Paolo Ciulla, l`Artista Falsario

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Paolo Ciulla, l`Artista Falsario
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Cultura
Paolo Ciulla, l’Artista Falsario
Paolino Ciulla, o Pablo Ciula come lo
chiamavano gli argentini, sembrò anticipare la rivoluzione culturale di un altro maudit di provincia, quell’Antonio
Bruno da Biancavilla che morirà appena
un anno dopo la scomparsa del grande
falsario di Caltagirone. Due dandy maledetti che finiranno i loro giorni in solitudine e in povertà. Ma mentre Bruno
sarebbe diventato l’esponente più importante della poesia futurista catanese, Paolo Ciulla buttò alle ortiche il talento
artistico per diventare un appassionato
rivoluzionario, che usò la sua arte come
un’arma impropria, decidendo che i colori e le alchimie dei suoi esperimenti
potevano essere usati per il più originale
“colpo di stato” mai perpetrato nei confronti di una nazione civile: realizzare
soldi falsi. E che soldi! Banconote raffinate, leggermente migliori di quelle realizzate dalla zecca della Banca d’Italia.
Ciulla diventò un mito, il protagonista
indiscusso delle dicerie popolari catanesi, chiddu de soddi fausi, e per anni il suo
processo verrà raccontato di bocca in
bocca, da un palazzo barocco all’altro,
dal Duomo alla Villa Bellini, in una via
Etnea piena di umori brancatiani. Ma il
grande falsario, prima di diventare tale,
le aveva tentate tutte per emergere da una
Caltagirone in fermento, viva, ma pur
sempre provinciale.
Frequentò la scuola d’arte e si appassionò all’ideologia socialista, fino a diventare un esponente di spicco del
neopartito del circolo operaio, che nel
1899 vincerà le elezioni in molti comuni siciliani. Un esperimento politico che
durò 100 giorni, e riportò lo stato di cose
ad un’inevitabile immobilismo gattopardiano, e che fece maturare al giovane artista calatino l’idea di lasciare la Sicilia
per seguire direttamente i movimenti
dell’avanguardia parigina, animata dalla
rivalità di due giganti come Modigliani
e Picasso. Basterebbe questa prima fase
delle vita di Ciulla per accendere le fantasie di un qualunque narratore di razza.
Ci aveva provato nel 1984 Pietro
Nicolosi, ex cronista de “La Sicilia” con
il suo “Paolo Ciulla, il falsario” edito dalla
catanese Tringale, a metà tra il saggio e il
Le sue impeccabili
banconote
da 500 lire
stupirono
persino gli
esperti della
Banca d’Italia
che non
riuscivano a
distinguerle da
quelle vere.
Morì povero e
solo come
tanti altri
geni maledetti
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plot poliziesco, ma è la scrittrice calatina
Maria Attanasio ad ultimare un percorso creativo e coraggioso con “Il falsario
di Caltagirone”, pubblicato dalla Sellerio.
L’autrice parte dai movimenti culturali
che animarono il conterraneo Paolo, per
imbastire una trama narrativa, che a ritroso, ripercorre gli ultimi giorni del geniale falsario.
La rivoluzione che compie Ciulla non è
solo legata al misfatto delle banconote
false, ma è anche caratterizzata da una
diversità sessuale ed esistenziale che lo
porteranno ad un graduale isolamento.
Così la Parigi di inizio secolo sarà un pretesto per raccontare non solo le vicende
artistiche del copista siciliano al Louvre,
ma anche il suo furore di artista diverso
che non riuscirà mai a placare i suoi ardori sentimentali, a discapito delle sue
opere che verranno sistematicamente
distrutte ed ignorate. La Attanasio in una
escalation progressiva del suo protagonista, ci fa ritrovare Paolo Ciulla in una
Buenos Aires minata da sommovimenti
politici. Rinchiuso in manicomio per
violenza, lì avrà la forza di dipingere “Il
trionfo dell’Argentina” che raffigurava
una donna alata simile all’amata Anna
Kulischoff, ma qualche mese prima aveva collaudato la sua maestria di falsario
con la realizzazione delle banconote da
500 pesos. Ma fu quando tornò in Sicilia che l’artista ribelle compì il suo capolavoro: “Una pioggia di benefiche e anonime banconote da 500 lire entrò tra la
primavera del 1920 e l’autunno del 1922
nelle case di molti bisognosi di Catania
e della provincia…si posarono su tram
carrozze treni carretti piroscafi, percorrendo, nelle consapevoli mani di spacciatori e in quelle inconsapevoli di commercianti ed emigranti, il vecchio e il
nuovo mondo. Nessuno ebbe mai il sospetto che fossero false”.
La scoperta, l’arresto, e il processo sancirono la definitiva grandezza di Ciulla, l’originale rivoluzionario che si era permesso
di sbeffeggiare il potere realizzando meravigliose, ma non vere, carte denaro.
Domenico Trischitta
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La Fonte Maimonide, Scrigno di Salute
Paternò, sin dai tempi più antichi, ha avuto appellativi gratificanti, tra cui “Città dalle mille fonti
d’acqua”, perché nel suo territorio (un tempo assai vasto) sgorgavano tante sorgenti, che consentivano ogni tipo di coltivazione. Ciò fece attribuire l’altro appellativo di “Città fertilissima”.
Il convogliamento delle acque di varie sorgive
(Maimonide, Fontana Grande, Monafria, Paradiso, Tirafiato, Jungo, Vana) consentiva il funzionamento di una decina di mulini dislocati tra la
periferia ovest della città e la riva sinistra del Simeto.
La sorgente più magnificata era la “Maimonide”
(detta “acqua grassa”), sita alla periferia ovest dell’abitato e classificata tra le acque minerali con caratteristiche “acidulo – alcalino e magnesiaco ferruginosa”, assai gradita al palato e denominata anche
“Tesoro della salute” per la cura di varie malattie.
Dal ‘500 alla prima metà del ‘900 parecchi studiosi hanno lasciato opere per elogiare l’acqua
grassa, terapeutica, ad uso potabile e nei bagni
nonché esportata a Catania ed in altri città e comuni siciliani.
Da oltre mezzo secolo quest’acqua non è più potabile per la presenza di sostanze chimiche usate
nella coltivazione dei terreni circostanti e per gli
scarichi dei rifiuti liquidi delle nuove abitazioni e
opifici costruiti a monte. La letteratura su questa
fonte lascia a desiderare in ordine all’origine del
nome “Maimonide”, che, secondo alcuni, deriva
dalla presenza a Paternò del condottiero spagnolo
Gaito Maimone e, secondo altri, dalla presunta
presenza nella fonte di una scimmia favolistica
“gattomammone”.
Il prof. Santi Correnti, già docente di Storia della
Sicilia nell’Università di Catania, ha dato alle stampe oltre cento opere interessanti, tra cui una storia
di Paternò (“Paternò” – ed. Tringale – 1983), nella quale fa derivare il nome “Maimonide” dalla
favola, scartando il celebre medico arabo
Maimonide, pur ammettendo che questi “si occupò di acque terapeutiche, come quelle di Fiuggi”.
Lo scrivente sostiene che la fonte di quest’acqua
tanto portentosa, in grado di guarire varie malattie, ben poteva essere intitolata ad un famoso
medico del basso medioevo Maimonide, rimasto
celebre, fino ad oggi per aver curato tante malattie, divenendo un pioniere della medicina moderna: sconsigliando l’abuso di medicine e consigliando norme di prevenzione, principalmente col
rispetto dell’igiene.
Di recente la fonte Maimonide è stata ristrutturata
con la realizzazione di un progetto moderno, che
assomma in sé eleganza e funzionalità, però l’ac○
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qua non è potabile perché sprovvista di depuratore.
Mosè Maimonide è la traduzione latinizzata di
Mosheh ben Maymon, ebreo di origine spagnola, nato a Cordova il 30 marzo 1138 (1135, secondo studi più recenti), figlio di un giudice del tribunale rabbinico, noto come buon conoscitore della
matematica e dell’astronomia. Dal padre apprese
molte nozioni scientifiche, i fondamenti dellaTorah
(dottrina rivelata da Dio a Mosè), del Talmud (dottrine ed insegnamenti ebraici). Inoltre da maestri
arabi apprese la medicina e la filosofia.
Motivi di settarismo religioso costrinsero
Maimonide e la sua famiglia all’esilio in altra provincia della Spagna (1148), a Fez nel Marocco
(1160). Qui egli approfondì lo studio della medicina araba, nota come la più evoluta dell’epoca.
Poi si trovò nel quartiere Fustat de Il Cairo. In
questo periodo egli perse il padre e il fratello (quest’ultimo commerciante di preziosi) e venne a trovare sulle spalle il peso del mantenimento della
famiglia. Intraprese la professione di medico,
diventando così famoso da essere chiamato anche come medico alla corte di Saladino (Al Malik
Al Afdal Saladin), Vier d’Egitto e riuscendo ad
armonizzare tra loro medicina, religione e filosofia. Si spense il 13 dicembre 1204.
Maimonide lasciò molte opere di rilievo, tra le quali
“Guida dei perplessi” del 1190, “Tredici articoli
di fede”, “Trattatelli medici su asma, emorroidi,
veleni, rapporti sessuali, …..”, “Guida della buona salute”, “Libro dei veleni e degli antipodi”.
Nel Duemila (13 e 14 giugno) a Milano il Convegno “Maimonide e il suo tempo” ha testimoniato l’attualità del Nostro.
Angelino Cunsolo
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Un ritratto di Mosheh ben
Maymon, meglio conosciuto
come Mosè Maimonide
Sotto una veduta storica della
Fonte Maimoide di Paternò
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Fioriscono le Note di Zagara
C’è tutta la filosofia del nuovo corso della Provincia di
Catania e del suo presidente Raffaele Lombardo in tema
di rivalutazione e apprezzamento della cultura popolare
siciliana ed etnea: “Le piccole note di zagara”, allora, il
colorato festival della canzone per bambini, ha rappresentato un ulteriore apprezzato tassello in questo percorso virtuoso tutto imperniato nella riscoperta della “sicilianità”.
“Abbiamo assistito – ha sottolineato il presidente Raffaele
Lombardo - a una delle manifestazioni più belle che questa Amministrazione abbia organizzato, assieme alla rassegna del teatro dialettale, dei mesi scorsi. I veri protagonisti sono stati gli alunni delle scuole di Catania e provincia, che hanno dimostrato di amare e di voler conoscere la
lingua siciliana, una lingua degna di essere riscoperta e tramandata. Questo festival canoro, ha dimostrato il forte
interesse culturale che esiste nei confronti della lingua siciliana e ci auguriamo che proprio dalla scuola e dai docenti partano esempi concreti di riscoperta e di insegnamento di quello che non deve essere considerato un semplice dialetto”.
E dunque, dopo il teatro in lingua siciliana, che ha contrassegnato recentemente le attività culturali dell’Ente, con
convincenti apprezzamenti da parte di critica e pubblico,
l’assessorato provinciale alle Politiche culturali, guidato da
Serafina Perra, ha ideato e realizzato un evento di grande
valenza al quale hanno aderito, con entusiasmo, diverse scuole del territorio.
“Le piccole note di zagara”, nella semplicità dei suoi protagonisti assoluti, ossia i bambini, è stato un successo pieno, nell’azione di recupero e costante rivalutazione della
lingua e dei costumi siciliani, agendo da collante per le
variegate realtà culturali della provincia. La famiglia, il gioco
e l’infanzia, il lavoro, il tempo libero; e ancora, la campagna e i suoi riti ancestrali, l’incedere delle stagioni, la tradizione dei cunti antichi. A legare tutto, come sottile filo
d’Arianna, una lingua viva, attuale, proprio quel siciliano,
vera icona di un popolo indomito.
Venti le scuole che sono salite sul palco, alle Ciminiere di
Catania, con un totale di 1.350 bambini iscritti: la manifestazione canora, non competitiva, è stata dedicata principalmente ai motivi siciliani collegati alle tradizioni agricole e ai temi popolari, nella riscoperta delle radici della
nostra Isola. La prima edizione si è svolta in quattro giornate, dal 21 al 25 maggio e vi hanno partecipato le scuole:
XX Settembre, Coppola, G. Verga, Battisti, Santi Giuffrida
di Catania, Rossi di Aci Catena, Rodari di Acireale, Circolo
didattico di Aci S. Antonio, Santi Giuffrida di Adrano, Nicola Spedalieri di Bronte, Rosario Livatino di Fiumefreddo,
I Circolo didattico di Giarre, Giuseppe Fava di Mascalucia,
Leonardo Sciascia di Misterbianco, Gravina di Ramacca,
Giovanni Verga di Riposto, De Amicis di Tremestieri, Giovanni Verga di Viagrande e il Circolo didattico di Zafferana.
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“Abbiamo imparato tanto da questi piccoli talenti che si
sono esibiti sul palco delle Ciminiere – ha sottolineato,
con evidente soddisfazione, l’assessore Serafina Perra – perché è soprattutto grazie a loro se l’Auditorium è stato ogni
giorno stracolmo di pubblico, oltre che di genitori e insegnanti. L’esito è stato travolgente”.
Direttore artistico del festival è stato l’apprezzato cantastorie
siciliano Luigi Di Pino; presentatrice, Francesca Cuffari.
Nel repertorio, i piccolissimi interpreti, alcuni in abiti tradizionali, non hanno fatto mancare i classici isolani, quali:
“Ciuri ciuri”, “Sicilia antica”, “Pampina di l’alivu”, “Arance di Sicilia”, “Vitti ‘na crozza”, “Si maritau Rosa”, “E vui
durmiti ancora”.
Alla premiazione, oltre al presidente Raffaele Lombardo e
all’assessore Serafina Perra, sono intervenuti l’assessore provinciale allo Sviluppo economico, Gioacchino Ferlito, il
consigliere provinciale Salvo Pace, la consulente per le Politiche culturali e tra gli organizzatori dell’evento, Lucia
Navarria, e alcuni rappresentanti dei Comuni dell’hinterland, tra cui il sindaco e l’assessore alla Cultura di
Tremestieri Etneo, Salvatore Giuffrida e Carlo Maugeri.
A concludere la manifestazione è stato il noto cantautore
siciliano Vincenzo Spampinato, che ha cantato con i piccoli artisti il brano “Madre Terra”, inno ufficiale della Regione Siciliana.
“La nostra provincia – ha concluso l’assessore Perra - assomiglia davvero a uno scrigno che custodisce bellezze inesauribili. Il patrimonio ambientale, naturalistico e architettonico si coniuga a quello culturale e in questo unicum
magico e prezioso innestiamo gli spunti per una
valorizzazione, la più completa possibile, indirizzando i
ragazzi e i giovani verso un mondo di ispirata tradizione
che riceveranno in stupenda eredità”.
Marcello Proietto di Silvestro
Il presidente Lombardo e l’assessore Perra
con alcuni piccoli protagonisti del festival canoro
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La Voce dell’Anima Siciliana
Di Rosa Balistreri ama tutto: le piace la
sua voce, la incuriosisce la sua vita tribolata, è attratta dal personaggio, e spesso
canta le sue canzoni. Ma avverte: niente
paragoni, io mi chiamo Laura De Palma.
“Abbiamo due storie differenti – spiega
la cantante popolare catanese – lei si definiva la “cantatrice” del sud, era straordinaria. Io, però, gestisco la mia voce in
maniera diversa. Ho studiato canto, ho
ottenuto il compimento inferiore di canto lirico. Ho studiato tecnica vocale”.
Eppure proprio a lei è stato assegnato nel
2002 il premio “Rosa Balistreri” come
migliore interprete della nota cantante di
musica popolare siciliana. “Quando l’ho
saputo ero davvero felice – racconta Laura De Palma – Ricevere un premio a lei
dedicato è un onore grande che mi ripaga dei tanti sacrifici”.
Incuriosisce il mondo in cui lo dice. Quali
sacrifici? “Purtroppo avere una bella voce
spesso non basta, ci vuole un pizzico di
fortuna e gli incontri giusti”. Qualche
rimpianto quindi c’è? “Sì, l’hanno scorso
per mancanza di finanziamenti abbiamo
dovuto rinunciare ad un concerto in America. E c’è in forse anche una tappa in
Germania del musical “Noi tra storia e
leggenda”. A quello tengo molto”.
Ma, nonostante tutto, c’è qualche grazie
da dare. Uno va all’assessore provinciale
alle politiche culturali Serafina Perra. “Ha
fatto tanto – sottolinea – Ci ha sostenuti
e continua a farlo”.
Non scrive canzoni da qualche mese Laura De Palma, per il momento pensa al suo
musical, pronto a girare per la Sicilia. “E’
il racconto di un sogno – racconta – la
protagonista viaggia nel tempo, va dai
tempi di Ducezio alla cavalleria
rusticana”. Ambientata a Mineo la rappresentazione teatrale, per la regia di Armando Sciuto e con le coreografie di
Angela Marchese, si avvale di un cast di
venticinque tra attori e ballerini, più un
“cuntastorie, Enrico Manna”. “Nel musical ho inserito canzoni prese dalla tradizione popolare siciliana ma non solo –
afferma la cantante – ci sono anche canzoni che ho composto io. I miei brani si
allontanano molto dalla tradizione, sono
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Laura De Palma,
vincitrice
del Premio Rosa
Balistreri,
interpreta
al meglio la
tradizione
canora popolare
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Laura De Palma sul palcoscenico del musical “Noi... tra
storia e leggenda”.
In basso il “cantastorie” Enrico
Manna
musiche travolgenti suonate da strumenti tipici di un’orchestra, ci sono violini,
percussioni, chitarre. Volevo creare qualcosa di diverso, di più moderno, utilizzando tonalità maggiori mentre la musica popolare è spesso realizzata con tonalità minori”.
Laura De Palma ama la Sicilia da sempre. Difficile che non contagiasse chi le
vive accanto. “Partirò presto per la Germania con i miei due figli e mio marito –
ci dice – rappresenteremo Catania durante una festa popolare medievale. Saremo
in cinque: io, i miei gemelli Flaminia e
Dario, mio marito Nunzio e Giuseppe
Albano”.
Di progetti in cantiere ne ha tanti, adesso aspetta il momento e la fortuna adeguata per poterli realizzare. E tutti sono
un’ode alla sua terra natìa.
Alessandra Bonaccorsi
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