182 silenzi femminili. Elisabetta Nelsen San Francisco State

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182 silenzi femminili. Elisabetta Nelsen San Francisco State
TRICEVERSA
Revista do Centro Ítalo-Luso-Brasileiro
de Estudos Linguísticos e Culturais
ISSN 1981 8432
www.assis.unesp.br/cilbelc
TriceVersa, Assis, v.3, n.1, maio-out.2009
CILBELC
silenzi femminili.
VOCI INNAMORATE E SOTTOMESSE IN MANZOGNA E SORTILEGIO DI ELSA MORANTE
Elisabetta Nelsen
San Francisco State University
RIASSUNTO
L’articolo analizza specifici tratti stilistici
ricorrenti in alcuni dialoghi fra personaggi
maschili e femminili, coinvolti in una
relazione amorosa, in Menzogna e
sortilegio di Elsa Morante. L’intento sarà
di evidenziare, attraverso una precisa
“explication de texte”, i ruoli di potere e
di sottomissione fra i parlanti/amanti,
tipici di una comunicazione linguistica
drammatica-conflittuale.
PAROLECHIAVE
Silenzi;
amore;
sottomissione;
Elsa
Morante.
ABSTRACT
This article focuses on the analysis of
typical stylistic characteristics recurring in
some of the dialogues between female and
male characters involved in romantic
relationships in Elsa Morante’s Menzogna e
sortilegio. By using a close “explication de
texte”, the aim is to outline a dramaticconflicting linguistic interaction between
the speakers/lovers, in order to define the
roles of power and submission.
KEYWORDS
Silence; voices; love;
submision; Elsa
Morante.
Un sorriso le serpeggiava sui labbri, e il colore le
fuggiva rapidamente sul volto; ma essa non diceva
niente.
(Elsa Morante)
Le quattro storie d’amore che intrecciano Menzogna e sortilegio di Elsa
Morante, invece di svolgersi come incontri e rapporti felici e rassicuranti, si
risolvono al contrario in situazioni estremamente infelici e conflittuali.
Specificatamente, le quattro storie d’amore sono quelle che avvengono, secondo
la sequenza narrativa della trama, fra i seguenti personaggi:
1) Edoardo e Anna
2) Francesco e Rosaria
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3) Nicola e Alessandra
4) Francesco e Anna.
Tutte e quattro le vicende vissute da queste coppie si caratterizzano come
storie d’amore che finiscono male, con la separazione e talvolta con
l’annientamento di uno o tutti e due i protagonisti, come avviene fra EdoardoAnna e Anna-Francesco, i quali, quasi come gli elementi di un chiasmo
passionale, si esauriscono a catena nella fine della relazione amorosa.
Infatti, invece di rappresentare esperienze dove l’amore e il rapporto
affettivo portano a una condizione di felicità e di completamento, queste
situazioni amorose diventano piuttosto luoghi di conflitto estremo e di estrema
tensione. Secondo una prospettiva esistenzialista, la conflittualità del rapporto
amoroso si verifica fortemente come scontro di due soggettività, per cui la
libertà dell’altro si aliena.1 Naturalmente questo scontro di soggettività si
riflette nel rapporto di comunicazione linguistica che si stabilisce fra le due
persone innamorate, tanto da determinare un rapporto di potere, confuso a
quello
affettivo,
espresso
e
trasmesso
attraverso
complesse
modalità
comunicative in cui il linguaggio, secondo Roland Barthes (1977, p.9), si rivela
nella sua lunga carriera di cosa agitata ed inutile.
Nell’elencare le quattro coppie di innamorati di Menzogna e sortilegio, ho
deliberatamente nominato prima il personaggio maschile, in quanto, in questo
romanzo, è spesso l’uomo a occupare una posizione di superiorità nella relazione
amorosa, gestendola, stabilendo l’inizio e la fine della vicenda e assegnando in
tal modo a questa un esito di felicità o infelicità. La donna, in queste coppie,
delinea la sua identità sui pensieri, le parole e le azioni del proprio partner,
senza possibilità di controllare gli avvenimenti e contribuirne al loro
cambiamento. Il personaggio femminile si trova in una tale posizione di passività
e di sottomissione da assumere costantemente il ruolo di soggetto innamorato,
1
La problematica dell’amore come luogo di conflittualità di due soggetti è affrontata
esuarientemente da Jean-Paul Sartre in L’être et le néant.
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adorante, ma al contempo angosciato e perennemente infelice. Solo nell’ultima
coppia,
Francesco-Anna,
avviene
un’eccezione.
Bisognerebbe
infatti
far
precedere il nome della donna nel binomio di questa coppia, in quanto è Anna a
dominare nel rapporto con il marito. Anna si rifiuta all’amore di Francesco e al
suo ruolo di moglie e madre, innalzandosi sul partner, nella chiusura della sua
forte
personalità
emotiva
e
immaginativo-visionaria,
fino
a
provocare
l’annientamento di tutti e due, prima di Francesco e poi di lei stessa. Anna e
Francesco arrivano alla fine a vivere secondo la categoria barthesiana di
annullamento: il soggetto amante giunge ad annullare il soggetto amato sotto il
volume dell’amore stesso. In questo modo il dolore per la perdita dell’amato è
riassorbito nella magnificenza e nell’astrazione del sentimento amoroso
(BARTHES, 1977, p.28). Il soggetto innamorato può allora placarsi in quanto,
desiderando colui/colei che non c’è, non può più esserne ferito.
La disfunzionalità presente nello scambio comunicativo delle coppie
innamorate di Menzogna e sortilegio sembra avvolgere il romanzo nella sua
struttura più ampia, tanto da improntare la stessa voce narrante in prima
persona di Elisa e insieme filtrare quella della narratrice stessa, soprattutto nel
tentativo di captare la testimonianza di una donna, Elisa, che all’inizio della
vicenda sembrava essere destinata al silenzio. È quindi dallo scambio
comunicativo dei vari protagonisti dei loro brevi o lunghi meta-romanzi di amore,
che intrecciano Menzogna e sortilegio, che emerge costantemente la superiorità
e la potenza maschile in contrasto alla sottomissione e inferiorità della donna.
Un saggio che ancora ritengo determinante, nonostante risalga al 1979, per
l’interpretazione di questo aspetto morantiano, è quello di Marina Mizzau che va
sotto il titolo affascinante di Eco e Narciso. Parole e silenzi nel conflitto uomodonna. La data di questo saggio è significativa perché identifica il periodo in cui
l’indagine femminista italiana si avvicinava alla ricerca intellettuale francese
esemplificata da Hélène Cixous, Luce Irigaray e Julia Kristeva, indagine che
voleva identificare un’espressione di comunicazione tipica delle donne in
relazione al concetto di “écriture feminine”: lingua come liberazione, presa di
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coscienza del corpo femminile ma anche sfogo disinibito per raccontare e
denunciare insieme il silenzio delle donne. Il messaggio di Hélène Cixous in Le
rire de la Méduse non si riassume solo, dunque, nell’incitare la donna a adottare
la sua lingua profondamente biologica ma anche, attraverso le stesse parole, a
raccontare quelli che sono stati sempre i silenzi o solo gli echi di affermazioni
ripetute attraverso balbettamenti appena pronunciati. Il saggio di Marina Mizzau
analizza efficacemente gli scambi liguistici fra uomo e donna alla luce della
coppia mitica, Eco e Narciso: Narciso è il soggetto amante, il personaggio
maschile che parla, asserisce o nega arbitrariamente il proprio amore, è il
gestore della sua volontà e della sua parola; Eco è al contrario condannata al
silenzio o solamente a replicare e a ripetere la parola di Narciso. Il rapporto di
comunicazione linguistica che si determina si svolge, dunque, secondo una
continua antitesi di parola-silenzio, secondo il conflitto e lo scontro dialogico che
si stabilisce fra un Narciso che parla e un’Eco che replica e cerca di farsi sentire.
Il risultato è la condanna di ambedue i protagonisti a quella che Mizzau definisce
una “chiusura infrasoggettiva”2 (1979, p.8) a una incomunicabilità fatale e
insieme a un conflitto incessante, dove la parola diventa, bachtinianamente
parlando, teatro della lotta di due intenzioni.
Quello che intendo analizzare in questo saggio sono appunto gli
atteggiamenti femminili di subordinazione e ripetizione che emergono in alcuni
dialoghi di Menzogna e sortilegio. Si vedrà come il messaggio linguistico che
scaturisce da questi esempi di conversazione riesce ad esprimere la relazione
amorosa tra i parlanti ed il modo in cui ciascuno/a vede se stesso/a, l’altro e la
relazione stessa.
2
Nella prima parte del saggio, Marina Mizzau espone la differenza fra comunicazione maschile e
femminile. La parola maschile si istituisce come manifestazione coerente della stessa
personalità, strutturata secondo una decisa contrapposizione fra il proprio io e gli altri. La
personalità psicologica femminile sembra al contrario consistere di tutti i rapporti che la donna
ha come figlia, moglie, madre, cioè in relazione al suo ruolo con gli altri. La Mizzau fa
riferimento in particolare al saggio di linguistica Language and Woman’s Place di Robin Lakoff
(1975) che studia il problema della specificità del parlare femminile.
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Sono soprattutto il capitolo secondo e il capitolo quarto della parte seconda
di Menzogna e sortilegio ad offrire una fitta serie di dialoghi fra i due
protagonisti Edoardo e Anna. I due cugini si sono dichiarati l’amore, così Elisa, la
narratrice, figlia di Anna, riporta le conversazioni dei loro incontri. I contenuti di
tali dialoghi rivelano indubbiamente l’incrinatura e la precarietà del legame
affettivo e la dipendenza assoluta di Anna da Edoardo. Basta osservare poi che
una delle didascalie/titolo del capitolo quarto riassume così il contenuto dello
stesso: “Nuovi sconclusionati colloqui degli amanti acerbi”. Il sottotitolo dà un
valore di parità ai protagonisti, considerati tutti e due “amanti acerbi”, per
sottolineare l’immaturità e la giovinezza della loro relazione, tuttavia gli
“sconclusionati
colloqui”
saranno
sempre
tratteggiati
dalla
superiorità
capricciosa e in qualche modo tirannica dell’amante maschile.
Edoardo si dimostra di solito molto volubile: egli passa da forti slanci di
amore per Anna a attacchi furiosi di finta gelosia, fino a provocazioni e accuse
che lo rendono un personaggio connotato da una personalità narcisista, viziata,
vana e bugiarda. Ecco un primo esempio di colloquio fra Edoardo e Anna:
Edoardo la guardò di sotto in su, e osservò:  Sei pallida, più pallida di ieri.
Forse non hai dormito stanotte?
Sì  ella mormorò  sì, ho dormito.  Hai dormito… dopo ch’io sono
andato via?  Sì,  ripeté Anna.  E,  riprese egli, intento,  hai
sognato?  No  rispose Anna, alquanto intimidita a tante domande  ho
avuto un sonno senza sogni.
-Ah,  egli osservò, chinando la testa, fra mortificato e indispettito,  io
credevo che avresti sognato di me.
All’udir quelle parole, e il tono con cui furono dette, Anna si sentì d’un
tratto colpevole d’un grave peccato, addirittura d’un tradimento, per non
aver sognato di lui. Col rimorso la vinse una tenera pietà per lui, come s’egli
le stesse innanzi ferito, e bramò di aiutarlo, di medicarlo, e questo non già
da eguale a lui, ma da sottoposta: ‘Ah, poter essere il suo garzone, il suo
domestico,  si disse, accesa da una selvaggia umiltà,  e servirlo giorno e
notte, vegliare in attesa dei suoi comandi.’ Fra tali pensieri, dominò la
propria timidezza, e confessò, piena di fervore:
- La vostra… la tua poesia, quanto è bella! L’ho imparata a memoria, la so
tutta!
- Ne scriverò molte altre per te,  egli promise, impetuoso e lusinghiero, 
e assai più belle della prima. Scriverò per te delle canzoni, che ti canterò
come ieri notte… e ti darò dei baci.
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A queste parole, il cuore di Anna batté in tal modo, che’ella ebbe il senso
d’una grande, solenne cavalcata avanzante sulla piazzetta.
- Rifiuti… rifiuti ch’io ti baci?  riprese a dire Edoardo,  rifiuti o no?
Anna s’addossò al muro; e levando un braccio sul capo, quasi in atto di
difesa, chinò sulla spalla il volto, in modo da celarlo un poco contro quelle
pietre scabre. Nel far ciò ebbe una risata convulsa e timida; ma
inaspettatamente, risollevò il volto; e con uno sguardo risplendente, quasi,
in accento mutato, esultante e temerario, esclamò:
- Edoardo? Perché lo domandi? io t’ho sempre amato! ti amo! (MORANTE,
1982, p.143, sottolineature mie)
Se analizziamo da vicino questo brano, possiamo osservare l’uso dei verbi
adibiti a individuare due modi di comunicazione. Le forme verbali di Edoardo
sono “osservare”, “promettere”, “riprendere”, sono verbi che manifestano
sicurezza e determinazione. Edoardo guarda con attenzione Anna, “di sotto in
su”, quindi abbassandosi sotto il viso di Anna, come un inquisitore, fa domande
precise e pretende risposte precise, fra le quali di essere l’unico oggetto di
conversazione, mentre promette il suo amore elargendo canzoni e baci. I verbi di
Anna sono invece “mormorare”, “ripetere”, “rispondere”, “confessare” e
“esclamare”. I primi tre mettono in rilievo il senso di sottomissione che Anna
sperimenta
come
ragazza
innamorata.
Mormorare
vuole
dire
parlare
sommessamente, bisbigliare, sussurrare, asserire qualcosa a voce bassa per la
paura di essere sentiti; ripetere è usato da Elisa, la narratrice, solo per far dire
ad Anna quello che il cugino vuole sentire; rispondere, a sua volta, è
immediatamente messo in crisi nel suo significato di replica dall’accostamento
del participio qualificativo “intimidita”; confessare è la voce verbale più
sintomatica di tutto il passo. È il verbo che da un lato permette di dominare la
timidezza femminile ma dall’altro afferma il senso di colpa, in questo caso la
colpa segreta di avere imparato a memoria tutta la poesia dell’innamorato.
Confessare è inoltre un verbo carico di ambiguità, perché esprime il bisogno di
sincerità ma anche il bisogno di perdono. È un verbo che ancora una volta è usato
per significare un rapporto di dipendenza: è sempre Anna che deve confessare le
proprie colpe e soprattutto quella di essere perdutamente innamorata del
cugino. In più, l’espressione “piena di fervore” espande la semantica di
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“confessare”, rendendolo più esplicito nella sua valenza religiosa. L’ultimo
verbo, esclamare, sembra essere un predicato carico di entusiasmo e di
esultanza, un verbo coraggioso, ma il risultato è quello di emettere
nell’esclamazione il solo verbo possible per Anna: “amare” che non è altro che
l’affermazione incondizionata dell’assoluta dedizione e adorazione verso il
soggetto amato. Non per nulla è proprio Anna a desiderare nel suo intimo di
diventare la serva di Edoardo, il suo “garzone” e “domestico”, la sua
“sottoposta”. È interessante notare anche l’uso di certi riflessivi, riferiti a Anna,
come “si sentì”, “si disse”, che sottolineano il ripiegamento della ragazza su se
stessa. Questo tipo di dialogo riesce ad evidenziare un preciso rapporto
relazionale che si stabilisce fra i due parlanti, delineando una situazione
ineffabile di amore contrastato, combattuto, atteso e vissuto dalla protagonista
con ansietà e angoscia, con trepidazione e desiderio. Nel dialogo riportato si può
chiaramente assistere all’interesse della Morante per la ragazza debole e
innamorata, sottomessa e disperatamente sola nel suo amore di adolescente.
Anna parla pochissimo e le sue risposte spesso si compongono solo dei
monosillabi del sì e del no, raramente di frasi complete. Il linguaggio di Anna si
può definire ossimoricamente improntato al silenzio. Per Anna non c’è riscatto o
possibilità di emancipazione: Anna è la sottoposta, la serva d’amore “accesa da
una selvaggia umiltà”, a cui è permesso di esplodere nel solo grido del “ti amo”.
La voce femminile di molti personaggi morantiani si esprime più con silenzi e
gesti che con parole. In tal modo ogni messaggio espresso dalla donna è
accompagnato frequentemente da un indice “metacomunicativo”, come è stato
indicato da Marina Mizzau, indice che qualifica il messaggio in rapporto alle
intenzioni, consapevoli o inconsapevoli, del parlante (1979, p.60-62). Il
messaggio metacomunicativo è definito dalla Mizzau come un messaggio che
qualifica
ulteriormente
il
contenuto
denotato
dalla
forma
verbale
di
formulazione, aggiungendovi qualcosa o anche capovolgendolo o negandolo, e
questo in funzione del contesto e, in particolare, del rapporto che c’è, o che si
vuole che ci sia, fra i comunicanti.
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L’importanza di questo aspetto metacomunicativo si rivela specialmente
quando il rapporto fra i due parlanti è di tipo affettivo, quando in questo
rapporto esiste un conflitto coperto, non affermato, e una diseguaglianza e
quando questa diseguaglianza si configura in termini di potere. Gli indici
metacomunicativi possono essere anche di carattere non verbale, possono essere
gesti e movimenti o atteggiamenti specifici di uno dei due comunicanti. Nel
brano
che
ho
riportato
sopra
riscontriamo
due
modalità
indirette
di
comunicazione che rivelano la disfunzionalità e la conflittualità del rapporto fra
Anna e Edoardo. Edoardo china la testa “fra mortificato e indispettito” quando
sente che Anna non lo ha sognato, in un atteggiamento capriccioso di delusione
che rivela la sua personalità egocentrica, ma i suoi movimenti sono accompagnati
dalle parole, per cui i suoi messaggi hanno un significato di potere e di
imposizione. Il gesto di Anna di addossarsi al muro e di chinare il viso sulla spalla,
alzando un braccio sulla testa per nasconderla, rivela invece l’insicurezza e la
metacomunicatività della sua risposta. Anna non risponde direttamente alla
domanda del cugino: “Rifiuti ch’io ti baci… rifiuti o no?” (Morante, 1982, p.143).
Ella risponde con un movimento somatico e ulteriormente con una risata
“convulsa e timida”, che è già un primo sintomo di quel linguaggio isterico con
cui Anna riuscirà solamente a comunicare alla fine del romanzo, prima di morire.
La risata permette tuttavia la temerarietà di dichiarare solennemente il proprio
amore, per cui l’atteggiamento di Anna, i suoi gesti, il riso e l’esclamazione
finale precludono alla metacomunicatività come unico modello possible di
comunicazione: “Ella rispondeva soltanto con un grido” (Morante, 1982, p.153)
Le esplosioni di Anna si riducono così a pochi sfoghi disperati isolati. Ed è la
Morante stessa che ci presenta questa situazione di dipendenza femminile
sfociante nell’idolatria attraverso l’intervento di Elisa, oscillante fra una forte
partecipazione affettuosa verso Anna, sua madre, e un’ironia decisamente in
polemica con un tale tipo di rapporto affettivo e di storia d’amore:
Ma soprattuto cocente le era il pensiero che Edoardo non capisse quant’ella
lo amava… Tuttavia, la nostra idolatra non accusava d’incomprensione il
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proprio idolo: al contrario, si sentiva lei stessa in difetto per la propria
incapacità di farsi comprendere… È assai crudele adorare una divinità che
non vede il cuore del suo devoto, e si nutre dei più scettici dubbi.
(MORANTE, 1982, p.150-151)
È in questo modo particolare della scrittrice di avvicinarsi al mondo e al
ruolo della donna che si avverte un senso di ambiguità e di equivoco. La donna
morantiana è presentata sempre in una condizione di estrema emarginazione, da
Menzogna e sortilegio a Aracoeli, emarginazione che viene denunciata da una
duplice posizione di affettività e di ironia della voce narrante verso il
personaggio femminile oppresso. Da un lato esiste il riconoscimento di questa
emarginazione sociale e psicologico-esistenziale della donna, dall’altro si avverte
la fascinazione per l’interiorità tutta femminile di quest’ultima che si risolve in
un comportamento di silenzio, in una situazione di sconfitta e di eventuale
distruzione. Via via, nella successione catastrofica dei fatti, Anna si svilupperà in
un personaggio le cui uniche modalità di espressione saranno date da un
linguaggio
cosiddetto
notturno
che
scaturisce
dal
sogno,
dall’incubo,
dall’allucinazione visionaria. Il personaggio Anna si costruisce capitolo dopo
capitolo su questa progressiva caratterizzazione comunicativa disfunzionale e
paradossale, fondata su un gioco ambiguo di affermazione e negazione, di
domanda-non domanda e risposta-non risposta.
Il non-verbale, il non detto, le espressioni facciali e i gesti che fanno da
veicolo ai significati veri della comunicazione nascondono anche l’ansia e
l’angoscia dell’innamoramento verso un partner che non appartiene all stessa
classe sociale. Infatti il desiderio, paradossale, di Anna di sposare il cugino
nobile, lei, figlia di un nobile decaduto, imprigionata successivamente in un
matrimonio di stampo piccolo-borghese, è represso nella quotidianeità di un
conflitto che si copre e si scopre disfunzionalmente, all’interno di rapporti
caratterizzati da disparità di poteri.
La paradossalità del desiderio di Anna
diventa ovvia in un gesto preciso che la giovane donna subisce, per sua scelta,
masochisticamente, rivelante la condizione senza uscita di sottomissione in cui la
ragazza è imprigionata. Anna decide di farsi segnare crudelmente nel viso da
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Edoardo, prima che lui la lasci, in modo che il marchio rimanga come ricordo
perenne e indelebile ma anche cicatrice di una ferita d’amore mai risarcita:
Tutte queste commedie culminarono infine, un bel giorno, nella cerimonia
del marchio di fuoco… Con fervore pudico e avido, ella ricordò al cugino la
sua promessa di segnarla crudelmente nella persona, prima di lasciarla,
affinché lei serbasse per sempre un ricordo di lui; e ambì dal cugino traditore
sfregi o ferite, come un’altra donna sul punto di essere abbandonata
dall’amante, esige da lui denaro e oro…; e fu Anna medesima che arroventò
alla fiamma il ferro da ricci di Cesira (arma prescelta per il rito) e lo porse al
cugino, offrendogli nel tempo stesso il volto, come per un bacio…: dopo una
breve attesa piena di spavento, nell’attimo che il suo gentile parrucchiere,
mutatosi in perfido chirurgo, le premette quell’arma frivola sulla guancia,
presso la bocca ov’ella aspettava il bacio…; Anna fu gioiosa e felice.
Così, nei giorni successive, le piaceva il male cocente della piccola piaga. E
in seguito, ella spiava con ansia allo specchio l’attenuarsi della minuscola
cicatrice, e tremava di vederla sparire pian piano, al modo stesso che le
donne vanesie tremano di vedere apparire una ruga. (MORANTE, 1982, p.184)
La “cerimonia del marchio di fuoco” si istituisce nel suo rituale silenzioso
come forma comunicativa al limite della disfunzionalità: al dialogo è sostituito il
marchio, alle parole d’amore labili e fugaci, ambigue e allusive, il segno
impresso sulla guancia.
Sono appunto i silenzi di Anna che suggellano l’ineluttabilità del suo
destino. Ed è sintomatico vedere come Elsa Morante abbia insisitito a delineare
nei suoi romanzi personaggi femminili particolarmente silenziosi nei confronti di
altri al contrario estremamente ciarlieri.4 In un certo senso il silenzio femminile
contribuisce a presentare la donna nella sua caratteristica di enigmaticità, nella
4
Un personaggio femmminile ciarliero e chiacchierone è Rosaria, che diventerà madre adottiva di
Elisa. Per il suo ruolo di cortigiana decaduta, in altre parole di prostituta, Rosaria è loquace,
comunicativa, euforica, spesso melodrammatica, qualche volta becera e volgare. La sua
loquacità, a tratti isterica, sembra liberarla dal suo stato di sottomessa e sfruttata ma purtroppo
ne rappresenta solo uno sfogo e una caratteristica adottata dalla Morante per contrapporre
Rosaria ad Anna nel suo rango sociale e nell’aspetto affettivo. Può sembrare contraddittorio, ma
nella coppia Francesco-Rosaria, è Francesco il personaggio silenzioso; infatti Francesco,
nell’esiguo gruppo dei personaggi maschili del romanzo, rappresenta la voce femminile, il lato
oscuro, insicuro, anti-eroico del maschile. Francesco introduce i personaggi maschili morantiani,
alienati e spostati, dei romanzi successivi, come Davide nella Storia e Manuele in Aracoeli.
Esempi di Rosaria loquace e ciarliera si ritrovano nelle seguenti pagine del romanzo: 466, 478,
484, 528. Rosaria, inoltre, è l’unica donna che riesce a distruggere l’eroe Edoardo, non solo nella
sua bellezza e nel suo talento di grande amatore, ma soprattutto a livello esistenziale in quanto,
dopo averlo smascherato di essere spia e traditore, gli profetizza la morte (MORANTE, 1982,
p.304).
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sua impossibilità a essere descritta. Riaffiora allora alla memoria l’inizio del
romanzo Il passaggio di Sibilla Aleramo in cui la scrittrice inneggia al silenzio
lodandolo “cosa fedele”, da cui si sente abbracciata e protetta e di cui si sente
creatura, perché permette il ripiegamento sul proprio sé, amandolo, quasi come
arma difesa contro la disgregazione della propria identità.5
Un altro grande personaggio “silenzioso” di Menzogna e sortilegio è
Alessandra, la madre di Francesco, marito di Anna, il quale nasce appunto dalla
relazione di lei, fuori del matrimonio, con Nicola Monaco. Francesco è quindi il
figlio del silenzio, della passione e dell’amore non detti. Personaggio femminile
all’insegna del positivo in quanto è donna, sposa, madre e anche amante,
Alessandra assomma in sé questi ruoli in una personalità che è tratteggiata dalla
Morante secondo le qualità della pacatezza e della sottomissione accettata,
senza per questo soffrire di frustrazioni e nevrosi. L’incontro con l’amante Nicola
Monaco è occasionale, e avviene nella casa stessa del marito. Alessanda
s’innamora di Nicola, si fa sedurre ma non si dispera quando lui non si fa più
vedere nella sua vita e la lascia con un figlio. Alessandra capisce e accetta
consapevolmente la distanza che esisterà fra lei e Nicola. Come in un
incantesimo, Nicola ordina ad Alessandra di accompagnarlo, senza che nessuno
commenti malignamente tale comando. Il primo e unico dialogo che Alessandra
ha con Nicola, durante il loro primo incontro d’amore, è narrato dalla Morante
nel discorso indiretto che intensifica il senso del magico e dell’arcano. Solo le
parole di Nicola sono riportate, insieme al suo atteggiamento di sfida e di
baldanza; di Alessandra è riferita soltanto una risposta, ancora nel discorso
indiretto, insieme a una risata appena accennata:
5
“Il silenzio attende. Il silenzio, la più fedele cosa che la vita m’abbia allacciato. Più grande di
me, via via ch’io crescevo anch’esso cresceva, sempre pareva volesse ascoltarmi e tacevamo
insieme, ed ancora io mi ritrovavo uguale fra le sue braccia, senza statura, senza età, creata dal
silenzio stesso, forse, per un suo desiderio immutabile, o forse non mai nata, larva ch’esso
proteggeva” (ALERAMO, 1985, p.9). Sibilla Aleramo, una delle prime a rivalutare l’individualità
della donna e la presa di coscienza della condizione femminile, si riferisce al silenzio come al
compagno che accompagna e protegge la donna nella sua maturazione da larva a essere vivo e
unico.
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Come si giunse al margine del paese, presso le case distrutte… Nicola
domandò come mai non si provvedesse a riedificare sulle rovine. E Alessandra
rispose che, a quanto si diceva, ciò era vietato dagli spiriti di coloro che
avevano abitato già quelle case, ed eran periti nel terremoto. A tali parole il
forestiero rise forte, e le domandò se anche lei credesse agli spiriti. La donna
disse che lei, veramente, non ne aveva mai veduti, ma se tutti ne parlavano,
certo essi dovevano esistere;… Di nuovo, Nicola rise… quindi, sfidò la donna a
mostrar coraggio entrando con lui fra quelle mura dirupate. A una tal
proposta, Alessandra si segnò d’istinto, e s’arrestò, recalcitrante, ridendo un
poco; ma vergognosa della propria viltà, e resa fiduciosa dalla sicurezza del
compagno, si lasciò trarre da lui che l’aiutava a scavalcare un mucchio di
terra, e la spingeva fra le rovine:  Avanti, signore anime, fateci gli onori,
veniteci incontro! – esclamò Nicola, con accento gioviale. Sola risposta a
questo invito, fu un fruscio dei cespugli mossi dallo scirocco, e una remota,
leggera eco di tuono annunciatrice della pioggia.  Lo vedi?  esclamò
Nicola; e la donna rise, non senza batticuore, e quasi incantata da un’ansia
di prodigi che le irrigidiva le membra. Si fermarono presso un arboscello
giovane, i cui rami sottili, neri nel buio, si piegavano al vento; toltosi il
cappello, e la cintura con la pistola, il forestiero li sospese a quell’albero
agitato; poi strinse a sé la giovane, e scostandole il fazzoletto dalla fronte,
prese a carezzarla sulle tempie, quasi persuadendola al sonno. Alessandra, le
pupille dilatate, fredda e docile si piegò ad ogni volontà di colui, come s’egli
non fosse un uomo, bensì un’apparizione di quei recinti proibiti. (MORANTE,
1982, p.332).
In questo quadro nel genere del notturno idillico gotico-romantico, il
rapporto fra Alessandra e Nicola si verifica in una condizione di immersione con
la natura, in un’atmosfera di silenziosa segretezza e clandestinità. Ed Alessandra
è esemplare di quella naturalità primitiva e autentica con cui strutturalmente la
Morante nella sua poetica definisce il mondo delle donne, dei bambini e degli
animali, in cui tuttavia anche il mistero si fonde in una qualità di gioia e di
splendore:
Alessandra… Lei sola, di tutti noi, conobbe il sapore della gioia senza
mescolanza d’amaro; e il suo doppio, quest’ombra loquace, non si stanca di
celebrare la sua gioia. (MORANTE, 1982, p.335)
Ella è la libertà, la confidenza, il riposo. Certezza e stupore, che sembrano
eterni, la ricingono della loro signoria. (MORANTE, 1982, p.370)
La voce narrante, l’ “ombra loquace”, Elisa, che nasconde nel suo nome
allungato la vera identità dell’autrice, sfrutta questa caratteristica enigmatica
della donna per offrirci i suoi personaggi femminili in modo decisamente
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affascinante. Ma il fascino di queste donne non è reso secondo la
caratterizzazione fissa della figura femminile fatale, silenziosa e fascinatrice
offertaci dal canone maschile. Anna, come anche Alessandra, affascinano allo
stesso tempo per i loro silenzi e le loro parole pronunciate nell’esperienza
dell’esaltazione e del delirio, o della sottomissione serena. Nonostante l’ironia
che cerca di trovare un significato e assegnare un ruolo di credibilità etica alla
voce narrante e di equilibrio pratico alle vicende inaudite e paradossali, in
qualche modo questi personaggi femminili sono sempre trasfigurati in grandezza,
perché rappresentano, su una scala maggiore le fantasie, i sentimenti e le
passioni umilianti che schiacciano e che vogliono essere rinnegate, e che invece
la Morante riprende come materia viva della sua invenzione.
Quasi alla fine del libro, Elisa esalta il delirio della madre, i “vapori
fantastici”, inesauribili, che provocano l’allucinazione e l’estasi. E anche se gli
altri personaggi di Menzogna e sortilegio (incluso quelli maschili) sono spiegati e
giustificati alla luce della stessa potenza immaginativa, Anna, come afferma
Elisa, rimane “la più bella” e “la più fedele” alla sua esaltazione fantastica,
tanto da sacrificarne la propria vita: “Quei vapori lunari ed erratici sono i soli
numi della mia epopea familiare, e Anna, la più bella, rimase fedele ad essi fino
alla fine, e offerse la propria anima ad essi” (MORANTE, 1982, p.689).
Elisa è colei che a sua volta si fa cingere dagli stessi vapori “erratici e
lunari” e rompe il silenzio della madre, raccontando, con la scrittura, la storia di
quell’amore proibito e in seguito fantasticato fino all’estremo, costruendo la
“menzogna” ma anche il “sortilegio” della sua “epopea” familiare. Incantata e
coraggiosa insieme, Elisa rompe il silenzio femminile materno per riaffermarlo
con forza e senza vergogna. È un atto di fiducia, non nella parola orale, ma in
quella scritta, in una scrittura che possa bilanciare insieme realtà e fantasia. E
nel cercare un senso al delirio materno si ricostruisce una storia di un desiderio,
improbabile ma vero, impedito nella sua realizzazione dall’assurdità del sociale
stesso, castrante della libertà sognatrice anarchica. Il lato realistico sta appunto
nel mettere in scena un mondo fantastico, sognato e cullato, umiliato nel
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confronto con quella che è la realtà delle limitazioni sociali. Elisa-Elsa o
viceversa non ha vergogna di narrare, senza mai smentire, quello che una donna
può fantasticare. In questo senso si capisce la connotazione di “barocco”
attribuita da molta critica allo stile di Menzogna e sortilegio. La scrittice si
impegna a escogitare e realizzare una forma linguistica che prende a prestito
modi, stilemi e lessico di qua e di là, da altri linguaggi e discorsi, per non voler
avere una forma sua propria (e nello stesso tempo averla) e così darsi varie
possibilità di espressione secondo i mutamenti di una mente fantasticante. Come
scrive Sandro Onofri, al “morbo fantastico” della scrittrice “non sfugge niente, e
il suo occhio va per tutto il libro a scovare le illusioni, le velleità” nell’animo dei
suoi personaggi, gonfiando il linguaggio “in modo da adeguarlo all’intensità e alla
passionalità delle situazioni” (1993, p.147) È la conquista di questo linguaggio
personale, pieno, ricco, a volte esaltato, a volte ironico, che permette alla
scrittrice di ottenere una lingua solo sua, e allo stesso tempo lasciare spazio a
quella delle sue donne silenziose, raggiungendo un virtuosismo espressivo nel
senso positivo del termine, attraverso la fusione efficace “di esperienza
letteraria, di abilità tecnica e di sensibilità personale che ha dato a questo libro
un’atmosfera particolare e irripetibile” 6 (ONOFRI, 1993, p.147).
Questo linguaggio tipicamente morantiano rappresenta veramente il
tentativo della donna/Eco, condannata al silenzio o alla replica della parola di
Narciso, di formulare la propria parola, anche per avere un rapporto reale con
l’altro, specialmente con il pubblico di ascoltatori e lettori:
La parola femminile è di volta in volta opposizione diretta e rivendicazione
confusa, ironia, paradosso e richiesta ambigua, è un detto che attraversa il
detto, un silenzio che si fa sentire. (MIZZAU, 1979, p.8)
6
Un altro commento, che insiste sull’eccentricità di Menzogna e sortilegio come fuori della norma
dal contesto neorealista degli anni in cui fu scritto, è quello di Giulio Ferroni che riconosce
questo romanzo come “uno di quei libri che non seguono la corrente della storia […] ma che
suggeriscono una configurazione inaudita della letteratura, che offrono per proprio conto una
nuova possibilità di interpretazione del presente” (FERRONI, 1993, p.37).
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Così il continuo rapporto di opposizione parola-silenzio ricopre tutte le
sfumature che gradatamente si verificano nella difficile e contradditoria presa di
coscienza femminile, nel momento in cui questa Eco, costretta alla parola
passiva, comincia a parlare in proprio, ancora di più a scrivere.
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