Il provvedimento amministrativo adottato dopo il decorso del

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Il provvedimento amministrativo adottato dopo il decorso del
diritto e pratica amministrativa
IL SOLE 24 ORE
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
LA SENTENZA
Il Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunciarsi, ancora una volta, sul mancato rispetto dei termini per la
conclusione del procedimento
Il provvedimento amministrativo
adottato dopo il decorso del termine
per la conclusione del procedimento
di ULDERICO IZZO
Dottorando di ricerca in Scienze giuridiche presso Università degli Studi di Pisa
Funzionario P.O. Avvocatura della provincia di Napoli
Premessa
Il Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunciarsi,
ancora una volta, sul mancato rispetto dei termini
per la conclusione del procedimento amministrati­
vo.
Con la pronuncia che è qui in commento, nel deci­
dere una controversia avente a oggetto il diniego di
rilascio di una concessione edilizia, ora permesso di
costruire, a favore di un privato, il massimo conses­
so non si è discostato dalle conclusioni, oggi conso­
lidate, della giurisprudenza amministrativa, tese ad
affermare il principio secondo il quale il mancato
rispetto del termine, entro il quale la pubblica am­
ministrazione deve concludere il procedimento,
non assurge a requisito inficiante la validità del
provvedimento adottato tardivamente.
In primo grado, il ricorrente impugnava dinanzi al
Tar Campania il diniego oppostogli dall’amministra­
zione comunale ritenendo, tra l’altro, che l’enorme
lasso di tempo, intercorso dalla domanda diretta a
ottenere la concessione edilizia al provvedimento
impugnato, avrebbe generato l’illegittimità dello
stesso in quanto sintomo preordinato al diniego del
provvedimento richiesto.
Il Tar partenopeo(1) ha rigettato la domanda del
ricorrente precisando che “l’inerzia degli uffici am­
ministrativi sulla domanda di concessione non compor­
ta effetti preclusivi o decadenziali né determina, di per
sé, l’illegittimità della pronuncia, esplicita eventualmen­
te adottata in ordine all’istanza del privato, fermi re­
stando i generali strumenti di tutela riconosciuti dall’or­
dinamento avverso il silenzio della PA, in presenza
dell’obbligo di concludere il procedimento con provvedi­
mento espresso”.
Il massimo consesso di giustizia amministrativa nel­
l’affrontare la questione a esso sottoposta in sede
di appello avverso la pronuncia di prime cure, dopo
aver affermato che l’azione esercitata dall’appellan­
te è di tipo impugnatorio, ha disatteso le censure
formulate ex adverso, ritenendo che l’attività ammi­
nistrativa posta in essere dall’ente comunale, con­
cretizzatosi nella enorme durata del procedimento,
non è inficiata da un comportamento illegittimo.
Il Collegio soffermandosi, appunto, sulla durata del
procedimento ha ritenuto non discostarsi dal con­
solidato orientamento giurisprudenziale(2) della
massima assise di giustizia amministrativa ritenendo
non viziato l’atto conclusivo sopravvenuto alla sca­
denza del termine entro il quale si doveva conclu­
dere il procedimento amministrativo.
Natura del termine di cui all’articolo 2
della legge sul procedimento amministrativo
La pronuncia qui in commento dà lo spunto per una
riflessione sulla disciplina dei termini di conclusione
del procedimento, perché il tempo è misura della
(1) Tar Campania, Napoli, sezione IV, n. 5185 del 3 dicembre 2001.
(2) Consiglio di Stato, sezione IV, 10/06/2013, n. 3172; 12/06/2012, n. 2264; 10/06/2010, n. 3695; sezione VI, n. 8371/2010;
14/01/2009, n.140; 25/06/2008, n. 3215.
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certezza del diritto ed è stato sempre al centro di un
crescente interesse da parte della dottrina e della
giurisprudenza.
La norma di riferimento rispetto all’argomento che
interessa in questa sede è l’articolo 2 della legge n.
241 del 7 agosto 1990 che ha introdotto il principio
generale della doverosità della conclusione del pro­
cedimento, non solo con un provvedimento espres­
so, ma anche entro i termini stabiliti dall’amministra­
zione e in mancanza dalla legge.
La disciplina della natura dei termini non ha trovato
sempre la giusta considerazione da parte del legisla­
tore, il quale si è preoccupato poco delle conse­
guenze derivanti dalla violazione dei termini proce­
durali.
Dottrina e giurisprudenza, a loro volta, hanno avuto
difformità di intenti.
Parte della dottrina(3) ritiene che il termine dell’ar­
ticolo 2 abbia natura perentoria, stante la cogenza
della norma e l’assenza di espressa disposizione in
tal senso. Ritiene valida la non perentorietà solo nei
casi di procedimenti che sfociano in provvedimenti
ampliativi per il privato, perché ciò che rileva, in tal
caso, è l’interesse di quest’ultimo alla conclusione
favorevole della vicenda procedimentale.
Di segno opposto è altro orientamento dottrinale(4)
che, invece, lo considera ordinatorio per effetto
della inesauribilità dell’esercizio della funzione am­
ministrativa(5) e per il semplice fatto che quando la
legge intende un termine perentorio, cioè decaden­
ziale, lo dice espressamente.
Il punto di vista della giurisprudenza è, anch’esso,
non uniforme, poiché il giudice amministrativo nega
nettamente la perentorietà dei termini, cosa che è,
invece, riconosciuta, dal giudice ordinario(6).
Il giudice amministrativo ha sempre ritenuto, come
ritiene tutt’ora, che il termine del procedimento
indicato nell’articolo 2 della legge n. 241/1990 abbia
natura acceleratoria perché richiamando, tra l’altro
l’articolo 152 c.p.c., la decadenza si può determinare
solo quando un’espressa disposizione di legge la pre­
vede(7).
Il Consiglio di Stato poggia la propria tesi proprio
sulla assenza di specifiche previsioni normative e,
quindi, il mancato rispetto dei termini dà luogo non
a un vizio di illegittimità sul provvedimento tardiva­
mente adottato, ma solo una irregolarità non sanan­
te, in disparte ogni valutazione circa il danno da
mero ritardo o da incertezza(8).
D’altro canto, invece, la Corte di cassazione(9) ritie­
ne che i termini siano perentori basando le proprie
tesi su argomentazioni ben diverse da quelle utilizza­
te dal Ga(10).
Quest’ultimo(11), sostiene, come già evidenziato,
che la scadenza del termine previsto per la conclu­
sione dell’istruttoria, non comporta l’esaurirsi del
potere di provvedere in capo all’amministrazione, né
l’illegittimità del provvedimento intervenuto dopo la
scadenza. Tale conclusione è avvalorata dalla consi­
derazione che l’art. 2, appunto, non contiene alcuna
prescrizione in ordine alla perentorietà del termine
stesso ovvero alla decadenza della potestà ammini­
strativa o alla illegittimità del provvedimento tardiva­
mente adottato, “conseguenze, queste, che si potreb­
bero verificare, pure senza una norma ad hoc, solo ove
un effetto legale tipico fosse collegato all’inutile decorso
del termine, ma che non avrebbero senso nell’ipotesi
generale, perché la cessazione della potestà, derivante
dal protrarsi del procedimento, potrebbe nuocere all’in­
teresse pubblico alla cui cura quest’ultimo è preordinato,
(3) V. Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo. Giappichelli 2001
(4) B. Cavallo, Provvedimenti e atti amministrativi in Trattato di diritto amministrativo diretto da G. Santaniello, Cedam 1993.
(5) F.G. Scoca, Diritto amministrativo, Giappichelli, 2011.
(6) F. Goisis, La violazione dei termini previsti dall’art. 2, legge n. 241 del 1990: conseguenze sul provvedimento tardivo e
funzione del giudizio ex art. 21­bis, legge Tar, in Dir. proc. amm. 2004.
(7) L. Carbone ­ R. Vicario, Natura del termine per il rilascio dell’autorizzazione unica per la realizzazione di impianti fotovoltaici,
in Giornale Dir. amm. 2013, 1, 75.
(8) S. D’Antonio, Risarcimento del danno da mero ritardo e situazioni giuridiche soggettive, nota a sentenza Cons. giust. amm.
4/11/2010, n.1368, in Giurisprudenza italiana n. 6/2011.
(9) Corte di cassazione, sezioni unite civili, 13/10/2011, n. 21051.
(10) Ad esempio il valore costituzionale della tempestività dell’azione amministrativa.
(11) Consiglio di Stato, sezione VI, 27/02/2012, n. 1084; 19/02/2003, n. 939; sezione V, 3/06/1996, n. 621; Cons. giust. amm.
14/02/2001, n. 77.
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Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 4980 dell’11 ottobre 2013
Procedimento amministrativo ­ Termini per la conclusione ­ Mancato rispetto ­ Illegittimi­
tà del provvedimento ­ Non sussiste
Il mancato rispetto del termine di trenta giorni previsto dal comma 3 dell'art. 2, legge n. 241 del 1990
per la conclusione dei procedimenti amministrativi non è idoneo ex se a determinare l'illegittimità del
provvedimento, trattandosi di termine acceleratorio per la definizione del procedimento.
Procedimento amministrativo ­ Disciplina dei termini per la conclusione del procedimen­
to ­ Perentorietà ­ Insussistenza
Il mancato rispetto del termine di trenta giorni previsto dal comma 3 dell'art. 2, legge n. 241 del 1990
per la conclusione dei procedimenti amministrativi non è idoneo a determinare l'illegittimità del
provvedimento finale perché non consuma il potere di provvedere dell'Amministrazione.
Trattasi di termine acceleratorio per la definizione del procedimento atteso che la legge non contiene
alcuna prescrizione circa la sua eventuale perentorietà, né circa la decadenza della potestà amministra­
tiva.
con evidente pregiudizio della collettività”.
Detto orientamento è stato anche autorevolmente
avallato dalla Corte costituzionale, la quale in più
occasioni ha precisato che il mancato esercizio delle
attribuzioni da parte dell’amministrazione entro il
termine previsto per la fine del procedimento non
comporta ex se, in difetto di espressa previsione, la
decadenza del potere(12).
La dottrina e la giurisprudenza, come osservato, non
hanno una posizione comune sulla disciplina dei ter­
mini, ma, invece, concordano sulla titolarità del pote­
re in capo alla PA di provvedere, al di fuori delle
ipotesi di silenzio, anche se i termini si sono consu­
mati; concordano sul principio dell’inesauribilità della
funzione amministrativa(13). Solo la PA è il soggetto
che l’ordinamento prepone alla cura dell’interesse
pubblico ed è il soggetto a cui è attribuito, in via
esclusiva, il potere di provvedere.
Però, occorre notare che se le parti, cittadino e PA,
non sono poste in termini pubblicistici sullo stesso
piano, non si può non affermare che, pure in assenza
di una perentorietà dei termini, l’azione amministra­
tiva debba essere celere e tempestiva, visto che l’am­
ministrato solo in casi particolari può essere rimesso
in termini.
L’articolo 2 dovrebbe avere lo stesso valore sia per il
cittadino, sia per la PA, in quanto il ritardo ammini­
strativo è canone di certezza cui deve essere infor­
mato il rapporto giuridico tra privato e soggetto
pubblico nella sua fase costitutiva, regolativa ed effet­
tuale: è tale incertezza che pregiudica la “progettuali­
tà” del privato in termini di compressione della liber­
tà di autodeterminarsi.
Nel rapporto tra autorità e libertà la soggezione della
seconda alla prima non può protrarsi sine die: così
come a fronte di un provvedimento illegittimo l’an­
nullamento d’ufficio o la convalida del medesimo de­
vono avvenire in un termine ragionevole pena la pos­
sibilità di reazione del privato che su quegli effetti
prodottisi ha riposto affidamento, allo stesso modo a
fronte di un ritardo nel provvedere, i pregiudizi da
esso scaturenti non potranno essere più sopportati
dal privato e dovranno quindi essere ristorati dall’am­
ministrazione una volta decorso il “termine ragionevo­
le” per l’adozione dell’atto finale che, in tal caso, è
predefinito.
È pur vero che la legge sul procedimento, sin dalla
versione originaria, non ha mai introdotto un termine
perentorio per la conclusione del procedimento, ma
come sostenuto da attenta dottrina(14), l’articolo 2
deve o quantomeno dovrebbe essere letto in stretta
sinergia con il successivo articolo 3 che pone a carico
della PA l’obbligo di provvedere o di procedere. Solo
(12) Corte costituzionale, 18/07/1997, n. 262 e l7/07/2002, n. 355; M.T. Sempreviva, Atto amministrativo, nota a sentenza Corte
costituzionale 16 marzo 2013, n. 39 in Urbanistica e appalti, 2013, 5, 530.
(13) F.G. Scoca, Diritto amministrativo, cit.
(14) S.S. Scoca, Il tempo come garanzia sul procedimento amministrativo, in www.giustamm.it n.9/2005.
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così si può salvaguardare la potestà amministrativa e
la tutela del bene della vita cui aspira il cittadino.
La disposizione, infatti, costituì una rilevante innova­
zione legislativa, ma essa però era manchevole circa
la valutazione delle conseguenze, in capo all’ammini­
strazione, derivanti dal ritardato esercizio dell’azione
amministrativa.
La valutazione della disciplina dei termini procedi­
mentali, attesta, pertanto, che la tutela del privato
cittadino potrà essere esaustiva solo laddove il legi­
slatore imponga alla pubblica amministrazione il ri­
spetto dei termini procedimentali esclusivamente pe­
rentori.
Il provvedimento tardivo
Dalla sentenza in rassegna emerge che il giudice
amministrativo non ha ritenuto invalido il provvedi­
mento adottato fuori termine.
Il problema della invalidità, o meno, dell’atto so­
pravvenuto sta tutto nella natura che si attribuisce
al termine finale del procedimento.
La giurisprudenza amministrativa(15), in passato, ha
fatto discendere, dalla qualificazione perentoria di
un termine, l’illegittimità, tout court, della determi­
nazione finale tardivamente adottata dall’ammini­
strazione procedente.
Detto orientamento non poteva essere ampiamen­
te condivisibile, in quanto nell’ipotesi in cui, pur in
presenza di termini perentori, l’ordinamento pre­
vedeva la possibilità di attivare poteri sostitutivi, il
potere in capo all’amministrazione non poteva defi­
nirsi esaurito. Ciò in quanto la fissazione di termini
alla conclusione dei procedimenti amministrativi ri­
spondeva all’esigenza di venire incontro alla esigen­
ze della collettività evitando il permanere di condi­
zioni di incertezza e sottraendo il cittadino dall’ar­
bitrio delle amministrazioni.
Come correttamente osservato dai giudici della
sentenza in esame una cosa sono le norme di com­
portamento e una cosa sono le norme di validità
degli atti giuridici e le conseguenze derivanti dalla
violazione delle une o delle altre, nel senso che
solo in caso di violazione delle seconde la sanzione
ricade sull’atto amministrativo, mentre nel primo
caso sorgono conseguenze di tipo risarcitorio.
Questa distinzione, che il massimo consesso ritiene
valida, comporta l’invalidità dell’atto amministrati­
vo se, e solo se, esso sia carente nei requisiti di
legittimità ovvero in presenza di una specifica lesio­
ne dell’interessato strettamente dipendente dal
momento dell’adozione dell’atto(16). Lo stesso di­
scorso vale per l’ipotesi di nullità nel senso di
speciale forma di invalidità dell’atto amministrati­
vo(17).
Da qui è condivisibile l’affermazione che la violazio­
ne del termine di conclusione del procedimento è
una fattispecie che “sta al di fuori dallo schema
normativo in cui i precetti normativi, posti alla base
della manifestazione di volontà della pubblica ammini­
strazione, sono elementi costitutivi necessari la cui
mancanza dà luogo alla nullità, per inconfigurabilità
della fattispecie, ovvero all’annullabilità in quanto fatti­
specie invalidante”.
Le conseguenze derivanti dalla violazione dei termi­
ni, perentori od ordinatori, si riflettono sul piano
delle responsabilità; le ipotesi riguarderanno quella
civile per imputazione del ritardo, quella penale per
eventuali omissioni, quella amministrativa legata al­
le conseguenze dell’inerzia e, infine, quella dirigen­
ziale per la valutazione delle performance indivi­
duali del dirigente(18).
Conclusioni
L’articolo 2 della legge n. 241/1990 fu accolto come
una rivoluzione copernicana e, come osservato da
autorevole dottrina(19), la disposizione incorpora­
va il principio della certezza del tempo dell’agire
amministrativo, anche per rendere calcolabile il po­
tere amministrativo.
Finché l’obbligo imposto all’amministrazione di ri­
spettare il termine di conclusione del procedimen­
to resta sul piano delle norme comportamentali,
quindi fonte solo di risarcimento patrimoniale, non
potrà definirsi piena, sul piano sostanziale, la tutela
del cittadino.
(15) Consiglio di Stato, sezione VI, 10/09/2008, n. 4333.
(16) Tar Lombardia, Brescia, sezione I, sentenza 11/03/2011, n. 389.
(17) Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 13/06/2007, n. 3173.
(18) R. Garofoli ­ G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, nel Diritto editore, 2012­2013.
(19) M. Clarich, Il decreto semplifica Italia, in Giornale Dir. amm., 2012, 7, 691; M. Lipari, I tempi nel procedimento
amministrativo: certezza dei rapporti, interesse pubblico e tutela del cittadino, Dir. amm. 2003.
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