La natura della responsabilità della capogruppo e la tutela del socio

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La natura della responsabilità della capogruppo e la tutela del socio
Opinioni
Diritto societario
Gruppi di società
La natura della responsabilità
della capogruppo e la tutela
del socio di minoranza
di Annapaola Negri-Clementi e Filippo Maria Federici
Come è stato rilevato da più parti, il legislatore italiano ha creato non pochi problemi interpretativi agli operatori che di volta in volta si sono confrontati con il tema della responsabilità della holding ora espressamente
disciplinata nel nostro ordinamento dagli artt. 2497 ss. c.c. Due, a parere di chi scrive, i problemi principali
che la ‘‘nuova’’ disciplina dei gruppi pone al socio di minoranza: (a) la configurabilità della natura contrattuale
o extracontrattuale della responsabilità ex art. 2497 c.c.; e (b) l’interpretazione dell’art. 2497, comma 3, c.c.
e l’eventuale natura sussidiaria della responsabilità della holding.
La responsabilità per abuso di attività
di direzione e coordinamento: normativa
di riferimento
Con l’introduzione degli artt. 2497 ss. c.c. il legislatore ha dettato una normativa con riferimento ai
gruppi di imprese e all’esercizio del potere di direzione e coordinamento.
In dettaglio, è stata prevista una specifica disciplina
della responsabilità in capo alla società che esercita
attività di direzione e coordinamento su altra società. Tale responsabilità si estrinseca sia verso i soci,
per i danni da questi sofferti quale mancato aumento della redditività o di diminuzione di valore della
partecipazione, sia verso i creditori della società,
quando tale esercizio provochi l’insufficienza del
patrimonio della società eterodiretta a garantire le
ragioni creditorie (1).
In particolare la tutela dei soci (specialmente di minoranza) della società eterodiretta è riconosciuta
dall’art. 2497 c.c., nei seguenti termini: «le società
o gli enti che, esercitando attività di direzione e
coordinamento di società, agiscono nell’interesse
imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei
principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime sono direttamente
responsabili nei confronti dei soci di queste per il
pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale».
Da una prima lettura emerge chiaramente che l’art.
2497 c.c. - ispirato ad una logica di compromesso
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tra considerazione unitaria del gruppo e valorizzazione dell’autonomia delle singole società che ne
fanno parte - se da un lato presuppone la legittimità
dell’attività di direzione e coordinamento (quale attività fisiologica della holding nel gruppo) (2), dall’altro la subordina al rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società
eterodiretta, a tutela dei soci di minoranza (3) e dei
creditori di queste ultime.
L’espressione codicistica «corretta gestione societaria e imprenditoriale» costituisce evidentemente
una clausola generale lasciata all’interpretazione
della dottrina e giurisprudenza, tanto che per alcuni
potrebbe parlarsi di corretta gestione tout court (4).
Note:
(1) L’ipotesi di una responsabilità diretta della holding nei confronti dei soci e dei creditori delle società eterodirette era peraltro stata considerata da giurisprudenza e dottrina già prima della
riforma del diritto societario del 2003: ora con l’introduzione del
nuovo art. 2497 c.c. detta ipotesi di responsabilità trova una disciplina specifica.
(2) P. Montalenti, Amministrazione e controllo nella società per
azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma?, in Riv.
soc., 2013, 42 ss.: «nei limiti dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, è legittimo esercitare l’attività di direzione e coordinamento e cioè un’attività sistematica di indirizzo
strategico delle scelte gestorie, che, pur non ‘‘espropriando’’ gli
organi della società eterodiretta, ne condiziona e ne orienta tuttavia le decisioni amministrative».
(3) Cfr. art. 10, comma 1, lett. a), L. 3 agosto 2001, n. 366 di delega al Governo a riformare il diritto societario.
(4) Cfr. A. Maffei Alberti, Commentario breve al Diritto delle Società, 2010, 1389.
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È dunque di mala gestio che la società che esercita
la direzione e coordinamento dovrà rispondere nei
riguardi dei soci (nonché dei creditori) della società
diretta e coordinata che dovesse risultare danneggiata.
Con riferimento a tale previsione è stato segnalato
che essa si presta a essere fondatamente interpretata
nel senso che, nell’ambito dei gruppi, le scelte degli
amministratori possono essere sindacate dal giudice
con parametri anche attinenti al merito delle decisioni o comunque diversi dagli standard giurisprudenziali oggi consolidati in termini di accoglimento
della c.d. business judgement rule (consistente in una
presunzione che l’operato degli amministratori è
stato condotto dagli stessi in buona fede e nel migliore interesse della società).
Si è infatti ritenuto ragionevole che la business judgement rule non operi in presenza di rapporti infragruppo, dato il maggior rischio nei gruppi di comportamenti opportunistici, anche non immediatamente intellegibili, manifestabili anche nella forma
dei conflitti di interessi degli amministratori.
In particolare, si ritiene che il giudice debba poter
valutare il comportamento degli amministratori sotto il profilo della possibile violazione del c.d. duty
of loyalty (dovere di lealtà) nei confronti della società; ovvero si ritiene debba potersi accertare se gli
amministratori della società eterodiretta abbiano
tratto, nell’esercizio delle loro funzioni, vantaggi o
profitti estranei all’interesse sociale e quindi se la
direzione e il coordinamento siano stati esercitati
nell’interesse imprenditoriale della società eterodiretta o altrui (5).
E invero, se non fosse cosı̀, il risultato sarebbe una
frattura sistematica pericolosa in quanto il preteso
‘‘scudo’’ della business judgement rule finirebbe per
essere un limite ingiustificato all’applicazione della
responsabilità della holding che opponga l’insindacabilità delle scelte imprenditoriali (6).
Per quanto attiene agli elementi costitutivi della
fattispecie di responsabilità oggetto d’esame, l’art.
2497 c.c. presuppone che la società capogruppo:
– abbia esercitato un’attività di direzione e coordinamento di altra società;
– nell’interesse imprenditoriale proprio o di un soggetto terzo;
– in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società dipendente;
– arrecando ai soci o ai creditori della società diretta e coordinata un danno nella forma, rispettivamente del «pregiudizio alla reddittività e al valore
della partecipazione sociale» ovvero della «lesione
cagionata all’integrità del patrimonio della società».
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Per quanto concerne il danno subito dai soci della
società diretta e coordinata, è stato precisato che
questo consiste nell’«incapacità di produrre utili distribuibili da parte della società coordinata e sul
mancato aumento o sulla diminuzione di valore
delle partecipazioni derivanti dalla scorretta attività
di coordinamento» (7). Tale è la situazione di fatto
in cui si trovano di norma i soci di minoranza della
società eterodiretta.
Sotto il profilo dei soggetti passivi si rileva che rispondono in solido con la capogruppo sia coloro
che hanno comunque preso parte al fatto lesivo
(amministratori o dirigenti del gruppo quali autori
materiali dell’attività pregiudizievole) sia coloro
che ne hanno consapevolmente tratto beneficio
(ad esempio altre società), nei limiti del vantaggio
conseguito (8).
Si ritiene infine che la circostanza per cui nei consigli di amministrazione di società diverse, appartenenti al medesimo gruppo, sono le stesse persone a
ricoprire le cariche di amministratori e sindaci moltiplichi esponenzialmente le occasioni di delibere
prese nella potenziale condizione di conflitto di interessi (9).
Per meglio comprendere il concreto articolarsi della
responsabilità in oggetto si è ritenuto opportuno riportare taluni casi di abuso nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento in cui il socio di
minoranza ha attivato la tutela prevista dalla disciplina degli artt. 2497 ss. c.c.
Note:
(5) Cfr. R. Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, in Giur. comm.,
2003, 663, secondo il quale «si tratta di verificare il rispetto del
duty of loyalty (e non semplicemente del duty of care), come
confermato anche dal fatto che l’art. 2497, comma 1, c.c. richiede, perché la responsabilità operi, che la società o l’ente che
esercita l’attività di direzione e di coordinamento agisca nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui».
(6) Cfr. P. Montalenti, Osservazioni alla bozza di decreto legislativo sulla riforma delle società di capitali, in Riv. soc., 2002,
1550.
(7) Cfr. B. Libonati, Diritto commerciale: impresa e società,
2005, 429.
(8) Cfr. Trib. Milano, sez. VIII, 25 febbraio 2013 - Pres. Riva Crugnola - Rel. Dal Moro: «la società eterodiretta è la società nel
cui patrimonio si è manifestato il danno per effetto dell’altrui direzione e coordinamento, che si riflette nel patrimonio del socio
c.d. ‘‘esterno’’ in termini di minor reddittività della sua partecipazione; questi, socio della eterodiretta, ha diritto di chiedere il risarcimento di tale danno all’autore della condotta illecita ovvero
alla società che esercita la direzione e il coordinamento (ed
eventualmente anche gli amministratori di questa e della controllata), e non alla società che ne ha subito gli effetti sul proprio
patrimonio».
(9) G. Bianchi, Amministratori e Sindaci, Gli adempimenti e le
responsabilità, 2010, 335.
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Casi di abuso nell’esercizio dell’attività
di direzione e coordinamento
In un caso (10) è stata affermata la responsabilità
degli amministratori della controllante che, abusando della posizione di supremazia (derivante nella
specie dal potere di nomina e di revoca dell’organo
gestorio della controllata), hanno indotto gli amministratori della controllata - sul piano della condotta positiva - a compiere operazioni dannose e - sul
piano omissivo - a non porre in essere attività doverose: ossia l’omessa tempestiva messa in liquidazione della società e la prosecuzione dell’impresa.
Nella specie, gli amministratori della controllante
(che peraltro coincidevano parzialmente con l’organo gestorio della controllata), anziché procedere alla effettiva ricapitalizzazione della controllata, hanno preferito optare per una serie di erogazioni occasionali di risorse, idonee a mascherare il passivo e
consentire la prosecuzione di un’attività volta, a
quel punto, al solo scopo di conseguire un prodotto
da ricollocare sul mercato senza nessuna attenzione
alle esigenze della controllata, con evidenti ricadute
negative sui soci e sul ceto creditorio della stessa.
In un altro caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Milano e oggetto di sentenza già commentata nella presente Rivista (11), parte attrice, socio di
minoranza (titolare di una partecipazione corrispondente al 10% del capitale sociale) di una società controllata, ha proposto azione di responsabilità
ex art. 2497 c.c. nei confronti della holding, lamentando una politica di gruppo tale da provocare la
sottrazione di aree di mercato in danno della controllata a favore di altre società del gruppo controllate totalitariamente dall’azionista di riferimento.
Altra ipotesi di esercizio abusivo di attività di direzione e coordinamento posta in essere attraverso un
contratto tra la holding e la società eterodiretta (ex
art. 2497 septies c.c.) può essere cosı̀ descritta (12).
La società capogruppo Alfa ha in essere un contratto di servizi rinnovato tacitamente di anno in anno
con la società Beta. La società Beta è soggetta a
controllo (in forza della titolarità da parte di Alfa
della partecipazione di maggioranza di Beta) e a direzione e coordinamento (pubblicamente dichiarata) derivante da detta partecipazione di controllo
(confermando cosı̀ la presunzione ex art. 2497 sexies
c.c.) e in virtù del succitato contratto di servizi ex
art 2497 septies c.c.
Il contratto di servizi ha ad oggetto la prestazione
da parte di Alfa a favore di Beta di attività di consulenza e assistenza ad ampio spettro, che ricomprende non solo servizi tecnici, gestionali, commer-
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ciali e amministrativi ma persino atti di consulenza
strategica e direzionale, tanto da concretizzarsi in
una sistematica e continuativa espropriazione da
parte di Alfa delle competenze gestorie degli amministratori di Beta.
Questi ultimi, agendo nell’esclusivo interesse imprenditoriale e in supino ossequio alle direttive di
Alfa, hanno consentito il rinnovo annuale del contratto di servizi a condizioni sbilanciate e svantaggiose per la società Beta, con l’effetto pratico di
drenare ingenti risorse da Beta a Alfa.
Gli elementi opportunistici della fattispecie di abuso appaiono chiaramente ove si consideri che:
(i) Beta per anni non ha distribuito gli utili conseguiti ai soci;
(ii) i membri degli organi gestori di Beta hanno per
la maggior parte coinciso con quelli di Alfa;
(iii) gli amministratori di Alfa erano anche soci di
Alfa.
I soci di Alfa dunque sono stati i beneficiari finali
di trasferimenti di ricchezza da Beta a Alfa, determinando una perdita di reddittività e di valore della partecipazione dei soci di minoranza di Beta, in
palese violazione delle più elementari norme in materia di conflitto di interessi, nonché della nozione
di società quale «esercizio in comune di attività
economica al fine di dividerne gli utili» (art. 2247
c.c.).
Dalla disamina dei succitati casi emerge chiaramente che il sacrificio patrimoniale della società eterodiretta e/o la mancata distribuzione di utili determinano la frustrazione delle attese di reddito (in senso
lato e quindi quali aspettative di liquidità da utili o
da disinvestimento) del socio di minoranza che, in
quanto ‘‘esterno’’, non è in condizione di trarre dall’attività di direzione e coordinamento i vantaggi
che consegue invece il socio di maggioranza.
A questo punto è chiaro che sono almeno due gli
aspetti con cui il socio di minoranza all’interno di
un gruppo è tenuto a confrontarsi al fine di tutelare
i propri interessi, ovvero la natura della responsabilità ex art. 2497 c.c. e la misura del previo tentativo
Note:
(10) Cfr. Trib. Milano 22 gennaio 2001, in Fall., 2001, 1156, con
nota di Zamperetti, La responsabilità di amministratori e capogruppo per ‘‘abuso di direzione unitaria’’.
(11) Cfr. Trib. Milano, sez. VIII, 23 aprile 2008 - Pres. e Rel. Perozziello, in questa Rivista, 2009, I, 78 ss. e commento di D. Fico, La responsabilità per esercizio abusivo dell’attività di direzione e coordinamento.
(12) I riferimenti sono a un caso coperto da riservatezza e oggetto di parere rilasciato nell’ambito dell’attività professionale degli
scriventi.
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di soddisfazione della società soggetta all’attività di
direzione e coordinamento.
La natura della responsabilità ex art. 2497
c.c.: contrattuale o extracontrattuale?
Dottrina e giurisprudenza hanno a lungo dibattuto
sulla natura della responsabilità di cui all’art. 2497,
comma 1, c.c. (e prima ancora sulla natura della responsabilità da direzione unitaria e in particolare
sull’art. 90, D.Lgs. n. 270/1999 che ha disciplinato
la nuova amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in stato di insolvenza) per poi veder prevalere - nonostante il dato letterale della relazione al
D.Lgs. n. 6/2003 e non senza eccezioni - la tesi a favore di una ricostruzione in chiave contrattuale
della norma.
Rilevantissime le conseguenze dell’adozione di una
tesi piuttosto che dell’altra.
In materia di onere della prova si evidenzia, ad
esempio, che qualificando la responsabilità in oggetto come contrattuale l’onere dell’attore si esaurisce nell’allegazione e nella prova dei fatti costitutivi; l’attore dovrà quindi dimostrare la fonte dell’obbligo (i.e. la direzione unitaria) e il danno, gravando la prova contraria sull’obbligato. Nella specie,
quest’ultimo dovrà dunque provare che non sussiste
inadempimento in quanto l’operazione posta in essere risponde ai canoni di corretta gestione societaria e imprenditoriale né emerge un danno per il ricorrere di vantaggi compensativi.
Qualora invece si dovesse qualificare l’istituto in
termini di responsabilità extracontrattuale, l’attore
dovrebbe dimostrare anche l’esistenza di specifici
atti di ingerenza abusiva nella gestione della società
eterodiretta e che tali atti specifici abbiano determinato, nel rispetto dei principi in materia di nesso
eziologico, i danni lamentati dallo stesso.
L’eventuale qualificazione nella categoria di responsabilità aquiliana porrebbe inoltre sull’attore l’onere
di provare la connotazione soggettiva (dolo o colpa) in capo alla società holding.
Sulla natura extracontrattuale
della responsabilità ex art. 2497 c.c.
A favore della natura extracontrattuale si è posta la
dottrina tradizionale prevalentemente sulla base di
quanto riferito dal legislatore nella relazione illustrativa del D.Lgs. n. 6/2003 (13).
In questo senso si è espressa con particolare convinzione quella parte della dottrina che ha ritenuto
che gli amministratori della società controllante,
autori dell’abuso, sarebbero investiti di una vera e
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propria responsabilità aquiliana nei confronti della
società controllata (14). Tale responsabilità sarebbe
poi direttamente estensibile alla controllante stessa
in forza del rapporto organico, che consente di imputare alla persona giuridica il fatto illecito del suo
organo, o sulla base dell’art. 2049 c.c. che rende il
preponente responsabile del fatto illecito commesso
dai suoi preposti. Se anche non vi fosse una responsabilità diretta vi sarebbe comunque una responsabilità, che si aggiunge in via solidale alla responsabilità della capogruppo, in capo agli amministratori
di quest’ultima che hanno preso parte al fatto lesivo (15).
D’altra parte è stato ritenuto che il fatto che la società controllata non sia legittimata a far valere la
responsabilità della capogruppo valga ad escludere
la natura contrattuale della responsabilità in oggetto, posto che a soci e creditori della controllata sarebbe riconosciuto non già un diritto all’adempimento di un obbligo di corretta gestione, bensı̀ soltanto un diritto al risarcimento di un danno da illecito (16). Ciò troverebbe ulteriore conferma nella
circostanza per cui al socio e al creditore della controllata non è accordata la facoltà di reagire mediante una denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c.
di gravi irregolarità nella gestione poste in essere da
parte di amministratori e sindaci della controllante.
Altri autori, considerando che la norma legittima
ad agire i soci e i creditori della società assoggettata
a direzione e coordinamento, sull’assunto che i creditori non hanno alcun rapporto con la società o
l’ente che esercita la suddetta attività, deducono argomenti a favore della natura extracontrattuale (17).
Si è rinvenuta la natura della responsabilità da fatto
illecito dalla struttura della norma che sembra utiNote:
(13) Cfr. Relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 6/2003, in
cui si legge che «la responsabilità [...] è di stampo aquiliano».
(14) Cfr. F. Galgano, Direzione e coordinamento di società, in F.
Galgano (a cura di), Commentario Scialoja - Branca, 2005, 102
ss.
(15) Cfr. L. Panzani, L’azione di responsabilità ed il coinvolgimento del gruppo di imprese dopo la riforma, in questa Rivista,
2002, 1477 ss. Per l’Autore la circostanza per cui alla responsabilità di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento si aggiunge in via solidale la responsabilità di chi abbia preso parte al
fatto lesivo costituisce «un serio argomento a favore della tesi
della natura aquiliana della responsabilità».
(16) Cfr. M Maggiolo, L’azione di danno contro la società o ente
capogruppo, in Giur. comm., 2006, I, 191 ss.
(17) Cfr. G. Alpa, La responsabilità per la direzione e il coordinamento di società. Note esegetiche sull’art. 2497 cod. civ., in
Nuova giur. civ., 2004, 6, 659.
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lizzare lo schema degli elementi costitutivi tipici
della responsabilità extracontrattuale, ossia: ‘‘condotta illecita’’ (l’atto compiuto in violazione dei
principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale), ‘‘danno ingiusto’’ (il pregiudizio arrecato
alla redditività ed al valore della partecipazione sociale e la lesione dell’integrità del patrimonio della
società) e ‘‘nesso causale’’ (l’impiego del verbo ‘‘cagionare’’) (18). La violazione dei principi di corretta gestione si risolverebbe pertanto nell’uso illegittimo, e dunque nell’abuso, di un potere e non nell’inadempimento di un obbligo (19).
Questi argomenti, basandosi più che altro su interpretazioni letterali, seppur prima facie suggestivi, sono da ritenersi superabili da considerazioni ontologiche che sembrano meglio cogliere l’essenza e la
ratio della disciplina, volta ad offrire una tutela forte - e non di arretramento rispetto al regime vigente prima della riforma del 2003 - ai soci di minoranza e ai creditori.
Difatti, l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di società all’interno di un gruppo non
può essere considerato come un «accidente esterno» (20) paragonabile ad un qualunque comportamento illecito di un terzo.
Sulla natura contrattuale della responsabilità
ex art. 2497 c.c.
Nel prosieguo si analizzano gli argomenti rilevati a
favore della configurazione della responsabilità in
oggetto come contrattuale: come si noterà, emergono diversi indici a favore della presente tesi che
nelle fattispecie concrete possono ben coesistere e/
o sovrapporsi.
La violazione di obblighi specifici
di comportamento
La violazione di obblighi specifici di comportamento quale presupposto della responsabilità ha indotto
la dottrina prevalente ad attribuirle natura contrattuale (21).
Si è ritenuto che la regola di comportamento (consistente nell’osservanza dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale) dettata dalla
norma in esame si costituisca come fonte di un obbligo (e non come generico dovere di neminem laedere) nella misura in cui questa ‘‘individualizzi’’ i
termini della fattispecie, ponendo a carico di un
soggetto (i.e.: la holding) una prestazione specifica
(i.e.: la corretta gestione societaria e imprenditoriale) a vantaggio di una o più controparti determinate o determinabili (i.e.: i soci di minoranza e i creditori della società eterodiretta) (22).
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In questo senso il richiamo alla suddetta regola di
condotta non può che confermare la natura contrattuale della responsabilità derivante dalla violazione dell’obbligo di diligenza professionale posto a
carico degli amministratori della società che esercita la direzione e coordinamento (23).
Si tratta invero di un potere legittimo previsto e disciplinato dalla legge (24) (e non già di una situazione di fatto) che in primis disciplina come regola
di condotta ‘‘in positivo’’ il corretto svolgimento
dell’attività di direzione e coordinamento (25).
Note:
(18) Cfr. G. Sbisà, Sui poteri della capogruppo nell’attività di direzione e coordinamento, in Contr. e impr., 2, 2011, 369 ss.; Sulla
natura della responsabilità da direzione e coordinamento di società, ivi, 4-5, 2009, 808 ss.; Responsabilità della capogruppo e
vantaggi compensativi, 2, 2003, 591 ss.; Sub art. 2497 c.c.,
commi 1 e 2, in G. Sbisà (a cura di), Direzione e coordinamento
di società, in P. Marchetti - L. A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari
(diretto da), Commentario alla riforma delle società, Milano,
2012, 81 ss.
(19) Cfr. G. Sbisà, Commento ai commi 1 e 2 dell’art. 2497 c.c.,
in G. Sbisà (a cura di), Direzione e coordinamento di società, in
P. Marchetti - L. A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari (diretto da),
Commentario alla riforma delle società, Milano, 2012, 94 ss.
(20) Cfr. Trib. Milano, sez. VIII, 17 giugno 2011 - Pres. Perozziello - Rel. Mabriani, in questa Rivista, 2012, III, 266, con commento di H. Simonetti, Natura e condizioni dell’azione di responsabilità nei confronti della capogruppo.
(21) Cfr. F. Bonelli, Gli amministratori di S.p.A. dopo la riforma
delle società, 2004, 162, il quale afferma proprio che la responsabilità degli amministratori è una responsabilità da inadempimento agli obblighi ‘‘specifici’’ posti dalla legge o dallo statuto a
carico degli amministratori alla quale si applicano i principi generali che regolano gli inadempimenti contrattuali.
(22) Cfr. F. Fimmanò, Abuso di direzione e coordinamento e tutela dei creditori delle società abusate, in Riv. not., 2012, 2, 267
ss.: «La responsabilità del dominus non è una responsabilità da
illecito, sorge viceversa per effetto della violazione di un dovere
specifico derivante da un preesistente rapporto obbligatorio verso soggetti determinati e non dal generico dovere del neminem
laedere verso qualsiasi soggetto dell’ordinamento».
(23) Cfr. A. Pavone La Rosa, Nuovi profili della disciplina dei
gruppi societari, in questa Rivista, 2003, 770. Nello stesso senso anche L. Benedetti, La responsabilità ‘‘aggiuntiva’’ ex art.
2497, 28 co., c.c., in Quad. giur. comm., 2012, 9.
(24) Cfr. M. Callegari, I gruppi di società in Cottino - Bonfante Cagnasso - Montalenti (commentario diretto da) Il nuovo diritto
societario, nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009,
1081 ss.
(25) Cfr. U. Tombari, Riforma del diritto societario e gruppo di
imprese, in Giur. comm., 2004, I, 61 ss. Secondo l’Autore il disposto di cui all’art. 2497 c.c. «impone alla società o ente che
esercitano un’attività di direzione e coordinamento di agire nel
rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale di queste» e pertanto configura «una responsabilità per violazione di ‘‘obblighi giuridici preesistenti’’ (obblighi legali)» che
può solo determinare una «ricostruzione in chiave ‘‘contrattuale’’ della medesima». Si veda anche U. Tombari, I gruppi di società, in Cagnasso - Panzani (diretto da), Le nuove S.p.A., 2010,
1761 ss. Nello stesso senso, cfr. V. Cariello, Sub. artt. 2497 ss.,
in Niccolini - Stagno d’Alcontres (a cura di), Società di capitali,
Commentario Niccolini - Stagno d’Alcontres, 2004, III, 1865, il
(segue)
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Tale paradigma è - in sé - il criterio regolatore e il
limite generale all’esercizio dell’influenza dominante: la disciplina della violazione di tale standard legale di comportamento, ossia l’abuso del diritto, è
volta a tutelare gli interessi dei soci di minoranza e
dei creditori della società eterodiretta (26).
Considerato dunque che, mentre la responsabilità
extracontrattuale sanziona la violazione di norme
di condotta che regolano la vita sociale e che impongono doveri di rispetto degli interessi altrui (a
prescindere da una specifica pretesa creditoria, i.e.:
il principio del neminem laedere), la responsabilità
contrattuale sorge dall’inadempimento di una obbligazione preesistente quale dovere specifico verso
un soggetto determinato (i.e.: la funzione individualizzatrice della norma) (27), sembra nettamente
preferibile la ricostruzione in chiave contrattuale
della responsabilità ex art. 2497 c.c.
Rileviamo infine che la suddetta funzione di individualizzazione della norma previene il rischio della
duplicazione del risarcimento che altrimenti potrebbe essere preteso sia dalla controllata, sia dagli azionisti (di minoranza) e dai creditori della controllata.
Se si legittimasse tale impostazione, infatti, si consentirebbe a questi di beneficiare di un duplice arricchimento: il primo, ‘‘immediato’’, derivante dalla
reintegrazione della sfera patrimoniale dei soci e dei
creditori, il secondo, ‘‘mediato’’, conseguente alla ripatrimonializzazione della società controllata (28).
La clausola generale di correttezza
Il rinvio esplicito che l’art. 2497 c.c. rivolge alla
clausola generale di correttezza non può che considerarsi un ulteriore indice - non solo testuale ma sistematico - a favore della tesi contrattualistica.
È infatti nell’essenza stessa dei rapporti tra soci e
nella dimensione ‘‘cooperativa’’ dei rapporti obbligatori che trova applicazione il principio generale
di esecuzione del contratto secondo buona fede
(art. 1375 c.c.), la cui funzione regolatrice diventa
ancora più pregnante allorquando si riferisca allo
svolgimento dell’attività di direzione e coordinamento che rappresenta, per l’appunto, un momento
di esecuzione del contratto sociale (29).
Considerato che nella maggior parte dei casi chi
esercita l’attività di direzione e coordinamento pregiudizievole è il socio di maggioranza, la violazione
delle regole di correttezza nella gestione societaria e
imprenditoriale infrange il contratto sociale con i
consoci (e in particolare con quelli di minoranza)
determinando pertanto una responsabilità ex art.
2497 c.c. di tipo contrattuale (30).
Nelle altre ipotesi di eterodirezione si ritiene che
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tale principio possa ugualmente funzionare: in questi casi sarà il socio, non di maggioranza, che esercita la direzione e coordinamento - disponendo di
voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria ovvero in forza di particolari vincoli contrattuali - a poter essere ritenuto
(contrattualmente) responsabile ex art. 2497 c.c.
per violazione del contratto sociale che comunque
lega i soci e dunque degli obblighi di esecuzione del
contratto secondo buona fede.
L’interesse all’adempimento
L’analisi dell’interesse oggetto di protezione ex art.
Note:
(segue nota 25)
quale osserva che «l’inadempimento di obblighi di comportamento gravanti sulla società o l’ente che esercitano tale attività
- al pari di ogni inadempimento riguardante un obbligo o un’obbligazione, di prestazione come di comportamento - presiede e
prelude, come tale, al riconoscimento di una responsabilità di
matrice contrattuale [...], all’esterno come all’interno del gruppo».
(26) Cfr. F. Guerrera, Gruppi di società, operazioni straordinarie
e procedure concorsuali, in Dir. fall., 2005, I, 22. Cfr. anche R.
Weigmann, I gruppi di società, in atti del convegno ‘‘La riforma
del diritto societario’’ tenutosi a Courmayeur nel settembre
2002, 210, che specificamente, con riferimento al punto dei creditori sociali, osserva che se questi «lamentassero una lesione
aquiliana del diritto di credito, non si giustificherebbe la legittimazione dell’organo del fallimento o delle procedure concorsuali
costitutive».
(27) Cfr. F. Fimmanò, Abuso di direzione e coordinamento e tutela dei creditori delle società abusate, in Riv. not., 2012, 2, 267
ss.; Sub art. 2497, commi 3 e 4, c.c., in G. Sbisà (a cura di), Direzione e coordinamento di società, in P. Marchetti - L. A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari (diretto da), Commentario alla riforma
delle società, Milano, 2012, 134.
(28) Si veda P. Abbadessa, La responsabilità della società capogruppo verso la società abusata: spunti di riflessione, in Banca,
borsa, tit. cred., I, 2008, 291.
(29) Cfr. S. Giovannini, La responsabilità per attività di direzione
e coordinamento nei gruppi di società, in Quad. giur. comm.,
Milano, 2007, 117. L’Autore ritiene «che, in generale, anche l’attività di direzione e coordinamento di società esercitata dalla
holding (socia di maggioranza della società figlia) rappresenta un
momento di esecuzione del contratto sociale, in relazione al
quale la violazione dei principi di corretta gestione societaria e
imprenditoriale integra gli estremi della violazione della buona
fede quale inadempimento contrattuale idoneo a fare sorgere
l’obbligo di risarcimento del danno a carico sia della società sia
del socio di maggioranza, oltre che degli amministratori». Si veda anche P. Abbadessa, La responsabilità della società capogruppo verso la società abusata: spunti di riflessione, in Banca,
borsa, tit. cred., I, 2008, 291.
(30) Cfr. R. Weigmann, I gruppi di società, in atti del convegno
La riforma del diritto societario tenutosi a Courmayeur nel settembre 2002, 206 ss.: per l’Autore «Extracontrattuale potrebbe
essere la [sola] responsabilità di chi ha il controllo indiretto a catena e che induce gli amministratori della società nipote a non
assolvere colla dovuta diligenza e lealtà i loro doveri» e M. Giovannini, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, in Quad. giur. comm., Milano,
2007, 118.
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Diritto societario
2497, comma 1, c.c. contribuisce anch’essa a dimostrare la natura contrattuale della responsabilità
della holding.
L’interesse dei soci di minoranza (alla reddittività e
alla valorizzazione della partecipazione sociale) e
dei creditori (all’integrità del patrimonio) assumono la natura di ‘‘aspettativa’’ all’adempimento di un
determinato comportamento di terzi (i.e.: che l’attività della capogruppo sia conforme a principi di
corretta gestione societaria e imprenditoriale) (31).
Giova ricordare che a conclusioni del tutto analoghe era giunta anche la giurisprudenza in sede di
interpretazione dell’art. 90, D.Lgs. n. 270/1999 in
materia di amministrazione straordinaria di grandi
imprese (32). Tale norma - simile in modo significativo all’art. 2497 c.c. - è stata infatti a più riprese
interpretata come contrattuale: «Il fatto che non
esiste un contratto di dominio non esclude che fra
le parti possano formarsi rapporti obbligatori tali da
generare forme di responsabilità nell’adempimento
di obbligazioni ex art. 1218 c.c. [...] La controllante,
nel momento che assume la direzione unitaria, è tenuta all’osservanza di precisi doveri di correttezza
nei confronti delle controllate, doveri ai quali corrispondono delle vere e proprie obbligazioni coercibili, che possono risultare inadempiute o perché non
attuate o perché attuate male, quando la direzione
unitaria viene esercitata abusivamente» (33).
Nel caso di specie l’obbligazione preesistente è rappresentata dai doveri connessi alla rilevanza del
gruppo e all’esercizio della direzione unitaria.
L’amministrazione di fatto e la gestione
di affari altrui
La fattispecie in oggetto può anche essere prospettata come responsabilità da amministrazione di fatto della società eterodiretta da parte della capogruppo (34).
In altre parole, la capogruppo, contribuendo di fatto alla gestione della società eterodiretta, incorre in
una responsabilità da inadempimento degli obblighi
legali inerenti alla funzione in sostanza esercitata, a
prescindere dall’investitura formale: rientra cosı̀
nell’alveo della responsabilità dell’amministratore
di fatto (35).
A favore di detta argomentazione, salvo un precedente oramai risalente (36), è anche la più recente
giurisprudenza di merito, ove si legge che «l’attività
di direzione e coordinamento fa sorgere un dovere
di protezione avente contenuto definito e comportante, in caso di violazione, una responsabilità contrattuale nei confronti dei soci della società eterodiretta [...] presupponendo un preesistente dovere di
Le Società 5/2013
protezione avente contenuto definito posto a carico
della società dirigente verso la società diretta ed i
suoi soci» (37).
Anche la giurisprudenza di legittimità ha osservato
- in termini generali - che il discrimine tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale va ricercato nella natura della situazione giuridica violata e
non già nella fonte di quest’ultima: se si tratta di
obbligazioni, anche se non derivanti da contratto,
la violazione dà luogo a responsabilità contrattuale;
se invece essa consiste nel dovere generale di rispetto delle situazioni giuridiche altrui, la responsabilità
ha carattere extracontrattuale (38). La Suprema
Corte, ritenendo pacifico che l’attività di corretta
gestione societaria e imprenditoriale che incombe
sulla società capogruppo sia un obbligo della holNote:
(31) Cfr. L. Benedetti, La responsabilità ‘‘aggiuntiva’’ ex art.
2497, 28 co., c.c., in Quad. giur. comm., 2012, 14 e ss.
(32) Cfr. Trib. Alba 25 gennaio 1995, in Giust. civ., 1995, I, 1641
ss.
(33) Cfr. Trib. Milano 22 gennaio 2001, in Fall., 2001, 598 con
nota di Zamperetti, La responsabilità di amministratori e capogruppo per ‘‘abuso di direzione unitaria’’. A giudizio del Tribunale, la controllante, quando esercita la direzione unitaria, «si pone
in un rapporto di relazione soggettiva con la società controllata
e si assume l’obbligazione di realizzare l’interesse di gruppo tramite la realizzazione degli interessi delle società controllate».
(34) M. Bussoletti - E. La Marca, Gruppi e responsabilità da direzione unitaria, in Riv. dir. comm., 2010, I, 125 ss.
(35) Cfr. il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte in
materia di amministratore di fatto: Cass. 6 marzo 1999, n. 1925
in Giust. civ. Mass., 1999, 511, in Corr. giur., 1999, 1396 (nota
di Perrone), in Resp. civ. e prev., 1999, 1319 (nota di Balzarini).
Nello stesso senso si veda anche A. Gambino, Su taluni problemi in tema di gruppi (Relazione tenuta nel convegno La riforma
del diritto societario: un primo bilancio, svoltosi a Villa Mondragone nei giorni 9 - 10 aprile 2010 per iniziativa dell’Associazione
G.F. Campobasso e dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata), in Giur. comm., 2012, 1, 5 ss. L’Autore ripropone l’indirizzo innovativo espresso dalla Corte di Cassazione, 6 marzo 1999,
n. 1925 «per il quale il concreto esercizio delle funzioni di amministrazione, pur in assenza di investitura, è idoneo a determinare
la nascita delle obbligazioni che deriverebbero dal mandato come nella gestione di affari altrui (art. 2030 c.c.) ed è quindi idoneo a far sorgere gli obblighi tipici di situazioni giuridiche la cui
violazione assume rilievo sul piano della responsabilità contrattuale».
(36) Cfr. Trib. Milano 22 gennaio 2001, in Fall., 2001, 1143.
(37) Cfr. Trib. Milano 17 giugno 2011, in questa Rivista, 2012, 3,
258.
(38) Cfr. Cass. 6 marzo 1999, n. 1925, in Giur. it., 2000, I, 770 e
ss. con nota di Guidotti, Amministratore di fatto e ‘‘negotiorum
gestio’’; in Foro it., 2000, I, 2299 con nota di Silvetti; in Corr.
giur., 1999, 1396, con nota di Perrone, Un ‘‘revirement’’ della
cassazione sulla responsabilità dell’amministratore di fatto; in
Resp. civ., 1999, 1319, con nota di Abriani, Dalle nebbie della
finzione al nitore della realtà: una svolta nella giurisprudenza civile in tema di amministratore di fatto; in questa Rivista, 2001,
808 con nota di Salvato, Il ‘‘revirement’’ della Suprema corte in
materia di responsabilità dell’amministratore di fatto.
525
Opinioni
Diritto societario
ding, si è pronunciata a favore della responsabilità
contrattuale.
Il rischio specifico di danno nella relazione
di ‘‘contatto sociale’’
La natura contrattuale della responsabilità in oggetto è confermata anche dalla funzione della norma,
consistente nella tutela del socio di minoranza da
un rischio specifico di danno, creato da quella specifica preesistente relazione intersoggettiva che isola
dalla generalità dei consociati la holding, da un lato,
i soci e i creditori delle società eterodirette, dall’altro: diversamente invece nella responsabilità extracontrattuale il sorgere della relazione intersoggettiva è successivo al giudizio sulla ingiustizia del danno (39).
Tutto ciò nell’ambito di una attività che ponga stabilmente in contatto sfere di interessi predeterminate (e non già come incontro casuale al di fuori di
un preesistente progetto) (40).
Anche la giurisprudenza si è pronunciata a favore
della tesi contrattuale aderendo alla ricostruzione
della responsabilità derivante dalla violazione di
obblighi scaturenti non già da contratti, ma da
‘‘contatti sociali’’, quando l’ordinamento imponga
ad un soggetto di tenere in tali situazioni un determinato comportamento (41).
Il recesso e il paradosso di un arretramento
rispetto ai risultati raggiunti prima
della Riforma
In una prospettiva teleologica va infine evidenziata
la funzione di incentivazione dell’attività di monitoraggio della holding sulle società del gruppo che è
stata attribuita all’art. 2497 c.c. dal legislatore della
Riforma.
La qualificazione della responsabilità come contrattuale, infatti, spiega l’esistenza del rimedio del recesso del socio previsto all’art. 2497 quater, punto
b) c.c., in considerazione della sua funzione di impugnazione del contratto, ossia di reazione di fronte
all’inadempimento contrattuale della holding socio
di maggioranza (42).
In questo senso, invero, il recesso può assolvere diverse funzioni nel nostro ordinamento, tra le quali
vi è anche quella di monitoraggio della holding e di
reazione a un inadempimento contrattuale (43).
Ancora nell’ottica di una interpretazione che considera la finalità della norma, la configurazione contrattuale è la sola in grado di evitare il paradosso di
un arretramento rispetto ai risultati raggiunti da
una parte della dottrina e della giurisprudenza prima della riforma in sede di interpretazione dell’art.
526
90, D.Lgs. n. 270/1999 in materia di amministrazione straordinaria di grandi imprese (44).
Offerto un quadro delle varie interpretazioni sulla
natura della responsabilità da direzione e coordinamento, rimane da approfondire l’altro tema fondamentale per il socio di minoranza: l’art. 2497, comma 3, c.c. in merito alla misura della previa soddisfazione della società soggetta a direzione e coordinamento che ha anch’esso dato adito a differenti
interpretazioni sia in dottrina che in giurisprudenza.
Le interpretazioni offerte in relazione
all’oscuro testo dell’art. 2497, comma 3,
c.c.
Ai sensi dell’art. 2497, comma 3, c.c., «il socio ed
il creditore sociale possono agire contro la società o
l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento».
L’azione esercitata dai soci e dai creditori sociali è
azione diretta e non surrogatoria di quella che
eventualmente spetta alla società controllata, sicché il risarcimento dei danni spetta direttamente ai
primi (soci e creditori) e non alla seconda (società
controllata).
Note:
(39) Cfr. S. Giovannini, La responsabilità per attività di direzione
e coordinamento nei gruppi di società, in Quad. giur. comm.,
Milano, 2007, 116.
(40) L. Benedetti, La responsabilità ‘‘aggiuntiva’’ ex art. 2497, 28
co., c.c., in Quad. giur. comm., Milano, 2012, 18 ss.
(41) Cfr. Trib. Napoli, sez. VII, decr., 26 maggio 2008 - Pres. Frallicciardi - Rel. Perrino, in Fall., 12, 2008, 1435, il quale si è
espresso nel senso della natura contrattuale della responsabilità
solo con riferimento ai soci, dando cosı̀ origine ad una posizione
intermedia che qualifica diversamente la responsabilità della società che esercita il potere di direzione e coordinamento a seconda che sia fatta valere dai soci (contrattuale) o dai creditori
(extracontrattuale).
(42) Cfr. S. Giovannini, La responsabilità per attività di direzione
e coordinamento nei gruppi di società, in Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, Milano, 2007, 120. Nello stesso senso cfr.
F. Fimmanò, Commento ai commi 3 e 4 dell’art. 2497 c.c., in G.
Sbisà (a cura di), Direzione e coordinamento di società, in P.
Marchetti - L. A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari (diretto da),
Commentario alla riforma delle società, Milano, 2012, 134.
(43) Cfr. L. Benedetti, La responsabilità ‘‘aggiuntiva’’ ex art.
2497, 28 co., c.c., in Quad. giur. comm., 2012, 23. Nello stesso
senso F. Fimmanò, Commento ai commi 3 e 4 dell’art. 2497
c.c., in G. Sbisà (a cura di), Direzione e coordinamento di società, in P. Marchetti - L. A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari (diretto
da), Commentario alla riforma delle società, Milano, 2012, 134;
M. Franzoni, Degli effetti del contratto, in P. Schlesinger (diretto
da), Commentario del cod. civ., Milano, 1980, 340 ss.
(44) Cfr. R. Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, in Giur. comm., 3, I,
670 ss.
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Tuttavia, poiché il danno subito dai soci o dai creditori della società controllata è pur sempre un riflesso del danno subito da quest’ultima, l’azione di
risarcimento dei danni nei confronti della capogruppo è esperibile solo se soci o creditori non sono
stati soddisfatti dalla società controllata (45).
In buona sostanza, la disposizione individua un patrimonio, quello della società diretta e coordinata
in modo abusivo, che in prima battuta deve far
fronte alle pretese risarcitorie dei creditori e dei soci
di quella stessa società. Solo in questo senso la responsabilità derivante da abuso nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento è subordinata al tentativo di previo soddisfacimento sul patrimonio della società controllata.
Si ritiene pacifico che tale azione non possa e non
debba colpire e/o aggravare - per via della inconciliabilità con la ratio della disciplina - la posizione
della società controllata (intesa quale entità con
personalità giuridica e autonomia patrimoniale perfetta) anch’essa pregiudicata da un esercizio abusivo
dell’attività di direzione e coordinamento.
Pur essendo chiaro quanto sopra, si è molto discusso in giurisprudenza e in dottrina sull’interpretazione di detta norma.
Sotto il profilo della natura dell’azione da esperire
nei confronti della società controllata, se da un lato
si è ritenuto che l’art. 2497, comma 3, c.c. presupponga l’esperimento di una vera e propria azione
giudiziaria, dall’altro lato è stata considerata sufficiente anche una semplice richiesta stragiudiziale di
pagamento rimasta priva di seguito.
Tale comma sembra infatti solo apparentemente
suggerire una natura ‘‘sussidiaria’’ dell’azione di responsabilità del socio e del creditore nei confronti
della holding presupponendo un intervenuto espletamento dell’azione nei confronti della seconda (46).
Al contrario, la ricostruzione - come clausola che
introduce un beneficio di preventiva escussione a
favore della capogruppo - appare «incongrua» (47)
rispetto al fine perseguito dal legislatore di rafforzare la tutela del socio con un meccanismo che ne
garantisca celerità e certezza del risultato.
Invero, se il legislatore avesse effettivamente previsto un vero e proprio beneficio di preventiva escussione a favore della capogruppo, ciò sarebbe affetto
da erroneità: da un lato, dovrebbe risultare una responsabilità in capo alla controllata laddove invece
tale responsabilità grava sugli amministratori della
stessa; inoltre in tal modo si disporrebbe che i fondi
necessari per risarcire i soci o i creditori dovrebbero
essere tratti dallo stesso patrimonio della società
danneggiata (48). È da ritenersi, invece, che l’one-
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re previsto dalla norma non esiga una vera e propria preventiva escussione del patrimonio, come ad
esempio è previsto per effetto degli artt. 2268 e
2304 c.c. (regime di preventiva escussione del patrimonio rispettivamente di società semplici e società in nome collettivo irregolari e di società in
nome collettivo regolari) (49).
Sotto quest’ultimo profilo è da evidenziarsi che la
previsione di cui all’art. 2497, comma 3, c.c. è «illogica» (50) e «inspiegabile» (51): altrimenti il socio, continuando a partecipare alla società, finirebbe per perdere, in misura proporzionale all’entità
della partecipazione, il ristoro appena conseguito (52).
D’altronde la dottrina maggioritaria (53) - mossa
Note:
(45) Cfr. G.F. Campobasso, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2011, 231.
(46) Cfr. A. Blandini, Sub art. 2497 c.c., in Abriani - Stella Richter
(a cura di), Codice commentato delle Società, Torino, 2010,
2186. Nel medesimo senso si veda Guerrera (cfr. F. Guerrera,
Gruppi di società, operazioni straordinarie e procedure concorsuali, in Dir. fall., 2005, I, 22) secondo il quale «la norma non
sembra prevedere [...] un beneficio d’escussione in senso tecnico, ne instaura un vincolo di solidarietà passiva, fra controllante
e controllata nei confronti dei danneggiati, bensı̀ contempla una
forma di intervento unilaterale della seconda nella relazione
esterna di responsabilità della prima, che evoca la disciplina delle modificazioni soggettive passive dell’obbligazione».
(47) Cfr. G. Carola, Attività strategica, organizzativa e di controllo
della dominante, I Parte, in questa Rivista, 2008, 1216.
(48) Cfr. A. Blandini, Sub art. 2497 c.c., in Abriani - Stella Richter
(a cura di), Codice commentato delle Società, Torino, 2010, 2186.
(49) I soci di società semplici e società in nome collettivo irregolari sono responsabili oltre che in solido fra loro in via sussidiaria
rispetto alla società in quanto godono del beneficio di preventiva
escussione del patrimonio sociale. Beneficio di preventiva
escussione che opera diversamente nella società semplice e
nella collettiva irregolare, rispetto alla società in nome collettivo
regolare. Nella società semplice (e nella s.n.c. irregolare) il creditore sociale può infatti rivolgersi direttamente al singolo socio illimitatamente responsabile e sarà questi a dover invocare la
preventiva escussione del patrimonio sociale. Il beneficio di
escussione opera quindi in via di eccezione ed il socio sarà tenuto a pagare ove non provi che nel patrimonio sociale esistono
beni non solo sufficienti, ma prontamente ed agevolmente aggredibili dal creditore istante. Nella società in nome collettivo regolare, invece, il beneficio di escussione è più intenso dal momento che opera automaticamente.
(50) Si veda AA. VV., Diritto delle società di capitali, Manuale
breve, Milano, 2003, 254.
(51) Cfr. A. Maffei Alberti, Commentario breve al Diritto delle
Società, Padova, 2010, 1397 che ha anche ritenuto che «la preventiva escussione della società dominata pare essere condizione dell’azione sia per i creditori sociali sia inspiegabilmente, per
i soci».
(52) Si veda AA. VV., Diritto delle società di capitali, Manuale
breve, Milano, 2003, 254.
(53) Cfr. G. Salatino, La responsabilità della holding nel nuovo
art. 2497 c.c.: davvero una ‘‘nuova frontiera’’ della responsabilità
civile?, in Resp. civ., 2010, 4, 308.
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Diritto societario
sempre da un «ésprit de gèometrie» (54) - ha ritenuto la formulazione dell’art. 2497, comma 3, c.c.
«decisamente infelice» (55) «discutibile» (56) o
ancora di difficile «comprensione» (57), soprattutto se riferita ai soci di minoranza.
Inoltre, l’art. 2497, comma 3, c.c. sembrerebbe postulare una mera regolamentazione dei rapporti interni con la capogruppo al fine di subordinare l’obbligo risarcitorio di quest’ultima alla mancata attribuzione di vantaggi compensativi (58).
Né l’obbligo di una preventiva escussione del patrimonio della società è previsto dall’art. 2394 c.c.
Tale disposizione ben si presta infatti a essere presa
a raffronto nell’ambito di una interpretazione analogica dell’art. 2497 c.c.: la ratio legis di entrambe le
norme è infatti che per aversi responsabilità verso i
creditori è necessario che da detta responsabilità
consegua una lesione all’integrità del patrimonio
sociale da cui derivi a sua volta l’insufficienza di
questo a soddisfare le ragioni dei creditori medesimi (59). Un danno per i creditori infatti non sussiste fin quando il patrimonio sociale è capiente.
Sulla scorta di tali rilievi si riconosce alla circostanza del mancato ristoro del pregiudizio da parte della
società eterodiretta una rilevanza oggettiva e neutrale, essendo sufficiente in tal caso che l’attore dimostri di non avere ottenuto il pagamento del proprio credito preventivamente richiesto alla società
debitrice (art. 2497, comma 3, c.c.) (60). Non grava invece sull’attore l’onere di provare l’insufficienza del patrimonio della società controllata.
Pertanto, dal punto di vista formale, si ritiene sufficiente anche una semplice richiesta, generica e
stragiudiziale, di pagamento (che sia rimasta evidentemente priva di seguito), quale condizione per
il socio di minoranza e per i creditori per citare in
giudizio per danni la capogruppo.
In ogni caso l’escussione della società ‘‘dominata’’,
e la relativa incapienza, si realizza in modo pieno in
caso di dichiarazione di insolvenza della stessa, anche nel senso che tale evento rende immediatamente possibile l’azione nei confronti del soggetto
che esercita la direzione e il coordinamento: in
questo caso infatti è automaticamente soddisfatto il
requisito della ‘‘sussidiarietà’’ (61).
Di recente la giurisprudenza milanese, pronunciandosi sul punto, ha espressamente non solo escluso
che la disposizione imponga un onere di preventiva
escussione del patrimonio della società eterodiretta,
operante quale vera e propria condizione dell’azione
prevista a favore della capogruppo, ma ha addirittura affermato che la previsione di cui all’art. 2497,
comma 3, c.c. consiste in «una semplice denuntiatio
528
litis, preordinata a consentire anche alla società
controllata di partecipare al giudizio, senza che ciò
sottintenda alcun tipo di responsabilità nei confronti dei propri soci» (62).
D’altronde non si tratta di una azione contro la società controllata bensı̀ contro l’organo amministrativo della controllata medesima «complice della capogruppo nella lesione della redditività e del valore
della partecipazione sociale» (63).
Note:
(54) Cfr. F. Galgano, Direzione e coordinamento di società, in F.
Galgano (a cura di), Commentario Scialoja - Branca, 2005, 101, secondo il quale il legislatore a dispetto delle apparenze ha «voluto
fare uso dell’ésprit de finesse» e infatti «se ha espressamente regolato solo la responsabilità della holding verso i soci ed i creditori
della controllata, e non anche la sua responsabilità verso la stessa
controllata, ciò ha fatto per una ragione fin troppo evidente: non
sarà, di regola, la società controllata, proprio perché governata dalla holding, a dolersi del danno cagionatole da quest’ultima (agirebbe, in definitiva, contro se stessa); interessati ad agire saranno, invece, gli azionisti di minoranza ed i creditori della controllata. È anche evidente che l’azione dei soci o dei creditori, se fosse azione
surrogatoria, sarebbe pregiudicata dalla transazione o dalla rinuncia all’azione da parte della società, che sarebbe approvata da una
assemblea governata dalla stessa holding danneggiante».
(55) Cosı̀ Salatino, La responsabilità della holding nel nuovo art.
2497 c.c.: davvero una ‘‘nuova frontiera’’ della responsabilità civile?, in Resp. civ., 2010, 4, 308.
(56) Cfr. F. Guerrera, Gruppi di società, operazioni straordinarie
e procedure concorsuali, in Dir. fall., 2005, I, 22.
(57) R. Weigmann, I gruppi di società, in atti del convegno La riforma del diritto societario tenutosi a Courmayeur, settembre
2002, 210: «riesce difficile comprendere il significato del 38 c.
dell’art. 2497 quando lo si riferisca, invece che al creditore sociale, al socio».
(58) Cfr. F. Guerrera, Gruppi di società, operazioni straordinarie
e procedure concorsuali, in Dir. fall., 2005, I, 22.
(59) Cfr. R. Rordorf, I gruppi nella recente riforma del diritto societario, in questa Rivista, 2004, 538 ss.
(60) Cfr. M. Callegari, I gruppi di società, in Cottino - Bonfante,
Cagnasso - Montalenti (diretto da), Il nuovo diritto societario,
nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009, 1086 ss.
(61) Cosı̀ F. Fimmanò, Sub art. 2497, commi 3 e 4, c.c., in G.
Sbisà (a cura di), Direzione e coordinamento di società, in P.
Marchetti, L. A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Milano, 2012, 115. Per l’Autore «l’impressione è quella che il legislatore abbia pensato nell’elaborare la norma, favorevole allo sviluppo della direzione unitaria, proprio alla responsabilità in caso di insolvenza dichiarata
della società abusata».
(62) Cfr. Trib. Milano, sez. VIII, 17 giugno 2011 - Pres. Perozziello
- Rel. Mabriani, in questa Rivista, 2012, III, 266, con commento di
H. Simonetti, Natura e condizioni dell’azione di responsabilità nei
confronti della capogruppo: «Né la messa in mora né la preventiva
escussione della società controllata costituiscono condizioni dell’azione o di proponibilità della domanda volta a far valere la responsabilità dell’ente capogruppo per violazione dei principi di corretta
gestione societaria ed imprenditoriale nell’attività di direzione e
coordinamento verso i soci e i creditori della società controllata».
(63) Cfr. D. Fico, La responsabilità per esercizio abusivo dell’attività di direzione e coordinamento, commento alla sentenza del
Trib. Milano, sez. VIII, 23 aprile 2008 - Pres. e Rel. Perozziello, in
questa Rivista, 2009, I, 89.
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Conclusioni
Come si è visto, i problemi che sorgono a carico
dei soci di minoranza (e dei creditori) dal fenomeno dei gruppi non sono di poco conto.
Detta disciplina appare connotata da un paradosso
«vagamente irritante» (64) quello di essere al contempo «di una semplicità quasi disarmante» (65) e
postulare «soluzioni di complessità forse insuperabili» (66).
Per quanto concerne il problema della qualificazione della responsabilità prevista dall’art. 2497 c.c.,
anche in considerazione degli argomenti sollevati e
qui richiamati, pare che i dati letterali su cui si fondano le teorie a favore della natura aquiliana non
siano particolarmente significativi (67).
Maggior peso vantano gli argomenti sistematici che
fanno riferimento alla portata complessiva della disciplina nonché gli argomenti - ontologici e teleologici - richiamati per sostenere la natura contrattuale della responsabilità della capogruppo, ossia:
(i) la violazione di obblighi specifici di comportamento, (ii) la clausola generale di correttezza, (iii)
l’interesse all’adempimento, (iv) l’amministrazione
di fatto e la gestione di affari altrui, (v) il rischio
specifico di danno nella relazione di ‘‘contatto sociale’’, (vi) il recesso e il paradosso di un arretramento rispetto ai risultati raggiunti prima della Riforma.
Tale conclusione pare avvalorata da molti profili
della disciplina in esame che - fra l’altro - impongo-
Le Società 5/2013
no determinate regole di comportamento a carico
della società eterodiretta e dei suoi organi, che si
devono estrinsecare anche nella motivazione delle
decisioni. Infatti, come esiste una vera e propria facoltà a favore della holding di svolgere attività di direzione e coordinamento nei confronti delle società
controllate, cosı̀ sussiste un obbligo di esercitare tale potere nei limiti di legge.
Con riferimento alle interpretazioni offerte in relazione all’oscuro testo dell’art. 2497, comma 3, c.c.,
per tutto quanto sopra descritto si ritiene che la
stessa disposizione consideri sufficiente la semplice
richiesta stragiudiziale di pagamento rimasta priva
di seguito.
Note:
(64) Cfr. nota di Zamperetti La responsabilità di amministratori e
capogruppo per ‘‘abuso di direzione unitaria’’ al sentenza del
Trib. Milano 22 gennaio 2001, in Fall., 2001, 1156.
(65) Cfr. P. Montalenti, Conflitto di interessi nei gruppi di società
e teoria dei vantaggi compensativi, in Giur. comm., 1995, I, 710
ss.
(66) Cfr. P. Montalenti, Conflitto di interessi nei gruppi di società
e teoria dei vantaggi compensativi, in Giur. comm., 1995, I, 710
ss.
(67) Cfr. ex multis (i) le intenzioni dichiarate nella relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 6/2003 dove è scritto che «la responsabilità è di stampo aquiliano», (ii) il silenzio in ordine alla legittimazione della società eterogestita, (iii) la circostanza per cui
alla responsabilità di chi esercita l’attività di direzione e coordinamento si aggiunge in via solidale la responsabilità di chi abbia
preso parte al fatto lesivo e (iv) l’analogia dello schema degli elementi costitutivi.
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