I Prodotti per l`edilizia sostenibile

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I Prodotti per l`edilizia sostenibile
Estratto distribuito da Biblet
Progettazione ecologica
a cura di Gianni Scudo e Mario Grosso
AS20
Architettura sostenibile
Roberto
Giordano
I Prodotti
per l’edilizia
sostenibile
La compatibilità ambientale dei materiali
nel processo edilizio
i
”
65 schede prodotto
Se
sistemi editoriali
Professionisti, tecnici e imprese
Gruppo Editoriale Esselibri - Simone
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Estratto distribuito da Biblet
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Prima edizione: gennaio 2010
AS20 - I prodotti per l’edilizia sostenibile
ISBN 978-88-513-0615-1
Ristampe
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7
6
5
4
3
2
1
2010
2011
2012
2013
Questo volume è stato stampato presso:
Arti Grafiche Italo Cernia
Via Capri, 67 - Casoria (NA)
Coordinamento redazionale: Alice Berto per Wonderland snc
Per conoscere le nostre novità editoriali consulta il sito internet: www.sistemieditoriali.it
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Presentazione
I
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Presentazione
Di Gabriella Peretti
La valutazione dell’ecocompatibilità dei prodotti da costruzione costituisce un processo molto complesso nell’ambito della valutazione dell’ecocompatibilità dell’edificio. Lo provano le ricerche in corso e il lungo lavoro condotto dall’autore, durante la stesura di questo testo, nel selezionare, aggregare e rendere organico un quadro ricco e articolato di leggi, norme tecniche e riferimenti scientifici secondo un
chiaro riferimento metodologico.
Nell’ambito della valutazione del ciclo di vita dei prodotti, la letteratura è molto
ampia e si riferisce, nella maggior parte dei casi, a temi specifici trattati attraverso studi Life Cycle Assessment; esistono, poi, numerosi testi che affrontano i temi
della sicurezza e del rischio dei prodotti inquinanti e pericolosi e altri che affrontano il tema della gestione dei rifiuti da costruzione e demolizione e, più in generale, della fine vita dell’edificio, ma in pochi testi viene trattato il tema tenendo
conto dei vari aspetti e delle loro interazioni al fine di consentire il controllo del
processo di valutazione delle scelte tecnologiche in architettura.
La valutazione degli effetti ambientali imputabili a produzione, uso e smaltimento
dei prodotti edilizi, oggi, non è ancora considerata con la stessa attenzione della
valutazione dell’efficienza energetica del sistema edificio; si è però maggiormente
consapevoli dell’importanza di questi effetti, con l’obiettivo, nel futuro, di raggiungere una condizione di complessiva efficienza dell’edificio lungo tutto il suo ciclo
di vita. Numerosi regolamenti edilizi hanno già previsto ecoincentivi al fine di far
rispettare i requisiti di ecocompatibilità di prodotti e materiali ed anche molti concorsi di architettura incominciano a tenere in considerazione questi aspetti.
Si tratta, tuttavia, di un percorso non semplice, che richiede l’acquisizione di un patrimonio conoscitivo che consenta la gestione di metodi di valutazione in cui l’ecocompatibilità possa essere “misurata” e non solo evocata in termini qualitativi.
L’elemento originale di questo libro è proprio rappresentato dalla metodologia adottata che fa riferimento all’inquadramento sistemico dei vari argomenti al fine di definire i diversi indicatori misurabili, in modo da fornire un supporto operabile agli
attori chiamati a valutare il livello di ecocompatibilità dei prodotti da costruzione
e degli elementi tecnici, in particolare i progettisti e gli amministratori locali.
L’impostazione generale del testo è coerente con l’approccio prestazionale, caratteristico della tecnologia dell’architettura, e coerente, nella scelta dei sistemi di valutazione, con quelli proposti per valutare la compatibilità ambientale del processo
edilizio, ad esempio, il Protocollo ITACA, il sistema SB100, il sistema LEED e la
norma UNI 11277: 2008 – Sostenibilità in edilizia.
Il lavoro, inoltre, è assistito dallo studio approfondito che Roberto Giordano ha svolto anche in altri campi disciplinari come la chimica, per esempio, arricchendo la
sua competenza e giungendo ad un inquadramento globale della tematica che non
si trova correntemente in altri testi. Facendo anche riferimento al contesto normativo internazionale ed europeo, i requisiti e gli indicatori sono stati, infatti, selezionati e sviluppati in conformità ai contenuti di alcune norme tecniche, in particolare la EPD (Environmental Product Declaration) e la EPD dei prodotti da costruzione.
Il libro non si limita, inoltre, all’elaborazione di un metodo di valutazione. La terza parte è interamente dedicata alla presentazione di una settantina di schede proExcerpt of the full publication
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I prodotti per l’edilizia sostenibile
dotto, all’interno delle quali è disponibile una serie di informazioni utili a verificare il livello di ecocompatibilità raggiunto nella progettazione e selezione dei prodotti da costruzione e degli elementi tecnici.
Non si tratta ancora di una vera e propria banca dati, in grado di coprire le esigenze di compatibilità ambientale nel processo edilizio, ma di un primo importante contributo che, come auspicabile, possa dare avvio ad altri studi e, in un prossimo futuro, portare a una vera e propria banca dati a livello nazionale. Le schede prodotto possono essere utilizzate singolarmente, come una “pagella ambientale” di prodotto, oppure, essere utilizzate come supporto informativo grazie a cui,
note alcune caratteristiche dimensionali e prestazionali, è possibile valutare l’ecocompatibilità di un elemento tecnico.
Il loro utilizzo è fortemente legato al progredire delle politiche e degli atti di indirizzo normativo, a partire dall’attesa revisione della Direttiva Europea sui prodotti:
un importante passo avanti verso una loro applicazione diffusa che aiuterà le aziende del settore a rendere più “trasparente” l’impatto ambientale dei propri processi
produttivi, oltre al fatto di aumentare la consapevolezza di tutti gli utenti del processo sugli effetti ambientali dei prodotti.
Introduzione
I
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Introduzione
Di Roberto Giordano
Il libro è il risultato dell’attività di ricerca di un dottorato e di un post dottorato
svolti presso il Centro Interuniversitario di Valutazione della Qualità Ambientale del
Costruito del DINSE - Politecnico di Torino, in collaborazione con l’Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione.
Il testo intende rispondere a due obiettivi sostanziali:
– porre in evidenza alcuni aspetti chiave che caratterizzano il processo di determinazione dell’ecocompatibilità dei prodotti da costruzione, in particolare: “la
comprensione e lo studio delle problematiche ambientali e dei metodi di valutazione”, “l’importanza nell’ambito del processo progettuale di selezionare prodotti edilizi ed elementi tecnici in grado di soddisfare requisiti energetici e ambientali”, “l’evoluzione culturale e scientifica con cui si sta misurando la tecnologia della produzione edilizia e dell’architettura negli ultimi decenni”;
– raccogliere, in un unico testo, un quadro di informazioni utili a definire e caratterizzare i requisiti e gli indicatori attraverso cui è possibile valutare la compatibilità ambientale dei prodotti da costruzione.
La formulazione dei requisiti ambientali di un prodotto edilizio è abbastanza complessa, poiché si basa su metodologie di analisi e valutazione estremamente diverse
tra loro, cui corrispondono specifiche competenze disciplinari. Si pensi, ad esempio,
agli aspetti connessi alla riduzione del consumo di risorse energetiche in fase di produzione di un prodotto da costruzione e alla riduzione del consumo di risorse energetiche di un manufatto edilizio in fase d’uso. I requisiti sono simili nella formulazione e identici negli obiettivi, ma non lo sono i metodi di analisi e valutazione.
Analoghe considerazioni possono essere estese al quadro di indicatori ambientali attraverso cui è possibile misurare i requisiti ambientali di un prodotto. Si tratta di
contemplare aspetti quantitativi, connessi alla determinazione dei consumi energetici di produzione, e aspetti qualitativi, connessi alla valutazione dello scenario potenziale di recupero di un prodotto una volta dismesso.
La necessità di integrare tra loro riferimenti scientifici, normativi e metodologici indipendenti e afferenti a diversi settori disciplinari ha richiesto di caratterizzare l’attività di ricerca secondo un atteggiamento “aperto”, in grado di confrontarsi e collaborare con più professionalità, sebbene tutte operanti nel settore della tutela ambientale, in modo da superare il rischio di parzialità che un approccio di tipo monodisciplinare avrebbe comportato.
Il risultato è un libro suddiviso in tre parti che affronta il tema della compatibilità ambientale dei prodotti da costruzione attraverso più chiavi di lettura e interpretazione.
La prima e la seconda parte sono state interamente curate e scritte da me, Roberto Giordano. La terza è stata curata grazie al contributo di Enrica Paseri e di Matteo Torresan.
La prima parte affronta in modo sintetico il concetto di sostenibilità ambientale e
la sua applicazione nell’ambito dell’attività progettuale.
Il capitolo 1 descrive in che modo, nel passato, si declinava il rapporto tra l’edificio e i materiali che lo costituivano e in che modo tale declinazione avviene oggi
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I prodotti per l’edilizia sostenibile
in seno ad alcuni movimenti dell’architettura contemporanea, ponendo in evidenza
come alcuni paradigmi ormai storicizzati dell’architettura ecologica siano considerati preziose eredità con cui alcuni architetti intendono rispondere all’esigenza di
sostenibilità ambientale a scala urbana ed edilizia.
Questo capitolo evidenzia, inoltre, alcuni dei principali aspetti concettuali e operativi che caratterizzano un approccio di tipo olistico al progetto, attraverso l’analisi
nell’attività di progettazione di fasi del ciclo di vita dell’edificio sino a poco tempo fa trascurate, come la produzione edilizia, la demolizione e il riciclaggio. Il capitolo descrive, infine, gli aspetti metodologici che contraddistinguono uno studio
Life Cycle Assessment (LCA), evidenziandone le potenzialità e i limiti, laddove l’obiettivo è la valutazione della compatibilità ambientale dei prodotti da costruzione.
Il capitolo 2 definisce lo stato dell’arte dei principali strumenti di valutazione dell’efficienza energetica e dell’ecocompatibilità sino a oggi messi a punto in risposta
a direttive europee, leggi nazionali e requisiti ambientali contenuti all’interno di disciplinari di gara e nei regolamenti edilizi.
Il testo suddivide gli strumenti in funzione dell’ambito di applicazione: strumenti
di valutazione dell’efficienza energetica dell’edificio, strumenti di valutazione della
compatibilità ambientale del ciclo di vita dell’edificio e strumenti di valutazione della compatibilità ambientale dei prodotti. Per ciascun ambito sono descritti quali sono i requisiti che i prodotti da costruzione devono essere in grado di soddisfare, a
partire da quelli prettamente fisico tecnici, fino ad arrivare a quelli che rispondono in modo più esaustivo a un approccio di tipo olistico.
La seconda parte del libro è interamente dedicata all’approfondimento di alcuni tra
i principali requisiti necessari alla valutazione dell’ecocompatibilità di un prodotto
da costruzione. Ciascun requisito è introdotto da un approfondimento tecnico scientifico utile a una maggiore comprensione degli aspetti che caratterizzano il requisito stesso. In assoluta coerenza con l’approccio “al ciclo di vita dell’edificio” descritto nella prima parte del testo, i requisiti di ecocompatibilità dei prodotti da costruzione sono associati alla fase di produzione fuori opera, produzione in opera,
esercizio e fine vita dell’edificio.
I capitoli della seconda parte del libro non si limitano alla sola descrizione dei requisiti, definiscono anche i contenuti dei corrispettivi indicatori e propongono un
metodo integrato e organico di valutazione in grado di essere adottato da progettisti e Pubbliche Amministrazioni.
Coerentemente ai requisiti e agli indicatori ambientali descritti nei capitoli precedenti, la terza parte del libro è dedicata a descrivere le caratteristiche e a illustrare le “schede prodotto”. Ciascuna scheda è suddivisa in sezioni tematiche: la sezione “caratteristiche generali”; la sezione “caratteristiche fisico tecniche”; la sezione
““caratteristiche tecnologico-ambientali”; la sezione “caratteristiche energetico-ambientali”.
Alcune sezioni riportano dati ricavati da manuali e norme tecniche, altre, invece,
dati ricavati da testi scientifici, manuali e simulazioni software.
L’obiettivo principale di questa parte del libro è di supportare l’attività di progettazione e l’attività di valutazione a scala tecnologica ambientale, facilitando il reperimento e l’elaborazione di un sufficiente quadro di informazioni relative alle caratteristiche energetiche, tecnologiche e ambientali dei prodotti.
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Parte prima
La sostenibilità ambientale
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1 Il quadro di riferimento
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I1
Il quadro di riferimento
1.1
Sostenibilità ed ecocompatibilità: qualcosa sta cambiando in
architettura
Parlare di sviluppo sostenibile significa affrontare un argomento complesso costituito da temi che riguardano molti ambiti disciplinari, ciascuno connotato da una
propria evoluzione storica, da metodologie che ne regolano i processi di attuazione e da norme e procedure che ne disciplinano l’applicazione. Alcuni dei settori disciplinari che più di altri hanno risentito, e tuttora risentono, degli effetti indotti
dall’attuazione di questo nuovo modello di sviluppo sono l’economia, la sociologia,
l’ingegneria e non ultima l’architettura.
Ciascun ambito in passato era considerato indipendente, da anni, tuttavia, la nozione di autonomia disciplinare è ormai considerata superata e tale superamento è da
ricercare proprio nel concetto che sta alla base dello sviluppo sostenibile: “solo attraverso la sinergia tra aspetti economici, sociali e ambientali è possibile offrire dei
servizi di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l’operatività del
sistema naturale edificato e sociale, da cui dipende la fornitura degli stessi servizi”1.
La complessità che sottende un modello di sviluppo sostenibile non si esaurisce,
ovviamente, nel caratterizzare in chiave interdisciplinare i saperi che regolano le
attività di origine antropica. È necessario operare ad un radicale cambiamento degli indicatori di misura dello sviluppo. Già alla fine degli anni ‘60 Robert Kennedy, in un famoso discorso tenuto presso l’Università dell’Arkansas, aveva messo in
evidenza l’inadeguatezza del Prodotto Interno Lordo2 come solo indicatore in grado di esprimere il livello di benessere delle Nazioni economicamente sviluppate.
“Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i
successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende anche
l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Omissis. Il PIL non
tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o
della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei
nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali,
né dell’equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro
Paese. Misura tutto, in breve eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. (Robert Kennedy, 1968).
Ci sono voluti quasi venti anni dal momento in cui Kennedy pronunciò questo
discorso al momento in cui è stato per la prima volta teorizzato il concetto di
sviluppo sostenibile (Rapporto Brundtland3) e, solo in epoche recenti, il benesse1 La definizione di sviluppo sostenibile riportata è stata formulata nel 1994 a cura dell’ICLEI (International
Council for Local Environmental Initiatives).
2 Il PIL misura la crescita economica attraverso la produzione di beni e servizi prodotti in un anno valutati a
prezzi dì mercato.
3 Il rapporto è frutto dei risultati di una Commissione presieduta dal primo Ministro Norvegese in carica nel
1987 Gro Harem Brundtland e contiene la seguente definizione: “Lo sviluppo è sostenibile se soddisfa i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri”.
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I prodotti per l’edilizia sostenibile
re non è più esclusivamente misurato attraverso il solo indicatore del prodotto
interno lordo. Questo è avvenuto grazie all’introduzione e all’integrazione di nuovi indici: la misura della sostenibilità passa oggi attraverso un equo rapporto tra
crescita economica, giustizia sociale e rispetto della compatibilità ambientale.
Ciò nonostante molto rimane ancora da fare. Nel 1987 il Rapporto Brundtland, metteva in evidenza alcuni nodi cruciali che avrebbero dovuto essere risolti dalle Nazioni sviluppate e in via di sviluppo nei decenni successivi. In particolare il Rapporto si riferiva a:
• il raggiungimento di una maggiore equità in merito alle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza nel mondo;
• il superamento dell’incertezza che domina molti dei fenomeni fisici ed economici;
• la riduzione dell’impoverimento progressivo di determinate risorse portate ad uno
sfruttamento eccessivo.
In realtà ciascuno dei problemi appena illustrati rimane ancora oggi totalmente o
parzialmente irrisolto.
Laddove si intendano approfondire gli aspetti che correlano il concetto di sostenibilità con quello di salvaguardia e tutela dell’ambiente, dalla lettura del Rapporto
è possibile evidenziare un concetto chiave: “la gestione di una risorsa è tanto più
efficace quanto più, nota la sua capacità di riproduzione, non si eccede nel suo
sfruttamento oltre una determinata soglia”.
I limiti di questa soglia sono estremamente difficili da delimitare, come è ampiamente dimostrato dagli studi che ogni anno pubblicano i dati relativi alla disponibilità delle risorse combustibili ed energetiche a livello mondiale che, di fatto, sono caratterizzati da un’estrema variabilità. Dalla loro lettura risulta, infatti, sistematicamente posticipato (e più raramente anticipato), anche di decine di anni, il
momento entro cui si presume che tali risorse si esauriranno. Il clima di incertezza che si è generato favorisce, ovviamente, prese di posizione molto divergenti, che
in alcuni casi “imbrigliano” le possibilità di innovazione tecnologica4 e gli impegni
politici finalizzati alla salvaguardia dell’ambiente5. I cosiddetti “ambientalisti scettici” sostengono che, a causa della sostanziale incertezza che si registra a livello
scientifico, in merito all’identificazione dei limiti che delineano la soglia oltre la
quale una risorsa rischia l’impoverimento e/o l’esaurimento, l’attuale modello di sviluppo non è da mettere in discussione e che molte delle teorie connesse al “modello sostenibile” comportano essenzialmente il rischio di bloccare le possibilità di
crescita di una Nazione, in particolare di quelle in via di sviluppo.
Un’altra ragione del loro scetticismo sembra essere imputabile al fatto che la Terra, da
sempre, è soggetta ad aumenti ciclici della temperatura e che l’attuale riscaldamento
– il cosiddetto effetto serra – non è detto che sia dovuto solo all’attività dell’uomo.
Come rispondere a queste osservazioni? La risposta non è semplice. I dati elaborati dai meteorologi, però, mettono in evidenza un fatto inquietante: l’attuale crescita della temperatura supera di gran lunga ogni oscillazione mai raggiunta dal nostro pianeta e non si tratta di un fenomeno misurato da poche centinaia di anni.
L’analisi condotta su carotaggi effettuati sulla calotta artica ed antartica ha consentito di stimare l’oscillazione della temperatura terrestre nei millenni, determinando che negli ultimi cinquanta anni si è assistito ad un fenomeno di surriscaldamento dell’atmosfera che non ha precedenti.
4 Si pensi ad esempio ai problemi che molti Paesi, tra cui l’Italia, devono affrontare per una mancata capacità di investire nel settore delle risorse energetiche rinnovabili.
5 Emblematica in tal senso è la mancata sottoscrizione del Protocollo di Kyoto nel 1997 da parte di Stati
Uniti, Canada, Cina ed Australia.
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1 Il quadro di riferimento
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Pur ammettendo che le responsabilità dell’uomo circa il fenomeno dell’effetto serra siano in qualche modo limitate, non è possibile trascurare il fatto che l’umanità, nei secoli, si sia insediata in aree che un tempo non erano problematiche da un
punto di vista ambientale.
Nel recente passato alcune popolazioni che vivevano in alcune isole dell’Oceano Pacifico sono state costrette ad emigrare per effetto dell’innalzamento delle maree6.
Se un popolo povero è costretto da circostanze dovute ai cambiamenti climatici ad
andare via da un luogo e insediarsi in un altro, questo non desta particolare clamore a livello internazionale, ma quando l’uragano Katrina ha distrutto la città di
New Orleans l’attenzione a livello mediatico è stata altissima. La preoccupazione
per i cambiamenti climatici negli Stati Uniti, una delle Nazioni più ricche al mondo, da allora è aumentata sensibilmente.
Cosa accadrà nei prossimi anni se fenomeni come quelli dell’uragano Katrina si ripeteranno sempre più frequentemente in continenti come Stati Uniti, Europa, Giappone, Australia ecc.?
Siamo sostanzialmente ad un bivio, o continuare nella direzione sino ad oggi percorsa o invocare il principio di precauzione, vale a dire, in mancanza di una certezza rispetto alle responsabilità dell’uomo circa i cambiamenti climatici in atto è
opportuno elaborare modelli di sviluppo e mettere a punto strategie e linee di azione che garantiscano il soddisfacimento dei bisogni limitando il consumo di risorse
fossili e le emissioni di gas serra.
La riduzione dei consumi e delle emissioni riguarda tutti. Le industrie hanno certamente delle responsabilità rilevanti, così come le politiche energetiche messe a
punto dai governi, ma anche i singoli cittadini possono operare affinché il loro carico ecologico sull’ecosistema possa essere il più limitato possibile.
Il processo di crescita più corretto passa attraverso azioni sviluppate a livello locale, pensando a scala globale: “think globally, act locally”. Un’azione locale, intrapresa anche dai comuni cittadini, è l’unica che consente la necessaria duttilità e
adattabilità alle condizioni culturali, socioeconomiche e geofisiche specifiche dei luoghi, pur non perdendo di vista l’obiettivo generale di sostenibilità ambientale a livello planetario.
Le attività connesse alla realizzazione e al funzionamento degli edifici, dati alla mano, contribuiscono significativamente al consumo di risorse e al rilascio di emissioni nell’ambiente. È dunque comprensibile che tali attività non possano più basarsi sulla verifica dei soli standard contenuti negli strumenti edilizi vigenti.
In conformità al modello di sviluppo sostenibile, la progettazione, da oltre un decennio, ha assunto connotati più complessi. Il benessere dell’individuo è condizione fondamentale per garantire la sua piena integrazione nel contesto urbano e sociale e l’ambiente non costituisce solo più il luogo nel quale l’edificio è costruito, ma uno spazio
fisico che interagisce con lo stesso edificio attraverso un continuo scambio di flussi in
entrata, costituiti dalle risorse energetiche, e in uscita, caratterizzati dai cosiddetti rilasci in aria, acqua e suolo. L’edificio è infatti un sistema complesso che necessità di
materiali e risorse per la sua produzione, che consuma territorio in fase di costruzione, che ha bisogno di energia per il riscaldamento e il raffrescamento, che necessita
di acqua e che produce rifiuti in diverse fasi del suo ciclo di vita.
Ciò significa altresì che la progettazione e la costruzione di un manufatto edilizio sono
responsabili del soddisfacimento di specifici obiettivi connessi al concetto di sostenibilità, soprattutto nei suoi aspetti di natura ambientale o, secondo un’accezione ormai con6 Per ulteriori approfondimenti si veda Gore A., Una scomoda verità, Rizzoli, Milano, 2006.
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I prodotti per l’edilizia sostenibile
divisa dagli operatori del settore, al concetto di ecocompatibilità del processo edilizio.
Le responsabilità in capo ai progettisti sono molte, così come lo sono le conoscenze che in campo ambientale devono essere in grado di applicare e gestire. In particolare, è necessario procedere ad un’integrazione con altri settori disciplinari, considerando attività fino a poco tempo fa trascurate come la produzione edilizia, la
manutenzione, la demolizione e il riciclaggio, ovvero contemplando settori appannaggio di specialisti che un tempo avevano poco o nulla a che spartire con l’attività di progettazione sotto il profilo ambientale.
È soprattutto necessario considerare l’edificio come un organismo dotato di un suo
ciclo di vita che, presto o tardi, esaurirà le sue funzioni e per cui è necessario, già
in fase di progettazione, valutare gli scenari di manutenzione, di sostituzione degli
elementi tecnici e di demolizione.
Gli aspetti innovativi di un approccio ecocompatibile non si esauriscono qui. Di pari passo al cambiamento che hanno subito gli indici di misura dello sviluppo basati unicamente sul PIL, anche la misura della qualità architettonica ha subito alcuni significativi cambiamenti, contemplando, nel proprio processo di valutazione,
un numero crescente di indicatori, finalizzati ad esprimere il raggiungimento, o meno, di determinate condizioni di compatibilità ambientale.
Progetto e valutazione diventano dunque due lati della stessa medaglia, poiché solo attraverso opportuni processi di valutazione del livello di ecocompatibilità è possibile comprendere la reale efficacia di alcune scelte progettuali. Come possa il progettista rispondere opportunamente ai requisiti che caratterizzano un approccio ecocompatibile non è certo qualcosa di semplice, ed è per questo che la ricerca è da
anni impegnata nel mettere a punto metodi e strumenti di valutazione finalizzati a
supportare l’attività di progettazione in alcuni passaggi cruciali che non è più possibile ritenere secondari. Ma le risposte che caratterizzano un approccio ecocompatibile al progetto possono essere ricercate anche in altri ambiti. La storia dell’architettura, ad esempio, ci ha trasmesso numerosi esempi di edifici costruiti sulla base di criteri di integrazione e compatibilità con l’ambiente, allo stesso tempo, sono
sempre più numerose le realizzazioni di grande richiamo internazionale che hanno
raccolto la sfida dello sviluppo sostenibile. Si pensi, ad esempio, agli edifici costruiti
in occasione dell’Expò, delle Olimpiadi, per i grandi gruppi industriali o che operano nel settore terziario: si tratta, nella maggior parte dei casi, di edifici che puntano all’autosufficienza energetica e al minimo impatto sull’ecosistema. Infine, non
è possibile tralasciare il ruolo fondamentale svolto dalle iniziative che a livello mondiale, nazionale e locale sono state intraprese in campo normativo.
In sintesi: conoscere il passato, ovvero, le modalità con cui un tempo veniva gestito il rapporto tra architettura, luogo e natura, interpretare il presente, vale a dire, le potenzialità dell’innovazione in campo tecnologico e della ricerca, ed infine,
verificare il quadro di requisiti ambientali, messi a punto a livello normativo e di
valutazione, sono questi tre, tra i principali, “ingredienti” utili a far si che l’architettura si ponga in piena coerenza con i principi dello sviluppo sostenibile.
1.2
La cultura del progetto ecocompatibile
La cultura della progettazione ecocompatibile in architettura nasce e si sviluppa dalla convergenza sinergica di filoni di pensiero ed esperienze:
• l’applicazione e lo studio dei principi bioclimatici alla progettazione degli edifici, elaborati, a partire dagli anni ‘30, da climatologi come Kòppen e Geiger e
soprattutto Olgyay negli anni ’60;
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1 Il quadro di riferimento
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• il movimento ecologista che, a partire degli anni ‘70, ha portato all’attenzione
del mondo gli effetti negativi dello sviluppo industriale incontrollato sull’ambiente naturale;
• l’esperienza della baubiologie (biologia del costruito, ispiratrice, in Italia della bioarchitettura), nata in Germania, con l’obiettivo di correlare l’architettura alla salute umana, in tutti i suoi risvolti, inclusi quelli trascurati dalla medicina ufficiale.
Per ciascuno dei suddetti approcci è possibile rintracciare un obiettivo comune: l’attenzione posta alla salute e al benessere dell’utente e la gestione controllata delle risorse
energetiche e degli equilibri ambientali7, aspetti che oggigiorno, come è stato precedentemente illustrato, caratterizzano in modo significativo l’attività di progettazione.
Tuttavia, in architettura, la cultura dell’ecocompatibilità necessita di essere compresa in modo più approfondito fornendo una risposta a due quesiti fondamentali. Quali sono i modelli di riferimento da cui nasce e si sviluppa la cultura del progetto
ecocompatibile? In che modo le attuali tendenze dell’architettura coniugano i principi di sostenibilità ambientale?
Il primo quesito ha attinenza con il percorso storico-culturale che ha portato alla
definizione dei cosiddetti paradigmi architettonici, vale a dire, i paradigmi di risparmio energetico, di benessere e di comfort abitativo. Il secondo riguarda invece
le modalità con cui vengono attualmente coniugati i requisiti di ecocompatibilità
dai più noti – e meno noti – protagonisti dell’architettura contemporanea.
1.2.1
I paradigmi dell’architettura ecocompatibile
Quando si parla di architettura bioclimatica, bioarchitettura o di architettura ecologica è possibile associare, a ciascuna di queste esperienze, un modello (o paradigma) di riferimento che si è evoluto partendo da epoche remote e che, in alcuni casi, è tuttora in grado di caratterizzare forma e funzione dell‘architettura contemporanea. Si tratta in particolare del:
•
paradigma luogo natura e architettura;
•
paradigma bioclimatica;
•
paradigma energetico.
Fig. 1.1 Cliff dwelling di Mesa Verde Colorado.
(Fonte immagine: Mario Grosso).
Il paradigma luogo natura e architettura si
fonda sulle relazioni che intercorrono tra il
luogo inteso come spazio del sito fisicamente misurabile e insediamento costruito.
In particolare sugli effetti che il contesto
microclimatico, estrattivo, produttivo, nonché quello sociale, producono sulla forma,
sulla tecnologia e sui materiali dell’architettura. In altre parole le caratteristiche del
luogo e, quindi, la sua natura guidano a
tal punto la progettazione da giocare il ruolo di elementi connotanti l’architettura stessa (Fig. 1.1).
Il paradigma bioclimatico, rispetto al paradigma luogo natura e architettura, si basa
7 Si veda Grosso M., “Ecocompatibilità in architettura: concetti, paradigmi e approccio al progetto”, in: Gangemi V. (a cura di), Riciclare in Architettura: scenari innovativi della cultura del progetto, Clean, Napoli, 2004, pp. 34-39.
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I prodotti per l’edilizia sostenibile
in maniera più rigorosa e dichiarata sull’utilizzo
intenzionale della risorsa clima per il controllo
del benessere degli spazi abitativi. Le condizioni
del microclima sono altresì variabili importanti
del processo progettuale definendone, ad esempio, i rapporti tra elementi di involucro trasparenti ed opachi (Fig. 1.2).
Il paradigma energetico, infine, si sviluppa in maniera sinergica rispetto a quello bioclimatico, tuttavia si caratterizza da una vocazione spiccata nell’utilizzo dell’energia solare come mezzo di climatizzazione degli edifici. Gli esempi ereditati dal passato sono numerosi, tuttavia l’obiettivo di massimizzare l’impiego di risorse energetiche rinnovabili, in particolare la risorsa “sole”, ha subito un
impulso sostanziale all’inizio degli anni settanta e
più recentemente dalla seconda metà degli anni
novanta. Il clima non si limita a regolare la morfologia dell’edificio, oppure, il rapporto tra superficie vetrata ed elementi di involucro opaco, il clima (e le sue potenzialità energetiche) viene utilizzato per massimizzare gli apporti termici gratuiti
attraverso sistemi solari attivi e/o passivi e grazie
all’impiego di tecnologie via, via più sofisticate:
muro di Trombe-Michel, collettori solari, pannelli
fotovoltaici ecc.
1.2.2
Fig. 1.2 Casa “Emiciclo Solare”, di Herbert Jacobs, Middleton,
Wisconsin, del 1944, progettata da F.L. Wright.
(Fonte immagine: Mario Grosso).
L’architettura contemporanea ecocompatibile
La cultura dell’ecocompatibilità, sviluppata tra gli anni ’30 e ’70 del secolo scorso, è stata pienamente, o parzialmente, recepita nell’attività di progettazione di
alcuni importanti e noti architetti, come Frank Lloyd Wright, Alvar Aalto e Louis Kahn. Si tratta di un gruppo di progettisti che ha concepito l’archetipo architettonico attraverso un’intima connessione con il contesto ambientale nel quale un manufatto è realizzato. Da qui ne è discesa l’esigenza di ottimizzare gli apporti termici gratuiti del sole, di perseguire condizioni di benessere e di comfort
ambientale degli spazi abitativi e, non ultima, di selezionare prodotti da costruzione coerentemente inseriti nel contesto insediativo. Si tratta soprattutto di edifici realizzati in periodi storici in cui gli impegni politici e gli strumenti di indirizzo normativo – finalizzati al contenimento delle emissioni di gas serra e dei
consumi energetici – erano ben lungi dall’essere concepiti. Nel complesso si tratta di un approccio che ha certamente contribuito a ridefinire alcuni principi del
movimento razionalista, soprattutto nel periodo del secondo dopoguerra, ovvero
in quella fase in cui il razionalismo è stato svuotato dei suoi contenuti originari e condotto ad una banalizzazione delle forme architettoniche, attraverso il cosiddetto international style.
È soprattutto interessante sottolineare che tali esperienze costituiscono un’eredità
concettuale e tecnica che ha influenzato e sta influenzando molti degli architetti
attualmente in attività e molte delle tendenze architettoniche che si sono sviluppate negli ultimi anni.
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1 Il quadro di riferimento
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Pur con le opportune semplificazioni che sottendono spesso i tentativi di classificazione “stilistica” in architettura, le più recenti tendenze che operano nel solco dei
principi della cultura dell’ecocompatibilità possono essere raggruppate in:
• architettura High Tech ad alta efficienza energetica;
• architettura organica ecologica;
• pluralismo contemporaneo sostenibile.
Architettura High Tech ad alta efficienza energetica
L’High Tech è da molti considerato uno degli indirizzi dell’architettura contemporanea che meglio di altri ha raccolto l’eredità della cultura razionalista8. Tuttavia,
l’elemento che contraddistingue in modo preponderante questo filone è rintracciabile nell’utilizzo di sistemi costruttivi caratterizzati da
un alto livello di innovazione tecnologica, talvolta
esasperato. La tecnologia non è concepita solo come
mezzo attraverso cui rispondere alle esigenze del vivere nell’edificio, ma come vero e proprio strumento di linguaggio architettonico.
Le prime esperienze di architettura High Tech non
possono considerarsi come veri e propri modelli di
ecoefficienza; si pensi ad esempio al Centre Pompidou a Parigi di Renzo Piano e Richard Rogers, alla
sede dei Lloyds Building Headquarter a Londra dello stesso Rogers o alla Hong Kong Shanghai Bank a
Hong Kong di Norman Foster. Nei tre edifici si fa
largo utilizzo di sistemi di condizionamento artificiale, inoltre il frequente utilizzo dei condotti di ventilazione in facciata comporta una manutenzione frequente e una sensibile dispersione termica (Fig. 1.3).
I primi significativi esempi di architettura High Tech
sono caratterizzati da un denominatore comune, ad
eccezione di alcuni casi sporadici, una sostanziale
esclusione del clima e del microclima come variabili in grado di influenzare le scelte progettuali. In epoche più recenti, questo iniziale approccio “esclusivo”
nei confronti del contesto ambientale ha subito radicali trasformazioni, pur non comportando altrettanti cambiamenti al linguaggio architettonico.
Le recenti realizzazioni di Rogers, Foster, Grimshaw
e Piano dimostrano la volontà di interpretare gli eleFig. 1.3 Particolare condotti di ventilazione Lloyds
menti di involucro opaco e trasparente in funzione
Building Headquarter di Londra, 1978-85.
del benessere termico, acustico e visivo degli occupanti, attraverso un approccio che da “esclusivo” nei confronti delle condizioni microclimatiche del sito si è trasformato in “selettivo”. In altre parole, questo significa che la ventilazione ed il soleggiamento sono attentamente studiati e simulati a
tal punto da condizionare la morfologia complessiva degli edifici ed integrati come
mezzi per garantire le migliori condizioni di raffrescamento estivo e riscaldamento
invernale.
8 Si veda De Fusco E., Storia dell’architettura contemporanea, Laterza, Bari, 2000.
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I prodotti per l’edilizia sostenibile
I paradigmi di riferimento per l’architettura High Tech sono
principalmente quello “bioclimatico ed energetico”, vi è infatti
un ampio ricorso a sistemi di raffrescamento ventilativo, evaporativo, strutturale e geotermico e un utilizzo della tecnologia del vetro che amplifica le sue funzioni tradizionali divenendo un elemento in grado di accogliere cellule fotovoltaiche,
sistemi di ombreggiamento innovativi, cadute di acqua ecc.
(Figg. 1.4 e 1.5).
La destinazione d’uso prevalente degli edifici progettati dagli
architetti che appartengono al filone High Tech ad alta efficienza energetica è quella del terziario. Spesso i più importanti gruppi industriali o aziendali si affidano ai grandi nomi dell’High Tech, poiché intendono associare al loro marchio manufatti che per volumetria e tecnologia giochino il ruolo di veri e propri elementi connotanti il contesto urbano, con finalità considerevolmente ambiziose: farli diventare elementi dominanti dello skyline di un’intera città.
Identificare un modello morfologico dominante non è semplice, tuttavia le forme prevalenti di questo filone architettonico
sono relativamente semplici, la torre, il blocco rettangolare,
l’edificio ad elle. La forma compatta è spesso associata ad un’intenzione di limitare la superficie disperdente dell’involucro, tenuto conto dell’ampio ricorso che si fa del vetro.
I sistemi tecnologici impiegati nell’architettura High Tech sono
piuttosto sofisticati, spesso frutto di sinergie tra il mondo dell’industria e della progettazione. Tuttavia, non si tratta di modelli standardizzati e facilmente trasferibili in altri settori edilizi. I costi di questi sistemi sono molto elevati e difficilmente
in grado di essere ammortizzati in pochi anni e, quindi, non
possono essere competitivi in ambito residenziale. Inoltre, pur
essendo tecnologie frutto di collaborazioni efficaci tra due mondi, quello della progettazione e dell’industria delle costruzioni,
il risultato spesso non si traduce in elementi tecnici ed impiantistici seriali, applicabili in altri manufatti architettonici, ma
di veri e propri lavori di “art & craft” che vengono realizzati
ad hoc in ogni edificio.
Tali sistemi costruttivi comportano, infine, una limitata possibilità per l’utente di interagire con i sistemi stessi. Ombreggiamento, ventilazione, riscaldamento e illuminazione sono collegati a sensori che regolano i sistemi di oscuramento, il flusso
d’aria in entrata, la temperatura di comfort, lo spegnimento e
l’accensione automatica dei corpi illuminanti, in una sorta di
sostanziale coerenza con i principi della domotica da sempre
cari agli architetti High Tech.
Per quanto attiene ai materiali, si fa in massima parte riferimento a prodotti ad alte prestazioni in grado di svolgere funzioni che superano di molto quelle tradizionali. Il vetro, ad
esempio, non si limita ad adempiere il ruolo di semplice elemento di involucro trasparente. Regola i flussi termici in entrata ed in uscita e i flussi luminosi attraverso l’accoppiamento
di sensori sofisticati a schermature mobili, svolge funzioni anExcerpt of the full publication
Fig. 1.4 Torre RE Swiss, Londra,
Norman Foster, 2006.
Fig. 1.5 Torre Agbar, Barcellona,
Jean Nouvel, 2004.
1 Il quadro di riferimento
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che strutturali, viene associato a cellule fotovoltaiche per produrre elettricità e così via. È ovvio che, per essere in grado di raggiungere prestazioni così elevate, è
necessario che i processi di produzione siano molto complessi, arricchendo i materiali di partenza (vetro, calcestruzzo ecc.) con sostanze e additivi.
In linea di principio l’approccio prevalente è quello di associare il concetto di sostenibilità ambientale a un miglioramento delle prestazioni energetiche-ambientali in
fase d’uso dell’edificio. Il miglioramento di queste prestazioni può, in massima parte, essere raggiunto ricorrendo a sistemi e materiali di gran lunga più avanzati rispetto a quelli correntemente adottati in edilizia. È ovvio pertanto che questo approccio conduce ad una sostanziale esclusione di prodotti e materiali cosiddetti naturali che, nella maggior parte dei casi, non presentano un livello prestazionale così elevato da consentirne l’impiego in architetture High Tech.
Architettura organica ecologica
L’architettura organica si esprime attraverso la ricerca di un costante equilibrio armonico con l’uomo e la natura.
Tale visione dell’architettura è stata interpretata da alcuni tra i più importanti e noti architetti del secolo scorso: Frank Lloyd Wright, Bruce Goff e Alvar Aalto. Tuttavia anche alcuni architetti italiani come Paolo Soleri e Giovanni Michelucci hanno contribuito a incrementare il numero di architetture che possono essere ricondotte al filone organico.
Molte delle realizzazioni dell’architettura organica si caratterizzano secondo alcuni
principi rimasti nel tempo pressoché immutati:
• considerare l’aria e la luce come elementi in grado di contribuire a definire l’unità architettonica;
• creare l’armonia dell’edificio con l’ambiente esterno, puntando ad una continua
interconnessione tra elementi dello spazio costruito ed artificiale ed elementi dello spazio naturale;
• rendere l’abitazione più libera, umana ed abitabile eliminando la concezione delle stanze come luogo chiuso;
• evitare il ricorso a materiali eterogenei, usando per quanto possibile un unico
materiale la cui natura sia in grado di unirsi all’edificio divenendo espressione
della sua funzione;
• incorporare organicamente gli impianti come elementi che interagiscono nella
struttura dell’edificio.
Negli ultimi anni, all’interno del filone organico dell’architettura, sono confluite numerose esperienze che hanno declinato i suddetti indirizzi in linguaggi e modelli
che, sebbene caratterizzati da alcuni elementi comuni, sottendono, in realtà, alcune significative differenze.
Procedere ad una classificazione non è semplice, tuttavia è possibile suddividere i
più recenti esempi di architettura organica in due correnti.
Rientra nell’architettura organica parte dell’esperienza del postmodernismo. L’architettura organica postmoderna si esprime attraverso un processo che privilegia principalmente la riproposizione di elementi tipologici che trovano nella storia radicate e profonde motivazioni. Un utilizzo rigoroso e netto di elementi della tradizione
che hanno caratterizzato la storia e l’evoluzione dell’architettura, prima dell’avvento del razionalismo, comportano la declinazione del concetto stesso di tradizione in
costruzione di “maniera” che tende spesso a prevaricare e talvolta annullare un approccio di tipo ecocompatibile al progetto.
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I prodotti per l’edilizia sostenibile
L’architettura postmoderna si esprime attraverso un linguaggio
fortemente simbolico, in aperta sfida al razionalismo, nel quale è difficile rintracciare alcuni degli elementi più tipici della
progettazione ambientale, come ad esempio l’analisi delle condizioni microclimatiche di sito e l’integrazione di tecnologie solari attive e/o passive.
Di tutt’altra natura è l’esperienza dell’architettura organica ecologica che accoglie i principi dell’architettura organica non solo sotto il piano estetico e formale, ma attraverso l’integrazione delle esperienze dei movimenti ecologistici e dei principi dello sviluppo sostenibile.
L’architettura organica ecologica è espressione principale dell’architettura della baubiologie. Tuttavia ne amplia i contenuti
e soprattutto i confini che vanno al di là delle esperienze della Germania e dell’Austria.
Il paradigma di riferimento è prevalentemente quello “luogo natura e architettura”, vi è infatti una dichiarata intenzione di
considerare il contesto e le sue risorse, non solo quelle microclimatiche, come elementi rispetto ai quali è necessario correlare il progetto e il costruito: attenzione alla geomorfologia del
territorio, alla tipologia di vegetazione ecc. fino a comprendere aspetti come la percezione psicologica dei luoghi da parte
degli utenti.
Gli edifici progettati sono prevalentemente destinati ad attività
residenziali. Tale destinazione è legata ad un concetto “diffuso”
di architettura (case basse e isolate) che poco si concilia con
altre tipologie di attività, tuttavia è possibile rintracciare esemFig. 1.6 Banca NMB, Amsterdam,
pi interessanti di manufatti progettati per ospitare sedi esposiTon Alberts, 1983-87. (Fonte immagine:
tive, scuole e palazzi per uffici (Fig. 1.6).
rivista Bioarchitettura, Anno I,
In maniera quasi antitetica rispetto ai modelli dell’architettunumero 1, 1994, pag. 20).
ra High Tech, le realizzazioni organiche sono caratterizzate
da forme molto elaborate, secondo assetti volutamente scomposti, al fine di assecondare il luogo e raggiungere un ideale equilibrio tra ambiente naturale ed
ambiente costruito. L’utilizzo di forme scomposte e disaggregate comporta una
buona quantità di superficie disperdente, tuttavia non è alla mera efficienza energetica degli elementi di involucro opaco e trasparente a cui si punta, ma a una
concezione di integrazione con il contesto in tutti i suoi aspetti: rapporto con il
costruito, con il paesaggio, con la vegetazione, con l’acqua. È ovvio, dunque, che
un approccio come quello appena descritto tenda a non ottimizzare alcun aspetto, ma a perseguire quell’ideale equilibrio, più volte richiamato in questo paragrafo.
Nella sua evoluzione in chiave ecologica l’architettura organica ha integrato sistemi tecnologici attivi e passivi, anche se sono soprattutto i secondi ad essere maggiormente adottati. L’accentuazione dei caratteri passivi si coglie soprattutto nell’impiego delle serre solari e nei sistemi di ventilazione che sfruttano l’effetto camino.
La relativa semplicità degli impianti fa si che l’utente sia ampiamente coinvolto
nel regolare i sistemi di ombreggiamento, i flussi ventilativi, la quantità di irraggiamento solare, il sistema di raccolta dei rifiuti ecc. Il rapporto con la natura è quotidiano e questa consuetudine non può che portare a un approccio responsabile dell’utente. Il sistema tecnologico non sostituisce l’uomo, è uno struExcerpt of the full publication
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1 Il quadro di riferimento
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mento nelle mani dell’uomo e, pertanto, non può essere eccessivamente complesso da gestire.
Il richiamo al luogo implica spesso, nell’architettura organica, un’evidente evocazione alla tradizione del costruire. Tale tradizione tende, in alcuni casi, a connotarsi in chiave vernacolare, ma si tratta di esempi eccessivamente proiettati ad un
rifiuto fin troppo integrale ai miglioramenti che la tecnologia dell’architettura ha
prodotto in questi anni.
L’architettura organica ecologica tende, al contrario, a mettere di fronte il tema della tradizione e dell’innovazione attraverso un approccio di sostanziale mediazione
tra risorse del luogo, materiali naturali e processi di produzione in grado di apportare un livello più elevato alle prestazioni dei materiali stessi. In questo caso,
più che una riproposizione tout court di materiali e tecnologie del passato, l’obiettivo è quello di utilizzare prodotti e sistemi che, pur non alterando l’armonia che
deve essere perseguita tra edificio e natura, siano in grado di rispondere ad esigenze di flessibilità delle unità abitative, agli effetti di degrado dovuti alle condizioni di inquinamento a scala locale, ai requisiti di rendimento energetico previsti
nelle normative e ad un loro riciclaggio una volta che l’edificio sarà demolito. Pur
escludendo nella pratica progettuale materiali eccessivamente sofisticati e rifiutando nella maggior parte dei casi prodotti frutto di sintesi petrolchimica, si fa uso
prevalente di materiali che, anche se provengono da una materia prima naturale,
sono caratterizzati da prestazioni meccaniche, chimiche e soprattutto fisico tecniche migliori rispetto a quelle che si otterrebbero da materie esclusivamente naturali. Un miglioramento prestazionale che prevede l’impiego di additivi specifici, frutto di una sapiente collaborazione tra produzione edilizia e chimica responsabile.
Pluralismo contemporaneo sostenibile
Il concetto di pluralismo architettonico esprime una recente tendenza che si è sviluppata a cavallo tra la fine degli anni ottanta ed i giorni nostri e che raggruppa un
numero consistente di progettisti che, pur condividendo alcuni principi dell’architettura contemporanea, si esprimono attraverso un linguaggio estremamente eterogeneo.
Il linea di massima, all’interno del pluralismo contemporaneo, è possibile delineare
due approcci. Il primo risente l’ascendente dei principi dell’architettura razionalista
in cui l’edificio è concepito come elemento compatto nel territorio urbano, caratterizzato da forme elementari e lineari e separate dalla rete viaria. In alcuni casi l’allocazione delle destinazioni d’uso tende a riflettere un sistema organizzativo dello
spazio urbano basato sullo zooning.
Il secondo è legato ad una visione dell’architettura che si contrappone, sia alle tendenze del postmodernismo, sia all’eccessiva geometrizzazione espressa da una certa cultura del movimento razionalista. In particolare, questa corrente, definita da
molti con il termine decostruttivista, si esprime attraverso architetture plastiche e
dinamiche e spesso caratterizzate da volumi che si aggregano in forme raramente
assimilabili ad un rettangolo, ad un quadrato o al cilindro privilegiando, al contrario, forme interrotte e sincopate.
Al di là degli aspetti formali vi sono molti elementi comuni ai due approcci appena descritti, in massima parte legati al principio secondo cui l’architettura non può
più trascendere da un rapporto di sostanziale complicità con l’ambiente che lo circonda e dal quale attinge risorse e materiali.
Sono ormai davvero numerosi gli architetti che si esprimono all’interno di questo
filone: Thomas Herzog, Eric Dubosc e Marc Landowsky, Glenn Murcutt, Bill Dunster, Francoise Jourda e Gilles Perraudin, ma anche alcuni architetti italiani come
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Ringraziamenti
Desidero ringraziare alcuni docenti e colleghi del Politecnico di Torino, in particolare Gabriella Peretti, per la lettura e i consigli ricevuti e Mario Grosso, relatore
delle tesi di dottorato da cui è parzialmente tratto questo libro.
Ringrazio il prof. Giulio Mondini dell’Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per
l'Innovazione, che ha reso possibile l’attività di ricerca.
Grazie a Gian Luca Baldo dello studio Life Cycle Engineering, per gli utili suggerimenti e la collaborazione.
Ringrazio le aziende che ci hanno consentito di utilizzare alcune informazioni
inerenti le loro attività di produzione.
Un ringraziamento particolare va a tutte le persone che a vario titolo hanno reso
possibile la pubblicazione del libro: Alice Gorrino e Gian Luca Manieri per aver
collaborato alla realizzazione della parte III, Ermanno Bellucci per il supporto tecnico e Carla Cislaghi per il controllo redazionale del testo.
Roberto Giordano
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Architettura sostenibile
| APPLICAZIONI
Architettura sostenibil
Un modello di edilizia che possa considerarsi sostenibile deve passare inevitabilmente attraverso la necessità
di considerare l’edificio come un organismo dotato di un suo ciclo di vita che, presto o tardi, esaurirà le sue
funzioni e per il quale è necessario, già in fase di progettazione, valutarne, in un’ottica di ecocompatibilità
ambientale, gli scenari in termini di manutenzione, di sostituzione degli elementi tecnici e di demolizione
appropriati. Fondamentale risulta, in tal senso, la scelta dei materiali e la valutazione prestazionale del
“prodotto da costruzione”.
In tale ottica, il volume, diviso in tre parti, raccoglie un quadro di informazioni utili a definire e caratterizzare
i requisiti e gli indicatori attraverso cui è possibile valutare la compatibilità ambientale dei prodotti da
costruzione.
La prima parte affronta in modo sintetico il concetto di sostenibilità ambientale e la sua applicazione nell’ambito
dell’attività progettuale.
La seconda parte è dedicata alla caratterizzazione dei requisiti e degli indicatori necessari alla valutazione
dell’ecocompatibilità di un prodotto da costruzione in riferimento al sistema di produzione che lo ha generato
e all’intero ciclo di vita dell’edificio.
La terza parte, infine, coerentemente ai requisiti e agli indicatori ambientali descritti nei capitoli precedenti,
descrive le caratteristiche e illustra le schede prodotto, attraverso le quali il singolo prodotto viene analizzato
sotto il profilo delle caratteristiche generali, fisico-tecniche, tecnologico-ambientali ed energetico-ambientali.
Roberto Giordano
Architetto, dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura e dell’Ambiente e ricercatore SITI, lavora presso il Dipartimento di Scienze
e Tecniche dei Processi di Insediamento (DINSE) del Politecnico di Torino e collabora con il Centro Interuniversitario di Valut azione
della Qualità Ambientale del Costruito dove svolge studi e test inerenti l’ecocompatibilità dei prodotti da costruzione e degli elementi
tecnici.
Dal 2002 al 2006 ha ricoperto il ruolo di Coordinatore del Piano di Monitoraggio Ambientale del Programma Olimpico per il Comitato
Organizzatore dei XX Giochi Olimpici di Torino 2006.
Dal 2005 è professore incaricato ai corsi di Tecnologia dell’Ambiente e di Progettazione Ambientale al Politecnico di Torino.
Il volume è stato realizzato con la collaborazione di Enrica Paseri e Matteo Torresan.
AS3
AS13
AS23
E117
Memento delle proprietà e caratteristiche dei materiali da costruzione
www.sistemieditoriali.it
Se
sistemi editoriali
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