La classificazione in Chimica

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La classificazione in Chimica
3. La classificazione in Chimica
La classificazione in Chimica
Come gli studiosi di tutte le altre discipline, i chimici, e prima ancora gli alchimisti, hanno sempre sentito l’esigenza di ordinare e classificare gli oggetti che manipolavano nella loro sperimentazione. Prima di procedere a questa attività di classificazione, occorreva stabilire se fosse necessario prendere in considerazione tutte le sostanze
chimiche conosciute (in numero considerevole già fine ‘700) o se il fatto che era stato
possibile distinguere sperimentalmente tra corpi semplici e corpi composti, non riducesse il problema alla semplice classificazione dei mattoni elementari con i quali costruire
tutte le altre sostanze. Con la definizione operazionale di elemento chimico formulata da
Lavoisier nel Traité de Chimie Elémentaire (1789), fu più facile individuare questi mattoni elementari, distinguerli dai corpi composti e ordinare questi ultimi sulla base dei
loro elementi costituenti, come suggerito dalla nomenclatura binomiale.
Stabilito cosa andava ordinato e classificato, furono intrapresi numerosi tentativi
per ordinare gli elementi chimici: il lavoro fu lungo, complicato e articolato, ma certamente non fine a se stesso perché, non solo contribuì a chiarire le cause delle differenze
sempre più marcate nelle proprietà degli elementi, ma, alla lunga, anche a razionalizzarne il numero, cioè a stabilire se la possibilità di nuove scoperte si fosse esaurita o se altri, e quanti, ne restassero da identificare1.
Infatti, l’approccio sistematico che Lavoisier aveva dato alla sperimentazione e
alla speculazione chimica, e l’introduzione di nuove tecniche sperimentali sempre più
efficienti e accurate, avevano consentito, tra fine settecento e inizio ottocento, di identificare un numero così elevato di nuovi elementi2, da rendere indispensabile la loro classificazione ordinata, anche per verificare se, in questa insospettata abbondanza di individui chimici, fosse insita una qualche sorta di ordine fondamentale3. Questo susseguirsi
di scoperte di nuovi elementi, che mostravano uno spettro sempre più ampio e vario di
proprietà, poneva alcune importanti questioni sul numero reale degli elementi, quanti
ancora ne restassero da scoprire, o se per caso questo numero non fosse infinito.
Due evidenze, apparentemente contrastanti, risultavano dalla ricerca sperimentale e dalla speculazione teorica: nel formulare la teoria atomica, Dalton aveva attribuito
1
J. Fromm, The Periodic Table;
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 7;
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P. Strathern, Mendeleyev’s Dream, Penguin, London (2000) 253-5;
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ad ogni elemento atomi dalla caratteristiche differenti, prima fra tutte il peso atomico individuale. I tentativi di Dalton, e di molti altri illustri chimici, di determinare il peso atomico dei diversi elementi aveva fornito risultati che, sebbene siano rimasti a lungo imprecisi (più dal punto di vista concettuale che sperimentale), portavano alla conclusione
che, comunque, i diversi elementi differivano, oltre che dal punto di vista qualitativo,
anche da quello quantitativo.
D’altro canto, lo studio delle proprietà chimiche e fisiche degli elementi avevano
evidenziato sempre più chiaramente il fatto che alcuni gruppi di elementi presentavano
caratteristiche molto simili tra di loro, tanto da far supporre l’esistenza di famiglie naturali4, e alimentare l’ipotesi che tutto ciò sottintendesse qualche schema di distribuzione
ordinato: alcuni elementi erano metalli resistenti alla corrosione (oro, argento, platino),
altri metalli molto facilmente ossidabili (sodio e potassio), altri ancora gas inodori e incolori (idrogeno e ossigeno). Anche se non si avevano concrete evidenze a favore dell’esistenza di un tale schema, il desiderio di ordine è un tratto fondamentale dell’uomo,
non meno che dello scienziato. Lo stesso Lavoisier aveva fornito un elenco di corpi
semplici, raggruppandoli in quattro categorie - gas, metalli, non metalli e terre - in dipendenza delle loro proprietà chimiche5.
Ovviamente, occorreva trovare un criterio di classificazione, che tenesse conto
delle proprietà intrinseche degli elementi e permettesse di stabilire con certezza le correlazioni tra la loro natura e le loro proprietà. Per essere efficace, però, la tassonomia chimica doveva discostarsi sostanzialmente da quella adottata nelle scienze naturali e nella
vita ordinaria, e basarsi su criteri distintivi quantitativi, come il peso atomico o, almeno,
quello equivalente. Le leggi quantitative che governano la formazione dei composti secondo proporzioni definite, multiple e reciproche, e l’esistenza di pesi di combinazione
definiti erano accettate da tutti i chimici, qualunque fosse il loro atteggiamento nei confronti dell’esistenza degli atomi. Con la formulazione della teoria atomica, Dalton aveva
dato alla Chimica la speranza di realizzare qualche sorta di quantificazione, o comunque
di classificazione su basi numeriche6. Per questo, un sistema di classificazione, pur tenendo conto delle proprietà chimiche e, eventualmente, fisiche degli elementi, non poteva, per usare un gioco di parole, non dar peso ai pesi degli elementi7. La difficoltà stava
4
P. Strathern, Mendeleyev’s Dream, Penguin, London (2000) 253;
J. Emsley, About_com; http--www.chemsoc_org-viselements-pages-history.htm;
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D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 129;
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D. Knight, Ideas in Chemistry, Rutgers University Press, New Brunswick (1992) 136;
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nel trovare una relazione tra l’apparente semplicità dei numeri e dei loro rapporti e il
comportamento chimico delle sostanze, ma occorreva, soprattutto, chiarire definitivamente i concetti di atomo e molecola e definire correttamente il valore dei pesi atomici.
In mancanza di questi chiarimenti nella teoria e nell’attività sperimentale, coloro che
cercarono di arrangiare gli elementi in tabelle o schemi bidimensionali erano numerologi, piuttosto che chimici, che elaborarono sistemi artificiali, di scarsa utilità per l’attività
sperimentale.
1. Alla ricerca di un criterio di classificazione.
I tentativi di raggruppare gli elementi chimici seguirono tre distinti criteri: a) il
riconoscimento di analogie e similitudini; b) la ricerca di formule algebriche o disposizioni geometriche che consentissero di sistematizzare le variazioni delle caratteristiche
degli elementi, per esempio in funzione del loro peso atomico; c) la ricerca di un ordine
naturale, già stabilito e non derivato dalle speculazioni del ricercatore, nel quale gli elementi si trovassero già distribuiti.
1a. Riconoscimento di analogie e similitudini. Come Lavoisier, molti altri cercarono di individuare analogie nella reattività degli elementi, raggruppandoli in un certo
numero di classi. Proseguendo nella tradizione francese della Storia Naturale, nel Saggio sulla classificazione dei corpi semplici (1816), André Marie Ampère (1775-1836)
cercò di individuare un sistema naturale per ordinare gli elementi, simile a quelli messi
a punto dai suoi contemporanei, al Museo di Storia Naturale, che erano basati sui caratteri multipli e sul raggruppamento degli elementi in famiglie8. Procedendo per analogie,
cercò di costruire una singola serie ordinata di elementi, che in qualche modo riproducesse la Grande catena dell’Essere. Il tentativo non ebbe successo e Ampère passò a
cercare un sistema naturale di raggruppamento; i criteri che scelse, opinabili anche allora, lo portavano a inserire rame e ferro nella stessa classe, oro e platino in un altro, raggruppando l’argento con il piombo, anziché con questi ultimi due9. Il sistema era, in effetti, basato su pochi criteri, e uno in particolare - il valore del punto di fusione - non era
abbastanza significativo dal punto di vista chimico; per questo, la sua classificazione risultò poco più di una semplice curiosità.
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D. Knight, Ideas in Chemistry, Rutgers University Press, New Brunswick (1992) 137;
D. Knight, Ideas in Chemistry, Rutgers University Press, New Brunswick (1992) 132;
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Negli stessi anni, Davy mostrò che sodio e potassio appartengono alla stessa famiglia e cloro e iodio sono strettamente connessi, proponendo per le due coppie nomi
dalle terminazioni simili: sodium e potassium, chlorine e iodine. Anche i chimici analitici, impegnati nell’analisi qualitativa, avevano raggruppato gli elementi in funzione della
loro reattività con diversi reagenti, con finalità diagnostiche piuttosto che tassonomiche10; pur in mancanza di una comprensione profonda del loro comportamento chimico,
i componenti di ciascun gruppo erano accomunati da un insieme di proprietà simili.
Proprio l’attenta analisi dei valori che si andavano determinando per i pesi atomici ed equivalenti aveva messo in evidenza come, a parte qualche eccezione, essi erano approssimativamente eguali a multipli interi di quello dell’idrogeno. A qualche chimico questa singolare coincidenza suggerì la possibilità che i differenti elementi, anziché essere entità distinte e indipendenti l’uno dall’altro, come avevano stabilito prima
Lavoisier e poi Dalton, non fossero, in realtà, che combinazioni di qualche unità fondamentale della materia, in qualche modo coincidente con l’atomo di idrogeno. La conseguenza era il ritorno al concetto classico di un singolo costituente fondamentale della
materia, in opposizione al continuo proliferare di sostanze elementari, che a molti appariva scandaloso, se non, addirittura, blasfemo: questi, infatti, non accettavano la teoria
atomica perché ritenevano impossibile che Dio avesse creato 50 o 60 tipi di atomi, e
cercavano nelle relazioni numeriche tra i pesi atomici la chiave per semplificare il numero di particelle elementari.
Il primo che cercò di dar corpo a queste ipotesi fu il medico scozzese William
Prout (1785-1850), che, assegnato all’idrogeno peso atomico eguale a 1, arrotondò alla
cifra intera più vicina tutti gli altri, nella tradizione pitagorica della ricerca di rapporti
semplici, chiudendo gli occhi sulle evidenti discrepanze dei pesi atomici di elementi
come il cloro, non arrotondabili a cifre intere. Prout materializzò l’antico concetto di
protilo, una sostanza primordiale, che i filosofi greci ponevano alla base della costituzione della materia, che identificò nell’idrogeno. Davy arrivò persino ad affermare che
lo zolfo era, in realtà, composto di idrogeno e quindi non potesse essere considerato un
elemento11. L’ipotesi di Prout ebbe grande successo: quando Darwin formulò la teoria
dell’evoluzione (1859), sembrò che anche gli elementi più pesanti potessero essersi evo-
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D. Knight, Ideas in Chemistry, Rutgers University Press, New Brunswick (1992) 136;
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 39;
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luti a partire dall’idrogeno12. Essa ispirò coloro che cercarono di mettere ordine nel
mondo degli elementi; essendo costituiti tutti da particelle dello stesso tipo, bastava ordinarli secondo il numero di particelle che ciascuno conteneva, cioè del peso atomico.
Su questa scia si mosse Johann Wolfgang Döbereiner (1780-1849), professore
di Chimica all’Università di Jena, dove ebbe come allievo assiduo il poeta Goethe. Nel
1829 cercò di mettere a punto un sistema di classificazione basato sul comportamento
chimico complessivo degli elementi, piuttosto che su aspetti singoli della loro reattività.
Studiando il bromo, un elemento scoperto appena tre anni prima dal francese Antoine
Jérôme Balard (1802-1886), si accorse che alcune sue proprietà, come intensità del colore e reattività, erano intermedie a quelle di cloro e iodio e che il suo peso atomico praticamente coincideva con la media dei valori degli altri due. Deciso a verificare che non
fosse una semplice coincidenza, trovò che una analoga variazione graduale delle proprietà si riscontrava anche nella terne costituite da calcio, stronzio e bario e da zolfo, selenio e tellurio13. Gmelin propose di chiamare triadi le terne di elementi che mostravano
questo regolarità, e cercò di trovarne altre, ma non avendo ottenuto un risultato generale, si pensò a semplici coincidenze, sebbene molti chimici, soprattutto Dumas, fossero
rimasti affascinati da queste riflessioni, avessero cercato di razionalizzarle e valutato la
possibilità di ampliarle. Questi tentativi non portarono a una classificazione completa,
soprattutto perché non erano disponibili valori accurati dei pesi atomici14.
Nel 1845, l’americano Oliver Wolcott Gibbs (1822-1908) utilizzò le analogie
ricavate dal confronto degli equivalenti, delle forme cristalline, delle relazioni nelle modalità di combinazione e dei tipi di composto cui davano luogo per dividere in 14 classi
i 58 elementi a lui noti. Condividendo dalla massima di Linneo, secondo la quale la natura non va per salti, la applicò anche agli elementi, dimostrando che tra essi esistono
numerose e notevoli analogie, che pur distinguendoli in famiglie subordinate o gruppi, li
uniscono in una catena indissolubile, ogni anello della quale differisce dai suoi vicini su
entrambi i lati, in grado piuttosto che in tipo15.
1.b. Ricerca di formule algebriche o geometriche. La diffusione della teoria atomica e
una maggiore accuratezza nei valori dei pesi atomici resero più efficaci questi tentativi
di classificazione basati sui pesi atomici. Su questi parametri numerici, si potevano im12
G. Villani, La chiave del mondo, CUEN, Napoli (2001)
J. Fromm, The Periodic Table;
14
D. H. Rouvray, Chem. in Brit., 30 (1994) 373;
15
G. B. Kauffman, J. Chem. Educ., 46 (1969) 128-135;
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postare i tentativi di razionalizzazione, di trovare cioè equazioni algebriche che stabilissero una connessione matematica per integrare e confermare le similitudini chimiche.
Un contributo venne dalla Chimica Organica: nel 1842 Jacob H. W. Schiel
(1813-1899) aveva individuato delle serie di sostanze analoghe, le cui proprietà variavano regolarmente al variare della loro composizione; ciascun componente di una di queste serie differiva dal precedente sempre per un gruppo costante di atomi, chiamato differenza omologica, che determinava le variazioni delle proprietà. Stabilì sperimentalmente che i derivati alcolici dei radicali che vanno da metile ad amile, non solo differiscono ciascuno dal precedente per un termine C2H2, ma ad ogni aggiunta di uno di tali
gruppi si registra un aumento del punto di ebollizione dell’alcol di 18°C16,17. A partire
dal 1842, nel tentativo di individuare un principio generalizzante, Gerhardt pubblicò una
serie di articoli nei quali estendeva il principio dell’omologia a tutti i composti organici.
Secondo questo criterio, i composti organici possono classificarsi in serie omologhe,
nelle quali ogni termine differisce dal precedente e dal successivo, per una quantità di
atomi costante; ne risulta che i componenti della serie hanno formule chimiche leggermente differenti e perciò proprietà molto simili. Riuscì anche a dimostrare che la differenza omologica era costituita dal gruppo CH2, e non C2H2, come ritenuto da Schiel o
C2H4, come ritenuto da Dumas. Gerhardt individuò anche il grande valore ontologico di
questo concetto, perché aiutava a classificare le sostanze organiche in famiglie naturali,
partendo dalle funzioni chimiche che contengono, ma anche perché consentiva di individuare il posto che dovevano occupare nella serie i corpi ancora da scoprire e prevederne la proprietà dalla posizione nella serie15.
Nel 1850, Max von Pettenkofer (1818-1901) cercò di identificare relazioni numeriche tra i pesi equivalenti degli elementi, senza però dar troppo peso alle triadi,
come avevano fatto i suoi predecessori; ritenendo quelle di Döbereiner pure coincidenze, estese il concetto di triade a una serie di 25 elementi. Si era osservato che i pesi formali dei radicali organici differivano di 14 unità l’uno dall’altro, suggerendo che essi
potessero formarsi per aggiunte successive di unità CH2 a un determinato composto di
partenza. Per analogia, Pettenkofer formulò l’ipotesi che anche gli elementi possono ottenersi per aggiunta di una stessa specie di materia a radicali primari e costruì famiglie
16
F. Szabadvàry e A. Robinson, The History of Analytical Chemistry, in Wilson and Wilson, Treatise of
Analytical Chemistry, vol XX, 200-203;
17
G. Villani, La chiave del mondo, CUEN, Napoli (2001) 208-10;
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di elementi con caratteristiche simili, i cui pesi atomici costituivano una serie aritmetica,
nella quale la differenza tra due elementi successivi era di 8 o un suo multiplo. Convinto
della validità di questa teoria delle differenze costanti, propose di calcolare in questo
modo i pesi equivalenti di quegli elementi per i quali risultava problematico farlo sperimentalmente18.
Nel 1851, Dumas estese il concetto di serie omologhe alle famiglie di elementi,
per esempio cloro, bromo iodio. Formulò l’ipotesi che il carattere chimico generale della famiglia fosse fissato dall’equivalente dell’elemento inferiore, mentre le proprietà degli altri dipendessero da certi incrementi nei pesi di combinazione, così che essi potessero essere considerati composti di qualche sostanza fondamentale. L’ipotesi di Prout
riappariva sotto una nuova forma e le proprietà dei corpi dipendevano dai pesi atomici,
che aumentavano con una certa regolarità19.
Nel 1854, Josiah Parsons Cooke (1827-1894), professore a Harvard, estese agli
elementi la classificazione delle serie omologhe; come queste, anche gli elementi erano
correlati da una progressione di certe proprietà chimiche e fisiche, regolare ed esprimibile quantitativamente. Le relazioni tra i pesi atomici non erano casuali, ma facevano
parte di un disegno superiore, che avrebbe consentito di formulare previsioni sulle proprietà degli elementi. Distribuì gli elementi in sei serie, ciascuna composta da elementi
il cui peso atomico poteva essere calcolato per mezzo della generica formula algebrica:
PA = a + nb, partendo da un nucleo a, che può assumere i valori di 1, 2, 4, 6 o 8 ed aggiungendo ad esso multipli interi di un parametro costante b, che può assumere i valori
di 9, 8, 6, 5, 4 o 3. Le serie includevano tutti i 55 elementi a lui noti, anche se presentavano alcune ripetizioni: per esempio, l’ossigeno era alla base di tre serie diverse, con b
eguale a 9, 8 e 6. Inoltre, inserì in differenti classi, come elementi affiliati, alcuni elementi che, pur appartenendo sicuramente a determinate classi, mostravano pure proprietà simili a quelli di altre: alla serie 6, di formula generica 8 + n6, appartenevano ossigeno, azoto, fosforo, arsenico, antimonio e bismuto, ma anche cromo e vanadio come elementi affiliati. Nonostante la presenza di alcune geniali intuizioni, che sarebbero poi
state meglio sviluppate da altri, il modello di Cooke mostrava alcune incongruenze, peraltro attribuibili alla confusione che regnava sui concetti di atomo ed elemento e che
sarebbe stata risolta soltanto dopo il 1860; per esempio, in alcune classi, Cooke aveva
18
19
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 50;
A. Wurtz, La Teoria Atomica, Fratelli Dumolard, Milano (1879) 142;
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utilizzato come riferimento per i pesi atomici il doppio atomo di idrogeno, per cui l’ossigeno aveva peso atomico 8, in altre classi, l’atomo di idrogeno singolo20.
Parallelamente ai tentativi di ricavare formule algebriche, furono anche proposte
classificazioni geometriche, nelle quali era la distribuzione spaziale degli elementi a dar
conto della similitudine dei loro comportamenti, come negli alberi degli storici naturali
o nei cerchi dei quinariani. Tra questi, merita di essere ricordato quello del chimico danese Gustavus Detlef Hinrichs (1836-1923), che dopo il 1861 si trasferì esule politico
negli Stati Uniti, dove insegnò presso l’Università dello Iowa e poi quella del Missouri St. Louis. E’ curioso notare che il suo primo incarico fu Lingue Moderne, poi trasformato in Filosofia Naturale, Chimica e Lingue Moderne21. Hinrichs ebbe un approccio pitagorico alla scienza, in quanto fu attratto dalle relazioni numeriche, anche quelle tra fenomeni diversi; riprese l’ipotesi di Prout, perché credeva nell’unità della Natura ed era
convinto che l’esistenza di un divisore comune per tutti gli elementi avrebbe confermato
l’esistenza di una struttura dei loro atomi.
Appassionato di astronomia, notò alcune regolarità tra le orbite planetarie, in
particolare che, ponendo eguale a 20 la differenza tra le distanze di Venere e Mercurio
dal Sole, la distanza dei pianeti dal sole era esprimibile con la formula 2 x∙20, con x numero intero da 9 a 20. Nel 1860 Bunsen e Kirchhoff dimostrarono che, per riscaldamento, ogni elemento emetteva uno spettro a righe caratteristico, diverso da quello di tutti gi
altri. Hinrichs si applicò all’aspetto numerico del fenomeno, accorgendosi che nello
spettro di ciascun elemento, le frequenze delle diverse linee spettrali sembravano essere
multipli interi della più piccola differenza tra le righe: per esempio, nello spettro del calcio, i rapporti tra le frequenze spettrali erano di 1:2:4. Hinrichs concluse che, se, come
le orbite dei pianeti, i rapporti tra le frequenze delle righe spettrali originavano una serie
regolare di numeri interi, la causa di questa regolarità doveva risiedere nei rapporti tra le
dimensioni atomiche dei vari elementi. Questo è pitagorismo a oltranza, ma risultò produttivo perché portò Hinrichs a un modo di classificare gli elementi chimici straordinariamente nuovo e riuscito. Sembrava che le differenze tra le frequenze delle linee spettrali fossero inversamente proporzionali ai pesi atomici degli elementi considerati e alle
loro supposte dimensioni atomiche. Per collegare il peso atomico di un elemento con le
sue dimensioni atomiche, Hinrichs prose la formula
20
21
A = a∙b∙c
dove A è il
G. B. Kauffman, J. Chem. Educ., 46 (1969) 128-135;
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 86;
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3. La classificazione in Chimica
peso atomico e a, b e c sono le dimensioni del prisma che rappresenta la forma di un
atomo. Per gli elementi di un particolare gruppo, la lunghezza a della base è costante;
essa assumeva una forma quadrata negli atomi dei metalli (o tetragonoidi): A = a2∙c,
triangolare per gli atomi dei non metalli (o trigonoidi): A = (a∙b∙c)∙k, con k costante.
Per quanto bizzarro possa sembrare, questo approccio risultò utile per razionalizzare i pesi atomici, in particolare quali elementi dovessero essere raggruppati insieme
nel suo sistema, in quelli che, da seguace di Linneo, chiamò famiglie o generi e cui attribuì nomi bizzarri. La tabella22 mostra come i pesi atomici possano essere accuratamente
calcolati, utilizzando formule algebriche caratteristiche di ciascun raggruppamento, al
quale, ovviamente, appartenevano elementi con proprietà chimiche simili.
Hinrichs riprese l’ipotesi di una materia prima (l’Urstoff della Nautrphilosopie)
costituita da atomi di pantogene, combinati in strutture trigonali o tetragonali. Propose
per il pantogene un peso atomico eguale a metà di quello dell’idrogeno in modo da ri22
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 90;
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solvere il problema che aveva afflitto Prout, quello del peso atomico del cloro, che così
era posto eguale a 71. Il culmine del suo lavoro tassonomico fu raggiunto con la disposizione a spirale degli elementi: costruì una spirale piana che intersecava 11 raggi che si
dipartivano dal centro, ciascuno corrispondente a una famiglia chimica. Ai punti di intersezione dispose gli elementi, a una distanza dal centro pari quante volte il loro peso
atomico era multiplo di quello del pantogene. Delle 11 famiglie, tre contenevano essenzialmente non metalli, le altre otto metalli.
A suo parere, la presenza degli elementi di una stessa famiglia su una sola retta
testimoniava l’assoluta naturalità di questa classificazione23, che contiene molte delle relazioni primarie di periodicità caratteristiche delle moderne classificazioni, basandosi,
allo stesso tempo, su un criterio di distribuzione semplice e chiaro. Nonostante la sua
profonda conoscenza della chimica inorganica, l’approccio di Hinrichs è probabilmente
il più interdisciplinare di tutti perché non si fonda solo sulla chimica e in questo modo
fornisce al sistema periodico un supporto indipendente che molti degli altri non hanno24.
1.c. La ricerca di un ordine naturale. A questi tentativi di imporre dall’esterno uno
schema ordinato agli elementi chimici, si sostituì ben presto il tentativo di identificare
un ordine naturale, che prese corpo nel concetto di periodicità, cioè dell’esistenza di una
ripetizione periodica delle loro proprietà. Sebbene la sua evoluzione si sia completata
nel 1869 nella sintesi raggiunta da Mendeleév, il concetto di periodicità si sviluppò in
differenti stadi entro un periodo di circa dieci anni. All’origine di questo processo stavano due fattori: il primo fu l’accettazione della legge degli atomi, formulata dal chimico
palermitano Stanislao Cannizzaro (1826-1910) intorno al 1858 e presentata al primo
Congresso internazionale dei chimici (Karlsruhe, 1860); essa, non solo chiarì la differenza tra atomo e molecola, ma consenti di stabilire in maniera definitiva e accurata il
valore del peso atomico dei differenti elementi, che venne riconosciuto come loro proprietà distintiva, sia a livello macroscopico che microscopico. Il secondo fu la scoperta
di un notevole numero di nuovi elementi, grazie alle tecniche spettroscopiche di analisi:
avere più elementi su cui lavorare avrebbe reso più facile individuarne un ordine intrinseco generale e non casuale. Infine, il graduale abbandono dell’ipotesi di Prout allentò
la ricerca di relazioni nette e espresse da numeri interi tra i pesi atomici degli elementi, e
23
24
G. B. Kauffman, J. Chem. Educ., 46 (1969) 128-135;
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 92;
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portò i chimici a focalizzare la loro attenzione su altre regolarità numeriche tra gli elementi. Si rinunciò a individuare triadi o piccoli gruppi isolati, dedicandosi alla ricerca di
un sistema integrato, che includesse in maniera significativa tutti gli elementi noti.
Il primo ad accorgersi che le proprietà degli elementi sono funzione periodica
del loro peso atomico fu il geologo francese Alexandr-Emile Beguyer de Chancourtois (1820-1886)25, personaggio eclettico, che provò sia a rendere sistematiche le conoscenze sui minerali, le geologia e la geografia, che a produrre una forma di alfabeto universale. Negava qualsiasi individualità agli elementi perché riteneva che ciascuno di essi
risultasse dalla somma di quelli che lo precedono e potesse dissolversi in essi26. Aveva
notato che i pesi atomici di due elementi consecutivi appartenenti alla stessa famiglia
differivano di una quantità molto prossima a 16 (che corrisponde al peso atomico dell’ossigeno), come mostrato in tabella.
differenza
Li = 7
Na = 23
16
Be = 9
Mg = 24
15
Bo = 11
Al = 27
16
C = 12
Si = 28
16
N = 14
P = 31
17
O = 16
S = 32
16
F = 19
Cl = 35
16
Convinto sostenitore della concezione pitagorica che le proprietà delle sostanze
siano le proprietà dei numeri, nel 1862 propose una nuova rappresentazione geometrica,
distribuendo gli elementi su una struttura tridimensionale, in funzione del loro peso atomico. In realtà, usò i pesi equivalenti, ma poiché ne moltiplicò molti per due, ottenne
valori molto prossimi a quelli di Cannizzaro, arrotondandone molti alla cifra intera più
prossima in accordo con l’ipotesi di Prout. Costruì un cilindro di cartone e ne divise la
superficie laterale in 16 parti eguali, tracciando su di esso una linea che formava un angolo di 45° con la base27. Ogni elemento era posizionato sulla linea, a un’altezza proporzionale al suo peso atomico; l’ossigeno completava il primo giro, il diciassettesimo elemento si trovava sopra il primo e così via. Chiamò questa disposizione vis tellurique
(vite del tellurio), sia perchè il tellurio stava al centro della spirale, sia per far riferimento alla terra28. La spirale sembrava rivelare una disposizione ordinata degli elementi,
perché i componenti di alcune delle triadi di Döbereiner e i componenti di molte famiglie chimiche si trovavano effettivamente l’uno sopra l’altro in una linea verticale; inoltre, si poteva identificare una tetrade, costituita da ossigeno, zolfo, selenio e tellurio,
25
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 68;
G. Villani, La chiave del mondo, CUEN, Napoli (2001) 142;
27
J. Emsley, The elements, Oxford University Press, 3rd ed. (1998);
28
G. Villani, La chiave del mondo, CUEN, Napoli (2001) 143;
26
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che avevano pesi atomici molto prossimi ai multipli di 16. Altre parti della vite, però,
mostravano colonne di elementi con proprietà diverse l’uno dall’altro 29, mentre nella
rappresentazione erano inclusi anche lo ione ammonio, il radicale metile, il cianogeno,
alcuni ossidi e acidi e persino qualche lega30. Il sistema non riscosse molto successo
presso i chimici, sia perchè la prima pubblicazione, senza un’immagine della spirale,
per la complessità tipografica di realizzarla, risultò complicata da interpretare, sia perché, proprio per la sua forma a spirale, il sistema non rappresentava in maniera convincente le similarità chimiche31.
Un metodo di classificazione differente, ormai svincolato da ogni disposizione
geometrica, fu messo a punto da John Alexander Reina Newlands (1837-1898), inglese di madre italiana, che aveva preso parte alla spedizione di Garibaldi in Sicilia (1860).
Nel suo primo tentativo di classificazione (1863) egli, utilizzando i pesi atomici rivisti
da Gerhardt (visto che non era stato presente a Karlsruhe e non era a conoscenza delle
proposte di Cannizzaro) presentò una tabella costituita da 11 gruppi di elementi dalle
proprietà analoghe, i cui pesi atomici differivano di 8 unità o multipli di 8. L’anno successivo, utilizzando i pesi atomici di Cannizzaro, divulgati in Inghilterra da Williamson,
costruì una tabella nella quale, in sei gruppi di elementi simili, la differenza tra il peso
atomico del primo elemento e quello del secondo era di 16, anziché 8. Non avendo però
trovato anche per gli altri elementi questa regolarità, nello stesso 1864 pubblicò una terza tabella nella quale, anche se gli elementi erano disposti secondo il peso atomico crescente, e raggruppati secondo la somiglianza delle proprietà, non erano più riportati né i
pesi atomici, né le loro differenze, ma soltanto un numero intero, che ne indicava la posizione nella serie ordinata32. L’aspetto più interessante di questa tabella è che essa presenta un sistema periodico, cioè rivela uno schema di ripetizione delle proprietà degli
elementi, ad intervalli regolari. Nel 1865, propose un nuovo sistema contenente 65 elementi: disponendoli secondo il loro peso atomico crescente, notò che le loro proprietà
chimiche si ripetevano ogni sette elementi. Costruì una tabella di sette colonne orizzontali, con quelli simili nella stessa riga: colpito dall’analogia con la scala musicale di sette note, con l’ottava che assomiglia alla prima e inizia una nuova serie di sette, chiamò
legge delle ottave questa regolarità. Questa legge segna un passaggio importante nello
29
J. Emsley, About_com http--www.chemsoc_org-viselements-pages-history.htm;
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 69;
31
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 69;
32
J. R. Partington, A short History of Chemistry, Dover Publications Inc., New York (1989) 345;
30
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
12
3. La classificazione in Chimica
sviluppo del sistema periodico, perché costituisce il primo chiaro annuncio di una nuova
legge di natura che regola la ripetizione delle proprietà degli elementi, dopo certi intervalli, nella loro sequenza. Va infatti ribadito che l’aspetto più importante del processo di
classificazione non è la costruzione di una tabella, ma l’identificazione di una legge naturale, della quale la tabella costituisce soltanto una rappresentazione grafica33.
La legge delle ottave sembrava incorporare anche quelle saltuarie rassomiglianze
racchiuse nelle triadi di Döbereiner, ma presentava alcuni difetti. Per disporre gli elementi in gruppi di 7, si era dovuto adottare un criterio di similitudine molto elastico: per
esempio, nella prima serie erano posti insieme elementi che poco avevano in comune, e
in alcuni casi due elementi erano inseriti nella stessa casella. Infine, le proprietà degli
elementi più pesanti, semplicemente non corrispondevano a quelle degli elementi delle
serie precedenti e non esistevano spazi vuoti per gli elementi ancora da scoprire 34. Newlands, però, seppe riconoscere silicio e stagno come elementi di una triade alla quale
mancava l’elemento centrale, cui assegnò un peso atomico di 73 (risultò poi 72,6), ma
non pensò di riservagli una casella vuota, dimostrando di non aver saputo formulare una
teoria generale, svincolata dai limiti dei dati sperimentali a sua disposizione 35. La legge
delle ottave si applica perfettamente ai primi due periodi (nei quali mancavano i gas nobili non ancora scoperti), ma con gli altri periodi la situazione è più ingarbugliata. Così,
quando, nel 1865, le comunicò alla Royal Society, le regolarità da lui evidenziate furono ritenute semplici coincidenze, ridicolizzate dal sarcasmo generale e dimenticate fino
al 1887, quando gli fu conferita la Medaglia Davy, a riconoscimento del fatto che egli
era stato il primo a porre su salde basi l’idea di una distribuzione regolare degli elementi36.
Negli stessi anni William Odling (1829-1921) pubblicò una tabella, che sarebbe
risultata molto simile a quella di Mendeléev, ma che non ebbe molta diffusione, anche
perché escluse 7 degli elementi noti, senza spiegare con quali criteri. Quello che era
mancato a tutti questi tentativi era una visione globale del problema: malgrado si fossero riconosciute similitudini e analogie entro gruppi di elementi, differenti da quelle di
altri gruppi, non si era cercato di prendere in considerazione le variazioni dei differenti
parametri chimici e fisici di tutti gli elementi.
33
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 77;
G. Gorin, J. Chem. Educ., 73 (1996) 490;
35
J. Emsley, About_com http--www.chemsoc_org-viselements-pages-history.htm;
36
P. Strathern, Mendeleyev’s Dream, Penguin, London (2000) 260-1;
34
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
13
3. La classificazione in Chimica
Invece, Julius Lothar Meyer (1830-1895) mise in relazione il peso atomico degli elementi con il loro volume atomico, calcolato dal rapporto tra peso atomico e densità; questo costituiva un parametro macroscopico direttamente riconducibile al volume
microscopico occupato da un singolo atomo, e quindi costituiva un criterio per effettuare paragoni quantitativi tra gli elementi. Disposti in un grafico, i volumi atomici mostravano, al crescere del peso atomico, un andamento ondulatorio, con dei massimi, corrispondenti ai metalli alcalini (litio, sodio, potassio, rubidio e cesio), alternati a minimi.
L’intervallo tra due massimi consecutivi costituiva il periodo dell’oscillazione:
si scoprì che, entro ciascun periodo, anche altre proprietà fisiche mostravano lo stesso
andamento. Considerato l’idrogeno come l’unico elemento del primo periodo, il secondo e terzo periodo del grafico di Meyer erano costituiti effettivamente da sette elementi,
mentre i successivi erano molto più numerosi: l’errore di Newlands era stato quello di
volere a tutti i costi costituire gruppi di sette elementi.
Nel suo testo di chimica, Die Moderne Teorie der Chemie, scritto nel 1862 e
pubblicato nel 1864, egli dispose gli elementi chimici in ordine di peso atomico crescente, in una tabella nella quale esisteva una relazione orizzontale tra gli elementi, che,
da sinistra verso destra, mostravano una valenza che diminuiva da 4 a 1, per poi risalire
fino a 2. Quindi, Meyer non usava soltanto il peso atomico, ma anche le proprietà chimiche degli elementi per disporli in una serie ordinata, addirittura invertendo l’ordine
dei pesi atomici per posizionare il tellurio sotto ossigeno, zolfo e selenio, tutti a valenza
2. Costruì due tabelle differenti, disponendo nella prima quelli che noi chiamiamo elementi dei gruppi principali e nella seconda gli elementi di transizione, Infine, lasciò spazi vuoti, in attesa di riempirli con elementi ancora da scoprire, provando a indovinarne il
peso atomico. Nel gruppo a valenza 4, tra silicio e stagno, lasciò un posto vuoto, calcolando il peso atomico come media di quelli di silicio e stagno37.
2. Mendeléev: la scoperta di un ordine naturale.
Come si vede, molti chimici si stavano avvicinando alla soluzione del problema,
almeno dal punto di vista formale, e questo avrebbe creato non poche dispute sulla priorità, spesso alimentate da rivalità nazionalistiche. Come sempre nelle Scienze, il problema non era temporale, ma sostanziale e il merito va ascritto, senza ombra di dubbio, a
37
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 93-8;
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3. La classificazione in Chimica
Dmitrij Ivanovič Mendeléev (1834-1907), per l’impostazione che diede al problema e
per il modo in cui seppe utilizzare le relazioni che scoprì. Anche se si possono avanzare
dubbi sulla sua priorità nell’elaborare un sistema periodico degli elementi, la sua versione fu quella che ebbe il maggiore impatto sulla comunità scientifica, sia quando fu proposta, che negli anni a venire; non si può negare che Mendeléev ne fu il campione, nel
senso che si adoperò per propagandarla, difendendone la validità ed elaborandola ulteriormente, mentre nessuno degli altri che avevano proposto un simile sistema prima di
lui cercò di esplorarne le implicazioni.
Come altri prima di lui, Mendeléev affrontò il problema, spinto da esigenze didattiche; nel compilare i Principi di Chimica, un manuale per studenti, cercava la maniera più logica e razionale per presentare il materiale, diviso in capitoli, per ogni famiglia chimica38. Era convinto che fosse necessario seguire qualche principio universale
intrinseco che consentisse di ordinare gli elementi39, ma, rispetto agli altri compilatori,
invertì l’approccio e, invece di tentare di imporre delle regole alla natura, si lasciò guidare da essa, immaginando che esistesse a priori una legge di regolarità, alla quale doversi conformare, razionalizzando su di essa la posizione degli elementi, già noti o no40.
La scelta dei criteri da seguire fu lunga e meditata: Mendeléev diffidava delle
qualità, sia chimiche come la reattività, che talvolta era eccessiva, talvolta inesistente,
sia fisiche come l’isomorfismo; più rassicurante era il criterio quantitativo espresso dal
peso atomico che, con la sua invarianza durante le trasformazioni chimiche e fisiche,
costituiva l’unico parametro che consentiva di ordinare gli elementi in modo certo.
Alcuni anni prima (1861), compilando un trattato di chimica organica, era stato
colpito dal fatto che, entro ciascuna serie omologa, diverse proprietà fisiche (densità,
punto di ebollizione, ecc.) erano correlate ai rispettivi pesi molecolari41. Si chiese, perciò, se non esistesse una analoga relazione anche tra gli elementi; per questo, il suo primo passo, non fu raggruppare gli elementi secondo le caratteristiche simili, ma semplicemente disporli secondo il valore crescente dei pesi atomici. Così, guidato dalla sua
profonda, enciclopedica, conoscenza delle diverse branche della Chimica (organica,
inorganica, fisica), analizzò e valutò i fatti con un’ampiezza e profondità che nessuno
38
J. Solov’ev, L’evoluzione del pensiero chimico dal ‘600 ai giorni nostri, Mondadori EST, Milano
(1976) 269;
39
P. Strathern, Mendeleyev’s Dream, Penguin, London (2000) 279;
40
J. Emsley, About_com http--www.chemsoc_org-viselements-pages-history.htm;
41
T. H. Levere, Transforming Matter, The John Hopkins University Press, Baltimore, (2001) 118;
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
15
3. La classificazione in Chimica
dei suoi contemporanei possedeva, e mise in evidenza come, disposti in questo modo,
gli elementi mostravano una variazione periodica delle loro proprietà.
Per quanto riguarda il parametro rivelatore della periodicità, a differenza di
Meyer che aveva preferito utilizzare parametri fisici come il volume atomico, la densità,
il punto di fusione, Mendeléev diede più importanza alle somiglianze chimiche, come la
reattività nei confronti degli altri elementi, la natura dei sali, i sali insolubili cui davano
luogo, il comportamento acido-base. Come parametro numerico rappresentativo di questo comportamento chimico scelse la valenza, che indicava il numero di atomi di idrogeno con i quali un atomo di ciascun elemento si combinava. Mendeléev notò che, sistemati gli elementi secondo il peso atomico crescente, essa cresceva e poi diminuiva con
un andamento periodico.
Partendo da questi presupposti, occorreva un colpo di genio per razionalizzare la
distribuzione: “Vidi in sogno una tabella nella quale tutti gli elementi andavano al loro
posto, come richiesto. Svegliatomi, la trascrissi subito su un pezzo di carta”. Quello dell’ispirazione che viene attraverso i sogni era un motivo ricorrente nella Chimica ottocentesca: per esempio, anche Kekulé attribuì a un sogno l’intuizione della struttura ad
anello del benzene (1865). Non c’è dubbio che i momenti di riflessione incontrollata
che si realizzano durante il sonno possano favorire l’insorgere di intuizioni a lungo cercate, ma questo non deve far perdere di vista l’altro grosso contributo alle scoperte
scientifiche, che viene da tutto il lavoro svolto in precedenza. La versione più accreditata, da lui stesso fornita - anche se molti storici non concordano42 - è che Mendeléev abbia trascritto il nome e le principali proprietà di ciascun elemento su un diverso cartoncino, rigirando, per giorni interi, questi cartoncini tra le mani, senza arrivare a nessuna
conclusione, fino a quando non provò a ordinarli secondo le regole del solitario, allineando le carte secondo il seme e il valore numerico decrescente: così, nel solitario chimico, le carte (gli elementi) andavano ordinate secondo il seme (cioè le famiglie chimiche) e, in ogni riga, secondo la sequenza dei loro pesi atomici, come mostrato in figura43.
F = 19 Cl = 35 Br = 80 I = 127
O = 16 S = 32 Se = 79 Te = 128
N = 14 P = 31 As = 75 Sb = 122
42
43
♣
♠
♦
♥
K
K
K
K
Q J 10
Q J 10 9
Q
Q J 10 9 8
P. Ball, The Ingredients, Oxford University Press, Oxford, (2002) 99;
P. Strathern, Mendeleyev’s Dream, Penguin, London (2000) 284;
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
16
3. La classificazione in Chimica
Nelle due settimane successive al sogno, riordinò le idee, organizzò il materiale,
e pubblicò una memoria dal titolo Correlazione delle proprietà con i pesi atomici degli
elementi (1869), nella quale indicava il peso atomico come il principio unificatore, che
ordina gli elementi in modo da evidenziare la legge di periodicità, cioè il ripetersi periodico delle proprietà. Piuttosto che rappresentare graficamente la periodicità, come avevano fatto Meyer e Chancourtois, costruì una tabella, come quella di Newlands, che
pubblicò esattamente un anno prima di Meyer e che chiamò tavola periodica degli elementi (1869). Nella prima versione, gli elementi sono ordinati in colonne, secondo il
peso atomico crescente, dall’alto verso il basso, in modo che, nelle righe orizzontali, si
trovino gli elementi con caratteristiche simili.
E’ importante capire il modus operandi di Mendeléev riguardo al posizionamento degli elementi nel sistema periodico, se vogliamo cogliere il motivo che giustifichi
molte delle correzioni dei pesi atomici che propose e la sua previsione di elementi sconosciuti. Oltre ad una disposizione ordinata in funzione dei pesi atomici, prese in considerazione un certo numero di criteri, come le rassomiglianze familiari tra gli elementi e
il concetto di singola occupazione di ciascuna casella nella tabella periodica44.
Per mantenersi fedele ai criteri adottati, e sistemare nella stessa colonna gli elementi con la stessa valenza, non esitò a compiere scelte rivoluzionarie: essendo noti
solo 12 elementi di peso atomico compreso tra quello del calcio e quello del bromo, decise di lasciare vuoti tre posti, uno dopo il calcio e due dopo lo zinco 45; piuttosto che
considerarli imperfezioni del modello, ebbe il coraggio di sostenere che questi vuoti
corrispondessero ad elementi ancora da scoprire e che presto sarebbero stati riempiti.
Assegnò il valore 2, poi rivelatosi corretto, alla valenza del Glucinio (Berillio), per il
quale Berzelius riteneva di aver determinato sperimentalmente la trivalenza46. I valori
dei pesi atomici disponibili per indio (75) cerio (92) e uranio (116) lo costrinsero a sistemarli in posizioni che non lo soddisfacevano dal punto di vista chimico; perciò, nel
1870 si procurò tre campioni puri di questi metalli e ne determinò il calore specifico,
per poterne ricalcolare i pesi atomici utilizzando la legge di Dulong e Petit. Trovò, rispettivamente, i valori di 113, 138 e 240, che gli consentirono una migliore sistemazio-
44
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 125;
G. Gorin, J. Chem. Educ., 73 (1996) 490;
46
J. Emsley, About_com http--www.chemsoc_org-viselements-pages-history.htm;
45
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
17
3. La classificazione in Chimica
ne d questi elementi nella successiva tabella del 187147,48. Invertì le posizioni di Tellurio
(più pesante) e Iodio (più leggero), perché il primo aveva valenza due, il secondo uno, e
questo riproduceva le variazioni della valenza nei periodi precedenti. Mendeléev dichiarò che le determinazioni dei pesi atomici erano sbagliate e che lo iodio dovesse essere il
più pesante dei due; in realtà, questa assunzione risultò non corretta, ma dimostra come
egli fosse disposto a sostenere il prevalere dell’analogia anche contro ogni tipo di evidenze sperimentali49. L’introduzione di un paio di inversioni nella tabella fu istintiva e
non potè essere giustificata pienamente per almeno mezzo secolo. Inoltre, il criterio della variazione periodica delle valenze gli consentì di risolvere il problema che aveva travagliato i suoi predecessori, soprattutto Newlands: confermò per i primi due periodi la
legge delle ottave (7 elementi ciascuno), ma per poter porre bromo e iodio in corrispondenza di fluoro e cloro, dovette disporre 17 elementi nel terzo e quarto periodo.
Nel 1871, ai tre elementi ancora da scoprire, che si trovavano in prossimità di
Boro, Alluminio e Silicio, assegnò un nome provvisorio (Ekaboro, Ekalluminio, Ekasilicio) e provò a prevederne le proprietà. Per ciascuno di essi, calcolò il peso atomico
dalla media dei pesi atomici dei quattro elementi limitrofi, uno sopra, uno sotto, due ai
lati50, ma, a differenza di Meyer, calcolò altre grandezze, come i punti di fusione o ebollizione, la densità, le caratteristiche chimiche degli ossidi e dei sali più comuni. Infine,
visto il notevole divario tra i pesi atomici di Cerio (140) e Tantalio (182), inserì tra essi
non uno, ma numerosi posti vuoti51.
Nel 1872 elaborò una nuova versione della tabella, nella quale il peso atomico
cresceva lungo le righe e gli elementi simili erano disposti nella stessa colonna; essa era
costituita da 8 colonne, ciascuna contraddistinta da un numero romano (da I a VIII) corrispondente alla valenza, ricavata dalla formula dell’ossido superiore. In questo modo,
però, si venivano a trovare nella stessa colonna elementi per altro diversi, per esempio
metalli e non metalli, che davano ossidi della stessa formula, come V2O5 e N2O5, che
mostravano proprietà e comportamento chimico molto diversi. Mendeléev separò le colonne in due sottogruppi, A e B, così che il vanadio appartenesse al gruppo V A e l’azo47
M. Laing, J. Chem. Educ., 85 (2008) 63-7;
B. Bensaude-Vincent e I. Stengers, A History of Chemistry, Harvard University Press, Cambridge
(U.K.), (1996) 142;
49
D. Knight, Ideas in Chemistry, Rutgers University Press, New Brunswick (1992) 135;
50
I. Asimov, Breve Storia della Chimica, Zanichelli (BO) (1979);
51
J. Emsley, About_com http--www.chemsoc_org-viselements-pages-history.htm;
48
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
18
3. La classificazione in Chimica
to al V B52. La similitudine chimica era per lui così importante, da indurlo a violare il
criterio che lui stesso si era imposto sulla singola occupazione delle caselle: pose infatti
in una singola casella (più larga delle altre), gli elementi del gruppo VIII, come ferro,
cobalto e nichel53.
Quando, entro circa quindici anni, queste previsioni si furono rivelate corrette,
l’elemento acquistò un nuovo stato ontologico, passando da qualcosa che viene isolato
alla fine di un esperimento, a un individuo definito dalle sue relazioni e dalla posizione
che occupa nello schema generale54. La tabella non era più soltanto quello per cui era
stata concepita, cioè una maniera di arrangiare gli elementi in un formato compatto, a
beneficio della migliore comprensione degli studenti, ma rappresentava un codice nel
quale erano elencati gli elementi, le loro proprietà, il loro comportamento 55, e uno strumento per dedurre le proprietà degli elementi sconosciuti, da quelle degli elementi noti
che li circondano56. Da un punto di vista filosofico, in questa tabella, l’universo si stratifica e si semplifica: ogni elemento risulta dall’intersezione di due linee di discendenza.
Il periodo segue quella orizzontale e comprende sostanze con caratteristiche chimiche
molto differenti, ma con pesi atomici simili e perciò con proprietà fisiche vicine. I gruppi seguono la discendenza verticale, e raccolgono elementi con pesi atomici molto diversi, ma con proprietà chimiche simili: quest’ultima è generalmente più importante57.
Il segreto del suo successo fu l’elasticità mentale e la disponibilità concettuale
ad adattarsi alle evidenze sperimentali, senza cercare di imbrigliarle. Riuscì così ad evitare i due rischi che avevano portato al fallimento a priori tutti gli altri tentativi: quello
di semplificare troppo, perdendo di vista la varietà, e quello di dare troppa enfasi alla
pluralità, che impedisce di costruire un insieme ordinato. Cercò, come tutti gli altri, un
principio conduttore, ma non gli fu mai fedele fino in fondo: si mosse con disinvoltura
nella regolarità della crescita dei pesi atomici, ma seppe ignorarla quando il suo rispetto
strideva con l’armonia che cercava, danzò su e giù con la valenza degli elementi, ma la
cambiò d’ufficio quando non seguiva il suo ritmo.
52
J. Emsley, The elements, Oxford University Press, 3rd ed. (1998);
E. R. Scerri, The Periodic Table, Oxford University Press (2007) 125;
54
B. Bensaude-Vincent e I. Stengers, A History of Chemistry, Harvard University Press, Cambridge
(U.K.), (1996) 142;
55
P. Ball, The Ingredients, Oxford University Press, Oxford, (2002) 82;
56
D. Knight, Ideas in Chemistry, Rutgers University Press, New Brunswick (1992) 135;
57
G. Villani, La chiave del mondo, CUEN, Napoli (2001) 142-3;
53
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
19
3. La classificazione in Chimica
La genialità di questo approccio consiste nell’aver organizzato coerentemente
tutte le informazioni note, fornito una chiara strategia di sviluppo della ricerca e contribuito a riformare l’impostazione didattica della Chimica58. Vide nella legge della periodicità una conferma all’armonia universale della Natura, già rivelata da Newton per i
corpi celesti e confermata dai principi di conservazione della massa e dell’energia 59.
Essa indicava che il mondo degli elementi sottintendeva un ordine che, fino a quel momento, era sfuggito, e rendeva la scoperta dei nuovi elementi non più un avvenimento
occasionale, ma il risultato di una necessità immanente alla struttura relazionale della
materia che, per la prima volta, poteva essere progettata. Era confermata l’individualità
e l’indipendenza degli elementi chimici, giustificata dalla specificità della loro massa
atomica e quindi dal principio generale manifestato nella gravitazione 60. Con Mendeléev
la classificazione, non raggruppa o condensa il sapere, ma lo eleva e lo teorizza; fino ad
allora si era classificato ciò che si conosceva, da quel momento in poi fu la classificazione a fornire nuove conoscenze61.
Sebbene Mendeléev avesse fermamente rifiutato l’ipotesi di Prout, che considerava una regressione nel mondo fantasioso dell’alchimia, paradossalmente la sua classificazione periodica fu accolta dai suoi contemporanei come un argomento decisivo a favore della riduzione di tutti gli elementi ad un unico elemento primordiale; per questo,
Marcelin Berthelot la criticò nel Les Origines de l’alchimie62.
La comunità chimica reagì con scetticismo alle previsioni di Mendeléev, almeno
fino a quando i primi elementi mancanti non furono effettivamente scoperti. Anche se
questo portò a riconoscere la tabella periodica come una delle più grandi realizzazioni
scientifiche, essa non fu mai considerata un’icona, al di sopra di ogni correzione e revisione. Sin dalla sua comparsa, è stata oggetto di un’ampia discussione sulla corretta posizione degli elementi, la sua struttura globale, l’impatto della scoperta degli isotopi, il
suo significato per la chimica contemporanea. Nonostante le controversie che l’hanno
circondata, essa si è però dimostrata uno strumento di enorme valore per generazioni di
58
F. Greenaway, Chem. in Brit., 5 (1969) 97;
A. Di Meo, Atomi e molecole nella chimica del XIX secolo, in G. Villani - Molecole, CUEN, Napoli
(2001), pagg 61 - 98;
60
I. Asimov, Breve Storia della Chimica, Zanichelli (BO) (1979);
61
G. Villani, La chiave del mondo, CUEN, Napoli (2001) 145;
62
B. Bensaude-Vincent e I. Stengers, A History of Chemistry, Harvard University Press, Cambridge
(U.K.), (1996) 142;
59
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
20
3. La classificazione in Chimica
chimici63, capace di adattarsi, senza subire contraccolpi devastanti, anche alla introduzione di intere nuove famiglie, come quelle dei gas nobili o dei lantanidi.
Il criterio su cui essa si basava, la dipendenza delle proprietà chimiche degli elementi dal loro peso atomico, ben presto si sarebbe rivelato non corretto, ma, quando fu
enunciata, non esisteva niente che, meglio del peso atomico, caratterizzasse quantitativamente un elemento: fu proprio la regolarità saldamente costruita da Mendeléev a indirizzare i ricercatori che lo seguirono verso la corretta identificazione dell’origine delle
differenze chimiche degli elementi.
3. Rutherford: la struttura nucleare.
Prima però doveva realizzarsi un’ultima rivoluzione nella Chimica, ma soprattutto nella Fisica, che avrebbe messo in crisi il concetto fondamentale dell’indivisibilità
dell’atomo, anche se, con buona pace di Dalton, fu presto chiaro che l’indivisibilità delle entità chimiche elementari, che partecipano inalterate alle reazioni, poteva conciliarsi
con la loro divisibilità fisica.
Dopo che, nel 1897, ebbe identificato l’elettrone, la prima particella subatomica,
presente negli atomi di tutti gli elementi, portatrice della carica elettrica unitaria, Joseph
John Thomson (1856-1940) cominciò ad elaborare l’idea che essa fosse anche il costituente elementare dell’edificio atomico. Per giustificare il fatto che, in condizioni normali, l’atomo è neutro, era necessario ammettere che in esso fossero presenti anche un
eguale numero di cariche positive, con l’ulteriore problema di disporre tutte queste cariche al suo interno. Una prima ipotesi, sostenuta da Jean Perrin (1870-1942), anche se
non suffragata da evidenze sperimentali, supponeva che la carica positiva fosse concentrata in uno o più nuclei, per esempio come in un sistema solare in miniatura, nel quale
gli elettroni si muovevano come pianeti; questo modello risultava, però, instabile dal
punto di vista elettromagnetico. L’ipotesi alternativa fu formulata Lord Kelvin
(1824-1907) nel 1902 e da Thomson (1904), nella comunicazione intitolata On the
structure of the atom: poiché negli elettroni gli elettroni era concentrata tutta la massa
atomica64, un atomo ne doveva contenere migliaia, disposti all’interno di una matrice
sferica di carica positiva, su anelli concentrici, a intervalli regolari. In realtà, già intorno
al 1906, esperimenti di dispersione della luce o assorbimento di elettroni sembravano
63
64
D. H. Rouvray, Chem. in Brit., 30 (1994) 371;
G. Villani, La chiave del mondo, CUEN, Napoli (2001) 153;
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
21
3. La classificazione in Chimica
dimostrare che il loro numero fosse dello stesso ordine di grandezza del peso atomico.
Questo modello aveva il vantaggio di giustificare la stabilità delle cariche elettriche all’interno dell’atomo, anche quando gli elettroni erano in movimento. Inoltre, la possibilità di distribuire un gran numero di elettroni in anelli concentrici, e in maniera molto
regolare, sembrava costituire un punto di partenza valido per spiegare fisicamente le periodicità espresse dalla tabella di Mendeléev. Infatti, quando ad un atomo costituito da
un certo numero di elettroni disposti su anelli si aggiungeva un nuovo anello di elettroni, si otteneva un atomo diverso, che però apparteneva allo stesso gruppo della tabella
periodica: in altre parole, nello stesso gruppo erano ospitati atomi che differivano tra di
loro per il numero di anelli di elettroni65.
Negli stessi anni, si approfondivano gli studi sulle particelle α, identificate, nel
1899 da Ernest Rutherford (1871-1937), e responsabili, con le radiazioni β e γ (identificate da Paul Villard), della radioattività dell’Uranio. Rutherford aveva dimostrato che
si trattava di atomi di Elio, con carica positiva66. Data la loro massa, molto maggiore di
quella degli elettroni e della possibilità di accelerarli in un campo elettrico, essi costituivano proiettili massicci e carichi, che potevano essere usati per bombardare differenti
materiali. Nel 1908, Johannes Hans Wilhelm Geiger (1882-1945) mostrò che, attraversando materiali sia solidi che gassosi, queste particelle erano notevolmente deviate:
insieme a un altro allievo di Rutherford, Ernest Marsden (1889-1970), bombardò con
un fascio di particelle α ben collimate lamine d’oro così sottili da potersi ritenere costituite da pochi strati atomici. In due articoli, pubblicati nel 1910 e 1911, comunicarono
che, dopo l’impatto con le lamine, la maggior parte delle particelle α le attraversavano
senza deviare, altre subivano apprezzabili deviazioni e qualcuna, addirittura, era respinta indietro, a testimonianza del fatto che entravano in gioco forze enormi, sconosciute,
ma certo non imputabili agli elettroni, quanto piuttosto a una sorgente di campi molto
intensi67. Per questo, Rutherford avanzò l’ipotesi che la massa dell’atomo dovesse essere
concentrata in un volume molto ristretto, nel quale erano confinate anche tutte le cariche
positive, e cui solo l’anno successivo diede il nome di nucleo68. La rimanente prevalente
parte del volume atomico, nella quale orbitava un numero di elettroni tale da garantire la
65
E Bellone, L’atomo e la radioattività, in Storia della Scienza moderna e contemporanea, ed. P. Rossi,
TEA, Milano, (2000), vol. III, 342-6;
66
L. Pauling, General Chemistry, Dover Publications Inc., New York (1988);
67
E Bellone, L’atomo e la radioattività, in Storia della Scienza moderna e contemporanea, ed. P. Rossi,
TEA, Milano, (2000), vol. III, 349;
68
W. A. Smeaton, Chem. in Brit., 1 (1965) 353;
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
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3. La classificazione in Chimica
neutralità elettrica, era priva di massa, e questo spiegava come mai la maggior parte delle particelle α attraversa il foglio metallico senza subire deviazioni.
Accettare questa ipotesi significava suscitare nuovi quesiti: per esempio, se fosse
ancora accettabile l’ipotesi di Dalton della diversità degli atomi dei diversi elementi,
come la diversità dei pesi atomici si riflettesse sui nuclei, quante cariche elettriche fossero presenti nell’atomo di ciascun elemento, e dove risiedesse la massa atomica, vista
l’esiguità di quella elettronica.
Il fisico inglese Charles Glover Barkla (1877-1944) notò che l’impatto dei raggi catodici su anticatodi costituiti dagli elementi più leggeri (fino a peso atomico 32) generava raggi X di due tipi differenti; uno con un maggior potere di penetrazione entro
sottili fogli di alluminio (radiazioni K) l’altro meno penetranti (radiazioni L) 69. Nel
1911, giunse alla conclusione che, entro ciascuna serie, ogni elemento generava raggi X
di energia differente, il cui valore poteva essere giustificato, sulla base dell’ipotesi di
Thomson, se si ammetteva che nel nucleo di ciascun elemento fosse presente un diverso
numero di cariche positive; avanzò l’ipotesi che questo numero intero fosse approssimativamente eguale a metà del peso atomico dell’elemento70 (e quindi crescesse con il peso
atomico) e che potesse essere il numero di cariche elettriche di un elemento a determinarne la posizione nella tabella periodica, piuttosto che il suo peso.
Nella discussione si inserì un avvocato olandese, che si dilettava di scienze, Antonius Johannes van den Broek (1870-1926): partendo dall’osservazione che le differenze tra i pesi atomici di due elementi adiacenti sono spesso eguali a due unità, aveva
concluso che la loro carica dovesse differire esattamente di una unità. In una lettera,
pubblicata su Nature il 20 Luglio 1911, suggerì che a ogni possibile valore intero della
carica intraatomica corrispondesse un differente elemento, il cui peso atomico doveva
essere approssimativamente il doppio. Allora, per ciascun elemento, la carica nucleare
doveva essere eguale al suo numero di serie nella disposizione secondo i pesi atomici
crescenti. Sulla base di considerazioni teoriche, assumendo che la grandezza della carica
centrale fosse proporzionale al peso atomico A, Rutherford aveva dimostrato che il numero delle particelle α deviate da fogli contenenti lo stesso numero di atomi di differenti
elementi, dovesse essere proporzionale ad A2. Geiger e Marsden determinarono il rapporto tra queste due grandezze per diversi elementi, dal carbonio all’oro, e lo trovarono
69
70
L. Pauling, General Chemistry, Dover Publications Inc., New York (1988) 129n;
W. A. Smeaton, Chem. in Brit., 1 (1965) 353;
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3. La classificazione in Chimica
accettabilmente costante, con un leggero aumento al diminuire del peso atomico 71. Invece, van der Broek, usando gli stessi dati sperimentali, li divise per il quadrato di M, numero d’ordine degli elementi nella tabella periodica: ottenne dei valori effettivamente
costanti, senza nessuna variazione sistematica, e con una deviazione standard inferiore
al 2%72. Questo risultato dava un senso ancora più profondo alla tabella di Mendeléev,
ma negava ogni relazione tra la carica nucleare e il peso atomico. In questo modo era
possibile guardare con occhi diversi la perfetta costruzione della tavola periodica: ai più
attenti non era sfuggita la possibilità che essa offriva di risolvere finalmente la questione
riguardante l’esistenza di una particella elementare che fosse alla base della costituzione
degli atomi e il cui numero determinasse le diversità sia qualitative che quantitative degli elementi.
4. Moseley: la correlazione tra numero atomico e struttura nucleare.
Nel 1913, un altro allievo di Rutherford, Henry Gwyn-Jeffreys Moseley
(1887-1915), allo scopo di verificare l’ipotesi di van der Broek73, completò, in appena
sei mesi, uno studio sulle emissioni di raggi X da parte anticatodi costituiti da 36 elementi (da alluminio a oro), registrandone gli spettri con una tecnica da lui stesso messa
a punto. Faceva collidere i raggi X su un reticolo di diffrazione costituito da un cristallo
di ferrocianuro di potassio, registrandone, su una lastra fotografica, le righe dello spettro, e misurandone la lunghezza d’onda: trovò che, anche per gli elementi più pesanti,
all’aumentare del peso atomico, diminuiva la lunghezza d’onda dei raggi X emessi.
Mentre Barkla aveva valutato l’energia delle radiazioni dalla profondità della loro penetrazione in sottili fogli di alluminio, Moseley la determinò effettivamente dalla loro lunghezza d’onda e la confrontò con i parametri caratteristici di ciascun elemento.
Per trovare una semplice relazione tra la lunghezza d’onda e un parametro caratteristico dell’elemento corrispondente, Moseley diagrammò il parametro Q, proporzionale all’inverso della radice quadrata della frequenza della radiazione emessa, contro
quello che chiamò numero atomico, il numero d’ordine di ciascun elemento nella tabella periodica. Come mostrato in figura, i dati sperimentali effettivamente si disponevano
su una linea retta, nell’ordine esatto previsto dalla tabella periodica.
71
H. Geiger, E. Marsden, Proc. Roy. Soc., LXXXII (1909) 495-9, in N. Robotti, I primi modelli dell’atomo, Loescher Editore, Torino (1978) 178-86;
72
A. J. van der Broek, Nature, 92 (1913) 372;
73
T. M. Brown, A. T. Dronsfield e J. S. Parker, Educ. in Chem. (1997) 144;
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3. La classificazione in Chimica
Egli scrisse che, mentre Q aumenta uniformemente, i pesi atomici aumentano in
maniera apparentemente arbitraria, per cui le eccezioni nel loro ordine non devono
considerarsi sorprendenti. Questa è la prova che nell’atomo c’è una grandezza fondamentale, che aumenta in maniera regolare, passando da un elemento al successivo:
essa non può che essere la carica del nucleo centrale positivo.
90
80
70
60
N
50
QK
40
QL
30
20
10
0
0,00
20,00
40,00
60,00
80,00
Q
I risultati qualitativi di Barkla erano stati confermati quantitativamente: mentre i
pesi atomici aumentavano con incrementi variabili e casuali, esisteva una proprietà fondamentale degli atomi, legata alla carica dei loro nuclei, che variava lungo la tavola periodica, secondo incrementi regolari ed esatti, come una fuga di scale74.
Non è facile sopravvalutare l’importanza di queste conclusioni: non solo esse
confermavano il carattere realistico della classificazione di Mendeléev, ma le fornivano
un supporto oggettivo e inconfutabile. Facendo coincidere la successione degli elementi
con quella dei numeri interi, ne accentuava il carattere discontinuo, ma spiegava e risolveva alcune anomalie, come le inversioni argo-potassio, cobalto-nichel e tellurio-iodio.
Inoltre, consentiva di chiarire le diverse ipotesi sul numero e sulla molteplicità degli elementi chimici, che costituivano una serie naturale di oggetti definita, il cui limite inferiore era dato dall’idrogeno, che possedeva una carica eguale a 1, e quello superiore, almeno per il momento, dall’uranio (92); gli elementi ancora da scoprire erano quelli corrispondenti ai numeri mancanti tra 1 e 92.
Per la prima volta era stato posto un limite scientifico al numero dei mattoni che
costituiscono l’Universo: senza questa consapevolezza, la ricerca di quelli mancanti si
74
D. Knight, Ideas in Chemistry, Rutgers University Press, New Brunswick (1992) 168;
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
25
3. La classificazione in Chimica
sarebbe protratta all’infinito75. Basti pensare che, rispetto a 16 caselle vuote nella tabella
di Mendeléev, negli ultimi anni erano state rivendicate 70 scoperte di nuovi elementi: i
risultati di Moseley dimostrarono che la maggior parte di esse erano scorrette 76. Quello
che era stato il punto di partenza della chimica era ora generato dall’elaborazione di un
modello fisico, supportato da dati quantitativi sufficienti a renderlo più verosimile di
qualunque altro modello precedente77.
5. Bohr: la correlazione tra tabella periodica e configurazione elettronica.
Identificato nel numero atomico il criterio ordinatore degli elementi, nasceva il
problema di stabilire una connessione tra questo numero, e quindi il numero di cariche
elettriche in un atomo, e le proprietà degli elementi e il loro periodico riprodursi. Un
problema addizionale era costituito dalla necessità di giustificare la presenza di tante cariche all’interno dell’atomo: sebbene fosse il migliore disponibile, il modello di Rutherford non forniva una spiegazione convincente degli spettri a righe degli elementi gassosi
e risultava instabile, se interpretato alla luce delle leggi della elettrodinamica classica.
Infatti, l’elettrone, orbitando intorno a un nucleo a carica positiva, avrebbe dovuto emettere continuamente energia, come tutti i corpi carichi che si muovono in un campo elettrico, e quindi avvicinarsi al nucleo, fino a collassare su di esso.
Il primo che riuscì, in qualche modo, a superare queste difficoltà fu il fisico danese Niels Henrik David Bohr (1885-1962) che rinunciò ad applicare le leggi della
elettrodinamica classica all’elettrone, formulando l’ipotesi che, su scala microscopica, le
interazioni elettrostatiche fossero invece consistenti con la visione non classica degli
scambi energetici, elaborata da Max Planck (1858-1967) nella teoria dei quanti. Le discontinuità introdotte da Plank nei livelli energetici delle singole particelle avevano finalmente fatto luce sugli spettri di emissione osservati, ad inizio del XIX secolo, da
Wollaston e Joseph von Fraunhofer (1787-1826) e studiati estesamente da Robert
Wilhelm Bunsen (1824-1887) e Gustav Robert Kirchhoff (1811-1899). Nel 1885, il
fisico svizzero Johann J. Balmer (1825-1898) era riuscito a trovare la relazione matematica che lega tra di loro le lunghezze d’onda delle righe dello spettro dell’idrogeno:
questa relazione era piuttosto semplice e consisteva sostanzialmente nella differenza tra
75
W. A. Smeaton, Chem. in Brit., 1 (1965) 353
B. Jaffe, Crucibles: the Story of Chemistry, Dover Publications Inc., New York, IV ed. (1976) 226-7;
77
D. Knight, Ideas in Chemistry, Rutgers University Press, New Brunswick (1992) 168;
76
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
26
3. La classificazione in Chimica
due termini, uno costante, l’altro che variava proporzionalmente alla successione dei numeri naturali. Queste informazioni, e gli intensi contatti scientifici avuti con i collaboratori di Rutherford, soprattutto Moseley, durante la sua visita al laboratorio di Manchester, costituivano i pezzi sparpagliati di un mosaico che Bohr, tornato a Copenhagen nel
1913, cercò di mettere insieme. Egli era convinto della validità del modello atomico di
Rutherford ma anche che esso andasse integrato con la teoria quantistica di Plank, secondo la quale la luce e le radiazioni elettromagnetiche consistono di quanti di energia,
per potersi finalmente conciliare con gli spettri atomici e giustificare le posizioni degli
elementi nella tabella periodica.
Per conciliare gli spettri a righe con il modello atomico di Rutherford, Bohr partì
dal più semplice degli atomi, quello di idrogeno, caratterizzato da una sola carica positiva e un solo elettrone: formulò l’ipotesi che l’elettrone si mantenesse in continuo e definito stato di moto, detto stato stazionario, lungo un’orbita ellittica, senza radiare energia. Da questo stato stazionario si poteva allontanare soltanto a seguito di sollecitazioni
esterne come l’impatto di raggi catodici o raggi X o il riscaldamento. Dove Bohr si allontanò decisamente dal modello di Rutherford e dai problemi legati all’elettrodinamica
classica, fu nell’introdurre, nel sistema microscopico costituito dall’atomo e dal suo
elettrone, rigide regole di selezione, formulate per ottenere un modello che riproducesse
l’andamento delle righe di emissione proposto da Balmer.
La regola di Bohr imponeva che esistesse solo un numero definito di orbite, ciascuna identificata da un differente numero naturale n (diverso da 0); solo successivamente stabilì che potesse contenere un massimo di 2n2 elettroni78. Se opportunamente
sollecitati, gli elettroni potevano saltare da un’orbita ad un’altra, per tornare poi a quella
più vicina al nucleo, emettendo così una radiazione luminosa o altra forma di energia.
Alle diverse orbite erano associati valori di energia definiti e discreti, la cui unità di misura era il quanto di Plank: poiché non erano previsti stati energetici intermedi, agli elettroni era consentito soltanto di saltare ad un’orbita più esterna, assorbendo energia, o cadere in un’orbita più interna emettendo energia, ma non potevano fermarsi in una posizione intermedia, per cui la quantità di energia coinvolta in ogni passaggio era definita,
come definite erano le linee dello spettro di assorbimento o di emissione, ciascuna delle
quali rappresentava la transizione da uno stato energetico ad un altro.
78
J. R. Partington, A short History of Chemistry, Dover Publications Inc., New York (1989) 364;
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3. La classificazione in Chimica
Bohr espose queste considerazioni nell’articolo On the Constitution of Atoms
and molecules (part I)79, pubblicato sul Philosophical Magazine: era in grado di determinare, in via provvisoria, la posizione dell’elettrone, le caratteristiche delle orbite e le
linee dello spettro di assorbimento dell’atomo di idrogeno, mentre per gli altri atomi la
descrizione era ancora ben lontana dall’essere accurata. Era chiaro però che ogni singola
orbita poteva ospitare soltanto un limitato numero di elettroni: la seconda geniale intuizione di Bohr fu l’aver messo in relazione il numero di elettroni in un’orbita con il numero di elementi in un periodo. Riempire un’orbita significava allora completare un periodo e andare a capo, sia dal punto di vista del comportamento chimico, che della distribuzione degli elettroni. Piuttosto che spiegare la periodicità della tabella, di Mendeléev, il riempimento orbitalico era regolato dalla periodicità delle proprietà chimiche.
L’obiettivo del giovane Bohr non era quello di sottomettere la chimica alla meccanica,
ma di migliorare il modello atomico cercando di conciliare la specificità chimica degli
elementi raggruppati nella tavola di Mendeleev, con la descrizione del comportamento
degli elettroni che, in quel modello, orbitavano intorno al nucleo. Infatti, come afferma
nella seconda parte del lavoro80, per cercare di ottenere indicazioni su quale configurazione di elettroni ci si dovesse aspettare nei diversi atomi, si sarebbe dovuti partire dalla
conoscenza delle proprietà dei singoli elementi, procedendo lungo due strade parallele:
applicare sia principi teorici generali che le conoscenze chimiche e fisiche. Perciò, possiamo affermare che, nel lavoro di Bohr sono gli argomenti chimici induttivi a giocare
un ruolo predominante, mentre i principi teorici meccanici e quantistici riuscivano a definire soltanto in maniera grossolana le configurazioni81.
Sebbene l’impressione generale creata in molti libri di testo, e trasmessa dallo
stesso Bohr nei suoi scritti, sia che egli abbia derivato, in qualche modo, la configurazione elettronica applicando i criteri quantistici, essa è, comunque, sbagliata perchè egli
fu portato alle configurazioni da fatti chimici e non da considerazioni teoriche, come
confermato da un esame anche superficiale dell’importanza che diede alla periodicità
chimica. I criteri con i quali popolò di elettroni le orbite non rispondono a principi quantomeccanici, ma furono dettati dal suo intuito e dal suo desiderio di mantenersi in accordo con il comportamento chimico e spettroscopico degli elementi82. Per esempio, i cal79
N. Bohr, Phil. Mag., 25 (1913) 10;
N. Bohr, Phil. Mag., 26 (1913) 476;
81
H. Kragh, J. Chem. Educ., 54 (1977) 208;
82
E. R. Scerri, Chem. in Brit., 30 (1994) 379;
80
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3. La classificazione in Chimica
coli quantomeccanici, nei quali riponeva enorme fiducia, portano al risultato che, per il
Litio, la configurazione con tre elettroni nella stessa orbita sia energeticamente più stabile di quella con due elettroni in un orbita e il terzo nella successiva; tuttavia, lo stesso
Bohr screditò questi risultati, perché preferì la seconda distribuzione, confermata dalla
considerazione delle proprietà chimiche. Oppure, nel suo schema originale, azoto, ossigeno e fluoro, avevano 4 elettroni nel guscio interno, per dar conto delle loro valenze
chimiche. Così concepito, l’atomo di Bohr era alimentato dalla Chimica e apriva una
breccia nella Fisica: non rendeva comprensibile né la stabilità dei moti degli elettroni
nelle loro orbite, né il carattere discreto dell’energia in queste orbite, né il passaggio
istantaneo da un’orbita all’altra, ma imponeva dei postulati che introducevano nella Fisica le regolarità aritmetiche caratteristiche della Chimica degli elementi83.
Tra il 1921 e il 1923 riconsiderò il problema della struttura atomica e annunciò
di aver elaborato una migliore versione della tabella periodica elettronica, basata sulla
teoria quantistica. Invece, molti dei fisici di Göttingen cui espose queste idee ritennero
che il suo lavoro fosse basato su un insieme di argomenti ad hoc e fatti chimici, senza
alcuna derivazione dai principi della teoria quantistica: su questa stessa base si fonda
principio di Aufbau che, anche se spesso utilizzato per costruire la tabella periodica, non
ne fornisce una spiegazione deduttiva. Al meglio, i calcoli quantomeccanici ab initio
possono solo predire quale delle molte possibili configurazioni dello stato fondamentale
un dato atomo adotterà realmente.
La teoria di Bohr legò insieme il modello planetario dell’atomo con la teoria dei
quanti e consentì la descrizione delle proprietà degli elettroni atomici con una serie di
numeri quantici che finalmente consentivano di formulare un’interpretazione teorica
dell’origine della periodicità delle proprietà chimiche degli elementi. Sulla base di questa teoria, Bohr concluse che il sesto periodo deve contenere 32 elementi e che l’elemento 72, ancora da scoprire dovesse essere analogo allo zirconio e non un elemento
delle terre rare, come comunemente si riteneva. Anche il principio di esclusione di Pauli
(1925) fu formulato come conseguenza del tentativo di collegare il sistema periodico
alla teoria dei quanti84.
83
B. Bensaude-Vincent e I. Stengers, A History of Chemistry, Harvard University Press, Cambridge
(U.K.), (1996) 236;
84
V. I. Gol’danskii, J. Chem. Educ., 47 (1970) 406;
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29
3. La classificazione in Chimica
6. Conclusioni.
In conclusione, il sistema periodico appartiene alla chimica del XIX secolo,
mentre nei moderni libri di chimica esso è presentato come una conseguenza della struttura elettronica degli atomi e Mendeléev, quando pure è citato, è visto come il precursore delle teorie elettroniche, formulate nel XX secolo. Invece, ben lungi dall’essere il
profeta degli sviluppi futuri della teoria atomica, Mendeléev stava tentando di riorganizzare le conoscenze del suo tempo, e traendo spunto dalla teoria della sostituzione, costruire un sistema di ampio respiro. La logica analitica che regnava all’inizio del XIX
secolo cedette il passo alla logica tassonomica della tabulazione. Organica o inorganica
che fosse, la Chimica obbediva alle stesse leggi e gli elementi costituenti erano classificati nella stessa tabella. La distinzione tra le due branche sembrava giustificata più da
esigenze pedagogiche che dalla natura delle cose.
La classificazione periodica ebbe l’effetto principale di cambiare l’attività chimica da un interminabile processo di diversificazione, per cercare elementi e composti
sconosciuti, a un’attività concentrata sulla ricerca dell’ordine e della causa che lo genera. In questo modo la Chimica fu in grado di assimilare, senza cambiamenti fondamentali, le nuove scoperte della Fisica, l’elettrone, le trasformazioni radioattive, gli isotopi85:
quello che Mendeléev riuscì a fare fu razionalizzare sia la ricerca di nuovi elementi che
la loro caratterizzazione, non appena sarebbero stati scoperti.
85
F. Greenaway, Chem. in Brit., 5 (1969) 97;
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