LA DIFFERENZA E LO STIVALE

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LA DIFFERENZA E LO STIVALE
LA DIFFERENZA E LO STIVALE
di Marcello Baboni
I
per come mi sento potrei anche precipitare da un aereo come il bianco che cavalca
invano come
come si fa a dire a mio fratello che…
se poi a lezione non trovi la cristina puoi comunque chiedere a bruno se ti fa le
fotocopie. in ogni caso ci vediamo domani o dopodomani, che mettiamo insieme tutto.
sì… sì, ma stai tranquillo… adesso vado a prendere mio fratello che dopo andiamo a
verona. andiamo ad un festival.
una volta io e mio fratello eravamo a firenze. stavamo su ponte vecchio. seduti per
terra. osservavamo le vetrine che passeggiavano e a volte si fermavano a guardare le
persone come erano vestite. lì a firenze c’era come al solito una valanga di turisti,
veramente tanti, ma si stava bene, si respirava un buon cielo. era novembre, mi pare. e
mio fratello guardava i turisti che facevano e si facevano fare le foto. a lui piace la gente
che fa le foto; io non dicevo niente e lui non diceva niente. poi, dopo un bel po’ di
silenzio, mi ha detto:
- ho fame. è l’una e un quarto. cerchiamo un posto per mangiare.
- voglio comprarmi un appartamento qui prima o poi. sono più che sicuro che qui si
dorme bene. (sbadiglio) però ci vuole anche un po’ di gnocca, se no dopo una
settimana ti ritrovi qui a bere lo spumante da solo davanti al televisore spento e al
tuo pisello acceso, e alla fine la faccenda dell’appartamento finisce in vacca. tu cosa
dici?
- dico che ho fame. comunque sono pienamente d’accordo con te, tuttavia penso sia
necessario avere l’accortezza di portarsi la gnocca da casa, perché le ragazze di qui
hanno l’accento toscano che all’inizio può anche essere divertente, però dopo
sette/otto minuti già di rompi il cazzo.
mio fratello è una delle tante persone con le quali fingo di parlare. e lui ovviamente lo
sa. domani, mentre sarò posseduto (come spesso accade) dalla mia vanità di prostituta
che svolazza tra divani e cuscini, avremo una discussione; io lo troverò seduto al tavolo
della cucina e lui mi dirà:
- senti, volevo chiederti un parere su una roba che ho scritto che…
- non ho tempo di leggere le stronzate tardo-romantiche di un tardo-adolescente che
da dieci minuti si crede un artista solo perché stamattina gli è parso che una ragazza
carina lo abbia notato.
- se non erro è esattamente quello che stai facendo anche tu ultimamente, con l’unica
differenza che la “ragazza carina” in questione ti ha mollato da un mese.
- beh, vecchio mio, la tua replica decisamente mi diverte: se davvero un bel giorno mi
rendessi conto di essere stato anche solo una volta coerente con qualcosa che ho
detto, il disgusto che provo verso me stesso diverrebbe quasi pari alla mia vanità.
- come al solito parli come se credessi di essere la reincarnazione di Oscar Wilde; cioè,
non solo il mero momento epifanico nel quale sorge e si disvela la sua arte, ma pure
il racconto, la dimensione narrativa che gestisce l’intreccio degli eventi; e questo
perché in definitiva le due cose sono inseparabili.
- e non trovi che sia una fortuna che io mi comporti come tu dici?
- dipende.
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“dipende” è la tipica risposta di un dotto a una domanda che nessuno a posto. sei
forse un dotto? e da quando?
- non sono mai stato un dotto, né spero di diventarlo. tantopiù che non sono neppure
sicuro di sapere cosa sia un dotto. vorrei solo sapere perché trovi che sia una fortuna
il fatto che tu ti comporti nel modo che ho detto poc’anzi.
- ma questa non è una domanda. e proprio per questo mi divertirò a risponderti nel
solito modo: quando si è osservati si diventa persone migliori.
- e io, come al solito, ti dico che sai bene che non posso accettare questa posizione.
- lo so, ma perlomeno abbiamo lo stesso parere in merito ai dotti.
- anche tu li consideri delle bestie?
- più che altro direi che neanch’io sono sicuro di sapere cosa siano.
- ottimo.
- comunque, a parte questo, sai come la penso: le cose non è importante saperle, è
importante dirle, o scriverle, o ancora meglio scopiazzarle, citarle pedissequamente,
bovinamente; in una parola: innocentemente.
- quest’ultima cosa l’hai rubata a Nietzsche.
- e non è proprio questo il punto?
- il tuo ragionamento sarebbe forse condivisibile se tu veramente sapessi recitare;
tuttavia non mi pare che sia così.
- caro mio, l’ultima mia preoccupazione è che il mio “ragionamento”, come lo chiami
tu, risulti condivisibile. mi preoccupa di più il fatto che sono più di trenta righe che
qui non compaiono parolacce.
- questa frase, secondo te, equivarebbe a uno di quei momenti in cui il protagonista di
un film guarda nella macchina da presa, come, ad esempio jean-paul belmondo in
“fino all’ultimo respiro” di Godard?
- sì, più o meno…
- …
- …
- …
- beh, allora? non diciamo nessuna parolaccia?
- aaah, ma vaffanculo…
- perfetto, allora io dico “puttana”.
- guarda che il vaffanculo era per ribadire che non sai recitare.
- meglio ancora: lo sai che io ci vivo su questa tua convinzione; ed è anche per questo
che verrei volentieri a letto con te, caro fratellone.
quella stessa sera, dopo cena, io andai a sdraiarmi come di consueto sul letto di mia
sorella, mentre mia madre andò in bagno a piangere (e anche questa è una cosa
piuttosto consueta). ormai riesco a immaginarmi solo così: sdraiato sul letto di mia
sorella intento a fissare il soffitto. con mia madre che piange in bagno. però io non la
vedo come un’immagine che suscita un’atmosfera opprimente… mia sorella. la prima
volta che ho visto mia sorella è stato su un treno. io stavo guardando fuori dal finestrino.
pensavo: “se guardi fuori devi guardare fuori per guardare fuori, è l’attitudine dello
specchio a esigerlo”. di fronte a me c’era una ragazza colorata che leggeva “La signorina
Else” di Schnitzler: era mia sorella silenzio dunque; le lune già. leggeva senza
sottolineare. le ho guardato le unghie e ho capito che se le mangiava. era magra.
indossava poi un maglioncino rosso e le luci (relative) della galleria nella quale a un certo
punto siamo entrati non sembravano sfiorarla. non guardava mai fuori. viaggiavo già da
un paio d’ore quella mattina, e per tutto il tempo dal finestrino non avevo visto che
nebbia; dopo la galleria invece la nebbia pareva quasi del tutto sparita. quando ho
pensato questa cosa lei ha voltato pagina. “c’è il sole adesso” ho pensato. mi è sempre
piaciuta la nebbia, tuttavia in quel momento preferivo il sole. e poi oltre al sole
cominciavano a spuntare anche le prime montagne e le montagne, si sa, ci danno le loro
profezie e le loro solitudini rosa solo quando sono inondate dal sole; se poi c’è anche la
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neve è il massimo. ed effettivamente dopo un po’ ho visto anche la neve. più andavo
avanti e più ce n’era. seduto alla mia destra c’era un militare in verde. tutto verde.
tranne i capelli e le scarpe. c’aveva la faccia sterile. e un po’ verde anche. armeggiava col
telefonino. per il resto era un po’ smorto. un po’ molto. la signorina else intanto aveva
superato la metà del libro. a un certo punto le è arrivato un messaggio sul telefonino. poi
le hanno anche telefonato, così ho potuto sentire la sua voce. è piuttosto bassa; mica
male. solo a quel punto mi sono accorto che portava i capelli raccolti dietro. castani scuri.
dopodiché del viaggio in treno ricordo solo le mie Mani. adesso tutto ciò che può esserci
oltre il cosmo siamo ancora io. le mie Mani sono così lontane… possono respirare. ma è
tutto così veloce in testa che… non so… diciamo che non è da escludere. cambiano così
rapide… nel mio sogno tutti piangono dando le spalle al Sole. sono tutti curvi e scuri in
volto e bidimensionale. ma io non posso chiedere loro perché stanno piangendo, non
posso toccarli, proprio non posso. non si può proprio condividere nulla. sarà questa
risata, saranno le piume imperiali del mio sfarzoso, traboccante abito d’oro, ma il suono
del mio profilo (e questa è l’unica espressione della lingua italiana che vagamente possa
avvicinarsi ad esprimere questa roba che vedo, non pensiate quindi che stia parlando
seriamente) pare che non possa essere minimamente sentito (“sentito”, non “udito”) da
queste sagome che piangono. le piume mi pare che siano viola accesso; ma non è
guardando le piume che puoi percepirne il colore, no! solo sentendo il profilo puoi vedere
il colore. e fuori da questo sogno cosa c’è? c’è l’ “aiuto”, ecco cosa c’è; prominente
sfollagente. ma ogni aiuto che ci si para davanti, non vedi che è solo l’inizio di un altro
sentiero che conduce all’imbarbarimento, alla rinuncia (ma forse, più che di “aiuto”
sarebbe meglio parlare di “identificazione”), alla disonestà nei confronti dei nostri frutteti
e delle nostre vette e ancora nei confronti di questo nostro sguardo che sottile è in grado
di portare sul suo stelo il peso di mille eternità e che si spalanca sempre di nuovo ad
abbracciare il vento già oltre le stelle? le nostre fronti eterne di un solo istante di ghiacci
approdano presso i tegumenti di ogni effettivo sorgere presso di sé. ebbene, fuori da
questo sogno sono io che sto per scoppiare a piangere, piango perché non c’è mai stata
tanta gioia di maggio appuntita e gonfie vele partorite da sguardo d’ottobre infagottato
nel giaccone e nella sciarpa di una ragazza mora con le mani nelle tasche; piango perché
lei affianca pioggia di resine e prato sottile di azzura sua fronte brina sulle unghie, sul
petto, sul ponte, sul torrente di metalli e stoffe buie, così profuse nell’atrio degli occhi
nuovi e gentili di ricordo di biscotti per merenda; piango dalla luce di Giove, anzi, dalla
mia danza in quella luce; no, di più, dal Tatto di quella luce, dalla sua Superficie. e la sua
Superficie sono le Mani. le Mani come abisso e cancello inviolato. la Nave. le Mani come
problema, come Città e fazzoletto. le Mani di mia sorella. “e sono molto meglio che
morte” in questo sangue nel cavo delle mie Mani. mezzaLuna del ghiaccio della mia
fronte distesa del mio sangue del mio sguardo d’argento, io ti incorono delle mie lucide
Mani e dei miei stivali, ti frusto con lacrime di bimbo e ti scopo vestita; rendo il cielo solo
una traccia di nebbia con le mie Mani. quale rossetto preferisci che mi metta? come ti
dicevo, il tuo sorriso promette neve sulla tua schiena… portami da bere… sorella mia
dolce, la tua vagina brulica di scarafaggi e di nero rimorso; rimorso per ciò che ti hanno
fatto. per ciò che popola i tuoi incubi. ma tu lo hai voluto, lo hai voluto più di quanto
immagini… raccontate bugie solo perché avete paura, non perché sapete creare… la
vostra magia ormai è più da marciapiede che da poesia. come la mettiamo? cervello.
quando verrà a prendermi Overbeck? l’8 gennaio è lontano… “la mia settimana ritma il
vostro anno”; morfina anidra, codeina, papaverina, tebaina, isotebaina, fenciclidina
cloruro,
ecgonina,
cocaina
cloridrato,
diacetilmorfina,
cannabinoidi,
metilendiossimetamfetamina,
mescalina,
dietilamide
dell’acido
lisergico,
simpaticomimetici, barbiturati, 2,5-dimetossi-4-metamfetamina, metadone cloridrato,
ergometrina, atropina, procaina, scopolamina, benzodiazepine, stricnina e laudano. bene,
è arrivato il merendero; c’è solo da scegliere. e possiamo aggiungere anche le
arilcicloesilamine. c’è solo vento oggi, vento fastidioso che rompe le balle e che mi ha
rotto le balle tutto il pomeriggio. non ne posso più di questi sabati fasulli, già non
sopporto quelli normali… è una sorta di cancrena del morale; è proprio per questo che mi
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diverte. non si può scrivere un urlo. però si può scrivere uno specchio che osserva. uno
uomo che fino ad ora si è rifiutato di essere un uomo, che si è rifiutato di essere umano;
che non sa di niente perché non è niente. quando arriverà la peste a cogliermi? la strada
che avevamo intrapreso in passato era divertente, solo questo importava… tanto
l’importante sono i telespettatori, i pazienti e quelli che guardano il calcio in t.v.; loro
mangiano la pizza e il gelato, vanno in grotta, scopano, a volte leggono Dostojevsky
(però prima leggono le istruzioni), vanno al bar quando possono, in chiesa quando c’è un
funerale e in discoteca quando si sentono in colpa, non scherzano mai sulle cose che il
osservano, ma scherzano su quelle che fanno ridere solo loro se si sono alzati col piede
giusto, sono contro la globalizzazione, ma guardano MTV. cioè, guardano la televisione. e
soprattutto non si esce con le ragazze che fanno ingegneria. che figata. le mie dolorose
contraddizioni me le tengo per me.
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II
giorno delle nove incidenze
scarabocchiate di Adrastea. giorno
della mela e del tirso e della
nuova stagione Blu.
la gente che si muove non si muove solo quando c’è il terremoto. anche quando litiga.
la signora inquadrata è fuori tempo, la casa è fedele. una paura piena di alligatori vuoi
baciarmi? la legge dice di no, sia che la gente si muova, sia che la gente non si muova; si
è svegliato perché il professore è un dormiglione. anche se ti volti qualcosa verrà, prova.
per esempio la foresta da che parte arriva? non amiamo quello che abbiamo a
disposizione? no. le ragazze sono pericolose perché sono tutte smutandate e puttane
anche. combattiamo in prima linea, lo sapevi? ti piace? la signora inquadrata è fuori
tempo. ha avuto qualche rapporto particolare? il primo che si muove lo brucio; ho ucciso
45 uomini oggi. fra sei settimane la signora andrà in avaria. le facciamo un’epidurale?
boh, fai te. padiglione. operazione alle ovaie. io non ho più voglia di telefonare, non
riesco più a fare telefonate. dovete capire che… il giovedì lo dedico a te, promesso; anche
se sei fuori tempo. la signora simpatica è fuori tempo, il torrente è calmo ormai, luce dal
posato fondo delle sue acque e occhi curiosi di ragazza gentile inginocchiata sopra di
esse, e prima ancora il tocco azzurro dei suoi polpastrelli, giunti dove l’acqua confina con
la Luna appena nata. come ancora poter dire… come ancora si può indugiare con lo
sguardo, secondo voi? come è ancora possibile avere Sete, o addirittura anche solo
pensare alla Sete? merde colorate… portatemi il vino, portatemi la signora fuori tempo…
portatemi una cesta di limoni… portatemi una rosa… che sia Giugno ad acconsentire alle
mie nozze. e un pianoforte, e un diadema per la sposa; un diadema di asfodeli. infedele
Aurora… infedele, dolce Aurora. sanguina una volta per le mie Lacrime, i miei serpenti ti
adoreranno come gentile incantesimo. la Nave è già mia, il mio sperma in inutile
sacrificio splendente. sulla loro pelle bruna. sei andato via, efebo d’argento quante volte
scopato. entri ed esci continuamente da un colore d’inverno, aspetti una larga pioggia,
cosa aspetti, una cieca estate, uno sguardo su un lago di vento pulito, e tu chi sei? il
figlio bacia il petto lucente di ogni Superficie e ne beve la fiamma scomparse, corre con le
labbra a raccogliere ogni goccia mentre un sorriso una volta lo osserva dalla costellazione
accanto al suo orecchio. e gli sussurra: “la pioggia è il mio bacio per te; guarda alle mie
spalle le reclinate chiome dell’Aurora”. è troppo bello per fartelo leggere. dove abiti? non
te lo dico. lo vedrò da me. “come puoi lasciarmi non mi hai neanche mai raccontato una
bugia degna di tal nome…”. incerottati la bocca. “le ho toccato le cosce e la Morte ha
sorriso”: è un bel verso; non mio purtroppo. ma in quante vite è possibile constatare la
presenza di un accumulo di energia? devono ancora mandarmi il libro su Bruzzi…
esperimento sociologico: le GTO, nessuna esclusa; ma non si capisce quello che dici. ma
ogni tanto rileggi? davvero, è difficile seguire una persona, ma è una cosa divertente da
notare; il problema, per così dire, sorge quando ti accorgi delle implicazioni: quelle sono
senz’altro la cosa più incredibile, però occorre essere in grado di sorreggerne il peso. che
rappresenta anche il loro spaventoso potenziale. ma io non sopporto di scrivere cose
come queste, è odioso… quante volte mi hai scritto (se includi anche ciò che non mi hai
fatto leggere)? lo immaginavo. cioè, credevo meno, però grosso modo siamo lì. credevo
meno. così… così adesso cosa dovrei fare secondo te? dovrei forse smettere di fingere di
stare male? mi sa che sei tu che fai finta di non aver capito un cazzo. è veramente odioso
e irritante scrivere queste… scrivere in questo modo. viene voglia di…
non ricordo più il disegno che c’era sulla sua camicia da notte. mi piaceva, era
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carino indosso a lui. eppure l’ho dimenticato. perché il pubblico non ride? ora il pubblico
dovrebbe ridere, perché non ride? te lo dico io perché, ma prima vaffanculo. chi è che ha
il controllo del telecomando qui dentro? le risposte NON esistono, sono solo immagina,
ora però non pensare di saperne di più sul luogo in cui ti trovi. domani telefono a bruno.
e magari vado anche al negozio di dischi. che giorno è domani? mercoledì. va bene.
magari gli telefono adesso a bruno. aspettare. e giocare. rami secchi=attesa.
zoccoli=Van Gogh. se chiudo gli occhi vedo sempre tutto a scacchi di varie dimensioni,
simmetrici. mia sorella mi chiama di nuovo, non sta mai zitta. rami secchi=testa sul
cuscino. stai zitta. le macchine che passano e il leggero vento, le foglie di notte sono una
fontana scintillante di carezze che rispecchia i suoni di due corpi nudi illuminati
pallidamente in un giaciglio di mani e Lacrime di porcellana. forse non sono del tutto vivi.
le dita si allungano verso la terra sconvolta e sudata; non è forse plastica quella che
circonda quei volti? anzi, a dire la verità non è proprio che li circonda, più che altro gli sta
sopra. ma gli sta anche intorno. come una chiazza di colore che li rende così
incredibilmente, orrendamente bidimensionali. e si muovono a scatti, quasi in preda a
convulsioni. ma eccoli di nuovo sparire. di nuovo solo le foglie. una nuvola quando è
serena? forse quando si trova dentro una testa? una nuvola… come posso indicare una
nuvola? non riesco a vedere più alcunché di sonoro. le persone per strada sorgono come
escrescenze dalla terra. e non camminano erette, piuttosto si trascinano in un fango nero
e… e non hanno facce. e nemmeno una forma definita. ha smesso di piovere qui. questo
dovrebbe cambiare i tuoi occhi. ma anche quelli non li vedo più, c’è solo fango. e pozze di
liquido nero. e ho come voglia di berlo. la televisione non si spegne. una campana è
caduta dalla torre del Minotauro. la villa di Playboy è sprofondata in una foresta di gesti.
l’altra sera ho invitato a cena bismarck: abbiamo mangiato arrosto di maiale e crauti
caramellati e lui mi ha confidato i suoi problemi con gli asburgo; siamo rimasti in piedi
fino alle quattro del mattino. eravamo un po’ ubriachi tutti e due. ma non ho più un
elenco attivo.
l’altro giorno io e mia sorella abbiamo preso il treno e siamo andati a verona e una volta
lì abbiamo pranzato con dei panini, seduti sui gradini di un’enorme scalinata che si trova
in non so quale piazza. poi abbiamo preso altri due treni e siamo arrivati fino a rapallo: lì
le foglie di Sole versate sul mare lambivano ogni casa colorata. e qualche bambino
camminava con passi affettuosi e talvolta mi salutava. chissà che ore erano… non lo
sapevo, così l’ho chiesto a mia sorella: lei mi ha sorriso e poi mi ha detto che erano le
due e un quarto (del pomeriggio). siamo rimasti lì un po’. e abbiamo anche parlato. io
stavo giocando con le chiavi: ad un certo punto le ho detto una cosa tipo:
- potremmo andare a prendere qualcosa da mangiare e cenare qui sulla spiaggia.
- non ho fame.
- neanch’io, però pensavo che non sarebbe stato male cenare qui.
- sai, tu mi parli quasi sempre in un modo che sembra voler avere come unico scopo
quello di sedurmi; non mi riferisco tanto alle parole che dici, quanto invece
all’atteggiamento, all’espressione del viso, persino ad alcuni piccoli movimenti
studiati che ti piace ostentare…
- diciamo che mi compiaccio di questo mio modo di pormi solo quando il mio
interlocutore s’incazza perché si sente preso in giro; quando invece la persona con la
quale sto parlando si mostra ancora più cortese di me, la gara si rivela molto più
divertente; in quei casi posso anche innamorarmi.
- sì, d’accordo, ma a parte questo (che secondo me è una stronzata), cosa c’entra
questo gioco di seduzione con me che sono tua sorella?
- forse questo ti sembra un motivo valido per precludermi una parte della gamma di
possibilità che avrei con qualsiasi altra persona?
- sai bene che nemmeno tu sei convinto di tutto quello che dici. insomma, le
possibilità delle persone presentano dei limiti per definizione, perché se si
oltrepassano questi limiti è la libertà delle altre persone ad essere messa in
discussione; e se ci pensi viene messa in discussione anche la tua di libertà.
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scusa, puoi ripetere? non stavo ascoltando.
ma vaffanculo…
a quello che mi hai detto preferisco di gran lunga un centinaio di persone che
pestano a sangue un disgraziato.
- ho detto vaffanculo.
- senti, secondo il luogo comune sono le donne che mentono di più, giusto? ecco, a
me piace invertire i ruoli, sollecitare uno spostamento di prospettive.
- già, e degli amici non te ne frega niente? delle persone che nutrono dei sentimenti
nei tuoi confronti?
- e secondo te questa è una domanda?
- questa è la tua risposta a tutto… smetti di recitare.
- non recito più di quanto non lo stia facendo anche tu.
- sei solo un cretino ecco cosa sei.
- va bene, ma tra dieci minuti dobbiamo prendere il treno; sarà meglio avviarci.
un quarto d’ora dopo abbiamo preso il treno per tornare a casa. dovevo lavarmi i
capelli. quando guardo un film telefona sempre qualcuno: la vita privata di sherlock
holmes. però fa lo stesso, non mi arrabbio mica. lenzuolo=lanterna. ho sempre voglia di
vederti. lo faccio per il pubblico. le linee cinetiche del mio dito avrebbero interessato
Boccioni? 14:29. 14:44. ti capita spesso? sì. prendo una macchina, una cassetta dei
rolling stones e me la squaglio. facciamo due cassette dei rolling stones. Rolling Stones. i
Rolling Stones del periodo buono. mercoledì 27. festa, vento in macchina. quante smorfie
che si vedono in giro. sulla mia macchina da scrivere c’è un tasto che non sortisce alcun
effetto: un killer senza sonno. quando io sono te, tu sei il più veloce a raggiungere il
supermercato. corri al supermercato. quando chiudo il frigorifero i capelli si spengono e il
vento, come catena d’inchiostro, lascia un’ombra mai fedele. se i tovaglioli prendono il
sopravvento e ti rubano la matita per gli occhi. sembra nuovo questo specchio. eppure io
sono così vecchio. eppure io sono tutto strutturato in brutte finestre. che non ridono. così
anche stasera abbiamo accontentato la produzione. e crediamo di aver fatto qualcosa che
crediamo sia utile a far credere a qualcuno che crediamo utile che ciò che egli crede che
sia utile è utile a credere e a nient’altro. dormire sapendo che hai appena mangiato è la
cosa più orribile e ripugnante che io abbia mai provato. ogni arte è una domanda, mentre
tutti pensano che sia una risposta. le luce di notte sorgono tutte sul mio mappamondo e
ne delineano il turchese ripiegarsi come Mani che si schiudono in una carezza di
ventinove Lune: ti lasciano in pace, non ti assillano, e se desideri parlare con loro si
dimostrano sempre molto accoglienti. ti offrono da bere un colore dell’Oceano. pensa,
l’Oceano… ti offrono “tazze di neve” e di neve anche spiagge, impreziosite dal sangue
atro dell’estate. e mi hai detto di un sogno di colocasia che passeggiava nei giardini di
luglio senza finestre… che fine hanno fatto la Scabbia, la Lebbra e la Peste, le sfiorite
danzatrici che io esigevo quali mie spose invogliate e legittime? che ne è del putridume
che dovrebbe scalciare dall’interno del mio collo, che ne è dei Ratti? che ne è delle Blatte
che compiaciute dovrebbero trovarsi a sguazzare e a rigirarsi tra le carni purulente delle
mie piaghe aperte? dove si trova il nero fango che a buon diritto dovrebbe mischiarsi al
Sangue fuoriuscito da ogni mio orifizio divelto? niente fango… niente Blatte… niente Ratti,
niente Scabbia; solo acqua che promette e mantiene anche! ma io non voglio solo
questo, voglio anche il dolce, dolce, dolce tradimento. e voglio una lingua da strappar via
a viva forza, una lingua da attaccare al mio muro finché non marcisce e puzza, come me.
ma di solito è solo l’ombra di un orsetto-grumo di colore sul parabrezza: piange perché
gli hanno dato da mangiare. lui si sporge dalla finestra di Gennaio e muore. il più delle
volte. i capelli di mia sorella io li adoro, sono un suono di pianoforte, sono bicchieri di
cristallo sopra un pianoforte nuovo, sono bicchieri di cristallo rotti e castani sopra la
sabbia senza Sola. sono spettinatamente aggraziatissimi, lucidi… sono morbida Sera e
sorridente Mattino, come Stelle dai raggi di marmellata di ciliegie, sono come Stelle
inzuppate nella marmellata di ciliegie. come la voce di marmellata di una persona che sta
facendo il bagno in una vasca di marmellata di ciliegie e sta mangiando marmellata
-
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mentre parla con te al telefono. sempre su un pianoforte. un pianoforte a coda.
non è poi così male scrivere a macchina accanto ad una finestra aperta. senti tutti i
rumori che provengono da fuori. solo che io tengo il volume dello stereo talmente alto
che non sentirei nemmeno l’atterraggio di un’astronave. sono morto il giorno in cui ho
smesso di mangiarmi le unghie. e nessuno lo sa. nessun coperchio nel cielo di Orione.
porca puttana. non posso vedermi così, è troppo umiliante, la disperazione è così
tangibile, così simpaticamente “sotto”; si insinua ovunque milioni di anni prima che tu
possa accorgertene. e questo mi fa divertire immensamente. senza che voi vi accorgiate
di me. solo della tenda. perché è ora di smettere di mangiare. quante probabilità ci sono
che adesso, per esempio, bruno abbia il cazzo duro? magari gli telefono e glielo chiedo.
aspetta che forse è arrivato qualcuno con della roba da bere. al cinema stasera c’è gente
che chiacchiera sotto la mia finestra della mia stanza mia, cioè del mio salotto che ha due
finestre (mie), ma non quella grande, quella piccola. adesso non si sente più e non ho
nemmeno capito cosa dicevano. chissà se a loro interesserebbe sapere come stanno le
piante di mia madre, che si trovano in questa stanza, ma non sono mie, ma non so
neanch’io come stanno e se me lo chiedessero non saprei rispondere, ma chissà se
parlavano di quello, ma secondo me sì, ne sono sicuro. piuttosto, cosa gliene frega a loro
delle piante di mia madre? non vorranno mica rubarle? probabilmente c’è un complotto.
ma certo, li ho chiaramente sentiti parlare delle piante, me lo ricordo… giovedì danno un
film di Truffaut: lo registro. è uno di quelli che non ho visto, quindi lo registro. si è sentito
chiudere una finestra; ma dico fuori, non qui. ed è passato anche un motorino. la vecchia
e sua sorella sono stato io ad ucciderle; con un’accetta che nascondevo sotto la giacca.
appena le ho uccise c’è stato un silenzio come non avevo mai sentito in tutta la mia vita.
è l’unica cosa che ricordo. non è vero. ricordo anche il Sole. ne ricordo gli spruzzi. e sarà
che i ricordi ti imbrogliano meglio proprio perché hanno un po’ di polvere sopra. eppure
c’è una volta qualcosa di vivo in essi. a me il Sole, per esempio, non piace sempre.
le hai viste quelle pagine traboccanti di luce? e quegli occhi di neve, vento mutato in
tulipano? un viale di riflessi nascosti dietro le foglie, timidi come risata di elicrisio
immergere di nuovo, lentamente, la Bugia e la Scomparsa. e le greggi in fiamme.
come vergogna forse, ma più galleggiantecolorate.
hanno detto che forse dovrò iniziare ad usare le virgolette per certe parole o per certe
espressioni; hanno detto così. se no mi fanno arrestare. hanno detto anche questo.
temporale: già l’ho messo da parte. e poi come quasi non la vedo la facciata della casa
antica. bianca, ma potrei sbagliarmi. quale immenso profumo di legno e di resine. e di
torta. posato.
c’erano delle nuvole bianche così alte oltre la cancellata; e c’eri tu sorella mia: avevi
qualcosa che luccicava sulle guance e un sorriso come vento d’ora sottile che ammutoliva
distese di fiori morbidi e montagne. la tua fronte tersa sosteneva il filante versarsi di
intere stagioni scintillanti di prati e defluiva nel tattile accorgersi che i tuoi occhi erano
nuovamente chiusi, come per accogliere il mare in un incontro improvviso ancorché
gentile sul tuo ventre equinoziale. i tuoi capelli si sdraiavano esausti sulle scogliere di
Elara. ecco di nuovo la casa antica e bianca; ecco di nuovo quei gesti lenti e posati e le
stanze inginocchiate a baciare l’erba spumeggiante di aneto. gradita sorpresa di
germoglio vivace erano le labbra serrate. sono così stanco di urlare che mi metterei ad
urlare. sono così stanco. sono così ansioso di dormire. è una condizione nella quale quasi
si innesca un corteggiamento tra me e il letto, le coperte e il cuscino, così, nell’attesa dei
miei occhi che tramontano, a volte di guardo bene e guardati anche tu che sei radiosa
come profumo nel Sole d’estate e prato stellato. ma io ne ho visti pochi di sogni nel letto
della giraffa. addormentarsi con il Sole negli occhi di Notte come Notte come quando
stanotte come Notte di Notte che mi sveglio e mi riaddormento in una partita di golf
immaginaria contro nino rota. mentre senti che mi riaddormento le chiavi tintinnano un
paesaggio che galleggia nei miei occhi lontani attraverso una finestra come finestre. certe
volte penso che certe sere ho creduto che certe altre sere mi hai rotto il cazzo
ultimamente; cioè, mi hai proprio divertito. così ho semplicemente osservato che in quei
momenti la tua bellezza appariva rovinata. da cosa? da me. e non mi dispiace di
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questo, o meglio, diciamo che la cosa mi lascia indifferente. picchiami di brutto sorellona,
più che puoi. voglio divertirmi a sanguinare per chiunque, a vomitare sangue su
chiunque. ce n’è per chiunque chiunque chiunque chiunque ne voglia ancora sotto il
ristorante di mio zio gedeone. e vomiterò merda anche. la vomiterò su me stesso e la
raccoglierò in una grande, ampia mastella insieme al sangue, poi ci piscerò sopra e infine
inghiottirò grandi cucchiaiate di questo addormentato miscuglio. e qualunque uomo
voglia amarmi, mi amerà immerso in esso. ci masturberemo vicendevolmente con merda
e sangue e vomito; gradirò poi il suo pisello nel mio culo assetato d’argento e il suo
sperma nella mia bocca unta. occhi chiusi di nuvole in cancrena. il mio sterno è altare di
sonno ingioiellato. diamante sugli omeri pallidi di Luna. ma urla la Luna stavolta. urla
ancora per la Superficie.
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(NON) EPILOGO DIFFERENTE
giorno delle Stelle ricurve sulle
scomparse spiagge di Plutone.
il germoglio femminile si effettua allo stesso modo dello sfinito corteggiamento delle
Stagioni; tuttavia non sa cantare. e qualcuno potrebbe pensare che adesso non sa
cantare perché è stato per molto tempo maltrattato, ma che prima ne era ancora capace.
è vero, è stato maltrattato, però io dico che non sapeva cantare neanche prima. conosce
forse il lucido tocco dello Scomparire? no. Scomparire è una tensione fugace, un tocco di
respiro amplificato, moltiplicato, una respirazione senza respiro, una brevissima eternità
sospesa. una luce e una lama. vibrata quando dona l’ottenersi. no, il germoglio femminile
difficilmente presta orecchio alla tensione verso l’ottenersi; ma è comunque necessario.
ciò significa che va accolto pienamente in tutte le sue colorate (anche se solo di riflesso)
navigazioni, in tutti i suoi spicchi e a tutte le sue proprie velocità. quest’ultimo satellite è
ovviamente indispensabile per raggiungere la felicità del circolo, ma è comunque
opportuno ricordarlo poiché molti, dopo l’assorbimento delle considerazioni di cui sopra,
tendono a dimenticare (o meglio, persistono nel non ricordare) l’incredibile bellezza (e
innocenza) non solo del germoglio femminile, ma di ogni cosa apparente; e chi non è in
grado di sentire l’innocenza non sa scomparire.
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