la prima guerra mondiale a prepotto

Transcript

la prima guerra mondiale a prepotto
LA PRIMA GUERRA MONDIALE A PREPOTTO
L’inizio della prima guerra mondiale fu annunciato dai manifesti, affissi in tutti i paesi, che
richiamavano gli uomini validi alle armi. Tutti dovettero partire per raggiungere il fronte di
combattimento sul Carso, sul monte Nero, sul Pasubio, sull’Isonzo, in Cadore e nel Trentino. La
gente vide apparire anche i primi aerei da ricognizione, che destarono molto stupore perché
nessuno li aveva mai visti. Dopo il 24 maggio 1915, la valle dello Judrio era percorso
continuamente da militari che andavano e venivano dal fronte di combattimento, spostato dopo
poco tempo dall’inizio della guerra dallo Judrio all’Isonzo. I monti Cau, San Nicolò, Spic,
Plagnava sovrastanti Codromaz, Oborza, Prepotischis, Cosson e Bodigoi conservano ancora oggi
resti di gallerie, trincee, postazioni da cui i militari controllavano le opposte alture,
specialmente il monte Corada. Dopo i primi mesi di avanzate e conquiste territoriali, la guerra
divenne di posizione. I soldati passavano settimane e mesi nelle trincee al freddo e
nell’umidità. Nel fondovalle, a Molinovecchio, Cosson ed Albana, c’erano depositi di munizioni e
di viveri ed ospedali da campo sistemati nelle chiese (S. Bartolomeo di Ciubiz e S. Giacomo e
S. Giustina di Albana) o nelle Case padronali (Cosson, villa della Torre e castello di Albana). Il
Re Vittorio Emanuele III visitò i feriti nel castello di Albana, nella villa Torre e a Cosson.
Mancando gli uomini, che erano al fronte, le donne, i vecchi e i bambini dovevano lavorare nei
campi: dissodare la terra, arare, seminare, coltivare, raccogliere i prodotti ed allevare gli
animali domestici, con molta fatica. I raccolti erano scarsi, mancavano l’olio, il sale e lo
zucchero.
Vennero ingaggiate dall’esercito alcune donne (risultano 16 dai registri comunali) che
regolarmente portavano una gerla di viveri o munizioni del peso di 25 Kg fino a Santa Lucia sul
fiume Isonzo. Al ritorno, a coppie, trasportavano i feriti gravi sulle barelle fino agli ospedali
da campo della valle. Accanto a questi furono creati anche nuovi cimiteri di guerra. Il più
grande era quello ai piedi del colle di Santo Spirito che alla fine della guerra conteneva 1400
salme.
Un documento particolare e commovente testimonia l’inizio della prima guerra mondiale nel
Comune di Prepotto. Nella chiesetta di S. Antonio di Oborza c’è un grande crocifisso in legno
con questa dedica: “24 maggio 1915 i Reggimenti 65° e 66° fanteria, durante la salita al monte
Corada offrono”. Nel libro storico della curazia di Codromaz, il curato don Luigi Sdraulig, nel
1919 racconta che questo crocifisso fu donato, assieme ad una bella “pianeta” (paramento
sacro) alla chiesa di S. Antonio proprio dai militari che andavano a combattere sul fronte.
Gli abitanti della frazione di Oborza si impegnarono a far recitare una messa di suffragio per
questi soldati ogni anno il 24 maggio.
Sul fronte dell’Isonzo furono combattute 12 sanguinose battaglie, mentre i monti sovrastanti
la valle dello Judrio, Corada, monte Kum, catena del Colovrat furono teatro di aspri
combattimenti. Tre giorni dopo la rotta di Caporetto, avvenuta il 24 ottobre 1917, un
reggimento italiano fu accerchiato ed intrappolato nella zona tra S. Nicolò e Castelmonte,
sulla linea di confine tra i comuni di Prepotto e S. Leonardo. Ci fu una battaglia durissima tra i
soldati austroungarici contro quelli italiani, che avevano ricevuto l’ordine di resistere ad
oltranza. Alla fine della battaglia gli abitanti di S. Leonardo, Iainich, Covacevizza e Berda,
guidati dall’allora parroco di S. Leonardo, monsignor Petricig, seppellirono attorno alla
chiesetta di S. Nicolò 170 caduti italiani e numerosi caduti austroungarici e ricoverarono
temporaneamente nelle loro case numerosi feriti. Alcuni, in condizioni gravi morirono, altri
furono fatti prigionieri dagli austriaci vincitori, che arrivarono nei giorni immediatamente
successivi.
I soldati italiani, in grado di farlo, si ritirarono precipitosamente, abbandonando depositi di
armi pesanti e munizioni. Dovettero retrocedere fino sulla linea del Piave, dove il nuovo fronte
fu stabilito l’8 novembre 1917.
Le popolazioni erano abbattute e spaventate al sopraggiungere dell’invasore austriaco in arrivo
per timore di saccheggi e incendi. Moltissime persone, appartenenti ai ceti più abbienti, al
clero e alla pubblica amministrazione, fuggirono verso l’Italia centrale, assieme alle loro
famiglie. Rimasero nelle loro case i ceti più poveri ed i contadini che temevano di perdere i
raccolti e gli animali che allevavano.
Nelle amministrazioni comunali era cessata ogni attività regolare a causa della fuga dei
rappresentanti comunali e dal caos in cui si erano trovati gli uffici pubblici dopo la ritirata
delle truppe italiane e l’acquartieramento dei soldati conquistatori.
Gli Austriaci si preoccuparono di riorganizzare i comuni nominando come sindaci persone del
luogo che ritenevano idonee. Gradualmente la popolazione dovette consegnare alle
amministrazioni comunali, che poi dovevano renderne conto ai rappresentanti del governo
austroungarico: frumento e granoturco, legumi, patate, foraggio, vino, bovini, cavalli, pecore e
capre.
Con questi generi veniva prima di tutto rifornito l’esercito occupante; una piccola parte veniva
distribuita alla popolazione dalle stesse amministrazioni comunali: un nucleo famigliare
riceveva ogni settimana 180 grammi di farina di mais pro-capite e 150 grammi di farina di
frumento e di segala. Successivamente, nel marzo del 1918, vennero confiscati anche i bozzoli
e addirittura la biancheria.
Poiché gli austroungarici pensavano di concludere la guerra da vincitori, si preoccuparono di
far coltivare la terra dove i prodotti erano redditizi (vino, cereali, patate, legumi)
distribuendo le sementi necessarie e reclutando operai, che venivano pagati col vitto
giornaliero e una corona al giorno. Ma, in una situazione di disagio generale, i lavori non
venivano eseguiti nel tempo e nel modo opportuno e perciò i prodotti erano scarsissimi.
La gente era sempre più affamata e cominciarono a manifestarsi malattie da carenze
alimentari: casi di difterite, vaiolo, la febbre spagnola (una specie di influenza) che provocò la
morte di parecchi bambini.
Un fatto che colpì particolarmente gli abitanti delle frazioni fu la requisizione di tutte le
campane delle chiese grandi e piccole, campane destinate ad essere fuse e trasportate in
Austria e Ungheria. Si salvarono miracolosamente soltanto quelle
della chiesetta di S.
Bartolomeo di Ciubiz, perché gli abitanti di Bordon e Ciubiz avevano provveduto a toglierle e
nasconderle in un fienile, e avevano anche distrutto la cella campanaria che le sosteneva.
Quando gli ufficiali austriaci giunsero con l’ordine scritto di requisizione, avevano il nome della
chiesa di Oborza e gli abitanti di Bordon dissero che le campane di Oborza erano già state
asportate, come era veramente accaduto. Gli austriaci non approfondirono la cosa e le
campane rimasero nascoste sino alla fine della guerra.
Era diffuso il contrabbando attraverso lo Judrio, anche se regole molto severe controllavano
gli spostamenti delle persone all’interno dello Stato occupato e con gli Stati confinanti.
I sacerdoti erano rispettati dagli occupanti e spesso facevano richieste ai rappresentanti di
grado superiore quando la gente era senza generi di prima necessità.
Finalmente l’offensiva del Piave (4 novembre 1918) pose fine all’occupazione austroungarica e
alla guerra.
Ma il prezzo pagato fu durissimo. Lo testimoniano i molti caduti di Prepotto, che non
tornarono più alle loro famiglie e case.
I raccolti dell’anno 1918 andarono completamente perduti. La gente dovette ricominciare da
capo, senza riserve, senza animali da lavoro e senza denaro.
Parecchi documenti dell’archivio comunale andarono dispersi, requisiti o bruciati.
Alla fine della guerra furono assegnati alle famiglie contadine muli e cavalli che erano
appartenuti all’esercito. Ma erano animali poco avvezzi a lavorare nei campi, spesso cocciuti e i
contadini dovettero faticare non poco ad addomesticarli, quando ci riuscivano.
Ritornarono anche i profughi e lentamente la vita riprese secondo i ritmi consueti.
(Tratto dal libro “Prepotto: Storia di una terra di confine” di Lucia Debegnach)
PORTATRICI DI PREPOTTO DURANTE LA GRANDE GUERRA
Ufficialmente riconosciute con la decorazione di “Cavaliere di Vittorio Veneto” e la pensione
di 5.000 Lire:
Bodigoi Angelina, in Paussa da Bodigoi;
Durì Irene, in Pasqualini da Prepotto;
Ermiz Virginia, in Bernardo da Albana;
Magnan Felicita, in Deganutti da Cialla;
Pizzulin Giuditta, in Pizzulin da Albana;
Stanig Antonia da Oborza;
Zorzutti Maria, in Chiabai da Poianis;
Zottig Felicita da Oborza.
Caucig Luigia da Berda;
Duriavig Luigia, in Mussig da Oborza;
Floreancig Antonia, in Snidarcig da Covacevizza;
Paussa Amalia, in Quercig da Cialla;
Sibau Maria, in Paussa da Oborza;
Velliscig Rosa, in Macorig da Bodigoi;
Zottig Antonia da Oborza;
I 42 CADUTI DI PREPOTTO
Ricordati nel monumento a loro dedicato
Benet Pietro
Petrussa Attilio
Braidotti Domenico
Braidotti Luigi
Bodigoi Giacomo
Bordon Giovanni
Cosson Luigi
Cosson Luigi
Codromaz Luigi
Cecuttini Domenico
Groppo Gennarino
Gasparini Amedeo
Jacolettig Giuseppe
Lesizza Giuseppe
Marchig Giuseppe
Maran Luigi
Maran Domenico
Marcolini Luigi
Marcolini Eugenio
Michelloni Giobatta
Michelloni Guido
Marinig Giuseppe
Marinig Giovanni
Macorig Antonio
Marcolini Gerardo
Marcolini Ferdinando
Marcolini Emilio
Pasqualini Filippo
Paussa Domenico
Querincig Antonio
Sant Giuseppe
Salamant Luigi
Stanig Giuseppe
Velliscig Antonio
Velliscig Stefano
Venica Giuseppe
Zanuttig Giobatta
Zorzettig Giobatta
Zorzutti Francesco
Macorig Emilio