Leggi un capitolo dell`opera in traduzione italiana
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Risguardi Scouting Editoriale Roberto Taddei, Brasile Terminália Editora Prumo, São Paulo, 2013 Traduzione dal portoghese di Vincenzo Barca Cap.8 L’incontro tra i Presidenti di Brasile e Francia si tenne un anno dopo il ritorno di Moreno. La morte di Didão aveva aumentato l’animosità tra i due Paesi e la gente già faceva paragoni con altre guerre storiche combattute lungo la frontiera. La differenza era che adesso i governi cercavano di ignorare gli scontri, dicendo che erano questioni di poco conto, che riguardavano le forze dell’ordine. Non certo un’escalation verso la guerra. Il governo poteva far finta di ignorare i problemi con la Francia, ma i suoi funzionari promettevano rappresaglie. I Servizi di Immigrazione brasiliani, la Polizia federale e i militari di Oiapoque e di Clevelândia fingevano di non vedere i movimenti dei minatori illegali che entravano nella Guyana Francese. I francesi misero da parte qualsiasi formalità europea e trasformarono in pratica consuetudinaria la confisca dell’oro, l’affondamento di gommoni e canoe e persino gli incendi degli accampamenti illegali. Si adeguavano alla legge del fiume. Finché il caso non giunse all’attenzione della stampa internazionale. Human Rights Watch e Amnesty International chiesero l’intervento delle autorità. Poche settimane prima dell’incontro presidenziale, come se l’operazione fosse stata orchestrata da Parigi, un contingente della Gendarmerie sbarcò, prima dell’alba, sulla costa brasiliana nella città di Oiapoque e distrusse quaranta imbarcazioni: canoe, rimorchiatori e zattere usate per trasportare persone e merci tra Oiapoque e Saint-Georges, ma anche tra Oiapoque e Ilha Bela. Alcune barche erano state tagliate a metà con la motosega. Altre bruciate. I servizi segreti brasiliani furono chiamati a indagare sul caso. Qualche giorno dopo, la storia di Didão arrivava nell’ufficio del Presidente. Contemporaneamente, anche Elena, Pierre e Marcelo diventarono argomento di conversazione tra Brasilia e Parigi. Alle undici del mattino del giorno fissato per l’evento, l’elicottero del presidente francese tornava dalla visita a una tribù indigena in una zona interna della Guyana quando sorvolò il fiume Oiapoque, sul quale un reparto di soldati brasiliani navigava veloce. Dall’alto, doveva sembrare divertente essere un soldato in Amazzonia. Marcelo e un gruppo di trenta soldati percorrevano il fiume fin dalle sei del mattino, controllando gli argini in cerca di esplosivi e dei soliti sospetti. Su cinque barche in alluminio, ognuna con sei soldati a bordo, il gruppo navigava in formazione a freccia. Nelle imbarcazioni, i soldati con le facce dipinte a scopo mimetico erano anch’essi in formazione di combattimento; il primo di ogni gruppo seduto a prua con il fucile puntato in avanti; altri quattro, due per ogni lato dell’imbarcazione, sdraiati sul fondo, con le facce mimetizzate e i fucili che spuntavano dal bordo, sembravano tessere di un puzzle; l’ultimo soldato, seduto al timone, manovrava la barca con una visione parziale del fiume, fidandosi dei comandi del soldato a prua. 1 Il presidente del Brasile atterrò nell’aeroporto di Oiapoque poco dopo. Da lì, attraversò il fiume per raggiungere Saint-Georges su una piccola lancia della Marina brasiliana. Alle quattordici, finalmente Lula fu ricevuto da Sarkozy, accompagnato da un distaccamento della Legione Straniera e da un gruppo di studenti guyanesi che indossava magliette bianche con le bandiere francese e brasiliana ricamate sul lato sinistro del petto. I due presidenti passarono in rassegna le truppe: tre soldati con scarponi neri e guanti bianchi che innalzavano lo stendardo del reparto con i nomi delle principali battaglie vinte dai Légionnaires dal 1830 in poi; altre tre dozzine di soldati in uniforme cachi, metà dei quali con i famosi chepì bianchi, l’altra metà con chepì neri. Subito dopo, il battaglione sfilò nella tradizionale marcia a 88 passi al minuto. Sotto una piccola tenda bianca, montata nella piazza principale di Saint-Georges, aperta sul lato opposto all’Oiapoque e alla sponda brasiliana, i due presidenti diedero l’annuncio programmato per l’incontro: la costruzione di un ponte tra Saint-Georges e Oiapoque, che, per la prima volta nella storia del mondo, come fu ampiamente sottolineato, avrebbe unito l’Europa a un Paese del Sud America. Lula dichiarò inoltre che il Brasile avrebbe concesso libertà di circolazione agli scienziati francesi al fine di sfruttare le ricchezze naturali della foresta tropicale e presentò un piano di cooperazione militare per lo sviluppo di un sottomarino nucleare brasiliano, in cambio di un contratto di sei miliardi di euro per l’acquisto di caccia militari francesi di cui dotare l’aeronautica nazionale. Lula sembrava a suo agio nella sua guayabera bianca a quattro tasche. Sarkozy, in giacca scura abbottonata e cravatta, inzuppava di sudore la camicia bianca. Sorrideva rivolto al pubblico e alle decine di giornalisti, arrivati anche loro quella mattina, e teneva il microfono con entrambe le mani piegate sull’asta, appoggiando il peso del corpo ora su una gamba ora sull’altra, intercalando l’oscillazione con un leggero movimento della vita. Era importante mettere in chiaro le particularités dell’accordo, affermò, dirigendosi alla scarsa platea riunita nella piazzetta. — Vorrei inoltre ribadire che il mondo ha bisogno che il Brasile partecipi pienamente alla comunità internazionale. Non mi stancherò di ripeterlo: la Francia vuole che il Brasile faccia parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite —. Poiché i termini dell’accordo erano già stati definiti dalle diplomazie dei due Paesi, si trattava solo di una rappresentazione pubblica a beneficio della stampa e delle telecamere. Tra gli applausi delle trenta o quaranta persone, tra politici e funzionari, che assistevano alla cerimonia. Pierre non era tra loro. Era stato mandato in missione alla frontiera con il Suriname. Elena era rimasta a casa, nella foresta vicina a Saint-Georges, insieme a Maiara. Né l’uno né l’altra sapevano che la loro storia familiare era motivo di preoccupazione per entrambe le delegazioni. — Sarebbe importante immortalare questo momento con una foto — suggerì Lula. — E lo dico con una motivazione precisa. Noi vogliamo che la costruzione di questo ponte cominci nel 2008 e non sia rimandata al 2009. E il suo costo, trentotto milioni di euro, se lo paragoniamo con il PIL complessivo di Francia e Brasile, è davvero assai modesto. Voglio che questa foto sia fatta cosicché tutti possano domani pretendere che questo ponte sia finalmente costruito. Perché altre foto sono state scattate qui, con i governi che mi hanno preceduto, e il ponte non è stato fatto. Il Presidente Sarkozy ha promesso che si adopererà per tutto ciò che dipende da lui e che tornerà per inaugurare il ponte prima della fine dei nostri mandati. Questo sarà l’atto finale dei nostri governi. Anch’io vorrei sottolineare, come un gesto estremamente significativo, che questa è la prima volta che il Presidente Sarkozy visita la più estesa frontiera francese fuori dall’Europa. Si tratta di una frontiera ben più grande di quelle che la Francia divide in Europa con altri Paesi ed è 2 situata in una regione che oggi è vista come la salvezza del nostro pianeta. Questo dà alla Francia uno statuto particolare: è l’unico paese europeo a poter parlare dell’Amazzonia. Perché appartiene all’Amazzonia. Ho detto al Presidente Sarkozy che c’è solo una divergenza fondamentale tra Brasile e Francia e che non è facile da superare —. Sarkozy guardò con sospetto Lula quando l’interprete ebbe terminato di tradurgli il discorso in francese. — È il fatto che la Francia ha vinto i Mondiali di Calcio nel ’98 e ha battuto nuovamente il Brasile nel 2006. Glielo assicuro, non lasceremo che la situazione continui così —. Sarkozy abbozzò un sorriso stentato. — Perciò, presidente Sarkozy, vorrei terminare dicendole: benvenuto nel suo primo viaggio nell’Amazzonia francese. Come può vedere – proseguì, muovendo il braccio verso il fiume Oiapoque – si trova solo a pochi metri dall’Amazzonia brasiliana —. Voltandosi di nuovo verso il pubblico, concluse: — E, come potete vedere, Sarkozy non è ancora stato morso da nessun insetto della malaria. E sapete perché? Perché sappiamo come ricevere le persone in questa parte del paese. La questione dei minatori e degli immigrati illegali emerse subito nella prima domanda della conferenza che seguì ai discorsi. Sarkozy fece un passo avanti. — Io dico sempre ai miei amici francesi della Guyana che loro non devono avere lo sguardo rivolto solo verso il continente europeo. Se vogliono crescere, devono guardare al Brasile —. Sarkozy continuava a sostenersi su una sola gamba e a tenere il braccio allungato davanti al microfono mentre l’interprete terminava di tradurre. — La Guyana Francese è grande come il Portogallo. Il Brasile è grande il 40% in più dell’intera Europa. Il Brasile è un gigante. Pensate che la Cina sia un problema per i Paesi del sudovest asiatico? Pensate che l’India, con più di un miliardo di abitanti, sia un problema per i suoi vicini? Sono opportunità. La stessa cosa deve succedere tra il Brasile e la Guyana Francese. Sugli immigrati e sui minatori che entrano illegalmente, però, dobbiamo essere chiari: saremo estremamente severi nel trattare la questione. Altre tre domande affrontarono i progetti di sfruttamento dell’Amazzonia. La risposta fu che i dettagli sarebbero stati definiti nel corso di visite successive da parte di delegazioni altamente qualificate di entrambi i paesi. La stampa internazionale diede poco rilievo all’accordo di cooperazione militare e alla costruzione del ponte. Alla fine, Lula si lanciò in una difesa del libero commercio e nell’opportunità per la Guyana Francese di aprirsi al mercato brasiliano per vendere “un buon vino, un buon formaggio”, parlò delle ingiustizie del capitalismo che “esporta povertà globalmente e accumula ricchezza localmente” e concluse ribadendo che “d’accordo, esiste il concetto di ‘rischio paese’, ma qualcuno mi deve spiegare come mai gli Stati Uniti entrano in crisi economica e quello che cresce è il ‘rischio paese’ del Brasile.” A microfoni spenti, Sarkozy approfittò della fine della cerimonia per chiedere a Lula un’azione contro gli immigrati e i minatori illegali. L’interprete brasiliano si sforzava di trovare i termini più diplomatici. Lula chiamò il funzionario degli Esteri che lo accompagnava nel viaggio. — Come si chiama quel maggiore che ha creato tutto questo pasticcio tra i compagni minatori e i francesi? Mandalo a chiamare e portamelo qui. Io e Sarkozy gli dobbiamo fare un discorsetto —. Il funzionario fece cenno a un assistente di eseguire l’ordine. Intanto, da dietro, lo tirò per la tasca della giacca e, senza farsi vedere dai due presidenti, gli fece un segnale precedentemente concordato. — E lei, Sarkozy, deve chiedere ai suoi di smetterla di sabotare le imbarcazioni dei nostri compagni. Questa gente non ha soldi come i francesi di qui. 3 — È impossibile, Lulà –. Sarkozy pronunciava il nome del presidente come se fosse una parola francese. — Non possiamo lasciarli entrare nel nostro territorio e impadronirsi delle nostre ricchezze per buona volontà, perché sono poveri e disoccupati —. Quello era un problema interno del Brasile, disse il presidente, e non sarebbe stato facile continuare a sostenere la candidatura del Brasile al Consiglio di Sicurezza dell’ONU se il governo non si fosse incaricato di risolverlo per conto suo. — Io sto cercando di essere amico del Brasile, Lulà, ma lei deve fare la sua parte. — Tutto questo pasticcio è cominciato per colpa di quella donna, l’avrà sentito, la moglie di quell’ufficiale. È vero che è successo quando al governo c’era il compagno Chirac. Ma è diventato un problema complicato quando la Francia ha umiliato il Brasile. Vede, Sarkozy, quando il Brasile perse i Mondiali nella finale con la Francia nel 1998, si trovò un colpevole, si disse che la moglie di un giocatore lo aveva tradito, e la cosa a poco a poco si raffreddò. Ma nel 2006, quando perdemmo di nuovo, non c’era stato nessun tradimento, nessuna giustificazione. Fu una vergogna nazionale. Una depressione generalizzata. Ma qui, in questo lembo di terra, sembra che la gente abbia trovato il suo capro espiatorio. La moglie di quell’ufficiale è diventata la colpevole di tutti i peccati. È andata bene, tutto sommato, che Zidane abbia dato quella brutta testata al giocatore italiano. Perché così voi avete perso il Mondiale. Se no, la situazione sarebbe stata molto peggiore, compagno. — Questo è ridicolo, inammissibile, Lulà. Questo non è fair play, per seguire la sua metafora, è assurdo. — Lo so, lo so, Sarkozy. Ma non so come spiegarlo alla gente. Se c’è una cosa che ho capito in questi anni è che io sono solo il presidente. Questo è un paese sciovinista, maschilista. Se si trattasse solo di politica, sarebbe facile, ci metteremmo tutti intorno a un tavolo, faccia a faccia, e via. Ma siccome ci sono di mezzo il calcio, l’oro e le donne, tutto quanto insieme, allora la questione diventa sproporzionata per qualunque presidente. Tanto più se la donna in questione è la moglie di un militare. — La ex moglie, Lulà. — Questa è la versione della moglie. — Ma, insomma, che cosa vuole questo ufficiale? — Beh, lui ritiene che la moglie sia stata rapita da quel suo ufficiale francese e vuole riprendersela. — Ma questa è pura follia, Lulà. In che secolo pensa di vivere questo signore? — Sono d’accordo, compagno Sarkozy. Ma vede, l’orgoglio e la gelosia non sono sentimenti che passano di moda. — Spero che lei riesca a dissuaderlo da questo delirio. Perché altrimenti saremo costretti a rispondere con un atto di guerra. E questo non lo vogliamo certamente, giusto, Lulà? In quel momento l’assistente del Ministero tornava, tutto sudato e con le maniche della camicia arrotolate fino al gomito, per dire che Marcelo era in servizio di pattugliamento sul fiume, per riportare Lula in territorio brasiliano, e che non poteva abbandonare il suo posto. — Lo abbiamo già richiamato, Sarkozy. È una faccenda di cui si occuperà l’esercito. Lasci fare a noi. 4 — Ça suffit, Lulà, ça suffit. Il messaggio di Lula raggiunse Marcelo il giorno stesso. Il maggiore riteneva che Elena fosse un motivo sufficiente per giustificare un’invasione della Guyana Francese. O per lo meno una missione di salvataggio. Ma, in accordo con la posizione del presidente, Elena non avrebbe fatto muovere un migliaio di navi lungo il fiume Oiapoque. Il suo bel viso non avrebbe neppure fatto spostare i duecento soldati distaccati in quella zona di frontiera. Non perché non valesse lo sforzo, ma perché ogni Paese, ogni popolo ha l’esercito che si merita. In questo caso, la risposta dell’Alto Comando Militare era chiara: il maggiore Marcelo Gomes Anderson doveva prendere atto che si trattava di una questione personale e che andava quindi risolta entro forme civili e lecite e rispettando gli accordi internazionali; l’onore di un uomo non poteva essere anteposto agli interessi della nazione e, se il maggiore avesse insistito nel suo atteggiamento, sarebbe stato invitato a lasciare le Forze Armate o avrebbe dovuto affrontare la corte marziale. Se interessati all’opera, contattare [email protected] 5