrale, fonda-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
188
11 11 2010
19:37
Pagina 188
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
mentale, e anche questo lo si capisce non dai libri, lo
si capisce incontrando le persone. Prima il direttore
ha detto la parola «condividere»: si condivide essendoci, non si condivide leggendo. È una presenza che
consente di condividere, è una presenza che ti permette
di incontrare persone. Quando uno va in Africa, magari giovane e appena laureato (c’era il dottor Schweitzer2 nell’immaginario collettivo dei medici di quel tempo) pensa di risolvere subito i problemi. La cosa che
mi ha colpito di più i primi giorni, le prime settimane di Africa, è stato l’accorgermi che queste persone
che incontri, queste persone povere, senza cultura,
magari emarginate, malate, sono come te. La cosa che
mi ha colpito di più è che erano come me, che avevano gli stessi miei desideri, che volevano migliorare,
volevano dare un futuro alla loro famiglia e ai loro figli. Il condividere vuol dire il percepire, l’incontrare
la realtà dell’uomo, della persona concreta in quell’uomo che ha un nome, come avvenne con Joseph.
La realtà di questi uomini ti costringe a guardarli negli occhi e non a ignorarli in nome di un progetto. A
guardarli negli occhi, a diventare compartecipi del loro destino. Io ero giù da pochi mesi quando un ragazzo, Joseph si chiamava, abbastanza giovane, affetto da un infezione che non riuscivo a controllare (anche perché gli antibiotici li avevamo, ma non c’erano
tutti gli antibiotici possibili: c’erano quelli che c’erano), per cui stava morendo. Io mi affannavo a cerca2
Albert Schweitzer, 1875-1965, teologo, filosofo, musicista e
medico, divenne famoso per la sua scelta di spendere tutta la vita
in Africa, a Lambaréné (Gabon), svolgendo attività di medico missionario con la moglie.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 189
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
189
re se c’era qualche altra cosa e lui vedeva che mi affannavo; finché a un certo punto mi ha chiesto di fermarmi, di dargli la mano e mi ha detto «stai vicino a
me mentre muoio perché voglio essere accompagnato, ho bisogno di un amico che mi stia vicino». Lo
racconto per far capire che anche il fare il medico non
è un fatto tecnico, non lo è mai! Qui c’è qualcuno
che fa medicina? Non è mai un fatto tecnico. In quella circostanza io pretendevo con la mia conoscenza tecnica di medico di risolvere il problema e non riuscivo a risolverlo; questa pretesa mi portava lontano da
quella persona che invece aveva bisogno in quel momento – non c’era altra possibilità – aveva bisogno che
io stessi lì, gli facessi compagnia e cercassi di portarlo in un modo più dignitoso possibile verso un esito
che era ormai inevitabile. A volte succede che uno, in
nome di un qualcosa che ha pensato lui, non riesca a
vedere il bisogno, la persona che ha realmente bisogno. Allora, tornando dall’Africa con questi sentimenti, con questa passione per l’uomo e soprattutto
per questo uomo così provato come è l’uomo africano, come era e come è anche adesso, così provato dagli avvenimenti, dalle circostanze, da governanti che
non governano, da guerre, da tutto insomma... tornando ci siamo domandati: è finita qui? È una parentesi interessante della nostra vita? La domanda aveva un risvolto anche professionale per me: ho visto delle cose lì che non ho più visto dopo e ho fatto delle
cose che non ho più fatto, perché o le fai o muore
una persona... Ci siamo domandati veramente: è finita qui, è una parentesi? E allora, sempre con l’aiuto
di alcuni amici di Cesena, abbiamo deciso di costituire
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
190
11 11 2010
19:37
Pagina 190
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
un’associazione per continuare ad aiutare gli amici che
erano lì, che continuavano a lavorare dove ero stato
io. Quindi l’AVSI non è nata per un progetto ideologico sul terzo mondo, non è nata per una pretesa di
superare le disuguaglianze, le ingiustizie, le povertà nel
mondo. È nata per il permanere di una passione, per
stare vicino ancora a persone che ci avevano colpito,
a persone che erano diventate amiche, ad amici che continuavano a lavorare lì. Per alcuni anni è stata semplicemente questo, cioè è stata la continuazione in modi diversi di un «sì» che avevamo detto quando abbiamo deciso di partire per l’Africa, in quel momento, nella costituzione dell’AVSI. Poi per una serie di
altri incontri è cresciuta, perché poi la vita è fatta così: se tu lasci aperta la porta poi la gente entra. Quindi prima il Congo, poi l’Uganda, poi alcuni paesi dell’America Latina. Insomma è cresciuta, è diventata
una realtà importante nel panorama delle ONG italiane. Tuttavia io non ho fatto l’AVSI con i miei amici per una risposta ai bisogni del Terzo Mondo, ma
proprio per vivere in un modo diverso una responsabilità che mi sentivo, una responsabilità nei confronti di quella gente che avevo incontrato e per le persone che continuavano a essere presenti in quei luoghi, che continuavano a impegnarsi. Per cui per alcuni
anni abbiamo continuato così, poi, come ho detto, c’è
stata un’apertura ad altri luoghi e ad altre presenze.
Questo ci ha sempre di più coinvolto nella necessità
di allargare le possibilità di aiuto, di intervenire: con
il Ministero degli Affari Esteri, con le banche, con
l’UE, col sistema ONU... Se tu incontri una persona,
ti colpisce, ne percepisci il bisogno, lo guardi negli oc-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 191
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
191
chi e dici «voglio fare qualcosa» e ti metti in questa
posizione del condividere, ti accorgi che non ti stanchi. Non ti stanchi. La parola compassione, che noi
abbiamo usato in quel momento, non era nel senso
«mi fanno pena», era una passione condivisa con altri, per cui abbiamo cercato di darci da fare tutti.
Nella vita le decisioni che vengono prese in un confronto anche serrato con degli amici hanno conseguenze molto importanti. Vi faccio un esempio: nel
1979 io ero ospedaliero. Ho deciso di far la pediatria
di famiglia e alcuni mi avevano proposto, visto che io
sono a Cesena, a pochi chilometri da Cesenatico, di
mettere su un ambulatorio libero professionale a Cesenatico perché d’inverno lavori poco, ma d’estate ti
fai un sacco di soldi, perché arrivano i turisti che, se
il bambino ha 37,2 di febbre, deve guarire subito altrimenti non possono andare in spiaggia. E anche lì,
paragonandomi con i miei amici, paragonandomi con
me stesso, con la mia famiglia, perché sono decisioni
che poi coinvolgono anche la famiglia, ho deciso di
non farlo, perché sentivo nel mio cuore che quello che
stavo facendo mi realizzava, cioè stavo crescendo positivamente, per cui non volevo abbandonarlo; perché
è chiaro che uno non può far cento cose: devi assistere 800 bambini con la mutua e poi devi far la libera professione. Però mi sono accorto che quando
qualcosa ti attrae e percepisci che ti fa crescere, è sostanzialmente più forte dell’attrattiva del denaro. Ed
è stato per me una verifica dell’importanza che quell’impegno aveva per la mia vita, perché quando ci sono di mezzo i soldi le verifiche sono molto importanti.
Dal punto di vista ideale in genere si fanno molti di-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
192
11 11 2010
19:37
Pagina 192
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
scorsi, poi dopo, quando scendi alla pratica di vita,
bisogna giocarsi con la realtà che è fatta anche di scelte molto concrete. Oggi parlavamo con Riccardo3:
quando lui ha deciso di star qui invece di fare l’insegnante, ha fatto una scelta che poteva essere contraria a tutto un percorso che lui aveva fatto, ma uno
capisce quale è la cosa che lo fa crescere, che lo sta
facendo crescere. Qual è la conoscenza, che cosa è la
conoscenza? Come fai a capire qual è la tua strada,
qual è il tuo destino, qual è la scelta migliore? È guardando la realtà e sapendo giudicare quello che sta
crescendo in te. È la verifica di una corrispondenza
tra quello che stai facendo e il desiderio tuo cuore.
Perché il cuore non è “cattolico” o “non cattolico”:
è una dimensione (dico «cuore» per dire quella dimensione dell’uomo per cui capisce se è sincero con
se stesso, se è positivo). Allora in quel caso lì puoi accorgerti anche che vale la pena rinunciare a una cosa apparentemente più attrattiva per continuare in una
strada. Noi abbiamo continuato in questa strada.
L’altra parola che mi piace sottolineare è la parola
libertà. L’uomo è libero, ti puoi paragonare, puoi decidere, nessuno però può decidere al tuo posto cosa
fare; è più semplice se uno te lo dice, però non è la
strada migliore. Non c’è un valore etico delle scelte,
delle scelte in quanto tali, cioè non è che andando in
Africa è meglio che star qui, o che fare l’AVSI è meglio che fare un’altra cosa; non è quello. Perché si può
essere delinquenti in Africa e santi a Bologna; dal pun3
Il relatore si riferisce a Riccardo Guidetti, Direttore di Camplus Alma Mater, Bologna.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 193
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
193
to di vista religioso, ma anche da un altro punto di
vista, si può essere onesti qui e disonesti da un’altra
parte. Non è quello l’importante. Non è la scelta che
ha un valore etico, ma è il percorso che ti porta a quella scelta, il metodo che ti porta a quella scelta, il paragone col tuo cuore, il paragone con degli amici che ti
accompagnano dentro quell’appartenenza di cui parlavo. Perché, ripeto, se uno è solo, se non è aiutato in
un cammino, non ce la fa a fare queste scelte. Non
sto dicendo che tutti devono andare in Africa, sto cercando di aiutarvi ad accettare un metodo, a mettere
in atto un metodo per sé, per la propria vita e per le
proprie scelte. Ho imparato, in questo cammino, che
il dono è già cambiare il mondo; il dono di sé, il dono del proprio tempo, il dono della propria professionalità, il dono delle proprie competenze, il dono del
proprio carattere, il dono dei propri soldi. La componente-dono è una componente essenziale dell’esperienza umana e il dono aiuta a crescere in tutte le dimensioni umane. Non è che io facendo l’AVSI o facendo la solidarietà internazionale o essendo generoso verso gli Africani, abbia censurato la mia responsabilità di medico. Questa esperienza di dono che ho
fatto con l’Africa ha maturato di più la mia professionalità come medico; cioè non è che potessi accampare qualche giustificazione per non studiare, per non
approfondire la mia professione perché intanto ero
generoso con gli Africani. Se uno vive il dono nella
sua dimensione globale, nella sua dimensione reale, capisci che non puoi tralasciare niente del rapporto con
le persone, la tua professionalità in modo particolare,
perché è quella che ti impegna molto. Per cui è stata
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
194
11 11 2010
19:37
Pagina 194
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
come una sfida per me farmi aiutare, anche dagli amici pediatri (abbiamo costituito un’associazione culturale pediatri), per vivere al meglio la professione di pediatra, perché non c’è una compensazione. La responsabilità che abbiamo non diminuisce; è una responsabilità globale quella che abbiamo. Allora per
me questa esperienza di dono è stata utilissima per la
mia professione. Non è che ha censurato la mia professione, anzi: è stata utilissima per la mia professione. Io credo che, questo lo posso dire dopo tanti anni di esperienza anche per gli amici che ho incontrato e per tante persone che hanno fatto questa esperienza, non c’è nessuno che abbia fatto una esperienza di gratuità, non solo in Africa ma anche in Italia
(in esperienze in cui erano chiamati a mettere in gioco la loro capacità di dono), che non abbia avuto un
di più per se stesso, che si è manifestato anche in un
di più nella propria professione, in un approccio migliore, in un approccio diverso, più maturo, più significativo della propria professione. Anche perché altrimenti ti accorgi della contraddizione: non è che tu
puoi dire che vuoi aiutare l’Africano e fregartene del
bambino; e non si può neanche fare un paragone di
questo tipo come qualcuno spesso mi diceva «ma tanto qui stanno tutti bene, son tutte balle quelle di queste mamme che si lamentano dei bambini che stanno
bene»; mentre il bisogno non lo determiniamo noi, il
bisogno è l’espressione di uno che ti dice «ho bisogno». Non è che tu puoi dire «questo non è un bisogno». Se le mamme qui vivono un’esperienza di solitudine, non c’è più la famiglia allargata, sono tese,
lavorano e non hanno più la certezza, sicurezza (per-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 195
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
195
ché il problema è di sicurezza), la sicurezza di come
affrontare anche piccole malattie, quello è un bisogno;
non è che puoi dire «vai al diavolo perché hanno più
bisogno i bambini africani!». Quello è un approccio,
una sensibilità che matura dentro di te. Per me questo è stato molto importante. Per cui la parola condividere è stata, nel tempo, proprio il metodo della presenza. È molto più evidente soprattutto nei paesi del
Terzo Mondo: c’è sempre il rischio di qualcuno che
vuole essere talmente aperto all’altro da identificarsi
col povero, mentre condividere vuol dire che tu metti a disposizione quello che sei e quello che hai, anche la tua competenza, la tua cultura, la tua tradizione, la tua professionalità, e l’altro fa altrettanto. Un povero in più in Africa non serve. Io ho avuto un’esperienza diretta di una infermiera, che lavorava con me
negli anni in cui sono stato in Africa, che era lacerata da questo desiderio di essere come gli altri, come
gli africani; per cui un giorno ha deciso di lasciare il
dispensario dove lavorava con me. Si è fatta costruire
una capanna nel villaggio e andava a lavorare la terra
con le donne. Il capo del villaggio, molto saggio – i
capi dei villaggi in genere sono molto saggi –, dopo
un po’, dopo pochissimo, un mese, le ha detto «senti, di donne che lavorano la terra ne abbiamo moltissime, di infermiere ci sei solo tu; torna a lavorare da
infermiera perché noi abbiamo bisogno di una infermiera, non di un’altra che lavora la terra!». Condividere vuol dire che lei doveva mettere a disposizione
la sua professionalità e non la sua idea di essere come gli altri, per cui, nel lavoro e nell’impegno con gli
altri, nell’incontro con gli altri, la modalità più vera è
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
196
11 11 2010
19:37
Pagina 196
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
proprio quella del condividere, in cui uno salva la
propria identità. Io sono italiano, se vado in Africa c’è
una differenza sostanziale con gli Africani; anche se io
vado ad abitare nella capanna, bevo la loro acqua inquinata – a parte che mi ammalo subito –, però c’è
una differenza sostanziale: che io ho la possibilità di
prendere un biglietto e tornare a casa e loro questo
non ce l’hanno perché non possono andare via. Sarebbe
una pretesa ideologica assurda volere il contrario. Invece il condividere è proprio questa passione che tu
metti dentro e fai di tutto perché cominci in loro un
cammino verso una crescita e un diventare protagonisti dello sviluppo, protagonisti della loro vita. Questa passione per l’uomo comporta una passione per sé,
perché anche Gesù Cristo ha detto «ama il prossimo
tuo come te stesso», non «contro te stesso». Quindi
una passione per l’uomo, per se stessi, e uno capisce
che questa passione per sé passa attraverso una passione per l’altro, un condividere e un mettersi in gioco con gli altri e questo ti aiuta a capire la realtà, a
comprenderla, ad avere dei criteri. È veramente un
principio di conoscenza, dove la conoscenza è sì studiare, ma è anche sapere dove sei; e poi ti mette in
rapporto con la realtà così come è evitando, soprattutto, quando passa il tempo nei più anziani, il rischio
della nostalgia e del rimpianto, o il rischio dell’utopia
e del sogno nei più giovani, mentre quello che conta
è affrontare la realtà nel presente con dei criteri che
consentono di interpretarla e di farla diventare utile
per te.
Se avete delle domande, di tutti i tipi, apriamo il
dibattito.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 197
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
197
Intervento: Io ti volevo chiedere questa cosa: nella
tua vita, per quello che ci hai detto, la cosa è partita
in grande, perché comunque tu ti laurei nel ’70, ti sposi un anno dopo, parti con tua moglie, un bambino
in arrivo, e vai in Africa... Non sapevi nulla, ma ci hai
fatto anche capire che non ti sentivi Superman. Però
la cosa ha un certo contraccolpo dal punto di vista di
chi ti ascolta; una cosa che è partita in modo molto
forte e poi ha trovato la strada particolarissima di esser tornato a Cesena, di voler aiutare gli amici che erano rimasti lì, poi lì da persona a persona la cosa si è
come dilatata, e in 40 anni siete presenti in quasi 40
paesi al mondo. La domanda è (perché non so poi
quanti di noi si troveranno laureati da un anno, sposati, a far le valigie): secondo te nella tua esperienza,
che valore ha, per uno come noi, decidere di dedicare anche una piccola parte di sé del proprio tempo,
fosse anche una donazione? Cioè, che significato ha,
che significato può avere questa cosa per uno di noi,
o per gli altri? Perché altrimenti uno può anche pensare «qui non hanno molto bisogno» oppure diranno
«quello che gli do io non cambia niente». Cioè, questa dimensione del dono che tu dicevi adesso alla fine, è qualcosa che hanno solo alcune persone perché
sono fatte così, hanno quel particolare carattere, sono
altruiste, oppure nella tua esperienza potenzialmente
tu puoi essere la persona più scontrosa che pensa solo a se stessa, ma questa cosa ce l’hai lo stesso?
Arturo Alberti: Per quanto mi riguarda, come ho detto, io da giovane facevo il liceo e ho fatto questo incontro con Gioventù Studentesca e, nel cammino che
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
198
11 11 2010
19:37
Pagina 198
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
ho fatto, c’è stata un’esperienza che mi ha aiutato molto, che ci ha aiutato molto prima da fidanzati poi da
sposati, a fare questa scelta, che è stata l’esperienza di
quella che noi chiamavamo «caritativa», che era un’esperienza di gratuità totale, domenicale. Tutte le domeniche andavamo con degli anziani o con dei bambini a giocare nelle parrocchie senza nessuno scopo particolare. Dal punto di vista del cambiamento della società non c’era nessuna pretesa di cambiar niente, era
soltanto un gesto gratuito. Quando uno non ha soldi
propri, perché ancora non lavora, ma anche quando
lavora, il dono del tempo libero è un segnale molto
importante del valore che uno dà alle cose, a volte ancora più dei soldi, perché per un giovane il tempo libero è proprio suo, non deve chiedere i soldi al padre per comprarlo, è suo. Quindi l’uso del tempo libero, per noi la domenica, è stato molto educativo nel
momento in cui abbiamo dovuto decidere rispetto a
una proposta che ci era stata fatta, di dire sì e andare in Africa. È stato proprio un modo molto concreto. Noi facevamo la caritativa dentro un’esperienza
cristiana, ma io credo che sia positivo per l’uomo, per
la persona che deve crescere, per dei giovani. È molto importante donare anche semplicemente del tempo, del tempo gratuitamente, per un’iniziativa di qualsiasi tipo ma gratuitamente, perché, ripeto, il tempo
libero è una grande ricchezza che uno ha e che può
decidere di dare o di non dare. A volte è più facile
dare dei soldi che dare il proprio tempo, perché uno
magari ha già pensato tutta la sua organizzazione, cosa deve fare, anzi, alcuni lo pensano non solo su tempi brevi, lo pensano con grandi programmazioni men-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 199
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
199
sili di tutto il tempo libero; e il dono è molto importante. Io credo che, di fronte alle problematiche del
mondo, ci sono due atteggiamenti. Uno è quello di dire «sono così grandi questi problemi che io non ci posso far niente e lascio perdere». Noi assistiamo 35mila
bambini con l’adozione a distanza, ma ne assistiamo
6mila in Brasile e i bambini che stanno in Brasile sono 15 milioni; statisticamente 15 milioni meno 6mila è
uguale a zero, è come non assistere nessuno, se uno
facesse i conti. Questo è il motivo per cui la tentazione del massimalismo – «o risolvo tutti i problemi o non
faccio niente» – c’è sempre stata ed è quella che ha
creato molti problemi a molte persone. Siccome non
posso risolvere tutto il problema allora non faccio niente. Mentre secondo me tutti quelli che fanno un’esperienza anche piccola di dono, capiscono che stanno facendo fare un passo positivo a tutto il mondo: ognuno ha una responsabilità verso tutto il mondo. È molto bello questo. Non esiste la persona che non cambia il mondo, perché uno lo può cambiare in peggio
o in meglio, ma il neutro non esiste e quindi il dono,
attraverso le più svariate forme, aiuta a crescere. E se
uno cresce in umanità, avrà più gusto nell’affrontare
i problemi della vita, avrà più gusto nell’affrontare la
sua professione, avrà più gusto anche nell’affrontare
lo studio finché è nello studio. Perché l’uomo è fatto
così, non è l’uomo cattolico; l’uomo è fatto così, l’uomo è stato pensato dal creatore come un essere in relazione, come un essere in rapporto con gli altri, come un essere che si realizza anche attraverso il dono
e soprattutto attraverso il dono. Quindi è proprio la
natura dell’uomo; non è la caratteristica di uno che di-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
200
11 11 2010
19:37
Pagina 200
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
venta cattolico e che allora dopo deve fare anche la
caritativa, deve fare la San Vincenzo o altro. Io ho incontrato tantissima gente ricca in umanità che non
aveva un’esperienza cattolica e cristiana; in questi anni in giro per il mondo, ne ho incontrati moltissimi,
e abbiamo fatto tanti pezzi di strada assieme, poi magari ci si differenza in certe cose, però abbiamo fatto
un cammino insieme importante, accomunati da questa passione per l’uomo. Perché questa passione per
l’uomo non è un’esclusiva, la maturi stando con le
persone. Secondo me la dimensione del dono è veramente positiva.
Intervento: Ecco, sebbene io non sia cristiano e cattolico, condivido davvero tanto di quello che lei ha detto sul discorso sull’uomo e appunto le volevo fare una
domanda, anzi due. Data la grande crescita di questa
Associazione dagli anni ’70 in poi come siete riusciti,
se ci siete riusciti, a conciliare la grandezza dell’Associazione con l’attenzione all’uomo, alla persona, prima
di cadere poi nelle categorie sociali, tipo ONU e roba
del genere? E poi la seconda domanda, dato che mi
affascinano molto queste storie, se ci può raccontare
l’aneddoto più significativo della sua esperienza o uno
dei più significativi della sua esperienza in Africa.
Arturo Alberti: La prima domanda è una sfida ininterrotta, che non finisce mai, quella di riuscire a coniugare l’ideale per cui ci si è mossi all’inizio, per cui
ci si muove, quindi un ideale che per noi è anche cristiano. Cioè, un’identità cristiana nella mia esperienza
non chiude, ma apre al rapporto, perché io ho vissu-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 201
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
201
to la mia identità cristiana come una sorta di casa: uno
in una casa può fare entrare poi anche altra gente; quindi non ho mai pensato a una identità cristiana come
un qualcosa che chiude ma un qualcosa che apre. Però coniugare l’ideale per cui ci si è mossi all’inizio, per
cui ci siamo mossi in pochi, con la crescita dell’associazione e anche con le esigenze di efficienza ed efficacia che ci è richiesta dai donatori pubblici, istituzionali e anche privati, è una sfida continua, perché
la tentazione, il rischio che molte volte ho visto anche
in altre associazioni, è che si è presi dalla preoccupazione – perché quando cresce la struttura poi hai bisogno di soldi – di cominciare a concepirsi più come
una struttura che deve mantenersi piuttosto che come
un ambito di amicizia operativa che continua in un lavoro. Questo però va fatto garantendo la qualità degli interventi e anche la trasparenza dei bilanci. Finora ci stiamo riuscendo, però non bisogna mai abbassare la guardia, questo è sicuro. Il rischio c’è sempre.
Un episodio che mi è rimasto particolarmente impresso, che ricordo spesso: noi abbiamo fatto in Brasile, a Belo Horizonte, un’esperienza molto bella di
coinvolgimento della gente che abita nelle favelas. La
favela è una baraccopoli sostanzialmente nel contesto
della città, e i favelados devono vivere di ciò che la
città offre: uno vende la frutta, un altro fa l’omino dell’ascensore, un altro fa le pulizie... Tutte le volte che
hanno tentato di portarli fuori ritornano in città, perché vivono della città, anche se in condizioni drammatiche. Le favelas venivano considerate verde pubblico, non erano neanche nelle piante della città e
quindi erano abitate da gente che non aveva la digni-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
202
11 11 2010
19:37
Pagina 202
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
tà di cittadino. Dal 1984 noi siamo presenti lì a Belo
Horizonte. Con la caduta della dittatura militare è cominciato un lavoro di emancipazione di queste persone, di aiuto a farli diventare cittadini, perché questo
è un giudizio che ci hanno dato quelli che erano lì,
loro stessi. Noi avevamo dei finanziamenti per migliorare le condizioni di vita. C’erano due strade: o facevi degli interventi di abbellimento della favela o facevi un intervento per ottenere la proprietà del pezzo di terra, vale a dire la legalizzazione della favela.
I politici volevano il primo tipo di intervento, perché
si vede e potevano spenderlo politicamente nel momento delle elezioni; la gente ci ha aiutato a capire
che era molto meglio il secondo, perché quando un
favelado è proprietario del suo pezzetto di terra, il pezzetto dove è costruita la sua baracca, non può più essere cacciato via dalla polizia. La terra diventa sua e
può migliorare la sua casa e mettersi insieme ad altri, magari mettere insieme più pezzetti e fare una casa un po’ più grande dove stanno insieme; cioè tutta
una strada diversa, più complessa. Bisognava convincere il governo a dare le terre, le proprietà pubbliche
– più semplice –, le proprietà private – più complicato-. È stato un cammino che abbiamo fatto e la cosa che non potrò mai dimenticare è la prima legalizzazione, col sindaco in pompa magna per dire che si
era raggiunta questa novità in una delle prime favelas. E il primo che ha ricevuto questa legalizzazione
(era un foglio dove c’era scritto «tu sei proprietario
di questo terreno»), era un’anziana, bellissima, commossa, che piangeva perché per la prima volta nella
sua vita, dopo esser stata cacciata via 50 volte dalla
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 203
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
203
polizia, finalmente prendeva questo pezzo di carta
che era per lei il segno del riconoscimento di una dignità. Lei era diventata proprietaria di quel pezzo di
terra; ed è stato bellissimo perché era commossa, ha
abbracciato tutti; poi abbiamo fatto altri interventi, per
esempio a Salvador de Bahia, molto ampio. Però anche solo quello, vedere questa donna al termine quasi della sua vita, anziana (gli anziani in favela non vivono molto), così felice, così riconoscente per questo
piccolissimo pezzo di terra, grande come questa stanza, dove stava la baracca, è stato come dire «vale la
pena!». Quello sguardo mi ha detto «vale la pena di
fare tutta la fatica, l’impegno ne vale la pena», perché era uno sguardo di una donna che era come cresciuta in dignità.
Intervento: Mentre parlava, mi veniva in mente una
canzone di Gaber. Gaber ha scritto sia una Canzone
della non appartenenza che una Canzone dell’appartenenza. Nella canzone dell’appartenenza, che lei ha citato più volte, dice proprio l’inizio della canzone:
«L’appartenenza non è un civile stare insieme, non è
lo sforzo di un normale voler bene, l’appartenenza è
avere gli altri dentro di sé». Mi veniva in mente mentre lei parlava che io non l’ho mai capita fino in fondo questa frase; capisco che ha una genialità, ho intuito che è una cosa grande, ma non l’ho mai capita
fino in fondo. Mentre parlava cercavo di rintracciare
se effettivamente c’è la possibilità di capir meglio questa frase. La seconda domanda è che noi due anni fa
abbiamo visto un video sempre sull’AVSI dell’esperienza in Uganda, il video fatto da Emmanuel Exitu,
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
204
11 11 2010
19:37
Pagina 204
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Greater4; l’abbiamo visto qui dentro, cinque giorni prima che fosse premiato, quindi volevo chiederle se lei
ci poteva raccontare qualcosa di personale, magari sull’incontro con Rose che poi è stata la persona che si
vedeva come protagonista di questo video. E l’ultima
cosa, lei viene da un’esperienza cattolica cristiana, ma
ci sono tantissime altre esperienze e in questi ultimi
tempi quella che è stata più citata era quella di Emergency5; io volevo capire se lei aveva avuto mai rapporti
con Emergency e in particolare con Gino Strada.
Arturo Alberti: Per quanto riguarda l’appartenenza
ci sono due aspetti, secondo me. Uno è quello che dice Gaber: l’appartenenza è avere gli altri dentro sé, ed
è uno degli aspetti che viene dopo che uno vive la dimensione della sua vita dentro un’appartenenza ad
una realtà di amici, a una realtà che può essere un’identità religiosa o può essere un’altra forma di identità, ma è dentro un’appartenenza dove hai delle persone con cui fai un cammino, con cui ti paragoni e
che ti aiutano a fare delle scelte. È il discorso che fa4
Greater-Defeating AIDS, è un documentario del 2008 realizzato da un giovane regista bolognese, Emmanuel Exitu, che racconta una la vita del Meeting Point International, una ONG di Kampala (Uganda) che si occupa di assistere i malati di AIDS. Il lavoro di Exitu ha vinto il premio Babelgum Film International, la premiazione è stata decisa dal regista di fama internazionale Spike Lee.
5
Emergency è una ONG nata in Italia per opera di Gino Strada (medico chirurgo): opera in diversi paesi del mondo costruendo e gestendo ospedali per i feriti di guerra e per emergenze chirurgiche, centri per la riabilitazione fisica e sociale delle vittime di
mine antiuomo e altri traumi di guerra, posti di primo soccorso per
il trattamento immediato dei feriti, centri sanitari per l’assistenza medica di base.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 205
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
205
cevo prima: non è possibile fare un cammino umanamente significativo da soli. Per me, cattolico, l’appartenenza è quella della comunità cristiana, non della
Chiesa in senso lato, ma di un gruppo di amici che
fanno la mia stessa esperienza, che stanno con me. Per
altri può essere un’altra esperienza, però ci deve essere un luogo. L’appartenenza è un luogo, è un luogo
dove uno ti dice «secondo me ci puoi andare in Africa», tu ci pensi e dici sì – perché devi dire tu «sì» –,
però sai che quell’altro che ti ha detto questo è con
te, ha pensato che è per il tuo bene, ha pensato che è
per la tua crescita. Naturalmente se questo accade, crea
un’apertura del cuore e dello sguardo per cui l’appartenenza diventa anche – e questo è il secondo aspetto
– aprire la porta agli altri. Mantenendo però saldo un
punto di riferimento, perché altrimenti dopo un po’ c’è
il rischio di distruggersi. Se non c’è un luogo rigeneratore, c’è il rischio anche di non riuscire a sostenere
il rapporto con gli altri e l’apertura agli altri, questo
concetto di appartenenza che dice anche Gaber. Si può
creare un’appartenenza soltanto se si appartiene perché dopo è possibile anche l’altro tipo di apertura, sennò c’è un rischio grossissimo di perdita di se stessi.
Di Greater, il film sull’Uganda, vi racconto volentieri, perché è stata un’idea mia e di un nostro amico
e poi abbiamo coinvolto anche Emmanuel Exitu. L’ipotesi di partenza è stata questa: c’è una bellezza nella solidarietà e nella carità che va conosciuta e va documentata. Mi aveva molto colpito Rose, questa ragazza,
che adesso non è più ragazza ma ha 40 anni, che ha
fatto un cammino straordinario di crescita e aiuta più
di mille donne che sono sieropositive o malate di Aids,
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
206
11 11 2010
19:37
Pagina 206
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
i bambini orfani e molti altri. Uno dei punti che mi
aveva sempre colpito della sua esperienza, e che mi aveva raccontato, è quando, aiutata dagli amici, anche dagli Italiani che erano giù, volontari di AVSI, ha cominciato a percepire il significato della bellezza anche
della sua terra. Era talmente preoccupata dei suoi problemi quotidiani, che non si era accorta delle diverse
tonalità di verde, della bellezza del fiume, delle cascate del Nilo, della sorgente del Nilo. Mano a mano che
riscopriva questo, si sentiva come rigenerare e ha aiutato a far capire questo anche a tutte le donne con cui
sta. Io guardando come lei stava con le donne, coi bambini, vedevo una bellezza nella carità, una bellezza nel
suo modo di porsi, una bellezza nella solidarietà che
lei esprimeva. Abbiamo allora pensato di documentarla
in due modi: insieme al regista, e alla sua troupe che
è andato giù per 10 giorni, è partito uno scultore nostro amico. Il registra ha documentato visivamente, in
modo molto efficace il rapporto che Rose ha con le
donne, con gli altri, questa amicizia che circola tra di
loro e l’artista ha fatto due opere, due sculture che sono nate dall’emozione, dalla commozione della sua
esperienza lì. Due opere che poi ha fuso in bronzo;
una è una ragazzina che aiuta un’altra ragazzina malata a muoversi e si appoggia, l’altra è una ragazzina
che tiene il fratellino più piccolo, perché bisogna aiutarsi in famiglia. Quando c’è questa documentazione
della bellezza poi c’è un guadagno anche per i nostri
amici in Uganda perché queste due opere, replicate in
8 copie l’una (fino a 8 sono sempre copie uniche), sono state vendute ad alcuni imprenditori e abbiamo ricavato 40mila euro che abbiamo mandato a Rose, in
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 207
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
207
Uganda. Ma è stata una bellissima esperienza che abbiamo continuato. Nel 2009 un altro regista con un’altra troupe e un artista sono stati in Colombia dove hanno documentato altre situazioni che vivono i volontari AVSI e questo artista è tornato contentissimo per l’esperienza fatta. Nel 2008 c’è stata l’Uganda, nel 2009
la Colombia e nel 2010 c’è stato un altro artista con
un’altra troupe; sono andati in Brasile a Belo Horizonte
dalla Rosetta Brambilla, un’altra nostra amica, a documentare il lavoro che lei fa con più di mille bambini negli asili, il suo lavoro educativo. Stiamo continuando su questa strada, perché ci accorgiamo che
poi la gente che vede, coglie questo fatto particolare
e gli artisti ritornano cambiati e decidono di coinvolgersi in un lavoro, in un cammino con l’AVSI. Quindi è stato molto bello.
Per Emergency: io conosco Strada, l’ho incontrato.
Lui fa un lavoro molto interessante di chirurgo di
guerra, di intervento nei luoghi più difficili, ma questo concetto che dicevo di appartenenza e di paragone non è nel suo stile; cioè è uno molto consapevole
delle sue capacità e del suo carisma e quindi lui va
avanti per la sua strada, anche sbagliando. Come
LINK6, abbiamo fatto anche un documento quando
c’è stata la problematica dell’Afghanistan. Quando uno
va in giro a fare degli interventi umanitari non può intervenire politicamente, perché sei in un paese straniero
che ti ospita; che ci sia un dittatore o che non ci sia,
tu sei libero di andarci o non andarci, ma se ci vai, se
6
LINK è una realtà associativa che raduna diverse ONG italliane. Il presidente è Arturo Alberti.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
208
11 11 2010
19:37
Pagina 208
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
tu intervieni con un giudizio accetti le conseguenze di
esser cacciato via. C’è un eroismo della denuncia (che
però è più tipico di chi abita lì), e l’eroismo della denuncia vuol dire andare in galera ed essere sottoposto
anche a delle limitazioni della libertà; ma c’è anche un
eroismo del silenzio. Quale è stato l’esito di questa posizione politico-culturale di denuncia, che è vera come denuncia, ma è impropria nei modi? L’esito è stato che l’ospedale si è chiuso e la gente soffre. Cioè se
tu sei appassionato non ad un criterio ideologico ma
alla gente che hai di fronte, che ha bisogno, non comprometti la tua possibilità di aiutarli per il gusto di un
giudizio comunicato apertamente alle televisioni; ci vuole il sacrificio del silenzio. Poi io dico che lui è un grandissimo chirurgo. Ho visto in Sierra Leone il suo ospedale, so che ne ha fatto uno in Sudan, anche lì con qualche polemica, di cardiochirurgia pediatrica. Tra miei
amici di LINK, ci sono tre ONG che sono in Afghanistan, il CESVI , INTERSOS e anche COOPI, ma nessuno ne ha mai sentito parlare in questi giorni, perché
loro in quel posto lì decidono di starci e se vogliono
starci devono fare questo sacrificio del silenzio. Però
aiutano la gente. Quindi nel merito lui è bravo e fa delle cose pregevoli, però il metodo io non lo condivido.
Intervento: Però, al di là del caso di Gino Strada,
almeno da 20 anni a questa parte c’è stato un aumento del numero di ONG in giro per il mondo. Ora,
a dispetto dei singoli casi, però in generale una ONG
che va in un paese straniero a fare un tipo di lavoro
di supporto, di assistenza, di aiuto, di solidarietà, in
ogni caso fa un’azione sul territorio: cura i civili, cu-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 209
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
209
ra i Talebani, cura i ribelli, cura i soldati americani...
Io credo che comunque ad ogni azione corrisponda
una reazione; per quanto si possa partire con l’intenzione di essere imparziali, o di fare un lavoro circoscritto, perimetrato o anche senza la volontà – lei parlava di ideologia e anche di altro, e sono d’accordissimo con lei – però poi, come ancora diceva lei, la realtà delle cose è sempre più complessa, nel senso che
ad ogni azione di questo tipo si scatenano poi le reazioni delle Organizzazioni Internazionali, dei governi
locali, della popolazione civile e, anche se non si vuole prendere parte in un conflitto, in una qualsiasi cosa, alla fine non si può restarne fuori...
Arturo Alberti: Sì, certo! Però, per esempio, noi
eravamo in Rwanda nel 1994 quando c’è stato il genocidio7, così come siamo stati per più di 20 anni nel
Nord Uganda con la guerriglia di Kony8 e altri. In
Rwanda è stata una situazione credo imparagonabile
a qualsiasi altra, in quasi cento giorni uccisero più di
800mila persone. Però quando sei lì, devi fare una
scelta. Perché è chiaro che se tu dici, come ha fatto
Strada, «il governo dell’Afghanistan è fatto da tagliagole e corrotti», uno si aspetta anche che poi gli altri
7
Il genocidio del Rwanda è stato uno dei più sanguinosi episodi della storia del XX secolo. Si stima che la guerra etnica fra Hutu e Tutsi abbia portato a un numero di vittime superiore ai 3 milioni.
8
Joseph Kony è il fondatore e leader dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) che dal 1986 ha portato la guerriglia nel Nord
Uganda e nel Sud Sudan, mietendo più di 100.000 vittime. L’LRA
è un esercito irregolare, composto anche da migliaia di bambini
guerrieri.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
210
11 11 2010
19:37
Pagina 210
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
reagiscano; è vero come giudizio, però se tu lo dici devi accettarne le conseguenze. Il punto è che devi fare
una scala di priorità. Normalmente chi fa l’aiuto umanitario in genere, deve essere consapevole che ha di
fronte a volte dei dittatori. Perciò devi essere imparziale, e se uno è medico cura tutti. Per esempio in
Rwanda solo due ONG non sono state espulse tra cui
l’AVSI, perché a un certo punto avevano giudicato
negativamente l’operato del nuovo Governo e sono
state cacciate via tutte. Alla fine questo è un danno
per la gente, non c’è niente da fare. Ma questo non
vuol dire essere conniventi: cioè, non è che chi è lì,
per poterci stare, approva o sostiene chi è corrotto, ma
se tu sei in un territorio e devi lavorare, devi avere il
permesso delle autorità, altrimenti semplicemente non
puoi entrare. Devi inserirti in un piano programmatico delle autorità, per cui se fai un ospedale lì, lo devi fare perché le autorità lì non lo fanno, lo fanno da
un’altra parte e così è la scuola. Quindi è necessario
inserirsi in una programmazione pubblica e allora ci
vuole molta pazienza ed è un equilibrio difficile. Devi mantenere un equilibrio fra la connivenza e la denuncia; la denuncia ti porta all’espulsione, la connivenza
sarebbe immorale. Devi continuare a lavorare cercando di aiutare la gente e di sostenerla il più possibile
e dove possibile dire anche la verità delle cose. Se tu
incontri la gente puoi anche dire come la pensi e cosa puoi fare...
Intervento: Ma in Rwanda vi permettevano anche
di aiutare i Tutsi, ad esempio, anche durante il genocidio?
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 211
COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI
211
Arturo Alberti: Sì. Cioè, durante il genocidio, era
un disastro totale, quindi si è potuto fare ben poco.
C’è stata molta gente che si è rifugiata nelle ambasciate,
si sono salvati così, però è stata un’esperienza terribile per chi era lì.
Intervento: Un ultimo approfondimento sulla sua
scelta molto forte. A volte, ognuno nella propria esperienza e in riferimento alla sua, ci si trova di fronte a
delle scelte drastiche e mi viene in mente una frase latina che dice: video meliora proboque sed deteriora sequor, vedo le cose migliori e le approvo, ma seguo le
peggiori, anche perché a volte la strada più proficua
è anche la più difficile. Riallacciandomi alla sua frase
iniziale, noi giovani siamo il 14 per cento, quindi una
razza quasi in estinzione, qual è il vademecum che stasera ci lascia?
Arturo Alberti: L’uomo, per l’esperienza che ho io
e per quello che credo, non può pretendere di non
sbagliare e di non peccare; perché l’uomo è fragile, sbaglia, commette degli errori gravi. Tutti, nessuno escluso! L’importante è innanzitutto la consapevolezza di
questo e quindi di non pretendere l’impossibile da sé.
Un mio amico marxista, un medico con cui lavoro da
tanti anni, neuropsichiatra infantile, mi dice «io invidio voi cattolici perché avete la confessione per cui potete sbagliare e pentirvi, mentre noi dobbiamo sempre essere perfetti e non ci riusciamo». Quindi la consapevolezza di questo limite, però dentro la decisione,
la passione di muoversi per un’ideale. Prima parlavamo della fatica di far politica oggi, quando ti accorgi
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
212
11 11 2010
19:37
Pagina 212
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
che pochissimi si muovono per un ideale. Ecco: muoversi per un ideale. Un ideale può esser l’incontro che
uno ha fatto con Gesù Cristo, ma un ideale può essere anche un’altra cosa; però muoversi per un ideale e cercare di tenere aperto il cuore e la mente alle
provocazioni della realtà, insomma alle provocazioni che
ci sono. È misterioso come accade il tutto, perché di
fronte a una proposta uno può dir sì o no e tutte le
volte può dir sì o no. Il dir sì o no cambia la vita. Se
io avessi detto no all’andare per vari motivi, che erano tutti legittimi – non è che l’andare fosse migliore
che stare qua –, però mi sarebbe cambiata la vita completamente. Allora, nella decisione, tenere aperto il tema dell’ideale, un ideale che non è un’ideologia in
nome della quale schiacci le persone; è un ideale. Ogni
uomo di fronte al bisogno sente che si mobilita, di fronte al bisogno in senso lato. Cioè, ogni uomo percepisce questa spinta a dare una risposta, ogni uomo; non
è solo di alcuni, è in ogni uomo. Non soffocare il cuore dell’uomo; ecco io direi: non soffocate il vostro
cuore, le vostre esigenze di giustizia, di libertà, di
uguaglianza, di amore; non soffocatele, lasciate aperto il cuore e non soffocatele, neanche per la carriera.
Non è facile, però è un cammino entusiasmante.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 213
Gianni Riotta*
Conoscere e informare
Rondoni: In questa ora che abbiamo a disposizione
io vorrei approfittare della presenza di Gianni Riotta,
che è un amico con cui ho la fortuna di lavorare scrivendo ogni tanto per questo giornale. Noi ci siamo conosciuti a Palermo durante un convegno nel quale si
parlava di suo padre, un grande giornalista siciliano,
ma di lui avevo già letto una bellissima introduzione
a Pirandello, perché oltre ad essere un giornalista,
Gianni Riotta è uno dei giornalisti che ancora pensano in Italia, quindi ha anche un’attività di scrittura che
non riguarda solamente le notizie giorno per giorno.
Io vorrei che entrassimo subito nel merito del nostro
tema: la conoscenza come avvenimento, cioè conoscere la realtà non è l’applicazione di schemi pre-esistenti,
non è la verifica solo di un pregiudizio che uno inevitabilmente ha. Ognuno di noi va incontro alla realtà con dei pregiudizi che gli vengono dati dalla sua
vita, dalla sua storia, da quello che gli sta attorno, dalle relazioni che ha, ma conoscere non è solo questo,
* Intervento tenuto in occasione del Camplus Day presso la sede centrale de “Il Sole 24 Ore” il 22 marzo 2010; Gianni Riotta è
Direttore de “Il Sole 24 Ore”; modera l’incontro Davide Rondoni,
poeta e scrittore.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
214
11 11 2010
19:37
Pagina 214
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
non è l’applicazione di qualcosa che qualcuno sa già.
La conoscenza ha a che fare con la sorpresa, la sorpresa di un incontro con le cose, con i fatti che succedono. Chi più di uno che vive ormai dentro le redazioni, da tanto tempo, dei giornali e telegiornali più
importanti d’Italia, chi più di uno come Riotta si trova ad aver a che fare con fatti che succedono e che
gli vengono presentati? La mia prima domanda per avviare la conversazione è molto semplice: tu ti trovi effettivamente bombardato tutti i giorni, tutte le mattine da una serie di cose, e devi scegliere fra le tante
cose che succedono, ma in questo bombardamento
continuo e in questa selezione inevitabile che devi fare, per te cosa vuol dire conoscere? Ti poni la domanda
se conosci veramente il mondo in cui viviamo, o un
pezzo di mondo, o – aggiungo, perché per noi la professione e la persona sono sempre attaccati –, anche
un pezzo della tua vita? E cosa significa conoscere un
pezzo della tua vita? Quando pensi alla conoscenza,
tu che vivi d’informazione, a cosa pensi?
Riotta: Intanto grazie Davide e grazie a chi ha organizzato questo incontro, grazie a voi che siete venuti,
alcuni – mi dicono – anche da lontano, qualcuno è venuto anche dalla Sicilia... Benvenuti! Potevate fare a
meno di battere l’Internazionale due domeniche fa1,
ma tranne questo, benissimo, benvenuti! Io non userei il termine «bombardare», no? Nel senso che, per
quella che è stata la mia vita, l’informazione è una co1
Il 12 marzo 2010 il Catania batte 3-1 l’Inter nella 28° giornata di Serie A del Campionato Italiano di Calcio.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 215
CONOSCERE E INFORMARE
215
sa positiva. Ed è positivo – poi andremo a vedere anche i rischi –, ma è positivo l’aumento di disponibilità d’informazione. Ieri pomeriggio tardi c’è stato un
avvenimento, cioè l’approvazione della riforma sanitaria negli Stati Uniti: è un fatto epocale, perché 32
milioni di persone negli Stati Uniti, di cui molti bambini, non avevano assistenza sanitaria. Ora ce l’hanno, ma ci sono moltissimi contrasti, si tratta di una
spesa in dieci anni di 940 miliardi di dollari, 700 miliardi di euro, quindi molti molti soldi, e c’è stata una
grandissima battaglia – come sempre negli Stati Uniti – se doveva e come coprire le spese per l’aborto.
Gran parte del Partito Democratico era contrario e alla fine hanno creato un sistema molto legalistico, all’americana, per cui si compra il pacchetto che non prevede alcuna copertura sull’aborto e poi il cittadino o
la cittadina può scegliere se accedere o non accedere
a quest’altra pratica. Quando io ho cominciato ad occuparmi degli Stati Uniti, tanto tempo fa, prima che
molti di voi fossero anche nati, per scoprire questo avvenimento noi avremmo dovuto aspettare domani che
i giornali italiani avessero dato una qualche forma di
copertura, e arrivava qualche raro giornale americano
stampato in Europa che raccoglieva al telefono qualche informazione. Avevamo un ritardo oggettivo di 48
ore, ma, a parte i ritardi temporali, avevamo un’esigua informazione, per cui fondamentalmente quello
che io scrivevo per il “Corriere della sera” o per “l’Espresso” era la verità, era l’unica cosa con cui i lettori si confrontavano. E succedevano delle cose bizzarre, perché alla redazione del “Corriere della sera” costantemente venivano turisti italiani che dicevano «noi
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
216
11 11 2010
19:37
Pagina 216
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
non capiamo: tutti i giorni scrivete che in America si
sparano – erano gli anni della grande criminalità –, siamo arrivati ieri qui io e mia moglie e non abbiamo visto ancora nessuna sparatoria», perché non capivano
ovviamente che la Quinta Strada a mezzogiorno non
è il luogo in cui si sparava, mentre lui camminava per
la Quinta Strada facendo un po’ di shopping… C’erano invece altri luoghi in cui si sparava. Oggi non è
più così, perché io ieri pomeriggio e anche alla sera
ho continuato a seguire gli aggiornamenti dai blog dal
sito del “New York Times”, dai siti dei vari deputati
che erano incerti – per esempio il deputato del Michigan che fino all’ultimo era indeciso se votare o
no –, esattamente come se fossi lì. Puoi accedere ai blog
delle persone, quindi non è che dici «mi manca il calore dell’opinione pubblica». Questa è un’enorme opportunità, perché noi possiamo collegarci con i siti
fondamentalisti islamici, con tutto quanto, e sapere
costantemente cosa accade. Il «mah» da dove arriva?
Arriva dal fatto che poi noi siamo rimasti noi stessi,
con un cervello, con una capacità di assorbimento e
con dei limiti temporali, e anche con una disponibilità, che poi è il punto vero, il nesso fra la conoscenza
e l’informazione del futuro; cioè, apprendere di più e
avere la possibilità di apprendere di più significa essere disposti di più a cambiare, di più a modificare le
nostre idee, di più a nutrirsi di nuove vicende. Ma questo è straordinariamente faticoso. Perché cambiare
idee, cambiare punti di vista, accettare che la realtà stia
cambiando vorticosamente, è per tutti, per noi alla
nostra età e per voi alla vostra età idem, un percorso
faticosissimo. Stiamo arrivando a qualcosa di davvero
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 217
CONOSCERE E INFORMARE
217
imprevedibile fino a qualche tempo fa, cioè l’enorme
accesso che abbiamo all’informazione e l’enorme capacità che abbiamo nel confrontare il nostro punto di
vista con il punto di vista degli altri e questa possibilità di arricchimento che ci offre internet e che i media ci hanno dato, invece che portare ad un allargamento della conoscenza, sta rischiando di portare ad
un restringimento, nel senso che è talmente faticoso che
io con i miei amici mi chiudo nel blog, ed escludiamo
quelli che non la pensano come noi. Per cui io, quando mi chiedono come sarà l’informazione nel 2050, solo per giocare dico: 9 miliardi di esseri umani al mondo, 9 miliardi di blog, ognuno scritto e letto dalla stessa persona che odia tutti gli altri 8.999.999 bloggers.
Contro questa frantumazione dobbiamo lavorare.
Rondoni: Hai già detto una parola importante: dire che la conoscenza è un avvenimento, non è solo l’applicazione di uno schema che è già dato, di un passato che si ripresenta uguale a se stesso, ma che la conoscenza è disposta a confrontarsi con qualcosa d’altro da me. Dire che è un avvenimento è dire questo,
appunto: che entra in gioco una libertà, un dramma,
come direbbero gli antichi, cioè un’azione, un’azione
fra due elementi, cioè tu e qualcosa che la realtà ti pone. Il fatto che la conoscenza è un avvenimento, dicevi tu, implica una necessaria disponibilità, e a volte
sembra quasi che questa responsabilità si ritragga dentro il mare magno delle cose che ti arrivano. Per questo mi sembra un’osservazione molto importante. Allora, innanzitutto, una domanda se vuoi quasi personale. Che cosa può aiutarci a tenere aperta questa dis-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
218
11 11 2010
19:37
Pagina 218
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
ponibilità, a vent’anni come a 45 o a 50? Cos’è che
aiuta a non essere uomini che si sono chiusi? Un mio
grande amico che era don Giussani diceva che la ragione è come una finestra aperta: che cosa aiuta a non
chiudere la finestra, quindi a tenere la ragione come
apertura e non come chiusura?
Riotta: Secondo me la cosa più importante è l’umiltà.
Tanti anni fa la Cina è cambiata perché un signore che
si chiamava Deng Xiaoping2 ha deciso che si doveva
aprire questo mondo che era chiuso. Era stato uno dei
dirigenti comunisti poi è caduto in disgrazia, è stato
mandato in campo di concentramento, suo figlio l’avevano buttato dalla finestra ed è rimasto paralizzato,
lui doveva spalare sterco di cavallo per farne concime, però poi, come tutti i veri grandi uomini, finito
di spalare lo sterco di cavallo si sedeva e organizzava
la Cina del futuro come poteva, e lui ha scritto una
volta una cosa bellissima: «Quando la mia vita è finita mi piacerebbe aver avuto ragione una volta su due».
Io dico sempre ai miei colleghi, quando la mia vita finisce vorrei aver avuto ragione una volta su tre, perché se Deng Xiaoping si poteva accontentare del 50
per cento io mi accontento del 33 per cento. Perché
dico «l’umiltà»? Perché la realtà sta cambiando così
vorticosamente, e tutte le questioni stanno cambiando
così vorticosamente, che è estremamente difficile sui
fatti essere costantemente informati, in più c’è una
complessità straordinaria. Prendiamo una vicenda con2
Deng Xiaoping (1904-2007) ha ricoperto ruoli direttivi nel
Partito Comunista Cinese durante l’era di Mao Zedong e ha diretto de facto la Cina dal 1978 a 1992.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 219
CONOSCERE E INFORMARE
219
creta: l’11 settembre 2001, attacco alle Torri Gemelle.
Io ho vissuto a lungo negli Stati Uniti, i miei figli sono nati a New York, vivevano a New York nel giorno dell’attacco, per cui per molte ore io non ho saputo come collocarli, alcuni miei amici sono morti nel
disastro delle Torri Gemelle, insomma è un avvenimento che ha colpito me come giornalista, come studioso di politica internazionale, ma anche molto fortemente come persona. Io quindi ho cercato in seguito, molto faticosamente, di analizzare quell’avvenimento e di chiedere anche: era prevedibile? era evitabile? come abbiamo fatto a non comprenderlo?
E ho visto quanto è difficile e in una qualche misura perfino impossibile capire e prevedere gli avvenimenti. C’è un libro molto bello di uno studioso, un
giornalista pachistano che si chiama Ahmed Rashid
che è intitolato Talebani, che è uscito anche in Italia
pubblicato da Feltrinelli prima dell’11 settembre. Talebani è stato scritto prima dell’11 settembre. Quando leggete quel libro lì capite che si arriva all’11 settembre, eppure chi l’ha letto e chi l’ha scritto non ha
saputo prevedere l’avvenimento. Io ho un amico molto caro del “Corriere della Sera” che adesso vive negli Stati Uniti, Guido Olimpio, che è il massimo esperto italiano ed è uno dei massimi esperti internazionali di terrorismo fondamentalista islamico (ne sa molto
più di me). Lui veniva a New York e mi portava a vedere l’Imam cieco che predicava in una cantina di
Brooklyn e diceva «distruggiamo gli Stati Uniti!».
Adesso è all’ergastolo per l’attacco del 1993. Ebbene:
io vi devo confessare che andavo nella cantina, parlavo con il mio collega, sentivo l’Imam cieco e pensavo
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
220
11 11 2010
19:37
Pagina 220
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
che Guido fosse un pazzo, l’Imam cieco un cialtrone
e che mai e poi mai quei 30 straccioni che stavano in
quella cantina avrebbero attaccato l’America. Avevo torto, perché ero ignorante, perché ero supponente, perché mi mancava la collezione dei fatti. In più, pensate: adesso aprite un giornale e leggete «Imam, Ayatollah,
Mullah, Grande Ayatollah». Del mondo musulmano,
il cardinale Scola, Patriarca di Venezia, dice sempre:
«non c’è un Islam, ci sono Salafiti, Sciiti, Sunniti, Drusi, e chi più ne ha più ne metta: praticanti, non praticanti, superstiziosi, non superstiziosi, sufi, pacifisti, Jihad, fondamentalisti». Ecco: di questi termini che io
ho usato, vent’anni fa noi a stento ci orientavamo su
Sunniti e Sciiti perché c’era stata la rivoluzione in
Iran. È stato molto faticoso, perché prima eravamo lontanissimi e perché una notizia arrivasse ci volevano
anni. Il mondo era congelato. Adesso tutto è talmente veloce che ci vuole una grande umiltà. Prendete
un’altra questione: gli OGM. Chi di voi è contrario
agli OGM alzi la mano. Troppo pochi... Siete ragazzi: non mi convincete, allora chi è favorevole alzi la
mano. C’è una media molto superiore: gli Italiani – lo
sapete? – per l’86-87 per cento sono contrari. Quando voi andate a parlare con le persone sugli OGM scoprite che la verità più forte è che c’è un’ignoranza terribile; io sono sfavorevole, ma lasciamo perdere adesso il dibattito. Quando voi “sondate” le persone, vedete che sanno veramente pochissimo. Allora, la prima cosa da fare per noi che facciamo informazione è
con grande umiltà dare tutte le informazioni, darle in
modo accessibile: spiegare, spiegare, spiegare… L’altro grande avvenimento è la crisi internazionale fi-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 221
CONOSCERE E INFORMARE
221
nanziaria del 2008, Marco3, che vedete seduto lì, ha
scritto un dizionario sull’economia, che spiega voce per
voce che cosa vuol dire il termine «economia». Un mio
amico molto caro, il capo della Borsa italiana e vicepresidente della Borsa europea e vive qua a Milano, è
Massimo Capuano. Quando ci siamo conosciuti abbiamo scoperto che avevamo giocato a tennis ai tornei studenteschi l’uno contro l’altro. Lui per esempio
dice «il dizionario di Mariani lo tengo sempre sul tavolo, perché io che governo la Borsa italiana, che governo la Borsa europea, spesso non mi ricordo un certo concetto anche se lo so, perciò lo devo ristudiare».
Quindi l’umiltà è la cosa più importante. Quando avete un’idea rimettetela sempre in discussione. Quando
avete un punto di vista rimettetelo sempre in discussione, accertatevi che le nuove informazioni che arrivano vengano prese in contesto. Allo stesso tempo
non vi sentite in dovere di avere un’opinione su tutto, non vi sentite in dovere di sapere tutto: dite con
serenità «non lo so, devo studiare», oppure «mi piacerebbe capire». Perché è impossibile sapere tutto.
Qualche anno fa a un pranzo di Natale un mio carissimo cugino mi ha chiesto: «Ma tu cosa pensi del ponte sullo Stretto? Sei favorevole o contrario?» e io ho
detto: «Non lo so; è un tema importantissimo per l’economia italiana, per le infrastrutture, ma non l’ho
mai studiato abbastanza. Ci sono questioni di impatto economico, di impatto sociale, di impatto strutturale, di impatto ambientale, il terremoto... Non lo so».
3
Riotta si riferisce a Marco Mariani, giornalista de “Il Sole 24
Ore”, seduto nelle prime file della sala.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
222
11 11 2010
19:37
Pagina 222
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Adesso per parlarne al Tg1 l’ho dovuto un po’ studiare per dare qualche timida opinione, ma se voi mi
chiedeste di scrivere un articolo sul ponte sullo Stretto, prima dovrei studiare. Quindi non vi vergognate
di dire che non sapete.
Avevano ragione gli Hutu o i Tutsi? Vi ricordate questa storia4 in Africa, in Congo e Rwanda? Sapete quanti morti ha fatto? Tre milioni di morti, cioè il conflitto più violento dalla Seconda Guerra Mondiale in poi,
salvo il Vietnam. E noi non sappiamo niente, ma veramente niente. Chi aveva ragione? Io all’inizio cercavo
di capire chi erano i buoni e chi erano i cattivi, ma
fondamentalmente la regola è che tutte le volte che i
Tutsi erano in maggioranza e che gli Hutu erano in
minoranza i cattivi erano i Tutsi e viceversa. Perciò non
abbiate timore di dire «non lo so, devo studiare».
Rondoni: Ecco, allora l’umiltà è una giusta posizione con cui affrontare il problema, no? È anche un “antivirus” rispetto a tutto quello che può essere una supponenza stupida di fronte a problemi molto più complessi. Ma, allora conviene interessarsi della realtà oppure no?
Perché molte volte, tu lo accennavi prima quando
parlavi di blog uno contro l’altro, sembra che, un po’
per pigrizia, un po’ pressione esteriore, un po’ anche
4
Riotta si riferisce al periodo di guerre svoltesi in Congo e in
Rwanda nel periodo 1990-1997, durante il quale si combatté la
Guerra Civile in Rwanda, svoltasi fra il 1990 e il 1993 e sfociata in
seguito nel 1994 nel terribile genocidio rwandese, e la Prima Guerra del Congo. Attori principali di queste tragiche vicende furono
due etnie contrapposte, gli Hutu e i Tutsi.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 223
CONOSCERE E INFORMARE
223
per un lasciare andare le cose – Boudelaire avrebbe
detto «per una sorta di avvilimento del cuore»: il cuore non desidera più e così a un certo punto vivacchia
–, ci si lascia andare, non ci si interessa. O anche
Montale – io cito i poeti perché conosco i poeti – diceva: «Uno si accontenta di vivere al 5 per cento», perché dice «in fondo, sì, posso anche non avere un opinione su quasi niente, un giudizio su quasi niente, non
entro in merito su quasi niente, faccio l’esame e prendo il voto e poco più». Insomma: sbrigo la vita come
una sorta di faccenda che devo sbrigare, però non mi
interesso più di tanto alle cose. Allora io ti faccio una
domanda che può sembrare un po’ banale: conviene
interessarsi? E che vita hai fatto tu? Perché tu hai fatto una vita interessandoti, dicendo sì con umiltà, ma
interessandoti, non restando un passo indietro a coltivare il tuo orticello privato o una mancanza di giudizio. Allora conviene interessarsi? Se sì, che tipo di
convenienza è?
Riotta: Che tipo di mestiere volete fare voi in futuro? Non so, mi dica lei signorina.
Intervento: Giornalista.
Riotta: ma tutti il giornalista volete fare? sono fortunato... Solo i Siciliani vogliono fare i giornalisti? Lei?
Intervento: Il magistrato.
Riotta: Il “signorino”?
Intervento: Designer.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
224
11 11 2010
19:37
Pagina 224
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Riotta: Allora, è ovvio che un giornalista deve tenersi al corrente dell’informazione. È ovvio? Quando
guardate più da vicino è ovvio e non è ovvio, perché
se fate il giornalista sportivo potete anche non avere
una grande opinione sul Ponte sullo stretto e fare lo
stesso il derby Reggina-Messina con grande eleganza e
bravura. È ovvio che un magistrato – anche se sarebbe meglio se fosse un po’ meno ovvio –, in Italia, deve sapere grosso modo quello che succede. È ovvio già
un po’ molto meno per un ingegnere, perché è chiaro che ci sono lavori più tecnici in cui un maggiore
distacco dalle cose che succedono è garantito, è consentito. Per quanto riguarda la vita, io oggi non credo più, come credevo quando ero ragazzo, che sapere tutto, guardare tutto del mondo significhi essere stati ovunque, e che aver girato tutto il mondo ti faccia
conoscere la vita di più che fare il farmacista a Scurcola Marsicana5 e vedere fondamentalmente le stesse
1500-2000 persone per tutta la vita. Non lo credo più.
Credo che la visione e la comprensione della vita sia
un fatto diverso dalla conoscenza del mondo. Manca
un termine: l’informazione è il primo gradino, la conoscenza è il secondo, il terzo gradino chiamatelo
«saggezza», ed è ottenibile anche scavalcando i primi
due gradini, saltandoli tutti e due a piè pari. C’è un
bellissimo racconto di Tolstoj che si chiama Padre Sergio, in cui il protagonista è un bravissimo guerriero dello Zar che abbandona quella professione per diventare monaco. Diventa il monaco più famoso e abban5
Scurcola Marsicana è un piccolo comune in provincia dell’Aquila.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 225
CONOSCERE E INFORMARE
225
dona anche quella pratica per diventare un eremita solitarissimo, in odore di santità. Abbandona anche quella pratica perché capisce che non riesce ad arrivare alla vera saggezza, e diventa vagabondo. Torna verso il
suo villaggio, incontra una signora che è rimasta a fare la mamma, la casalinga, a cucinare minestre di rape per tutta la vita a casa e che non ha la sua gloria
militare, la sua gloria ecclesiastica, la sua saggezza di
grande eremita mistico, e capisce che lei ha capito la
vita più di lui. E che poi alla fine la vanità che lui ha
messo in tutte queste cose in qualche modo lo ha fermato dal raggiungerla, mentre invece quella donna
estremamente semplice è arrivata alla saggezza prima
di lui.
Se gli amici mi avessero chiamato per fare una conferenza sulla saggezza, solitamente avrei declinato dicendo loro «dovete trovare qualcuno che ne sa più di
me, mentre sui primi due gradini, informazione e conoscenza, sono invece attendibile». Io penso che una
vita senza conoscenza per me sarebbe stata impossibile, cioè io ho la curiosità, voglio sapere, mi piacerebbe di più sapere che succede oggi in Pakistan, che
è successo stamattina in Nigeria, se il nuovo presidente
nigeriano riuscirà a fare le riforme che voleva. Ho una
capacità che se volete è perfino un elemento di superficialità. Magari c’è un chimico che per tutta la vita studia quella proteina o un biologo che studia quel
virus e in una vita riesce a sapere tutto di quel singolo virus... È un livello di saggezza. Io quando faccio il presepe o l’albero di Natale e trovo il giornale
col quale avevo incartato i pastori l’anno prima, apro
il giornale e inizio a leggere quel pezzetto e trovo, che
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
226
11 11 2010
19:37
Pagina 226
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
ne so, «incidente stradale, un nano ha investito una
ballerina e poi si sono messi insieme», però capisco
che è anche un elemento di superficialità, e il giornalismo è in un certo senso un mestiere superficiale. Però ci sono tanti mestieri superficiali, ma che fanno un
buon lavoro. I pittori fanno un lavoro superficiale ma
è buono; i dermatologi fanno un mestiere tremendamente superficiale, eppure è un buon mestiere. Superficialità non è sinonimo di inutilità, purché ci sia
l’umiltà, cioè quella posizione per cui tu capisci che
rimani alla superficie dei problemi e che dopo di te
arrivano altri che devono andare in profondità.
Rondoni: Questo credo che sia uno spunto molto
interessante, lo dico anche per i ragazzi che sono qui,
per cercare di capire meglio quello che noi chiamiamo eccellenza, perché a volte si ha un’idea, parlando
dell’università e dell’eccellenza, come se eccellere volesse dire essere bravi secondo certi schemi, secondo
certe categorie: avere una buona media, un buon voto. Essere un ragazzo per bene, diciamo cosi, essere
per bene, essere bravi. L’eccellenza sulla quale vogliamo scommettere è una sorta di rischio, è l’esistenza di
un senso critico che riguardi tutti gli elementi della vita, conoscenza, informazione e tutte le grandi questioni della vita. Sarebbe un uomo un po’ mostruoso
quello che ha una grande eccellenza nell’informazione su un particolare minimo e nessun senso critico riguardo alla sapienza della vita. Questa però è la grande scommessa della vita. Io volevo farti una domanda su questo, perché dicevo all’inizio che noi ci siamo conosciuti la prima volta perché parlavamo insie-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 227
CONOSCERE E INFORMARE
227
me a un convegno su tuo padre: quanto conta avere
dietro di sé qualche cosa che è venuto prima, una paternità, una tradizione, in questa sorta di avventura difficile che abbiamo descritto fino ad adesso? Noi alle
volte ci sentiamo come se alle spalle non avessimo
niente, come se dovessimo iniziare tutto da capo, come, appunto, se questa fatica di dover comprendere
il mondo dovesse partire quasi da zero. C’era un grande poeta che ha detto che ci hanno tagliato le gambe
e le braccia e però ci hanno lasciato liberi di camminare. Ecco, veniamo da un epoca in cui è come se ci
avessero tagliato gli arti con cui appoggiarci alle cose,
però poi ci hanno detto «adesso vai!», e uno sta lì,
come un torso appoggiato sul tavolo, che dondola non
sapendo bene cosa fare. Quanto ha contato per te
avere il padre che hai avuto, ovviamente, ma anche il
riferimento a qualcosa che veniva prima di te, che poi
magari è evoluto o è cambiato?
Riotta: Il rapporto col passato, e questo lo dico per
ciascuno di voi, è molto complesso, soprattutto in
un’epoca che vive vorticosamente di futuro. È molto
semplice: il passato deve essere un’ala e non deve essere una gabbia. E il passato può essere una gabbia,
e può esserlo fortissimamente, lo avete visto quando
c’è stata la guerra nei Balcani, che deriva da una certa battaglia tra Albanesi e Serbi del mille e rotti, era
un luogo di scontri terribile; e anche il dissidio violentissimo tra Sunniti e Sciiti, legato al fatto che il nipote di Maometto fu massacrato a Kerbalah nel corso di una battaglia nell’800 dopo Cristo. Ma non è che
dobbiamo tirarci fuori dalla nostra tradizione: se voi
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
228
11 11 2010
19:37
Pagina 228
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
andate a Gerusalemme alla Chiesa del Santo Sepolcro,
notate che sulla facciata della chiesa, che è il più grande monumento della cristianità, c’è attaccata, appesa
su in cima, una scala di legno, e i turisti non la notano mai questa scala di legno; c’è ancora, e ovviamente vento e sole l’hanno un po’ consunta. Qual è il problema? Il problema è che tutte le varie confessioni cristiane si contendono l’uso dei luoghi sacri. Vi ricorderete forse che la Pasqua scorsa c’è stata una lite
violentissima tra i monaci ortodossi e i frati francescani,
una rissa invereconda a causa dei turni. Quello che è
successo fondamentalmente è questo: che i frati francescani hanno in uso la manutenzione, però la facciata è data in uso ad un’altra confessione, ma fino a che
– e questo ci dice qualcosa di medievale – ci sono gli
attrezzi dei francescani, i francescani se ne possono
prendere cura, e quindi hanno lasciato una scala in passato dopo un lavoro per avere accesso sempre. Questo è il passato, che, per fortuna in modo comico, e
non come in Irlanda del Nord fino a dieci anni fa, tiene prigionieri. È il passato che non riesce ad uscire
da quel passato. È proprio l’esempio di passato come
gabbia. Ma anche gli esempi di passato come ala sono costantemente presenti. Per esempio, l’Italia dovrebbe essere molto più indietro economicamente di
com’è. Paese piccolo, senza risorse, paese geograficamente marginale, siamo più avanti perché il nostro
passato ci ha dato un enorme eredità culturale, imprenditoriale, di network familiare e sociale, per cui
stiamo sempre insieme. La Cina è uscita così rapidamente dalla crisi in cui era caduta durante gli anni del
maoismo, perché secoli di cultura confuciana, impe-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 229
CONOSCERE E INFORMARE
229
riale e filosofica, hanno liquidato facilmente un gap di
poche decine di anni. Cioè, la cultura di un popolo è
ciò che lo tiene sempre vivo. Quindi quando si parla
di passato il mio augurio è sempre «viva il passato!»
e «viva le culture!» e «viva incontrarsi con nuove culture!», senza che però questo ci renda prigionieri. Ci
sono qui molti amici siciliani, tu hai citato molti poeti, e ovviamente la Sicilia ha un “pacchetto di mischia” formidabile di cultura: due premi Nobel per la
letteratura6, una sola regione con due premi Nobel per
la letteratura, quando ci sono nazioni che ancora aspettano di vincerne uno! Allo stesso tempo però si vede
subito il rischio, quando una parte della cultura siciliana ha parlato di «sicilitudine» o di cultura che non
si può redimere, che non può cambiare. La «sicilitudine» non esiste: Pirandello, se non fosse andato a
Bonn da ragazzo non sarebbe diventato Pirandello. È
andato a studiare a Bonn in tempi in cui non si andava facilmente a studiare all’estero, ma, ovviamente,
vivendo a Bonn nel periodo in cui ci ha vissuto, ha
visto la crisi della cultura europea e come si era spezzato l’uomo europeo all’inizio del novecento, e ha introdotto questo accento culturale nella sua opera. Prendiamo Tomasi di Lampedusa: sua moglie era una principessa che viveva nei Paesi Baltici e il suo castello era
l’ultimo castello europeo a Stomersee7 prima dell’inizio della Russia Asiatica e lui ha vissuto lì e ha vissu6
Luigi Pirandello vinse il Nobel nel 1939, Salvatore Quasimodo nel 1954.
7
Stomersee dista 200 km da Riga, capitale della Lettonia; il castello è stata la residenza lettone di Tomasi di Lampedusa dopo aver
sposato nel 1932 la baronessa baltica Alexandra (Licy) von Wolff.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
230
11 11 2010
19:37
Pagina 230
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
to con lo zio alla corte del Re d’Inghilterra. Non esistono luoghi separati. Tutti i luoghi cambiano: luoghi
che oggi ci sembrano arretratissimi, fra trent’anni potrebbero diventare super-sviluppati. Quando vedete i
nostri soldati in Afghanistan che camminano in quelle terre desolate, le grandi colture di oppio, tutto distrutto da ormai trent’anni di guerra civile… Beh, nel
1400-1450, la biblioteca più ricca del mondo stava in
Afghanistan, quella dove c’erano tutti i testi cristiani,
tutti i testi ebraici, tutti i testi islamici. Era attivissima! La gente andava, comprava, leggeva, prestava. Poi
la storia ha preso un altro giro, ma niente vieta che
riprenda quel giro. Quindi: passato come ala e non come camicia di forza.
Rondoni: Faccio una domanda legata anche al periodo recente che stiamo vivendo in Italia, dove sembra che ci sia – questo lo dico per quel poco che osservo io, ma penso sia un sentimento comune di tanti – come una sorta di gara al ribasso, di faziosità che
continua, di lotte incomprensibili su cose che un po’
sfuggono all’attenzione, cioè sembra un paese continuamente coinvolto in una sorta di teatro un po’ oscuro, no? È sempre stato così, io lo dico spesso a chi si
lamenta dell’Italia di adesso, l’Italia è sempre stata così, un po’ un teatro in fibrillazione. Nel Cinquecento
i signorotti che combattevano fra di loro non è che
fossero più galanti o molto più chiari di quelli di adesso e l’italico poeta ha sempre guardato alla cosa pubblica e anche alla politica come a una sorta di teatro,
con una sorta anche di cinico distacco, come a dire
«fate come vi pare, basta che non mi aumentiate le tas-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 231
CONOSCERE E INFORMARE
231
se». In questo momento ci troviamo dentro la sede di
un giornale e, al di là della mia considerazione, il rischio è che quasi si guardino i mass media – penso
anche alle polemiche di questi giorni – come ammalati inevitabilmente di faziosità. Cioè, tu alla fine non
ci credi: guardi i giornali e la televisione e c’è una sorta ormai di scetticismo e di cinismo tale per cui c’è
una sorta di pregiudizio negativo. Da una parte c’è questo, dall’altra parte, come dicevo, c’è una situazione
complicata, una situazione che è un po’ “malmostosa”. Che cosa permette di continuare a rischiare, come si sta facendo? Cioè, un ragazzo, come questi che
sono qui, sta rischiando la propria vita per un futuro
in questo paese oppure ha un’intenzione a costruire
la propria vita qui. Che cosa permette di spingere ancora a rischiare qualche cosa? Perché, a volte, sembra
quasi che tutto ti consigli di non rischiare, tutto ti
consiglia al massimo di coprirti le spalle e di crescere
e arrivare a casa col minor danno possibile, di galleggiare, come se il massimo della vita sia riuscire a galleggiare in questo mare non proprio limpido e riuscire a galleggiare fino a qualche porto sicuro. Che cosa
invece spinge, se per te spinge ancora, anche a rischiare, a provare a fare qualcosa che non è sicuro,
che non è per forza già riparato?
Riotta: Guarda, la tua domanda offre due spunti:
proviamo ad affrontarli tutti e due. Il primo: io vedo,
ovviamente, fortissimo il polarizzarsi dell’opinione pubblica in Italia, però questo non è solo un tema italiano, ma l’Italia è il Paese dei Guelfi e dei Ghibellini e
di Maramaldo... Vi faccio un esempio: mio figlio è na-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
232
11 11 2010
19:37
Pagina 232
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
to ed è cresciuto negli Stati Uniti, si è fidanzato con
una ragazza che ha il padre italiano, però è americano: lei non è mai stata in Italia, non ha mai conosciuto
l’Italia, per cui lui l’ha portata praticamente per la
prima volta qui a Milano a vedere una partita. L’ho
portata a cena con un mio carissimo amico, e allora
lui gli ha chiesto: «E tu di dove sei?», «Io sono nata
in California, ma mio padre è italiano». Allora lui dice: «Ah, bene! Quindi è italiana?! E suo padre di dov’è?» «Di Forlì». E il mio amico, che è di Ravenna:
«Ma allora non è italiana, è Romagnola». Le si è illuminato lo sguardo e piano piano ha cominciato: «Caspita, allora ho capito: in America sei un Italiano, ma
in Italia devi essere di qualche altra parte!». Allora le
ho detto: «Guarda, Giorgio ti ha detto che sei Romagnola perché vi siete incontrati a Milano, ma se vi
foste incontrati in Romagna, Forlì e Ravenna sono distantissime... e se vi foste incontrati a Ravenna, in un
certo quartiere di Ravenna…». Ecco la polarizzazione. C’è un bellissimo proverbio arabo che dice: «Io
contro mio fratello; io e mio fratello contro mio cugino; io, mio fratello e mio cugino contro il villaggio;
io e il mio villaggio contro tutti gli altri villaggi». La
polarizzazione è un fenomeno della nostra epoca e deriva dal fatto che le ideologie sono andate in crisi, che
non c’è più la guerra fredda che divideva il mondo in
due grandi metà. Negli Stati Uniti la vicenda dell’aborto nella riforma sanitaria non c’entrava niente, la
riforma sanitaria non toccava niente, era puramente una
battaglia di propaganda, tant’è vero che poi l’hanno
risolta in mezz’ora. Sapete che c’è un movimento che
dice che il Presidente Obama non è nato negli Stati
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 233
CONOSCERE E INFORMARE
233
Uniti? Se non sei nato negli Stati Uniti non puoi essere eletto Presidente, e malgrado il suo certificato di
nascita sia stato pubblicato, ripubblicato, continuano
a battere su questo tema. Non li convincerete mai. Io
ci ho ragionato già tante volte e – se qualcuno di voi
mi ha già sentito mi scuso – dico che nel Vangelo di
Giovanni ci sono i due punti, il punto positivo e il punto negativo, il Polo Nord e il Polo Sud della battaglia
sull’informazione e conoscenza in questo momento.
Mi rifaccio a due versetti. Uno dice: «Voi conoscerete la verità e la verità vi renderà liberi». Questo è il
grande sforzo dell’informazione e della conoscenza:
provare a dare agli uomini elementi di verità e attraverso questi elementi – non dico «la verità», ma elementi, documenti, fatti che conducono verso la verità
attraverso un percorso – permettere di essere liberi,
di fare scelte da uomini liberi. Questo è fantastico. In
un altro punto, però, c’è un altro versetto terribile
che dice: «Ma gli uomini preferirono le Tenebre alla
Luce». E questo accade costantemente, e sono sicuro
che accade anche a me, che me ne accorga o che io
non me ne accorga, cioè: me ne accorgo sugli altri e
non me ne accorgo su di me. Tu dai alla gente tutti
gli elementi perché tragga la conclusione, e trae la
conclusione assolutamente opposta: per esempio, dimostri che il Presidente Obama è nato negli Stati Uniti e ugualmente la gente continua a ignorare quel fatto lì. Qualche anno fa c’è stato il caso di un medico
italiano, il dottor Di Bella, che diceva di aver trovato
la cura per il cancro, finché tutta la medicina gli si oppose e, benché i suoi malati morissero uno via l’altro
ignorando le poche ma non inefficaci cure che abbia-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
234
11 11 2010
19:37
Pagina 234
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
mo, molte persone continuavano a sostenere che la sua
cura era forte. Spesso capita che oggi l’opinione pubblica sia polarizzata e diffidente fino a questo punto,
anche giustamente, perché i media, come i politici,
hanno fatto una montagna di errori. Spesso siamo
sciocchi nel presentare le cose e questo provoca diffidenza e io su questo continuo – anche perché è troppo tardi ormai per cambiare – a pensare che il giornalismo debba essere equilibrato, debba ascoltare tutte le campane. Tu, Rondoni, hai lavorato con me come commentatore al Tg1 e sai la fatica che abbiamo
fatto nel presentare con equilibrio. Ovviamente moltissimi hanno pensato che lo facessimo per coprirci le
spalle, cioè per dare un colpo al cerchio e un colpo
alla botte. Dare un colpo al cerchio e un colpo alla
botte: se volete fare una botte, è l’unico modo per fare una botte. Ormai in Italia si dice: «Quello dà un
colpo al cerchio e uno alla botte», come a dire «è un
furbetto». Beh, dipende se volete veramente fare una
botte. Io non ho mai visto costruire una botte e immagino che adesso si costruisca con una catena di
montaggio, ma quando è nato il proverbio, qual era il
problema? Che per fare entrare le doghe della botte
dentro il cerchio davi un colpo al cerchio e un colpo
alla botte. Era l’unico modo. Allora, oggi l’unica forma di anticonformismo che c’è nel giornalismo italiano è l’equilibrio, essendo ormai fortissimamente polarizzato in due metà, politicamente in due metà: pro
Berlusconi e anti Berlusconi. Però poi anche su tutti
i temi è polarizzata a metà: contro gli OGM e pro gli
OGM; contro il nucleare e pro il nucleare; contro le
staminali e pro le staminali; contro il ponte e pro il
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 235
CONOSCERE E INFORMARE
235
ponte; spesso poi come si pronuncia Berlusconi si
cambia idea. Per esempio: se Berlusconi domani dicesse «sono contrario agli OGM», un sacco di quelli
che oggi sono contrari direbbero «sono favorevole»,
ma questo accade in tutto. In questa azienda, alcune
volte mi capita di dire: «va bene, ma noi pronunciamoci contro così vedrete tutti i nostri avversari dire
di essere d’accordo». La polarizzazione va combattuta perché blocca, ferma e rende sterile il dibattito. Per
quanto riguarda la seconda parte del tuo discorso mi
asterrei. Mi asterrei perché io sono per rischiare, per
camminare. Gramsci cita un proverbio Zulu che dice:
«Meglio avanzare e morire che stare fermi e morire»,
perché comunque ha progredito la tribù, ha progredito il villaggio, sei andato avanti tu. Quindi, per me,
vi direi «sì, rischiate!» Prendo atto che la cultura dominante nel Paese oggi è un’altra, cioè che la cultura
dominante nel Paese oggi non ama il rischio. Il Governo ha appena detto: «Ricominciamo a produrre
energia nucleare», e un Ministro del Governo, Zaia8,
va in Veneto e dice: «Sono contrario». Siamo tutti
contrari alla ricerca, siamo tutti contrari all’innovazione, la TAV ci fa paura, c’è una paura diffusissima della novità. I giovani sognano il lavoro fisso. Io non mi
sento tanto di sfotterli, perché puoi essere contrario
al lavoro fisso se poi costruisci la cultura della Sylicon
Valley, in California, nella quale se hai un’idea le banche ti danno i soldi. I banchieri... Ci sono banchieri
8
Luca Zaia, Presidente della Regione Veneto dal 13 aprile 2010,
il giorno dell’incontro svolgeva l’incarico di Ministro per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nel governo Berlusconi.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
236
11 11 2010
19:37
Pagina 236
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
che oggi dominano in Italia che dominavano quando
io avevo la vostra età. È una società lenta a cambiare, lenta al cambiamento e pare che sia bene che i banchieri più vecchi siano e più debbano stare al potere.
Perciò, io vi direi «rischiate!», però sappiate che questa società non è una società che favorisce l’azzardo,
è una società che penalizza l’azzardo, quindi rischiate
sapendo questo, con intelligenza.
Domande dei ragazzi
Domanda: Buongiorno a tutti, vengo da Istanbul e
studio Scienze Politiche a Bologna. Ho una domanda
e un’osservazione. La mia domanda è che lei ha detto che il giornalismo è un mestiere superficiale, volevo chiedere se poteva spiegare un po’ meglio questa
cosa. Poi ha detto che secondo lei una persona che
non è mai uscita dal suo villaggio potrebbe avere una
visione del mondo uguale o addirittura più grande di
uno che magari ha viaggiato il mondo. Ovviamente lei
avrà più esperienza di noi, però pensare così un po’
mi dispiace, sinceramente. Grazie.
Riotta: Bene: ci sono altre domande o osservazioni? Almeno un Italiano che faccia una domanda. Va
bene che la Turchia è importante e che deve entrare
nell’UE, però insomma... Intanto rispondo a lei su due
punti. Che cosa vuol dire superficiale? Vuol dire che
il giornalista deve essere umile e sapere che è molto
difficile penetrare davvero la realtà, è estremamente difficile, e – aggiungo – soprattutto adesso, perché nel
1800 lei visitava un villaggio e 10 anni dopo lo trova-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 237
CONOSCERE E INFORMARE
237
va uguale. Per lunghi anni nel ’900, lei visitava dei luoghi, delle istituzioni e 10 anni dopo le trovava uguali. Adesso torniamo in un posto dopo 5 anni e lo trova completamente diverso. Io seguo da molti anni con
grande attenzione e passione la Turchia, il suo paese,
e pensi con che velocità è cambiata la percezione all’esterno, quanti avvenimenti sono accaduti, com’è difficile essere esperto di Turchia, ma è difficile anche per
gli esperti turchi. Io quando parlo con i miei amici mi
raccontano «sai, forse accade questo, forse accade
quello…». Quando io dico «superficiale» intendo dire, lo dico sempre ai colleghi: «Non siamo arroganti,
perché tutto cambia, tutto va approfondito». Io sono
arrivato negli Stati Uniti e il giorno dopo ho scritto
subito un articolo sugli Stati Uniti, e poi altri. Erano
dei buoni articoli, ma dopo averci passato 30 anni
della mia vita, io so che quel paese è straordinariamente
più complesso di quello che non sembri. Come la Turchia è un paese straordinariamente più complesso di
come non venga schematizzato spesso anche dai Turchi stessi. Questo è un invito all’umiltà per i giornalisti, soprattutto perché si sottolineino le domande nel
giornalismo. Ricordiamoci quanto è importante dire
«ma com’è questa cosa? Che cosa succede? Quali sono le conseguenze?» invece di guardare sempre solo
alle risposte. Seconda domanda: sulla saggezza intendo dire che si deve avere in mente che cos’è veramente
importante nella vita, per che cosa vale la pena passare la vita. In questo credo che la cultura, il potere,
l’aver girato per il mondo, davvero non siano garanzia di capire meglio. Credo che ci siano persone anche molto semplici che ci riescono più che persone
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
238
11 11 2010
19:37
Pagina 238
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
molto “strutturate”, più complesse. Non è un invito a
fare le casalinghe, ma è un invito a non pensare che
cultura, conoscenza, cosmopolitismo, viaggi, successo
e potere siano la chiave per aprire la saggezza, anzi,
spesso sono un lucchetto. Altre domande?
Domanda: Buongiorno, io vengo dal Camplus d’Aragona, Catania. In realtà la mia domanda partiva da
una riflessione e cioè che la radice di conoscenza, se
la analizziamo anche dal punto di vista etimologico del
termine «gnosi», ha a che fare con «diventare». In
qualche modo perciò, sintetizzo, la conoscenza nel
momento in cui conosco è un avvenimento, e quindi
accade qualcosa per cui si cambia, si entra a conoscenza
di qualcosa e in qualche modo cambio quello che conosco perché in qualche modo do la mia visione a quello che accade. A questo punto la mia domanda è: per
il giornalista, così come per lo scrittore, quando entra
a conoscenza di un fatto o di un evento, è naturale o
deve esistere un’onestà intellettuale che in qualche modo preservi la conoscenza stessa e al di là di ogni immaginazione di realtà? Basterebbe guardare la realtà
quotidiana: si ha come la sensazione, più che sensazione è la realtà, che in qualche modo si hanno tante
realtà e quindi si ha poi la percezione che la conoscenza
non esiste, che la conoscenza di un evento, se leggo
un giornale piuttosto che un altro, cambia. La mia domanda è perciò forse più sul piano morale, e cioè: deve esistere un’onestà intellettuale ed esiste poi la notizia? Perché non è soltanto a mio avviso una questione
del popolo o della gente che legge il giornale e che
per partito preso si schiera in una posizione piuttosto
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 239
CONOSCERE E INFORMARE
239
che in un’altra, perché altrimenti dovremmo dire che
l’Italia è un paese di ignoranti o comunque un paese
di imbecilli, il che comunque può anche essere vero
sotto determinati punti di vista, ed è pur vero che molte testate giornalistiche non ci danno comunque una
strada diversa...
Riotta: Certo, grazie. La costituzione all’articolo 21
stabilisce il diritto alle vostre opinioni, ma la libertà
di opinione non implica come conseguenza la libertà
dei fatti. Quello che è successo negli ultimi anni – «rottura post-moderna» la chiamano – è questo: che ognuno di noi oltre a rivendicare la propria opinione, rivendica la libertà di fatto. Cioè, questa che ho in mano non è una bottiglia d’acqua, ma è una bottiglia di
vino e quella non è una bottiglia d’acqua ma una bottiglia di olio, e se tu contesti questa affermazione sei
un berlusconiano o sei un anti-berlusconiano. Quello che a me mette in ansia non è il moltiplicarsi delle opinioni, perché io sono un uomo di opinioni,
quindi ben vengano le opinioni, mi mette in ansia il
moltiplicarsi dei fatti. Io lo so che ciascuno di voi sta
pensando «com’è brutto distorcere i fatti, com’è brutta la distorsione de fatti e mai io lo farò». Sono certo che se andassimo a fare una sessione uno a uno
con ciascuno di voi, ognuno di voi distorcerebbe una
serie di fatti per campare meglio, perché andrebbe con
il piede che si adatta alla scarpa a un certo modo. E
questo è quello che in questo momento stanno facendo
in Italia molte milioni di persone e pressoché tutti i
nostri leader: presentare una serie di fatti conveniente e scartare un set di fatti non conveniente. L’onestà
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
240
11 11 2010
19:37
Pagina 240
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
intellettuale è presentare i fatti così come sappiamo
raccoglierli: questo è il lavoro che noi proviamo a fare qui o il lavoro che abbiamo provato a fare, dico
«provato» per dire che poi non sempre ci si riesce.
Non ci si riesce per mancanza di tempo, di fatica, di
cultura, per mancanza di tanti elementi, ma quello che
stiamo provando a fare è questo: allineare dei fatti che
permettano all’opinione pubblica di fare una scelta ragionevole. Questo oggi, ovunque nel mondo occidentale, ma segnatamente in Italia, è assolutamente impossibile, perché l’opinione pubblica è fortemente
condizionata a non prestare attenzione a questa direzione. Io quando vado a discutere di un tema, è un
tema sul quale ho lavorato, altrimenti dico «grazie, non
so niente: non vengo», e mi è capitato svariate volte
negli ultimi 10 anni di affrontare persone popolari,
molto popolari, su un tema x o su un tema y e rapidissimamente nel corso della conversazione scoprire
non che io avevo ragione e loro torto, perché questo
ovviamente è un fatto opinabile, perché magari a me
sembra di avere ragione e invece ho torto, ma scoprire che questi signori non avevano conoscenza dei
10 fatti basilari che si approntavano a discutere, cioè
non conoscevano la realtà della cose su cui avevano
un’opinione così appassionata. Quando ero più giovane la mia reazione era «guarda: prima studia e poi
parliamo», adesso che sono più vecchio e più paziente, discuto lo stesso, perché adesso milioni di persone ascoltano un leader a prescindere se sia informato o non sia informato, allora tanto vale con pazienza provare a chiarire le idee. Dobbiamo riportare il dibattito sulla realtà e toglierlo agli slogan, que-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 241
CONOSCERE E INFORMARE
241
sto – diciamo – è la fatica di questa farsa, ma non sarà per niente facile.
Rondoni: Per salutarci volevo proprio prendere
spunto dall’ultima domanda perché l’avventura un po’
di questi anni per cui la giornata di oggi è forse un
esempio, l’abbiamo voluta isolare dal resto, l’abbiamo
voluta nominare Camplus Day, perché è come se fosse un esempio di un tentativo che si fa tutto l’anno
nel lavoro nelle residenze. L’obiettivo del Camplus
Day è esattamente quello di sfuggire alla paresi, permettetemi la parola, un po’ recuperandola dalla domanda che è stata posta dalla vostra amica che diceva a un certo punto «è impossibile conoscere la realtà, e se tutto è opinione, se tutto è un gioco di opzioni, allora la realtà forse non esiste». Questa è una
sorta di paresi, perché un uomo che vive così, dicendo che non è possibile conoscere, è un uomo che si
paralizza, e un uomo paralizzato è molto comodo a chi
detiene il potere, perché sta fermo, lo gestisci molto
bene, dove lo metti sta, invece un uomo che vive l’avventura della conoscenza vive la possibilità della libertà
anche nella conoscenza. Ecco, il discorso è questo: il
tentativo di Camplus è quello di vivere questi anni di
università, che possono essere straordinariamente ricchi ma anche complicati, cioè avventurosi, rischiosi, con
l’ipotesi che la realtà è una grande avventura di conoscenza, con umiltà, come ci è stato giustamente ricordato dal direttore, e però con la convinzione che
il rischio è possibile. Questa è l’idea di eccellenza che
abbiamo, non è appena il buon voto timbrato sul libretto o essere un bravo ragazzo, ma è il fatto che uno
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
242
11 11 2010
19:37
Pagina 242
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
possa vivere un’eccellente avventura della propria vita perché la cosa peggiore è che uno magari viva un’eccellenza straordinaria particolare e poi invece la propria vita non sa come prenderla. È la lotta contro
questa paresi che aveva un po’ identificato la domanda della nostra amica e credo che sia una lotta da fare con gli strumenti che abbiamo. Ringrazio ancora il
Direttore.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 243
Giorgio Vittadini*
L’avvenimento di un incontro
Pur avendo avuto una formazione superiore umanistica, essendomi laureato in economia e insegnando
statistica da ventisei anni, non intendo trattare questo
tema da filosofo o da economista, ma solo dal punto
di vista della mia personale esperienza di uomo. Divido la mia esposizione in quattro punti, che delineano altrettante tappe del mio percorso umano.
La conoscenza e l’avvenimento di un incontro
Il primo punto è davvero ben espresso dal titolo generale dell’incontro. Quando, nell’autunno del 1974,
cominciai a seguire i corsi di economia in Università
Cattolica, ad attirare la mia attenzione non sono state tanto le lezioni o i professori, quanto un gruppo di
persone che durante i corsi stavano insieme in un modo che mi colpiva, lietamente, come capita quando si
vive una bella amicizia. Avevo visto della gente che sta*
Intervento tenuto il 17 maggio 2010 presso il Collegio Camplus Città Studi a Milano; Giorgio Vittadini è ordinario di Statistica presso l’Università di Milano Bicocca e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
244
11 11 2010
19:37
Pagina 244
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
va bene insieme e che si interessano a me, tanto che
siamo diventati amici, non per i consueti motivi strumentali (come per esempio passarsi gli appunti dei
corsi), ma proprio per il gusto di stare insieme. Questo mi colpì, perché non era facile essere amici in modo non strumentale, avere il gusto di conoscersi, e per
me quel tipo di amicizia presentava uno strano fascino, qualcosa da scoprire: perché erano così contenti?
E perché erano così accoglienti? Perché stavo bene con
loro? Quello che mi colpiva non era un accento sentimentale perché, essendo un po’ “orso” di carattere,
questo non mi ha mai interessato. Quando ho cominciato a frequentarli ho subito scoperto che la lezione
più importante per loro era quella che di solito tutti,
anche in Cattolica, non seguivano attentamente, il corso di morale, tenuto da don Luigi Giussani1. Partecipando a quel corso scoprii che venivano trattati argomenti che non mi sarei mai aspettato di sentire,
neanche in Università Cattolica…
Facciamo un passo indietro: io sono nato cattolico,
a cinque anni ho incominciato a frequentare l’oratorio della parrocchia Santi Nabore e Felice a Milano,
ho fatto il chierichetto; in seguito ho ricevuto le più
svariate tipologie di educazione cattolica, avendo frequentato le elementari dalle suore e il liceo san Carlo. Ero dunque abbastanza “vaccinato” su certi temi,
il cattolicesimo era una categoria di pensiero che mi
portavo addosso, anche se non presentava per me par1
Luigi Giussani (Desio, 15 ottobre 1922 - Milano, 22 febbraio
2005), sacerdote, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione (Cl).
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 245
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
245
ticolari accenti di novità. Il corso di don Giussani mi
colpì perché non mirava innanzitutto a insegnare la dottrina, il catechismo, ma aveva come principale interesse
il desiderio dell’uomo di essere felice. Era incentrato
sul fatto che l’uomo ha in sé il desiderio di verità, di
giustizia, di bellezza, e che questo – che lui definiva
«senso religioso» – è una dimensione ineludibile, che
va presa sul serio. Io, malgrado la mia educazione cattolica, ero arrivato all’università con l’idea che normalmente tutti gli adulti hanno: il desiderio di essere
felice è una cosa bella quando si è giovani, ma poi è
inevitabile rinunciarvi, perché si tratta di sentimentalismo, come quando ti metti a guardar le stelle o quando ti innamori… Nella vita normale non c’è posto per
questo desiderio.
Io avevo questa idea quando ho ascoltato don Giussani mettere a tema la questione della felicità. E lo faceva dicendoci che non gli interessava convincerci della sua verità, ma che desiderava che andassimo a fondo di quello in cui credevamo, che scoprissimo che
dentro di noi c’è un cuore, un desiderio di verità, di
giustizia, di bellezza che dovevamo seguire, perché in
questo consiste la dignità dell’uomo. Cosa strana per
un sacerdote, non citava solo autori cattolici, ma di ogni
tipo, come Leopardi, Pavese, Pasolini, Kafka, Thomas
Mann, tutte persone che avevano preso sul serio il loro desiderio di felicità, dal quale si erano lasciati condurre nel rapporto con la realtà. Nel panorama dell’Università Cattolica di allora era un fatto interessante! E per me costituiva una novità del tutto inaspettata apprendere che essere cristiani non consisteva innanzitutto nell’obbedire a delle leggi morali; inoltre era
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
246
11 11 2010
19:37
Pagina 246
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
molto interessante il superamento di una concezione
riduttiva del concetto di «cuore» che lo squalificava a
sentimento incapace di orientare in modo certo nella
realtà. Don Giussani affermava, invece, che ognuno può
giudicare cosa tende a realizzarlo, e per far questo occorre tenere presenti tutte le esigenze di cui il cuore
è fatto, invece di ridurle come normalmente si fa. È
quello che dice Dante nel primo canto del Paradiso2:
il desiderio spinge l’uomo verso il Cielo e le cose grandi; la mancanza di verità è sempre una riduzione di
questo desiderio, ma l’uomo purtroppo spesso si piega, si accontenta di meno. I miei desideri hanno un
valore fondamentale, non possono essere elusi: per la
prima volta nella vita mi sono percepito come qualcosa di grande, dal momento che avevo dentro una cosa grande, mia, mia! E questo costituì un fascino irresistibile per me. Ma non era tutto qui: Giussani ci
invitava ad usare lo stesso criterio nel giudicare la fede, ci invitava a sottoporre ai criteri del nostro cuore
l’esperienza della fede per capire se corrispondeva al
nostro desiderio. Ora, l’esperienza di conoscenza a cui
questo corso mi ha introdotto, si è subito dilatata in
un’esperienza di amicizia con quei ragazzi che vedevo
in aula e che, ho scoperto in seguito, frequentavano
2
«La provedenza, che cotanto assetta,/ del suo lume fa ’l ciel
sempre quïeto/ nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;/ e ora lì,
come a sito decreto,/ cen porta la virtù di quella corda/che ciò che
scocca drizza in segno lieto./ Vero è che, come forma non s’accorda/ molte fïate a l’intenzion de l’arte,/ perch’a risponder la materia è sorda,/ così da questo corso si diparte/ talor la creatura, c’ ha
podere/ di piegar, così pinta, in altra parte;/ e sì come veder si può
cadere/ foco di nube, sì l’impeto primo/ l’atterra torto da falso piacere». DANTE ALIGHIERI, Paradiso, I 121-135.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 247
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
247
don Giussani nella comunità di Cl dell’Università Cattolica. Sembrava strano, eppure l’amicizia aveva a che
fare proprio con questa ripresa della verità. Avendo frequentato una scuola cattolica, ero abituato a pensare
che le cose serie fossero solo certi doveri da compiere, per esempio rispettare i tempi liturgici più significativi, come la Quaresima; in università ho scoperto
che “le cose serie” erano quelle che riguardavano i miei
desideri più veri e che questi potevano essere tenuti
presente sempre, anche nel tempo libero. Con questi
amici si discuteva spesso di queste cose, ci si domandava cosa significasse la parola verità, cosa volesse dire prendere sul serio il desiderio di verità, di giustizia
di bellezza, e come al contrario si potesse facilmente
ridurlo. È l’incontro con la realtà a costruire la persona: io, attraverso degli amici, ho cominciato a capire che la verità non è un’azione che si deve compiere, ma è la corrispondenza tra il desiderio (fattore che
accomuna tutti gli uomini, non solo cristiani o occidentali) e la realtà.
Dall’avvenimento di un incontro una presenza,
un giudizio
Se questo spunto fosse rimasto nella mia vita un
percorso di pensiero, sarebbe morto, mentre questo
desiderio di verità appena risvegliato si è immediatamente messo in azione; con questi amici abbiamo
messo a tema, per esempio, il desiderio che i nostri
compagni di studi vivessero bene in università. Ci siamo infatti accorti che molti studenti fra noi erano
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
248
11 11 2010
19:37
Pagina 248
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
poveri, alcuni venivano dal Sud e dovevano lavorare
per mantenersi negli studi. Prendere sul serio il desiderio mette in azione operativamente: subito abbiamo capito che non si poteva stare con le mani in mano, e abbiano incominciato con l’affrontare la prima
emergenza nella quale ci siamo imbattuti, quella abitativa. Allora non esistevano ancora collegi come questi, e l’idea di Carvelli3 di costruirli viene proprio dall’esperienza di quegli anni; negli anni Settanta affittare un appartamento a Milano voleva dire essere “spennati” per abitare in un bugigattolo, così noi abbiamo
dato vita a una cooperativa che gestiva una rete di appartamenti, destinati agli studenti, che condividevano
l’affitto e potevano vivere dignitosamente a un prezzo decente. Poi ci è venuta l’idea di fare degli acquisti collettivi di cancelleria e di libri di testo, e di redigere le dispense dei principali corsi, da mettere a disposizione di tutti, per poterci aiutare a studiare: erano anni duri, era da poco passato il Sessantotto, e con
questa iniziativa, che poi è diventata la Cusl4, una cooperativa che oggi conta migliaia di soci, abbiamo cercato di rispondere ai bisogni in cui ci imbattevamo.
Ci si potrebbe chiedere che cosa c’entri questo
punto con il precedente. Quando uno prende sul serio se stesso, quando comincia a essere vero, non può
più tollerare che qualcosa intorno a sé sia ingiusto: fa
3
Il relatore si riferisce a Maurizio Carvelli, amministratore delegato della Fondazione Ceur, presente all’incontro.
4
La Cusl, Cooperativa Universitaria Studio e Lavoro, è una cooperativa studentesca presente in diverse realtà universitarie italiane che fornisce materiale didattico e cancelleria; è nata all’interno
dell’esperienza degli universitari di Cl.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 249
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
249
quel che può, ma lo fa, non può più rispondere con
una noncurante alzata di spalle. La conoscenza è sempre un avvenimento. Proprio perché si è visto qualcosa di bello e di vero, si sono letti insieme Leopardi, Montale, Manzoni, Dante, non si può rimanere indifferenti al bisogno dell’altro, anche se non coincide con il proprio. Provate a pensare all’innamoramento: quando uno si innamora la realtà appare più
potentemente; fino a quel momento tutto poteva essere avvolto dall’oscurità, ma quando uno si innamora veramente, i profili dei particolari incominciano a
stagliarsi nitidi. Se è amore vero, tu non puoi tollerare che l’altro stia male; si tratta di un sentimento
connaturato all’uomo e quando, per esempio, avvengono tragedie come quella di Haiti, emerge con imponenza. In quei momenti si capisce che l’uomo è fatto di questo bene. Nell’enciclica Caritas in veritate Benedetto XVI dice che l’uomo è un animale relazionale, «si realizza nelle relazioni interpersonali»5. Mettere a tema la verità non in termini astratti, ma come
esperienza personale attraverso degli incontri, è stata
una cosa appassionante, che ci ha permesso anche di
vivere con pienezza anni difficili come quelli che abbiamo trascorso in università6: si stavano preparando
gli anni di piombo, la vicenda Moro7 è del 1978, l’as5
BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 2009, n. 53.
Su questo si veda anche L. AMICONE, Nel nome del niente, Rizzoli, Milano 1982.
7
Aldo Moro (23 settembre 1916 - 9 maggio 1978), presidente del
Consiglio dal 1963 al 1968 e dal 1974 al 1976; nel 1976 presidente del Consiglio nazionale della Dc; nel 1978 venne rapito e assassinato dalle Brigate Rosse.
6
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
250
11 11 2010
19:37
Pagina 250
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
sassinio del giudice Galli8 e di Walter Tobagi9 sono
del 1980...
Il terrorismo era qualcosa che si respirava nell’aria:
nasceva dal bisogno di giustizia sociale e dall’idea che
il sistema, sbagliato, poteva essere cambiato solo con
una rivoluzione violenta. A voi sembrerà strano, ma
Milano era una città in cui in centro era pericoloso vivere: piazza santo Stefano era presidiata da movimenti
di estrema sinistra, alcuni dei quali finirono nel terrorismo, e il giudice Galli fu ucciso in Università Statale. Con quello che avevamo incontrato, come potevamo essere indifferenti a questo clima e rinchiuderci nel nostro guscio? Volevamo accettare la provocazione di quanto stava accadendo, capire chi avesse ragione, giudicare la realtà a partire dall’incontro fatto,
dal desiderio di verità che avevamo dentro. Insieme a
don Giussani e ad altri adulti abbiamo cominciato a
porci queste domande, e in seguito a esporre in università dei piccoli manifesti, dei tazebao che prendevano il nome di «Atlantide: una cultura sommersa».
Uno di questi si intitolava «Terroristi non si nasce, si
diventa», ed esplicitava il fatto che l’arrivare a sparare è frutto di una cultura, di una mentalità che afferma che l’uomo è cattivo, l’uomo è male, l’uomo è violenza (l’homo homini lupus di Hobbes10). Per il siste8
Guido Galli (28 giugno 1932 - 19 marzo 1980), magistrato milanese, assassinato all’uscita di un’aula universitaria da un commando di Prima Linea.
9
Walter Tobagi (18 marzo 1947 - 28 maggio 1980), giornalista,
editorialista del “Corriere della Sera”, ucciso a Milano dalle Brigate Rosse.
10
Thomas Hobbes (1588-1679), filosofo inglese e padre dell’empirismo. La sua visione è basata su un’ontologia deterministi-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 251
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
251
ma conta solo chi vince e quindi, poiché il potere è
violento, si cerca di contrapporgli un contropotere. In
quegli anni i profeti della violenza occupavano un posto di rilievo sui principali quotidiani. Costoro negavano che l’uomo fosse desiderio di verità, un desiderio che resta tale anche se talvolta decade, e proponevano un’ideologia contro un’altra ideologia. Il titolo del nostro manifesto, «Terroristi non si nasce, si diventa», cercava di esplicitare che l’io di ogni uomo è
più grande di ogni condizionamento, è responsabile
delle sue azioni e non è totalmente determinato dalle circostanze. Appendemmo questo tazebao anche
alle porte dell’Università Statale, e lì lo lesse Walter
Tobagi, che scrisse un editoriale sulla prima pagina del
“Corriere della Sera” descrivendo quello che era avvenuto in quei giorni e affermando che, a differenza
di altre, la nostra posizione diceva qualcosa di umano11. Poco tempo dopo fu ucciso.
ca e materialistica; fra le sue opere più famose, Il Leviatano, del
1651.
11
In un articolo in prima pagina sul “Corriere della Sera” del
21 marzo 1980, Tobagi scrisse: «L’altra logica si ritrova nei tatsebao di Comunione e Liberazione, che sono i più numerosi. All’ingresso dell’aula magna, hanno ricopiato a mano anche l’articolo di
Giovanni Testori sul “Corriere” di ieri. E ad ogni cantone hanno
affisso un lenzuolo che comincia “Quando la morte è fra noi” e contiene verità amare, domande imbarazzanti. Parla del “coraggio di
riconoscere che politici e intellettuali, mezzi di comunicazione e
mentalità comune hanno contribuito a distruggere, in questi decenni,
i fattori che rendono possibile e giusta la convivenza”. Denuncia
che “la violenza del più forte” è diventata “l’unico criterio nei rapporti fra gli uomini. Se la verità non esiste, la condanna della violenza non ha verità”. Possiamo non essere d’accordo quando dicono che “solo l’incontro con uomini resi più liberi e più responsabili dalla verità del Cristianesimo ci permette ancora di sperare”.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
252
11 11 2010
19:37
Pagina 252
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Il tentativo che nacque allora fu quello di giudicare la realtà senza assumere passivamente i giudizi degli altri, ma tentando un giudizio proprio. Dopo trent’anni questo desiderio rimane vivo ed è alla base di
uno strumento come “Il Sussidiario”, il quotidiano on
line creato dalla Fondazione per la Sussidiarietà.
In seguito nacquero anche un settimanale, “Il Sabato”12, e una radio, Radio Supermilano13, iniziative
mosse dal desiderio di giudicare la realtà a partire dall’esperienza che facevamo. Rispetto all’ideologia, che
rimanda sempre la risposta al domani, noi sentivamo
di non poter aspettare il domani per vivere la verità;
questo è il limite principale di tutte le rivoluzioni, perché se una cosa è vera occorre incominciare a viverla subito, perché si vive nel presente: o comincio nel
mio piccolo a vivere qualcosa di vero che risponde a
questo desiderio o non posso aspettare che domani
capiti qualcosa. Da lì nacque il desiderio di incontrare
chiunque cercasse la verità, anche se apparteneva a
schieramenti politici diversi. Incontrammo reduci del
’68, come per esempio Brandirali, che era capo di Servire il Popolo, e che evitò che questa organizzazione
virasse verso la lotta armata, sciogliendola quando il
rischio si fece troppo alto. Fra gli altri ci fu un drammaturgo, Giovanni Testori14, che scrisse un articolo sul
Possiamo pensare che peccano d’integralismo. Ma non possiamo far
finta che le loro domande non tocchino il cuore di una crisi che è
anzitutto morale e ideale». Cfr. anche A. SAVORANA, Nel nome del
niente Nel nome del padre, nel mensile “Tracce”, 1-1-1999; A. Socci, Walter Tobagi non è l’eroe di tutti, “Libero”, 17-11-2009.
12
“Il Sabato”, testata giornalistica stampata dal 1978 al 1993.
13
Radio Super Milano: attiva dal 1974 al 1978.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 253
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
253
“Corriere della Sera”15 che ci colpì per il suo accento diverso, così lo andammo a trovare e diventammo
amici. Lui era uno dei simboli della cultura laica, eppure nacque un’amicizia profonda, perché era un uomo grandemente appassionato alla verità, tant’è vero
che in quegli anni nacque l’avventura dei suoi spettacoli, che crearono una nuova forma di teatro popolare (come quella seicentesca di Calderón de la
Barca), e che per noi rappresentarono l’occasione di
affacciarci in modo diverso nel mondo della cultura.
Alcuni di noi divennero attori: la Compagnia degli Incamminati di Branciaroli nacque allora, proprio sulle
scene di Testori.
Potrei andare avanti a lungo, ma voglio passare a
un tema fondamentale: lo studio, il mio studio. Questo desiderio di giudizio mi mise di fronte ai miei esami di economia con un maggior grado di libertà. Anche in Università Cattolica, questa materia era studiata con il presupposto, che ho sempre detestato,
che l’economia non c’entri con la domanda di felicità, che si basi su una serie di leggi neutrali, tecniche,
estranee all’uomo. Tutto ciò mi sembrava una forzatura, perché ritenevo che qualunque cosa avesse a
14
Giovanni Testori (1923-1993), scrittore, drammaturgo, storico dell’arte e critico letterario italiano. Fra le sue opere più importanti
il racconto d’esordio Il Dio di Roserio (1954) e la raccolta di racconti La Gilda del Mac Mahon (1959, parte del ciclo I segreti di Milano); le opere teatrali Conversazione con la morte (1978), Interrogatorio a Maria (1979), I Promessi Sposi alla prova (1984); i romanzi
In exitu (1988) e Gli angeli dello sterminio (1992).
15
Cfr. G. TESTORI, Realtà senza Dio, “Corriere della Sera”, 20
marzo 1978; cfr. anche ID., La maestà della vita e altri scritti, Rizzoli, Milano 1998.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
254
11 11 2010
19:37
Pagina 254
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
che fare con la vita dell’uomo non potesse essere considerata in modo così riduttivo. Per capire la lunga
traiettoria di questa posizione dovete pensare alla recente crisi finanziaria, che ne rappresenta l’ultimo esito: è un meccanismo che si sostituisce all’iniziativa dell’uomo, così che, con l’idea di dare la casa agli americani poveri, e con una cieca fiducia nel meccanismo
della finanza che avrebbe dovuto rendere tutti ricchi,
ci si è illusi di poter eludere certe leggi naturali e di
evitare i rischi di insolvenza (anche in tempi più recenti, il ritornello dei giornali prima della crisi finanziaria degli ultimi anni era che l’Italia avrebbe dovuto inserirsi nei circuiti finanziari internazionali per poter riprendere un cammino di sviluppo). Nel mio piccolo cominciai a partecipare ai corsi con una passione diversa, a dialogare con i professori; cominciò a venirmi voglia di capire più a fondo i meccanismi economici per coglierne il valore. Nel frattempo ero stato rappresentante nel Consiglio di facoltà per tre anni. Mi laureai in politica economica con una tesi sul
diritto allo studio, che trattava del problema del finanziamento dell’università, e sostanzialmente poneva
la domanda di quale fosse un metodo di finanziamento dell’università che permettesse a tutti di frequentarla utilizzando al meglio le sue risorse. Tutto il
problema del sistema economico migliore rimase irrisolto, ma rimase dentro di me come domanda aperta. Non era possibile frequentare i corsi semplicemente per laurearsi, senza chiedersi che cosa avessero a che fare con la domanda di cui siamo costituiti.
Potrei citare molti altri esempi, ma è chiaro che per
me quegli anni in Cattolica furono esplosivi: l’incon-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 255
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
255
tro con quegli amici fu per me la miccia di una ricerca della verità che interessava tutto: l’amicizia, gli
affetti, la conoscenza, il giudizio sul mondo, l’aiuto da
prestare agli altri, l’impegno nello studio vissuto appieno... È come se fosse esploso a mille il mio desiderio di umanità.
Conoscere da ciò che ti capita, una strada per la vita
Spiego subito il titolo di questo terzo punto: il mio
professore mi propose di andare in Inghilterra a studiare con un amico; questi andò, ma io non potei partire a causa di un grave problema familiare. Fu un
brutto colpo, perché, dopo tutti quegli anni, incominciai a capire che la realtà non era sempre una
grande cavalcata in una prateria dove tutto si spalancava assecondando il mio desiderio di felicità, ma
poteva anche apparire come una grande negazione di
quello che desideravo. Andai in crisi, e incominciai a
domandarmi quale fosse il significato di tutto ciò.
Perché quando vedi una persona a cui vuoi bene,
giovane, attraversare una grave depressione, stare per
un anno a letto, non combinare più niente, e nessuno sembra poter far nulla, tu, anche se sei uno che
sta aprendosi alla vita, non puoi non domandarti che
senso abbia l’esistenza. Questa domanda, che porto
con me ancora adesso, condizionò il mio percorso
universitario al punto tale che per fermarmi in università, come mi fu consigliato, dovetti ripiegare su una
materia diversa, statistica, che avevo studiato nel corso di economia, ma che non avevo mai approfondito
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
256
11 11 2010
19:37
Pagina 256
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
particolarmente (avevo studiato economia, ma in origine avrei voluto fare storia!). L’occasione si presentò quando, per via della mia partecipazione al Consiglio di facoltà, conobbi un professore che insegnava statistica. Quando decisi di tentare la carriera universitaria lui mi prese con sé. Così, mi ritrovai ad
avere a che fare con questa materia strana, nella facoltà di Scienze politiche, in Statale: mi ricordo i pomeriggi assolati, in quel buio palazzo di via Conservatorio, ancora più buio di adesso, con un libro di
formule greche (in statistica ci si esprime in greco e
in inglese), e mi sembrava di morire. Mi chiedevo: «Ma
io nella vita devo mettermi a fare questo? A studiare
le probabilità, la distribuzione delle diverse curve, la
differenza?». Mi sembrava di buttare via il tempo,
anche perché ero lì in condizioni di precariato totale: mi ero laureato nel 1980, ma la possibilità di intraprendere il dottorato si presentò solo nel 1983.
Era come se in me tutto l’entusiasmo degli anni precedenti stesse morendo, avevo quasi la sensazione di
una promessa non mantenuta, come se tutta la realtà, improvvisamente, invece che aprirsi si chiudesse;
avevo voglia di scappare. Ricordo che ne parlavo con
don Giussani e gli dicevo che pensavo di interrompere gli studi, perché non ero adatto; con la statistica, obiettivamente, facevo una gran fatica, non capivo niente, e poi, essendo piuttosto disordinato, combinavo un sacco di pasticci. Mi ricordo ancora il mio
primo lavoro, un’indagine sul pendolarismo in provincia di Bergamo: avevo inventato il mio bell’algoritmo, e il professore commentò: «Guarda un po’, a
Calolziocorte alla mattina ne entrano cento, alla sera
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 257
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
257
ne escono cinquanta, ci deve essere un bell’albergo!».
E io andavo a rifare i conti, mi sembrava una cosa
banale mettersi lì a fare i “conticini”, una volta fatto
l’algoritmo, ero a posto. Prendevo delle cantonate totali, e sono andato avanti così, con parecchia fatica,
anche quando ho iniziato a fare il dottorato; per me
era una cosa strana, a scuola andavo bene e anche in
università mi ero laureato con 110 e lode; far fatica
era una cosa nuova e volevo andare via, lasciare l’università. Ma cosa non andava veramente? Il lamento: avevo cominciato a lamentarmi, a lamentarmi della situazione in casa, a lamentarmi dello studio...
Lo raccontai a don Giussani, e ricordo che le sue
parole furono all’incirca queste: «Ma secondo te la
gente al lavoro fa fatica oppure è tutto rose e fiori?
Tu non hai ancora scelto cosa fare, perché scegliere
vuol dire accettare le condizioni di una scelta; conoscere non è solo un’esperienza di conoscenza esaltante da compiere, conoscere è anche il sacrificio di accettare che la realtà è diversa da come la vuoi tu». Una
frase di Mounier16 esprime bene questa idea: «Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne»17, occorre accettare la fatica quotidiana di seguire l’intuizione che hai perché diventi carne, diventi verità. In termini cristiani questo
si chiama offerta. Mi ha sempre colpito che la Chiesa abbia nominato patrona delle missioni, oltre a san
Francesco Saverio, che ha girato tutto il mondo, san16
Emmanuel Mounier (1905-1950), filosofo francese, padre del
personalismo comunitario.
17
In E. MOUNIER, Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero
della sofferenza, Rizzoli, Milano 1995, p. 40.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
258
11 11 2010
19:37
Pagina 258
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
ta Teresina del Bambin Gesù18, che non è mai uscita
dal suo convento ed è morta a ventiquattro anni dopo molte sofferenze, ma ha offerto la sua vita per due
missionari in difficoltà, ha cioè dedicato la sua vita a
qualcuno, ha reso la sua malattia utile a qualcuno.
Anche senza arrivare al fatto cristiano, in termini puramente umani, uno comincia a capire che cosa sia la
verità, la conoscenza, quando, pur avendo avuto un’intuizione grande, accetta di vivere quel pezzettino di
realtà che gli è donato; non basta l’intuizione, è fondamentale l’accettazione della condizione in cui ci si
trova. Tutto questo mi colpì profondamente, e cominciai a guardare quelle formule di statistica in modo diverso, con accettazione, e a considerare anche le
condizioni di malattia in cui versava una persona a cui
volevo molto bene, come un aspetto fondamentale della vita. Cominciai ad accettare la fatica, l’estraneità
che mi suscitavano quelle formule, cominciai a intuire che era venuto il momento dell’obbedienza non a
uno o a un altro, ma alla realtà. Cominciai a percepire che chiunque avesse realizzato qualcosa di bello
nella storia, non era stato solo un grande creatore, un
grande artista, ma uno che aveva accettato il fatto che
qualunque opera letteraria si costruisce con la grammatica, che qualunque ragionamento matematico implica l’analisi, qualcosa di arido e faticoso. Ciò ha co18
Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, al secolo
Maria Francesca Teresa Martin (Alençon, 2 gennaio 1873 - Lisieux,
1897), venne canonizzata nel 1925, proclamata patrona delle missioni nel 1927 e dichiarata dottore della Chiesa nel 1997. Cfr. Storia di un’anima, OCD, Roma 2007.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 259
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
259
stituito in seguito tutta l’origine del mio percorso di
ricerca, che sintetizzerei in tre punti.
Il primo è questo: perché le cose sono all’inizio estranee e lontane? Rovesciamo il giudizio e inseriamo un’idea positiva, l’idea di mistero: per fortuna la realtà non
è qualcosa che si può ridurre attraverso la deduzione,
e la scoperta della verità è la scoperta di un’estraneità,
che può essere affrontata se si comincia a guardarla
con simpatia, con quel desiderio che esprime la verità
dell’inizio. Un po’ per scherzo ho sempre riflettuto sui
nostri antenati che hanno inventato la ruota o il fuoco:
non è stata una cosa automatica, per arrivare a inventare la ruota hanno incominciato a osservare i massi che
precipitavano da un pendio; chi ha scoperto il fuoco sicuramente ha assistito a qualche fenomeno naturale, e
chissà quanti sono morti durante questa ricerca. Eppure
il desiderio di rendere migliore il mondo intorno a sé
ha fatto sì che la gente si addentrasse in questo mistero, e cominciasse a osservare quella pietra che girava,
magari a levigarla un po’, oppure a provare a prendere il fuoco del fulmine e portarlo nella caverna; quella
gente ha superato l’estraneità, la difficoltà, la fatica, anche il pericolo di morte, per il desiderio di conoscenza e di vita che si ritrovava dentro. La ricerca scientifica che ho intrapreso dopo trent’anni, quando sono diventato professore, aveva come radice il superamento
dell’estraneità che la fatica di tutti i giorni rappresenta per ognuno di noi. Il mio desiderio, come quello
dell’Ulisse dantesco19, è sempre più grande, e per que19
«Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come
bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza». DANTE ALIGHIERI, Inferno, XXVI, 118-120.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
260
11 11 2010
19:37
Pagina 260
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
sto posso sopportare il peso di studiare la distribuzione
della gamma, della beta... Si tratta di cose che in se
stesse non mi direbbero niente, che per un umanista
mancato come me sono la cosa più lontana, ma è tale il mio desiderio di verità che io accetto di seguire
questo percorso, perché è in esso che la realtà mi chiama. Mi colpisce l’etimologia del termine «invenzione», dal latino invenio: scoprire qualcosa che c’è nella realtà. Mi piacerebbe chiedere a Sindoni20 di approfondire in che senso la scoperta non è qualcosa che
crea una nuova realtà, ma rivela una struttura nascosta della realtà, una segreta armonia che già c’è. Qualunque teorema di statistica, qualunque modello rivela che dentro questa astrusità è celata una forma, come nel blocco di pietra che Michelangelo si accingeva a scolpire era già contenuta la forma della futura
scultura. Il primo passaggio è dunque che il tuo desiderio deve accettare la diversità per ritrovare la forma, perché il tuo desiderio è più grande dell’estraneità
della realtà, la tua voglia di verità è più grande della
giornata calda che ti sembra nemica e ti fa venir voglia di scappare. Così pian piano questa materia che
prima mi era estranea mi ha affascinato, ha incominciato a piacermi; ho cominciato a percepire che nello
stare attenti a mettere l’apice a una formula c’era qualcosa che era profondamente mio, che era un modo con
cui la realtà mi chiedeva di esprimermi. Questa avventura che è la conoscenza, all’inizio ha quasi dei
20
Il relatore si riferisce a Elio Sindoni, ordinario di Fisica presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e presidente della
Fondazione Ceur, presente all’incontro.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 261
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
261
tratti informi, ma alla fine trova una strada per dimostrare un teorema, per mettere in ordine delle nozioni scarse, per arrivare a un obiettivo, a uno scopo.
Qui giungiamo al secondo punto, che penso riguardi anche voi studenti quando affrontate lo studio:
in che modo la vostra passione può travolgere questa
iniziale estraneità, e fare in modo che una determinata materia diventi realmente vostra? Attraverso la pazienza di un percorso. All’inizio ero molto spaventato dalla mia ignoranza: andavo ai seminari e non capivo assolutamente niente, partecipavo ai convegni e
capivo ancora meno… Un giorno ho presentato un lavoro a un convegno e sono stato criticato, mi hanno
per così dire “fatto le pulci”, e la mia prima reazione
naturalmente è stata quella di attribuirne la responsabilità ai miei interlocutori, che non erano stati in grado di comprendermi. Per fortuna ero seguito da un
professore molto intelligente, che mi ha fatto capire
che, invece di arrabbiarmi, valeva forse la pena di telefonare a chi mi aveva criticato, e farmi spiegare quali fossero i punti deboli del mio lavoro. Da questo episodio è cominciata l’avventura che prosegue ancora
adesso, l’avventura dell’ignoranza come fattore interessante, per cui ogni limite può costituire una tappa
nel progressivo passaggio alla conoscenza. Adesso per
me è fondamentale avere consapevolezza dei miei limiti, perché sono il punto più interessante per andare avanti, perché mi fanno capire come muovermi, a
chi chiedere. Il passaggio dall’ignoranza alla conoscenza della ricerca scientifica quindi non avviene come per Archimede Pitagorico, il personaggio di “Topolino”, a cui improvvisamente vengono le idee geniali:
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
262
11 11 2010
19:37
Pagina 262
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
è un passaggio faticoso, in cui la scoperta della verità
si compie pian piano.
Il terzo punto è la scoperta del valore del sacrificio nella conoscenza. Quando ero agli inizi degli studi di statistica, mi piaceva inventare gli algoritmi, ma
poi che noia mettersi lì a controllare i dati… Poi ho
scoperto che pubblicare un articolo su una rivista, per
esempio straniera, poteva voler dire doverlo riscrivere più o meno duecentocinquanta volte: lo scrivi, lo
limi, lo metti a posto, poi ti fanno un’osservazione e
devi rimetterne a posto un pezzo, poi magari lo mandi e te lo rifiutano, e se anche lo accettano bisogna riguardare un’infinità di volte delle cose piccole e banali. Cosa direste di una mamma che affermasse di amare suo figlio, ma siccome è faticoso alzarsi sei volte per
notte ad allattarlo, decidesse di non dargli da mangiare
perché fa fatica? Quando si incomincia un lavoro forse si può anche ragionare così, ma pian piano si capisce che quel singolo, faticoso e umiliante particolare, come riguardare un articolo, correggere gli errori
di distrazione, controllare se l’apice è al suo posto, o
se la gamma è una gamma o una beta, verificare se la
terminologia usata è o no corretta, appartiene profondamente al percorso della conoscenza, perché costringe a seguire la meta «attraverso la carne», come
si diceva prima. Senza sacrificio come adesione al dato, come servizio a ciò che c’è, non si realizza nessuna grande intuizione.
L’ultimo passaggio riguarda ancora una volta l’amicizia. Io non ho compiuto da solo questi passi: a un
certo punto, ho capito che per me gli altri erano essenziali, cosa che non è facile accada nella vita acca-
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 263
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
263
demica, perché ogni professore prima o poi tende a
chiudersi per paura della concorrenza. Quando però
si scopre che si deve compiere un percorso per arrivare a scoprire il pezzo di realtà che si vuole conoscere, si capisce che la cosa più importante è avere dei
maestri. Il maestro non è chi ti leva la fatica, ma chi
ti accompagna nel sostenerla. Nella mia vita universitaria ho incontrato tanti amici con cui lavorare, e non
è stata un’amicizia strumentale, è stata proprio come
quella di cui parlavo all’inizio; ha a che fare con il desiderio di verità di cui sono fatto, di modo che se si
capisce che un altro è più avanti nel percorso, lo si
segue, ci si confronta. Così, nascono vere amicizie,
con persone appassionate alla verità anche se completamente diverse sul piano ideologico. Grazie alla fatica iniziale si intraprende l’avventura della conoscenza in modo più realista, e si comprende come sia intessuta di fatiche, di errori, di cadute, di fallimenti, di
progetti che non vanno in porto, che però non rappresentano un ostacolo: nella nostra vita compiamo in
piccolo il percorso che è proprio dell’intera umanità.
La cultura dell’avvenimento
Giunto a questo punto della mia esperienza, mi è
successo qualcosa di simile a quel che mi era accaduto all’università: paradossalmente, facendo il professore di statistica sul serio, quel desiderio di giudizio su tutto è riesploso esprimendosi in modo più
maturo, non più con la modalità giovanile propria
degli studenti universitari (che è pur grande e vera),
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
264
11 11 2010
19:37
Pagina 264
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
ma con quella di un adulto al lavoro. Dietro suggerimento di alcuni amici, mi è capitato di implicarmi
con il Movimento Popolare21, con l’idea, suggerita
sempre da don Giussani, che fosse necessario dar vita a delle opere, una grande costante della tradizione
cristiana. Costruire un’opera significa che, invece che
scegliere la rivoluzione, si decide di rispondere nel presente ai bisogni che si incontrano. Anche la Fondazione Ceur può essere considerata un’opera, fatta da
persone che, invece di discutere all’infinito della riforma dell’università, iniziano a dare il contributo che
possono, per esempio fornendo degli alloggi funzionali. Per me tutto nacque da un fatto banale: in Sicilia, ad Alcamo, c’erano dei nostri amici che facevano il vino, e don Giussani ci disse che non potevamo essere indifferenti a questo fatto e ci chiese di aiutarli a vendere il vino. In Calabria, a Serrastretta, c’era una realtà che fabbricava sedie e che aveva bisogno di essere aiutata… Nacque l’idea di mettersi insieme per venire incontro ad amici che dopo l’università avevano messo in piedi piccole realtà imprenditoriali, come alcuni ingegneri che avevano messo su
una piccola azienda informatica, altri che facevano
opera sociale di aiuto ai ragazzi down, o altri che avevano incominciato a creare scuole libere. L’idea era
di mettersi insieme per aiutarsi a creare dei luoghi più
accoglienti, più umani, dove la gente potesse vivere
meglio. Così, si costituì la Compagnia delle Opere22,
21
Il Movimento Popolare era una realtà formata da persone aderenti a CL e da altri, attiva dal 1975 al 1993.
22
La Compagnia delle Opere (CdO) è un’associazione imprenditoriale, nata nel 1986, presente in Italia e all’estero con 41 sedi, che
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 265
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
265
che diressi fino al 2003, con lo scopo di aiutare la piccola imprenditoria profit e non profit a vivere, svilupparsi e mettersi in rete. Come dicevo all’inizio, il
desiderio è qualcosa a cui si obbedisce, e così come
mi ha reso in grado di compiere un percorso dentro
la vita universitaria in modo tale da farmi affrontare
ogni difficoltà, mi ha fatto capire che, poiché si vive
una volta sola, non si può non dare forma compiuta
al tentativo di rispondere ai bisogni che si incontrano, sia quelli di chi mette su un’azienda informatica,
sia quelli di chi dà vita ad altre iniziative, come per
esempio il Banco Alimentare23. Cito solo quest’ultimo
esempio: ci telefonò un ragazzo dalla Spagna parlandoci dell’esperienza della Fondación Banco de Alimentos di Barcellona, e intanto per un caso fortuito
avevamo conosciuto il cavalier Fossati24, un mito nella cultura economica italiana, soprattutto per le massaie, perché è colui che ha inventato il dado Star! Il
cavalier Fossati aveva un grande desiderio di fare del
bene, incontrò don Giussani e nacque l’idea di soassocia ad oggi oltre 34.000 imprese, la maggioranza delle quali sono piccole e medie aziende, e più di 1000 organizzazioni non profit,
fra cui opere caritative ed enti culturali. L’Associazione si propone di
«promuovere e tutelare la presenza dignitosa delle persone nel contesto sociale e il lavoro di tutti, nonché la presenza di opere e imprese nella società, favorendo una concezione del mercato e delle sue
regole in grado di comprendere e rispettare la persona in ogni suo
aspetto, dimensione e momento della vita» (art. 1 dello statuto).
23
La Fondazione Banco Alimentare è una Onlus a carattere nazionale che recupera eccedenze alimentari e le ridistribuisce gratuitamente ad associazioni ed enti caritativi, è sorta in Italia nel 1989,
e negli anni si è sviluppata capillarmente sul territorio nazionale.
24
Danilo Fossati (1928-1995), imprenditore milanese, fondatore della Star.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
266
11 11 2010
19:37
Pagina 266
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
stenere questa realtà, che ritira le eccedenze o i prodotti in scadenza dalle imprese alimentari e li distribuisce ai poveri attraverso circa ottomila realtà sociali,
come le suore di madre Teresa, i frati francescani, le
cooperative sociali… Costruire un’opera significa anche sostenere l’intuizione di chi, per esempio, ha dato vita a case di riposo per anziani, a centri di formazione professionale, a imprese nate per procurare
lavoro alla gente, come i Centri di solidarietà o Obiettivo Lavoro, create per aiutare le persone a trovare
un impiego. Da questa passione per la verità è nato,
a un certo punto, il desiderio di andare avanti in un
altro modo, di giudicare come queste cose potessero
costituire un esempio per tutti. Così nel 2003 è nata
la Fondazione per la Sussidiarietà, che realizza prodotti culturali con lo scopo di configurare una diversa immagine di società, di sanità, di welfare, di assistenza, secondo l’idea di sussidiarietà, valorizzando
cioè ogni iniziativa proveniente dal basso, come è
sempre accaduto in tutta la tradizione popolare italiana.
Concludo dicendo che è strano pensare come le
mie convinzioni siano sempre state sfatate; pensavo di
dovere scegliere fra la carriera accademica o il perseguire altri desideri, e invece si è realizzato tutto: è come se fosse esploso tutto quello che all’università era
un’intuizione. Se quando ero studente mi avessero detto che quello che era iniziato con la Cusl, avrebbe dato vita a opere come il Banco Alimentare, l’Avsi25, ol25
Vedi l’intervento di Arturo Alberti nel presente volume, a
p. 181.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 267
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
267
tre 400 scuole libere, tante imprese, oppure a intuizioni che hanno portato, per esempio, a introdurre il
termine «sussidiarietà» nella riforma costituzionale26,
io non ci avrei creduto!
Per me dunque affermare che la conoscenza è sempre un avvenimento non è formulare un pensiero, ma
inchinarmi a un fatto, a quello che è accaduto alla mia
vita, perché mi sono trovato dentro un desiderio che
mi ha trascinato, a cui ho resistito, ma a cui ho anche
obbedito. Ci sono stati tanti fatti che, poi, l’hanno
moltiplicato, che l’hanno fatto esplodere, e che hanno determinato la mia vita.
Intervento: Rispetto a quello che diceva prima, e a
quel che ha raccontato di sé, ci chiedevamo come far
sì che il nostro percorso universitario, i nostri studi e
quelle che poi saranno le nostre realtà lavorative siano in funzione di un desiderio, di un ideale.
Vittadini: La prima cosa è non pensare che il proprio desiderio sia sbagliato a priori. Non badate a chi
afferma che è impossibile trovare lavoro dopo aver
frequentato una data facoltà... Magari, poi, si scopre
che i laureati in filosofia hanno più offerte di lavoro
26
Nel 1998 la riforma della seconda parte della Costituzione italiana introduce, primo Paese al mondo, il termine “sussidiarietà”,
grazie a una raccolta di firme promossa dalla Compagnia delle Opere per una legge di iniziativa popolare. Cfr. art. 118 «Le funzioni
amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza».
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
268
11 11 2010
19:37
Pagina 268
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
degli altri, perché le aziende assumono volentieri uno
che ha la mente aperta... Il desiderio che avete è importante: non credete agli adulti che vi dicono «eh, bravo... poi vedrai». Una persona deve credere a quello
che ha dentro, deve incominciare a prendersi sul serio, perché poi la realtà gli indicherà se il suo desiderio si affermerà in quel modo o in un altro, ma è la
realtà che deve rispondere. Un desiderio esprime sempre qualcosa, magari non ha ancora la forma giusta,
ma occorre prenderlo sul serio.
Marco Bersanelli, grande professore di astrofisica27,
mi ha spiegato come hanno scoperto il Big Bang, e io
lo racconto ai miei studenti, perché ha a che fare con
la statistica. C’erano due scienziati28 che studiavano la
radiazione elettromagnetica e, come tutti quelli che
studiavano questo argomento, “registravano” sempre
un rumore di fondo, che cercavano di eliminare, perché disturbava. Costoro intuirono che quel “rumore”
poteva provenire dal fondo dell’universo, e che forse
in realtà non si trattava di un rumore, ma di un segno: mossi da questa curiosità, da questo desiderio di
capire, invece di cercare di cancellare quel “rumore”
hanno incominciato a seguirlo, hanno cancellato la ra27
Marco Bersanelli, ordinario di astrofisica presso l’Università
degli Studi di Milano, è fra i responsabili del progetto Planck, il
più ambizioso e completo strumento per lo studio della radiazione
cosmica di fondo mai realizzato.
28
Arno Penzias e Robert Wilson: nel 1964, ai Bell Laboratories,
lavorando a misure elettromagnetiche nel’intervallo delle microonde, identificarono la radiazione cosmica di fondo; per questa scoperta, che ha posto le basi della moderna cosmologia, ricevettero il
premio Nobel per la Fisica nel 1978.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 269
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
269
diazione che lo sovrastava e hanno scoperto che si
trattava del riflesso del Big Bang29. Se non fossero stati aperti a tutti i fattori della realtà, e avessero seguito il contrario del desiderio, che è il pregiudizio, non
avrebbero fatto questa scoperta.
Ci sono stati anche tanti imprenditori che hanno seguito lo stesso percorso... Ve lo racconto con un episodio un po’ buffo. Il padre di un mio amico riminese, muratore, nell’immediato dopoguerra decide di costruirsi la casa, come del resto hanno fatto tanti italiani; un bel mattino si reca nel suo terreno e comincia a scavare, ma dopo un quarto d’ora arrivano gli
amici del bar che incominciano a dileggiarlo e a dirgli che è matto a pensare di costruirsi da solo la casa. Lui si demoralizza e demorde, prende la sua carriola e si avvia verso casa. Dopo aver percorso duecento metri, si ferma e dice tra sé: «Ma io devo ascoltare questi patacca?». Così torna indietro e si rimette
al lavoro. Ci ha messo sei anni, ma si è costruito la
casa, proprio vicino alla fiera di Rimini. Ha deciso di
seguire il suo desiderio, di non lasciarsi vincere dal pregiudizio.
Per prima cosa occorre, dunque, prendere sul serio il desiderio, che è alla radice della nostra umanità; in secondo luogo, bisogna essere docili e obbedire a come la realtà lo trasforma, perché magari si par29
L’esistenza della Radiazione Cosmica di Fondo (o CMB, Cosmic Microwave Background) è l’evidenza più importante che l’Universo ha avuto un inizio. La CMB è la prima radiazione elettromagnetica nella storia dell’Universo libera di attraversarlo, essendo
stata emessa circa 300.000 anni dopo la nascita dell’Universo, cioè
circa 13,4 miliardi di anni fa.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
270
11 11 2010
19:37
Pagina 270
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
te da un’aspirazione, ma poi si trova un altro lavoro,
per fare un esempio banale, e imparandolo pian piano ci si realizza. Ci vuole tempo perché tutto il desiderio iniziale si compia; occorre seguire il desiderio e
obbedire alla realtà, in modo da «vivere intensamente il reale», come afferma don Giussani. Anche in università questo può costituire un grande fattore di cambiamento, perché uno non può pensare che l’istituzione
dia tutto. Tanti miei studenti si muovono in base a desideri precisi: partecipare al programma Erasmus, fare la tesi in un determinato modo, andare a fare lo stage in un certo posto... Quello che conta è quello che
uno vuole! Quando qualcuno mi viene a chiedere una
cosa di questo genere mi do da fare, spacco il capello in quattro, cerco di accontentarlo, perché oggi anche dal punto di vista competitivo l’università non è
un distributore di diplomi, tutto dipende dalla domanda che vi muove, da come fate ricerca, da quanto chiedete ai professori, da quanto ci mettete a laurearvi... Anche la ricerca del lavoro ha molto a che fare con la motivazione, con la domanda, con l’applicazione, con la richiesta: se non si chiede, non si trova. Viviamo in tempi non troppo facili, oggi a Milano
non c’è più la grande impresa pronta ad accogliere a
braccia aperte i laureati del Politecnico; questo significa che tutto dipende da come ci si muove, da quel
che si cerca. Quando il mondo è fatto a puntini, occorre darsi da fare per trovare il proprio puntino,
usando il cervello, che è sempre stato la grande risorsa
di noi italiani, un’intelligenza fatta di desiderio e di
amore alla realtà.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 271
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
271
Intervento: Prima raccontava la sua esperienza di bellezza e di verità negli anni dell’università. Anche i ragazzi di Potere Operaio avevano un desiderio, non
erano gente che si accontentava, anche se forse si trattava di un amore malato. Oggi la maggior parte dei
ragazzi che in questi anni incontriamo nella nostra comunità non si innamorano più di niente o, peggio, affermano di volersi accontentare, pur turandosi il naso. È una lotta durissima contro questo raffreddarsi,
contro questa censura del desiderio… Tutti sono mossi da un desiderio rispetto alla realtà, anche se a volte inadeguato, e noi ci lavoriamo, ma spesso poi per
paura delle situazioni familiari si decide di accontentarsi. Le chiediamo un aiuto…
Vittadini: Anzitutto, proprio per questo motivo,
quando quelli di Lotta Comunista vendono il loro
giornale in università, io glielo compro sempre, dicendo: «Io ho idee diverse dalle vostre, ma sono contento che voi abbiate idee». Detto questo, la questione non si può affrontare in modo moralistico, pretendendo che una persona debba avere degli ideali, perché la si deprimerebbe ancora di più; il problema è
racchiuso in una frase che ho imparato, bellissima:
«Quid animo satis?»30, che cosa ti soddisfa? Non ci guadagni di più ad appassionarti alla realtà, mettendo in
gioco tutta la tua umanità? Uno scopre una cosa come fascino per sé, ed è questo che muove.
30
«Che cosa basta all’animo?». Cfr. A. GEMELLI, Il Francescanesimo, Edizioni O.R., Milano 1932, cap. XIII.
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
272
11 11 2010
19:37
Pagina 272
CONOSCERE È UN AVVENIMENTO
Avete letto Tom Sawyer di Mark Twain? Una delle
cose che mi ricordo sempre è quando Tom Sawyer all’ennesima marachella è punito da zia Polly con l’obbligo di dipingere la staccionata al sabato pomeriggio,
quando gli altri ragazzi vanno a giocare. Tom comincia a dipingere la staccionata mostrandosi pieno di
gusto, anche quando gli altri ragazzi cominciano a passare e a prenderlo in giro. Dopo un po’ gli amici, vedendolo così contento, gli chiedono di poter dipingere anche loro, offrendogli in cambio tanti piccoli regali, ma lui rifiuta. Alla fine Tom, con le tasche ripiene di singolari omaggi, lascia tutti gli altri a dipingere e se ne va a riposarsi sotto un albero mangiando
una mela! Dipingeva così di gusto che tutti volevano
farlo al posto suo. Mark Twain commenta31 che ci sono cose fatte per dovere, ma in modo pieno di passione, che affascinano e appassionano, e al contrario
ci sono occupazioni proprie del tempo libero, che,
svolte per dovere, annoiano terribilmente.
Il problema è scoprire che è più bello vivere così,
che essere mossi da una passione, vivere per un ideale, farsi domande sulla verità è più bello, dà più gusto, ci si diverte di più. Dire «ragazzi, dobbiamo essere felici, dobbiamo essere liberi» è evidentemente un
controsenso. La passione per il lavoro non può essere qualcosa di imposto dall’alto, così come l’onestà deve essere personalmente scoperta come un valore, altrimenti non si hanno ragioni valide per uscire da un
31
M. TWAIN, Le avventure di Tom Sawyer, Mursia, Milano 1939,
p. 27: «… è lavoro tutto ciò che siamo obbligati a fare, e divertimento tutto ciò che non siamo obbligati a fare».
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 273
L’AVVENIMENTO DI UN INCONTRO
273
perbenismo. L’unica cosa che posso dire e testimoniarvi
con la mia vita è che appassionarsi alla vita, alla verità, agli altri, alle cose, sbagliare molto e cercare di non
sbagliare, e imparare dagli errori, è meglio, è più interessante, dà più gusto. Imparare dalla realtà che si
ha di fronte dà più gusto, soddisfa l’animo (quid animo satis?): questo è il punto di fuga, chi lo scopre vive meglio, è più contento. Provare per credere!
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 274
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 275
CEUR 2010.qxd:CEUR 2006.qxd
11 11 2010
19:37
Pagina 276