Dalla Letteratura

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G It Diabetol Metab 2010;30:192-195
Dalla Letteratura
Fumo, cessazione del fumo e
rischio per diabete mellito di
tipo 2 – Uno studio di coorte
Ann Intern Med 2010;152:10-7
Yeh H-C, Duncan BB, Schmidt MI,
Wang N-Y, Brancati FL
Welch Center for Prevention,
Epidemiology, and Clinical
Research, The Johns Hopkins
University, Baltimore, Maryland
21205, USA
[email protected]
Effetti di exenatide associata a
cambiamenti nello stile di vita
in pazienti con diabete di tipo 2
Am J Med 2010;123(5):468.e9-17
Apovian CM, Bergenstal RM,
Cuddihy RM, Qu Y, Lenox S,
Lewis MS, Glass LC
Section of Endocrinology, Diabetes
and Nutrition, Department of
Medicine, Boston University
School of Medicine, Boston,
MA, USA
[email protected]
Premessa. Il fumo di sigaretta è un fattore di rischio accertato per il diabete mellito
di tipo 2, ma sono invece sconosciuti gli effetti della cessazione del fumo sul rischio
di diabete.
Obiettivo. Valutare l’ipotesi che lo smettere di fumare aumenti a breve termine il
rischio di diabete forse a causa dell’aumento di peso correlato alla cessazione del
fumo.
Disegno dello studio. Studio di coorte prospettico.
Luogo dove si è svolto lo studio. Studio dell’ARIC (Atherosclerosis Risk in
Communities).
Pazienti. Diecimilaottocentonovantadue adulti di mezza età inizialmente non diabetici dal 1987 al 1989.
Misurazioni. Il fumo è stato valutato tramite colloquio all’inizio dello studio e al follow-up. La predisposizione al diabete è stata accertata con la glicemia a digiuno nel
1998 e report delle diagnosi del medico di medicina generale o l’uso di farmaci antidiabetici nel 2004.
Risultati. Durante 9 anni di follow-up, 1254 adulti hanno sviluppato diabete di tipo 2.
Confrontati con adulti che non avevano mai fumato, l’hazard ratio aggiustata per l’incidenza di diabete nel terzile più alto degli anni di studio era di 1,42 (IC al 95% 1,21,67). Nei primi 3 anni di follow-up, 380 adulti smisero di fumare. Dopo l’aggiustamento per età, razza, sesso, educazione, obesità, attività fisica, livelli lipidici, pressione arteriosa e centro di studio ARIC, confrontati con adulti che non avevano mai
fumato, le hazard ratio per diabete fra i precedenti fumatori, quelli che hanno smesso e quelli che hanno continuato erano rispettivamente 1,22 (IC al 95% 0,99-1,50),
1,73 (IC al 95% 1,19-2,53) e 1,31 (IC al 95% 1,04-1,65). Ulteriore aggiustamento per
variazioni del peso e conta leucocitaria ha attenuato sostanzialmente questi rischi.
Nell’analisi di rischio a lungo termine, dopo aver smesso di fumare, il rischio maggiore era nei primi 3 anni (hazard ratio 1,91 [IC al 95% 1,19-3,05)], per poi diminuire gradualmente fino a 0 dopo 12 anni.
Limiti dello studio. Possibili fattori di confondimento malgrado gli aggiustamenti per
i fattori di rischio di diabete.
Conclusioni. Il fumo di sigaretta è un fattore di rischio per la comparsa di diabete di
tipo 2, ma smettere di fumare porta a un maggiore rischio a breve termine. Nei fumatori a rischio di diabete la cessazione del fumo dovrebbe essere accompagnata da
strategie di prevenzione e diagnosi precoce.
Obiettivo. Valutare l’effetto del cambiamento dello stile di vita e somministrazione di
exenatide versus un programma di cambiamento dello stile di vita e placebo sulla
perdita di peso in un gruppo di diabetici di tipo 2 sovrappeso od obesi, trattati con
metformina e/o sulfonilurea.
Metodi. Caratteristiche dello studio: durata 24 settimane, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco; casistica: 194 pazienti hanno partecipato a un programma di
modifica dello stile di vita per ridurre l’introito calorico giornaliero di 600 kcal e praticare un’attività fisica regolare (almeno 2,5 ore alla settimana). I partecipanti sono stati
randomizzati a 5 µg sc di exenatide due volte al giorno + programma di cambiamento dello stile di vita (n = 96) o placebo + programma di cambiamento dello stile di vita
(n = 98), e dopo 4 settimane è stata aumentata la dose di exenatide a 10 µg due volte
al giorno o un volume equivalente di placebo nel gruppo di controllo.
Risultati. Caratteristiche al basale (media ± deviazione standard): età, 54,8 ± 9,5
anni; peso, 95,5 ± 16,0 kg; emoglobina glicata, 7,6 ± 0,8%. A 24 settimane (media
quadratica minima ± errore standard), i trattamenti mostrarono riduzioni simili nell’introito calorico (−378 ± 58 vs −295 ± 58 kcal/die, exenatide + programma di modifiche dello stile di vita vs placebo + programma di modifiche dello stile di vita; p = 0,27)
e aumenti della spesa energetica per esercizio fisico. Exenatide + programma di
modifiche dello stile di vita ha portato a una maggiore differenza in peso (−6,16 ± 0,54
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kg vs −3,97 ± 0,52 kg; p = 0,003), emoglobina glicata (−1,21 ± 0,09% vs −0,73 ±
0,09%; p < 0,0001), pressione sistolica (−9,44 ± 1,40 vs −1,97 ± 1,40 mmHg;
p < 0,001) e diastolica (−2,22 ± 1,00 vs 0,47 ± 0,99 mmHg; p = 0,04). La nausea è
stata più frequente nel gruppo trattato con exenatide rispetto al gruppo trattato con
placebo (44,8% vs 19,4%, rispettivamente; p < 0,001); non sono state riscontrate differenze significative per quanto riguarda l’uscita dallo studio per effetti collaterali
(4,2% vs 5,1%, rispettivamente; p = 1,0) o per ipoglicemia.
Conclusioni. Quando associato a modifiche dello stile di vita il trattamento con exenatide porta a una significativa perdita di peso, a un maggiore controllo glicemico e
a una diminuzione della pressione arteriosa rispetto alle sole modifiche dello stile di
vita nei soggetti sovrappeso od obesi, con diabete di tipo 2, in trattamento con metformina e/o sulfonilurea.
Effetto del trattamento
insulinico intensivo durante
il Diabetes Control and
Complications Trial (DCCT)
sulla neuropatia periferica
nel diabete di tipo 1; studio
Epidemiology of Diabetes
Interventions and
Complications (EDIC)
Diabetes Care 2010;33:1090-6.
Epub 2010 Feb 11
Albers JW, Herman WH, PopBusui R, Feldman EL, Martin CL,
Cleary PA, Waberski BH, Lachin
JM; Diabetes Control and
Complications Trial/Epidemiology
of Diabetes Interventions and
Complications Research Group
Department of Neurology,
University of Michigan Medical
School, Ann Arbor, Michigan, USA
[email protected]
Effetti della terapia medica
sulla progressione della
retinopatia nel diabete di tipo 2
N Engl J Med 2010;363(3):233-44
The ACCORD Study Group and
ACCORD Eye Study Group
Chew EY1, Ambrosius WT2,
Davis MD3, Danis RP3,
Gangaputra S3, Greven CM2,
Hubbard L3, Esser BA3, Lovato JF2,
Perdue LH2, Goff DC Jr2,
Cushman WC4, Ginsberg HN5,
Elam MB4, Genuth S6,
Gerstein HC7, Schubart U8, Fine LJ9
1
National Eye Institute, NIH,
Bethesda, MD; 2Wake Forest
Obiettivo. Valutare nei soggetti con diabete di tipo 1 l’effetto del precedente trattamento insulinico intensivo versus il trattamento insulinico convenzionale sulla neuropatia a 13-14 anni dalla fine del Diabetes Control and Complications Trial (DCCT),
tempo durante il quale entrambi i gruppi hanno raggiunto livelli simili di emoglobina
glicata.
Disegno dello studio e metodi. I test clinici per valutare la conduzione nervosa
(NCSs), condotti durante il DCCT, sono stati ripetuti durante lo studio Epidemiology
of Diabetes Interventions and Complications (EDIC) da esaminatori in cieco su 603
soggetti sottoposti precedentemente a trattamento intensivo e 583 a trattamento
convenzionale. La neuropatia clinica è stata diagnosticata in base ai sintomi, segni
sensoriali o cambiamenti nei riflessi (polineuropatia distale) e confermati da anomalie
che includevano due o più nervi periferici (il mediano, il peroneale e il surale).
Risultati. A 13-14 anni dalla fine del DCCT la prevalenza di neuropatia è aumentata
dal 9 al 25% nel gruppo del trattamento intensivo e dal 17 al 35% in quello del trattamento convenzionale, ma la differenza tra i gruppi è rimasta significativa (p < 0,001)
e l’incidenza di neuropatia è stata più bassa fra i soggetti del gruppo di trattamento
intensivo (22%) rispetto a quelli del trattamento convenzionale (28%; p = 0,0125).
Modelli analitici di neuropatia incidente aggiustati per le differenze dei risultati alla fine
del DCCT hanno mostrato una riduzione non significativa del rischio associata col
precedente trattamento intensivo durante il follow-up (odds ratio 1,17 [IC al 95%
0,84-1,63]). Tuttavia, un effetto significativo sul gruppo di trattamento intensivo è
stato osservato per quanto riguarda diversi parametri considerati. Le analisi longitudinali sul controllo glicemico hanno mostrato un’associazione significativa tra la
media dell’emoglobina glicata e l’incidenza e la prevalenza della neuropatia.
Conclusioni. I benefici del trattamento insulinico intensivo precedente sono persistiti per 13-14 anni dopo la conclusione dello studio DCCT dimostrando un effetto duraturo sulla neuropatia di tale trattamento.
Obiettivo. Verificare se il controllo glicemico intensivo, il trattamento della dislipidemia e il controllo intensivo della pressione arteriosa possono limitare la progressione
della retinopatia diabetica nei diabetici di tipo 2. Dati precedenti suggeriscono che
questi fattori sistemici possono essere importanti nello sviluppo e nella progressione
della retinopatia diabetica.
Metodi. Sono stati arruolati 10.251 diabetici di tipo 2 ad alto rischio per malattia cardiovascolare randomizzati per trattamento intensivo o standard della glicemia (target
livelli di emoglobina glicata rispettivamente < 6,0% o da 7,0 a 7,9%); trattamento
intensivo o standard della dislipidemia (160 mg/die di fenofibrato + simvastatina o
placebo + simvastatina); trattamento intensivo o standard della pressione sistolica
(target < 120 o < 140 mmHg). In un sottogruppo (2856 soggetti) è stato valutato l’effetto del trattamento intensivo sulla progressione della retinopatia a 4 anni secondo
3 o più step della Early Treatment Diabetic Retinopathy Study Severity Scale (fotografie stereoscopiche su 7 campi del fundus, con 17 possibili step, indicando un maggior numero di step una maggiore gravità) o per lo sviluppo della retinopatia diabetica che necessita di fotocoagulazione laser o vitrectomia.
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University School of Medicine,
Winston-Salem, NC; 3University of
Wisconsin, Madison; 4Veterans
Affairs Medical Center, Memphis;
5
Columbia University College of
Physicians and Surgeons, NY;
6
Case Western Reserve University,
Cleveland; 7McMaster University,
Hamilton, ON, Canada; 8Albert
Einstein College of Medicine, Bronx,
NY; 9National Heart, Lung, and
Blood Institute, NIH, Bethesda, MD
Lo stato glicemico influisce
sulla natura e sulla gravità
della malattia coronarica
Diabetologia 2010;53(4):652-8
Berry C, Noble S, Grégoire JC,
Ibrahim R, Levesquie S,
Lavoie MA, L’Allier PL, Tardif JC
Montreal Heart Institute and
Université de Montréal, 5000
Belanger Street, Montreal, Canada
Fallimento secondario
di metformina in monoterapia
nella pratica clinica
Diabetes Care 2010;33:501-6
Brown JB, Conner C, Nichols GA
Kaiser Permanente Center
for Health Research, Portland,
Oregon, USA
Risultati. A 4 anni il tasso di progressione della retinopatia diabetica è stato del
7,3% con il trattamento intensivo per la glicemia versus il 10,4% del trattamento
standard (odds ratio aggiustata 0,67; intervallo di confidenza [IC] al 95% 0,51-0,87;
p = 0,003); del 6,5% nel trattamento intensivo con fenofibrato per la dislipidemia
versus il 10,2% con placebo (odds ratio aggiustata 0,60; IC al 95% 0,42-0,87;
p = 0,006); e del 10,4% nel trattamento intensivo per la pressione arteriosa versus
l’8,8% della terapia standard (odds ratio aggiustata 1,23; IC al 95% 0,84-1,79;
p = 0,29).
Conclusioni. Il controllo glicemico intensivo e il trattamento combinato per la dislipidemia, ma non il controllo intensivo della pressione arteriosa, hanno ridotto il tasso di
progressione della retinopatia diabetica.
Obiettivo/ipotesi. È stata indagata la relazione fra controllo della glicemia e gravità
e progressione della malattia coronarica (coronary artery disease, CAD), causa prima
di morte nel diabete.
Metodi. In 426 pazienti affetti da CAD conclamata o sospetta al momento del riscontro (basale) sono stati misurati i livelli di glicemia a digiuno (fasting blood glucose,
FBG) e l’emoglobina glicata (HbA1c); i pazienti sono stati sottoposti a ultrasonografia
intravascolare (coronary artery intravascular ultrasound, IVUS) al basale e dopo 664
giorni (range 257-961). I pazienti sono stati divisi fra normoglicemici (n = 226, 53%),
con alterata glicemia a digiuno (n = 118, 28%) o diabetici (n = 82, 19%).
Risultati. La gravità dell’ateroma coronarico al basale era maggiore nei pazienti diabetici (73,33 ± 8,86%) rispetto ai normoglicemici (69,08 ± 10,43%; p = 0,001) e nei
pazienti con alterata glicemia a digiuno (69,32 ± 9,59%; p = 0,0031). È stato definito il segmento di 30 mm per le misurazioni IVUS (n = 332 partecipanti); la variazione
in percentuale dell’area ateromasica durante il follow-up è stata maggiore nei diabetici (1,86 ± 3,90%) che negli altri gruppi (0,28 ± 3,32% e 0,56 ± 2,96%; p globale
= 0,0047). L’FBG si è correlato con l’estensione dell’area ateromasica al basale
(r = 0,17; p = 0,0003); anche l’HbA1c si è correlata con l’estensione dell’area ateromasica al basale (r = 0,26; p = 0,0001) e con l’aumento delle dimensioni della placca
(r = 0,16; p = 0,016). Risultati simili si sono ottenuti anche per il volume della placca.
La relazione fra diabete, i valori di HbA1c o entrambi, con il volume della placca o il
suo rimodellamento persiste anche dopo le correzioni statistiche.
Conclusioni. L’FBG, l’HbA1c e la presenza di diabete sono associati con la gravità e
la progressione dell’aterosclerosi coronarica. Queste osservazioni convalidano l’ipotesi che un miglior controllo glicemico possa favorevolmente influire sulla CAD in
pazienti con anomala tolleranza al glucosio o diabete.
Obiettivo. Valutare il fallimento secondario a metformina in monoterapia nella pratica clinica e individuare i fattori che ne predicono il fallimento.
Disegno dello studio e metodi. Sono stati studiati 1799 pazienti diabetici di tipo 2
che, tra il 2004 e il 2006, hanno ottenuto valori di emoglobina glicata (HbA1c) < 7%
con metformina in monoterapia (primo farmaco ipoglicemizzante). Sono stati esaminati tutti i valori di HbA1c registrati fino al 31 dicembre 2008 (2-5 anni di follow-up)
definendo come fallimento secondario una HbA1c ≥ 7,5% o l’aggiunta di o sostituzione con un altro ipoglicemizzante; è stata utilizzata una regressione di tipo logistico per
identificare i fattori associati con la probabilità di fallimento secondario.
Risultati. Dei 1799 pazienti presi in esame, il 42% (n = 748) è andato incontro al fallimento secondario alla terapia; il tasso medio di fallimento è stato del 17%/anno.
Tuttavia, i pazienti che avevano iniziato la terapia con metformina entro i 3 mesi dalla
diagnosi di diabete, hanno avuto un tasso di fallimento/anno, aggiustato per età e
HbA1c, del 12,2% (10,5-14,4%); i pazienti che avevano iniziato la terapia con valori di
HbA1c < 7% hanno avuto un tasso di fallimento aggiustato del 12,3%/anno. Non è
stata riscontrata una interazione significativa fra il tempo della diagnosi di diabete e
l’HbA1c. L’età, la durata della malattia e l’HbA1c all’inizio della terapia sono stati i soli
fattori che predicevano il fallimento secondario.
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Conclusioni. Nonostante il fallimento del trattamento con metformina possa avvenire più rapidamente nella pratica clinica che non negli studi clinici, iniziare al più
presto possibile la terapia dopo la diagnosi diabete e mentre l’HbA1c è ancora
bassa, può preservare la funzione β-cellulare, prolungare l’efficacia di metformina,
mantenere un buon controllo glicemico nel tempo e prevenire le complicanze croniche. Lo studio convalida l’attuale algoritmo per il trattamento dell’iperglicemia che
raccomanda l’inizio della terapia con metformina al momento della diagnosi di diabete tipo 2.
Effetto del controllo intensivo
della pressione arteriosa
nel diabete mellito di tipo 2
N Engl J Med 2010;362:1575-85
The ACCORD Study Group
Premessa. Non esistono evidenze di studi randomizzati a supporto di una strategia
per abbassare la pressione sistolica al di sotto di 135-140 mmHg in persone con diabete mellito di tipo 2. Si è indagato se la terapia per il raggiungimento dei normali
valori di pressione sistolica (i.e., < 120 mmHg) riduca gli eventi cardiovascolari maggiori nei partecipanti allo studio con diabete di tipo 2 e alto rischio per eventi cardiovascolari.
Metodi. Quattromilasettecentotrentatré partecipanti con diabete di tipo 2 sono stati
randomizzati a terapia intensiva per un target di pressione sistolica inferiore ai 120
mmHg o a terapia standard per un target inferiore a 140 mmHg. L’outcome primario
era infarto miocardico non fatale, stroke non fatale o morte per eventi cardiovascolari. Il follow-up medio è stato di 4,7 anni.
Risultati. Dopo un anno il valore medio di pressione sistolica era 119,3 mmHg nel
gruppo sottoposto a terapia intensiva e 133,5 mmHg nel gruppo a terapia standard.
Il tasso annuale dell’outcome primario è stato 1,87% nel gruppo a terapia intensiva e
2,09% in quello a terapia standard (hazard ratio [HR] con terapia intensiva, 0,88;
intervallo di confidenza [IC] al 95% 0,73-1,06; p = 0,20). Il tasso annuale di eventi
fatali per qualunque causa era rispettivamente 1,28 e 1,19 (HR 1,07; IC al 95% 0,851,35; p = 0,55). Il tasso annuale di stroke, un outcome secondario predefinito, era
rispettivamente 0,32% e 0,53% nei due gruppi (HR 0,59; IC al 95% 0,39-0,89;
p = 0,01). Eventi avversi gravi attribuiti al trattamento antipertensivo si sono avuti in
77 dei 2362 partecipanti nel gruppo intensivo (3,3%) e in 30 dei 2371 partecipanti nel
gruppo di terapia standard (1,3%; p > 0,001).
Conclusioni. Nei pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio per eventi cardiovascolari l’obiettivo di una pressione sistolica < 120 mmHg, confrontato con quello di
una pressione sistolica < 140 mmHg, non ha ridotto il tasso di outcome di eventi cardiovascolari maggiori fatali o non fatali.