ProgettoMemoFilm nov 2007.

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ProgettoMemoFilm nov 2007.
Giovanni XXIII
Azienda pubblica di servizi alla persona (ASP)
PROGETTO MEMO FILM
“A MEMORIA DI UOMO”, IL CINEMA CONTRO LE PATOLOGIE DELLA PERDITA DELLA MEMORIA.
SPERIMENTAZIONE DI TECNICHE AUDIOVISIVE NELLA RIABILITAZIONE DI SOGGETTI AFFETTI DA
DEMENZA.
Gennaio-Febbraio 2007
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Note di presentazione
Il dato statistico più recente relativo alla situazione delle Case Protette e delle RSA al 31/12/2006
indica che oltre i 3/4 degli ospiti dell’ASP Giovanni XXIII (76,4%) sono affetti da demenza come
menomazione prevalente o comorbidità.
A questi ospiti l’azienda dedica da anni strategie terapeutiche anche estremamente innovative, come
il Metodo Validation.
In questo solco, che ha permesso all’azienda di raggiungere livelli di primaria importanza nella realtà
bolognese e non solo, si inserisce il progetto “Memo Film”, forte di una base di partenza assolutamente
originale: coniugare scienza e arte, impiegando elementi di una tecnica ormai consolidata nel trattamento
della demenza, la reminiscenza, non in un rapporto diretto operatore-paziente, ma tramite la mediazione di
un filmato.
In altri termini, “Memo Film”, realizzato attraverso il contributo fondamentale dei famigliari del
soggetto interessato, intende rappresentare in 15-20 minuti la vita dell’anziano affetto da demenza, anziano
che viene così interessato in modo sistematico a stimoli positivi e utili sul piano cognitivo e su quello
emozionale.
Il progetto ha un target piuttosto limitato poiché è specificatamente rivolto ad anziani con demenza
lieve-moderata . Va tuttavia aggiunto che, considerata l’attuale carenza di terapie farmacologiche efficaci, è
proprio su questa tipologia di anziani che occorre adottare misure tese a rallentare il declino cognitivo.
“Memo Film” coglie l’obiettivo, facendo riemergere i ricordi e le emozioni del passato, con ciò riancorando la
persona al presente e migliorando la qualità di vita e la relazione con il contesto circostante.
Giovanni XXIII
Azienda pubblica di servizi alla persona (ASP)
La Cineteca di Bologna è fortemente interessata alla sviluppo e alla realizzazione del progetto
“Memo Film” , non solo per le sue evidenti implicazioni e ricadute sociali, ma anche per la particolarità
specifica dell’uso dell’audiovisivo, in una chiave interattiva e personalizzata: questo film dedicato e diretto a
un solo spettatore (il paziente) rappresenta una variante assolutamente inedita nel panorama delle mille
forme (e formati) che il cinema ha assunto nella sua lunga storia. Una modalità che sembra entrare in
contraddizione con i suoi stessi presupposti: il principale strumento della comunicazione di massa che si fa
supporto di una pratica terapeutica squisitamente individuale. Anche le coordinate estetiche di riferimento (il
bello, il brutto, il riuscito, il fallito) vengono ridisegnate in una prospettiva nuova e inesplorata.
Per questo (per una vocazione di “soggetto scientifico” che la Cineteca va perseguendo con sempre
maggior determinazione) è nostra intenzione promuovere il progetto, collaborando con la struttura sanitaria
e mettendo a disposizione il patrimonio delle nostre competenze tecniche, sia a livello produttivo che
promozionale.
Cineteca del Comune di Bologna
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Premessa
…fare di necessità virtù, potrebbe essere il motto che dà origine in primis a questo progetto di film
fortemente individualizzati e che ha portato alla singolare collaborazione di medici, psicologi, cineasti: uno
sceneggiatore, il sottoscritto, nel 2004 si trova di colpo alle prese con i problemi pratici e affettivi causati da
una demenza in ambito famigliare, quella di una persona molto cara inconsapevolmente malata che
all’improvviso resta sola, non ricorda la morte repentina della consorte e ogni mattina quando si alza, la
cerca, non capisce e inizia a pensare che il mondo complotti contro di lui. Nasce così da una situazione
disperante che risponde alla necessità di fissare questa perdita, un primo film che diventa nel suo farsi,
qualcosa di più: un racconto per immagini che parla al paziente e mentre risolve problemi pratici, banali (ma
importantissimi), prova a dare delle risposte esistenziali, a puntellare l’identità, a sollecitare l’autostima, a
stimolare l’affettività, a costruire emotivamente “senso” laddove cognitivamente questo pare sul punto di
perdersi per sempre. Un racconto che può essere replicato tutti i giorni, anche più volte al giorno che ha
per protagonista un singolare attore che sta perdendo il suo ruolo.
La cosa pare funzionare. Dopo la visione quotidiana del film, questa persona, che vive sola assistita
da una donna di servizio per alcune ore al giorno, acquisisce senza angosce la morte della moglie, l’identità
nel tempo pare conservarsi. Successivamente si fanno degli aggiornamenti al film per rafforzarlo. A bocce
quasi ferme s’inizia a riflettere con amici competenti su cosa sia questo strumento che mette in campo
molteplici discipline: la psicologia, la medicina… e il cinema con il suo “specifico”, ma in modo
apparentemente nuovo. Sul piano teorico un campo assai vasto pare aprirsi. Nasce così a Bologna su base
volontaria un gruppo multidisciplinare di prima ricerca con lo scopo di capire le potenzialità dello strumento,
orientandosi sulla demenza, una malattia che ha ormai caratteristiche sociali, e di produrre altri Memo film
con la partecipazione del personale del Giovanni XXIII. Dopo i primi risultati che hanno portato anche a
iniziali riflessioni sulle procedure, il metodo d’approccio… si è sentita la necessità di uscire dalla precarietà e
dal volontarismo per poter proseguire sul lavoro intrapreso con accresciute forze. L’adesione convinta delle
Istituzioni citate e la sponsorizzazione dell’UNIPOL hanno reso possibile che il progetto prendesse così
consistenza.
Eugenio Melloni
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1. LE DEMENZE (un’informativa sulla malattia).
“Le demenze consistono nella compromissione globale delle funzioni “corticali” (o mentali) superiori, ivi
compresa la memoria, la capacità di far fronte alle richieste del quotidiano e di svolgere le prestazioni
percettive e motorie già acquisite in precedenza, di mantenere un comportamento sociale adeguato alle
circostanze e di controllare le proprie reazioni emotive: tutto ciò in assenza di compromissione dello stato di
vigilanza. La condizione è spesso irreversibile e progressiva” (definizione assunta dal Committee of Geriatrics
del Royal College of Physicians della Gran Bretagna, 1982).
Una constatazione importante è che nella persona demente la perdita di funzioni intellettive (il pensare,
ricordare, ragionare) si accompagna sempre a disturbi comportamentali e psichici più o meno gravi, ma tali
da condizionare pesantemente la vita dell’individuo e dei suoi famigliari.
In clinica si descrivono molti tipi di demenze dovute a più di 60 cause. Le forme più comuni sono: la malattia
di Alzheimer, la demenza vascolare, la demenza con depressione, il tipo fronto-temporale, la demenza con i
corpi di Lewy, il morbo di Parkinson-demenza e poi forme secondarie reversibili e tipi più rari come la
malattia di Creutzfeld-Jacob. Comunque le demenze sono il risultato di una complessa interazione tra fattori
genetici, modificazioni neurochimiche, fattori ambientali e interazioni con altre malattie, perciò dal punto di
vista ezio-patologico non è sempre agevole tracciare distinzioni nette. Studi istochimici hanno evidenziato
che sono frequenti gli “stati misti”, vascolari e degenerativi, con sintomi sovrapposti di più tipi di demenza.
Inoltre sono stati individuati fattori di rischio come la depressione, l’ipertensione e la bassa scolarità,
modificabili e non modificabili come l’età, e fattori di protezione attivi lungo tutto l’arco della vita così da
poter parlare oggi di possibile prevenzione della demenza.
Ciò è importante perché le demenze oltre che un’emergenza clinica, sono un’emergenza sociale e lo saranno
sempre più a livello mondiale con la tendenza all’aumento dell’aspettativa di vita in tutti i paesi perché esse
aumentano esponenzialmente con l’età. Infatti le demenze colpiscono il 5-6% della popolazione sopra i 65
anni di età ma poi questa percentuale raddoppia ogni cinque anni fino a raggiungere il 40-45 per cento tra
85 e 90 anni.
Numerosi studi epidemiologici indicano che nei paesi sviluppati le demenze interessano più le donne,
soprattutto la malattia di Alzheimer, che non gli uomini, mentre sembrano meno diffuse nella popolazione di
origine africana e asiatica. In Europa è la malattia di Alzheimer a rappresentare la più grande percentuale
delle demenze, in Cina, in Giappone e in Russia sembrano prevalere le forme di demenza vascolare. Ma i dati
sono molto discordanti.
I sintomi psicologici e comportamentali costituiscono l’altro aspetto clinico determinante poiché sono di
difficile gestione e sono una pesante fonte di stress e sovraccarico assistenziale per i familiari. Sono presenti
fino nel 90% dei malati e la loro presenza accelera il declino funzionale.
Agitazione psicomotoria, aggressività, deliri, disturbi del sonno, depressione, sospettosità, apatia, uso del
linguaggio osceno, affaccendamento senza scopo sono i sintomi più frequenti. L’uso di psicofarmaci spesso è
in grado di correggere questi sintomi attenuandoli, ma mai di rimetterli in via definitiva.
Per quanto riguarda la terapia, in attesa di più risolutivi trattamenti farmacologici ed in considerazione del
coinvolgimento costante della famiglia, si stanno sempre più sviluppando molteplici interventi di tipo
psicosociale riabilitativo, al fine di rallentare la progressione dei deficit: sono metodiche per il training di vari
tipi di memoria, per esempio, e per la riabilitazione cognitiva come la ROT (Terapia di Orientamento alla
Realtà) o la ”nuova” ROT( che inserisce l’approccio emotivo-affettivo nel processo di stimolazione cognitiva),
la Terapia di Reminiscenza, multisensoriale, la Musicoterapia e più in generale il metodo Validation e il
sistema Gentle Care per le fasi più avanzate.
Infatti secondo le moderne acquisizioni psicobiologiche che sostengono l’unitarietà dell’organismo umano e
le interrelazioni reciproche tra biologia, psicologia individuale e contesto ambientale globale, la riabilitazione
deve avvalersi di tecniche specifiche ed aspecifiche, con attività strutturate e libere ma sempre orientate alle
mutevoli fasi della malattia e centrate sulla persona considerata in toto. Gli obiettivi sono quelli di
promuovere l’adattamento attraverso strategie compensatorie e di ottimizzare/massimizzare le capacità
residue, cognitive affettive e funzionali, in relazione alla vita quotidiana in modo da ridurre la distanza tra
deficit e ambiente.
In definitiva attualmente una nuova strada è aperta con migliori risultati, utile per la ricerca di nuovi spazi
terapeutici riabilitativi al fine di “migliorare la vita di questi malati e di chi sta loro vicino” (A.Guaita, 2004).
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2. Sperimentazione e ipotesi di lavoro:
Si assume come ipotesi di lavoro che la “costruzione” di un particolare strumento audiovisivo,
chiamato memo film, centrato sul paziente e costituito di materiale appartenente principalmente al suo
universo sensoriale, passato e presente, percettivo ed affettivo, possa migliorare la condizione
psicopatologica dei pazienti affetti da demenza.
Il memo film è uno sviluppo di immagini e suoni che può avere una durata variabile e strettamente
dipendente dagli scopi prefissati, dalla situazione del paziente e dall’adesione dei famigliari. Il memo film
non è una semplice presentazione di stimoli (visivi e uditivi), ma ha un senso.
Il memo film appare imparentato con la creazione artistica e con le tecniche riabilitative.
In comune con la creazione artistica ha la scelta del materiale, dello stile espositivo, lo sviluppo di un
senso, la “regia”... e lo scopo di comunicare con chi lo guarda.
In quanto strumento riabilitativo, esso è molto di più che una “memoria esterna”: si prefigge di riorientare il paziente rispetto all’ambiente in cui vive, al tempo e alla propria storia personale (che è fatta di
emozioni). Proprio perché costituito di materia emotiva, che “parla” ai ricordi del paziente, al suo vissuto
esistenziale, il memo film si prefigge di contrastare la frammentazione psichica causata dalla malattia e
migliorare i comportamenti di adattamento.
In quanto strumento “materiale”, cioè inciso su supporto CD-DVD o nastro VHS, il memo film può
essere fruito dal paziente anche più volte al giorno, a seconda delle circostanze. La sua azione, inoltre, per
esplicarsi non ha bisogno che in minima parte dell’intervento del personale d’assistenza. Lo stesso personale
riabilitativo ( o i famigliari) lo possono utilizzare come sussidio coadiuvante nell’ambito di altre attività.
Il memo film destinato al paziente è costruito a partire dalla sua testimonianza (qualora sia
possibile), dalla testimonianza dei parenti e dalle osservazioni del personale di cura e d’assistenza.
Scopo del memo film, con il suo mostrare oggetti, persone, situazioni della vita del paziente (o che
richiamano) è quello di essere terapeutico per quel paziente, sia sul versante cognitivo che psicoaffettivo e
comportamentale. Considerando che la psiche del paziente demente è deficitaria, frammentata, dissociata,
caotica, spesso spaventata, il memo film cercherà di suscitare emozioni positive, integrate, contrasterà i
processi di perdita d’identità, cercherà di attenuare l’ansia, offrirà appigli a cui legare conoscenze e funzioni
cognitive. Il memo film cercherà di valorizzare la persona cui è diretto, di alimentare ogni forma di
ragionevole speranza.
3. Il gruppo di lavoro
Il gruppo di lavoro deve essere composto da professionisti (medici, psicologi, infermieri, terapisti
della riabilitazione, operatori dell’audio-video, registi), dai famigliari più prossimi e dal paziente stesso.
La composizione del gruppo riflette la convinzione che la realtà del paziente deve essere colta nella
sua globalità, cioè nei suoi aspetti cognitivi, emotivi, psico-affettivi e sociali. Esso si organizza intorno ad uno
scopo: perseguire il benessere psico-fisico del paziente e sperimentare l’efficacia dei memo film, come
sussidio riabilitativo.
Composizione del gruppo di lavoro:
Giancarlo Savorani, psico-geriatra responsabile scientifico, Lucio Tondi, medico coordinatore del
Giovanni XXIII, Luciana Ribani, infermiera professionale al Giovanni XXIII, Eugenio Melloni, sceneggiatore e
regista, Ruggero Tedesco, psicologo. Il gruppo è affiancato da Giuseppe Bertolucci, presidente della Cineteca
di Bologna e regista. Collabora Stefano Maria Ricatti, musicista.
I registi che collaborano:
Luisa Grosso, Enza Negroni, Davide Sorlini, Igor Bellinello
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4. Problemi etici
Essendo i soggetti cui è rivolta la sperimentazione persone fragili, gravemente deficitarie sul piano
cognitivo, parzialmente o totalmente inconsapevoli di sé e con una limitata autonomia, è indispensabile
precisare la dimensione etica che vincola e ispira il gruppo di lavoro.
Questo scrupolo deriva dal fatto che siamo consapevoli del rischio, per la costruzione del memo film,
di non ricavare un senso dalla testimonianza diretta del paziente, bensì dalle testimonianze dei parenti, o
dalle osservazioni del personale d’assistenza. Vogliamo evitare altresì il rischio di agevolare
inconsapevolmente operazioni di manipolazione o solo semplicemente di dare credito a “interpretazioni”
azzardate.
D’altra parte questi rischi non possono impedirci d’intraprendere strade nuove per la ricerca. Siamo
consapevoli delle incertezze che permeano le nostre azioni, ma con spirito speculativo abbiamo il dovere di
avventurarci su percorsi mai sperimentati! Ci guiderà il coraggio (meglio: la temerarietà) di Sigmund Freud
che, nel lontano 1910, a partire da una breve citazione autobiografica contenuta nel Codex Atlanticus, si
lanciò senza remore nell’indagine di personalità di quel genio di Leonardo da Vinci ( S. Freud, Un ricordo
d’infanzia di Leonardo da Vinci, ed Boringhieri).
Nel 1965, Harold F. Searles, un clinico che si è occupato del trattamento di pazienti dall’ io molto
frammentato, ha sperimentato che la terapia per i pazienti gravi richiede che determinate funzioni mentali
vengano inizialmente attivate fuori dall’individuo (precisamente nel gruppo dei terapeuti) e che solo
successivamente l’individuo se ne possa appropriare ( Harold F. Searles, Sritti sulla schizofrenia,ediz ital
Bollati-Boringhieri,1974).
Se facciamo nostra l’affermazione di Searles, e cioè che l’integrazione dei diversi frammenti dell’io
devono aver luogo in larga misura all’esterno del paziente stesso, noi pensiamo che il gruppo di lavoro sia la
sede di questo processo.
In ultima analisi è il gruppo di lavoro stesso che garantisce una tensione etica, un gruppo di lavoro dove c’è
la più ampia rappresentanza di professioni e di persone, dove tutti possono esprimere i propri punti di vista e
dove il fine dichiarato è la collaborazione per il benessere del paziente.
Fermo restando che ogni componente del gruppo di lavoro deve attenersi ai dettati dei Codici civile e
penale in vigore, e che i professionisti sono vincolati dalle norme deontologiche dei rispettivi Ordini
Professionali, un ulteriore scrupolo ci spinge ad enunciare alcuni principi ideali e di autodisciplina.
a) il gruppo di lavoro ha come finalità la promozione del benessere psico-fisico dell’individuo e del
gruppo sociale di appartenenza. Per conseguire questa finalità i membri del gruppo utilizzano le proprie
peculiari competenze e strutturano una relazione professionale multidisciplinare o multifocale, che colga
l’individuo nella sua globalità fisica, psico-affettiva e sociale.
b) il gruppo può prendere in carico solo persone della cui condizione abbia sufficiente esperienza e
deve saper riconoscere le situazioni per le quali è indicato richiedere la consulenza di altri professionisti.
c) i membri del gruppo di lavoro hanno cura di verificare il permanere della reciproca fiducia.
d) in particolare i professionisti sono consapevoli di non poter avere certezza del grado di aderenza
alla realtà delle informazioni ricevute dai famigliari del paziente. Si assumono pertanto la responsabilità di
valutare le informazioni ricevute e di verificare soprattutto che il loro uso nell’ambito della sperimentazione
non nuoccia al paziente (reazioni negative catastrofiche).
e) i famigliari dei soggetti che partecipano alla sperimentazione ( e i soggetti stessi, ove possibile)
devono essere informati adeguatamente sulla finalità della ricerca, sui metodi, sui benefici attesi e sui
possibili rischi. Rilasceranno il consenso informato per iscritto e saranno invitati a far parte integrante del
gruppo di lavoro costituito per l’occasione.
f) il memo film, per rappresentare il prodotto intellettuale del gruppo di lavoro, deve essere
sottoposto alle valutazioni critiche del gruppo e deve prevedere possibilità di correzioni ed aggiornamenti.
g) nella consapevolezza che la ricerca e la sperimentazione scientifica sono fondamentali per il
progresso della conoscenza umana, i risultati della ricerca e i memo film stessi potranno essere oggetto di
comunicazione (e di visione) in seno alla comunità scientifica o in altre situazioni che comunque siano
rispettose della dignità e integrità delle persone coinvolte. Ogni informazione biografica oggetto della
comunicazione scientifica risponderà al solo criterio di rendere comprensibile la sperimentazione intrapresa.
Le persone saranno nominate con le sole iniziali del nome e cognome o col solo nome, salvo esplicito
consenso a essere nominate per intero..
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5. Impatto del Memo Film sul personale del reparto “B” della R.S.A. del Giovanni XXIII ,
prime considerazioni.
Il reparto”B” è stato spesso coinvolto in sperimentazioni e studi; per esempio è stato condotto uno
studio sperimentale sull’efficacia del metodo “validation” sui disturbi comportamentali connessi alla demenza
di tipo Alzheimer.
L’attuale sperimentazione, invece, pur perseguendo lo stesso obiettivo, si caratterizza per una
minore necessità di intervento da parte del personale curante. L’apporto degli operatori, infatti, è
sostanzialmente circoscritto al compito di proporre la visione del memo film al paziente e alla disponibilità ad
essere intervistati da parte dei valutatori esterni, alle scadenze previste dal disegno dello studio. Circa
l’impatto che la sperimentazione “terapeutica”del Memo Film ha prodotto sui caregivers e sull’organizzazione
del reparto non sono disponibili per ora dati controllati.
La sperimentazione in atto, per il momento, è rivolta ad un esiguo numero di pazienti, perciò l’effetto
del Memo Film non è potuto essere apprezzato dagli operatori come un fattore terapeutico di
“cambiamento”. Possiamo testimoniare per ora solo semplici osservazioni: quello che possiamo dire è che,
visionando il memo film, abbiamo visto gli operatori commuoversi, apprezzare la modalità del racconto
filmico.
Cosa c’è dietro questa commozione?
Nelle riunioni quotidiane di servizio il personale era informato dello scopo della sperimentazione ed
era richiesto di collaborare con i ricercatori esterni, accettando di farsi intervistare e riprendere dalla
telecamera.
Essere ripresi dalla telecamera, partecipare alla sperimentazione ed “entrare” nello strumento
riabilitativo (il Memo Film del paziente) diventando parte di esso, ha comportato visibilmente una potente
mobilizzazione di emozioni che sono, sostanzialmente, la “scoperta” degli operatori, sorpresa e poi
consapevolezza, di essere parte della vita del paziente e non solamente erogatori di servizio alla persona.
Vedere il memo film del paziente e rivedersi in esso, è per gli operatori un’esperienza che abbraccia
più livelli.
Al livello cognitivo egli rafforza la conoscenza del passato del paziente, sul suo ambiente di vita,
entra in contatto con la sua biografia. Come conseguenza pratica questo può offrire l’occasione per
migliorare la comunicazione col paziente con scambi comunicativi su fatti storici, interessi, ecc.
A livello emotivo l’operatore entra in contatto in un modo nuovo e inedito con una biografia dei
sentimenti (i legami affettivi familiari e coniugali, le aspirazioni, i desideri e i sogni, ecc) che gli fa apparire il
paziente una “persona” e solo incidentalmente il soggetto malato o bisognoso d’assistenza. Sempre a questo
livello, il memo film gli propone intimamente non solo il rispecchiamento della sua umanità in quella del
paziente, ma anche la rappresentazione dei suoi gesti ed interventi riabilitativi (il suo “essere”) come parte
dell’esperienza emotiva e cognitiva del paziente.
Il memo film, rappresentando narrativamente il passato, ma anche il presente, il malato, ma anche
l’operatore, produce quella distanza che permette di potenziare un pensiero di conoscenza ed emozione.
L’ipotesi della sperimentazione è che tutto questo contribuisca a rafforzare l’umanizzazione
dell’assistenza e una cultura organizzativa rispettosa dei bisogni del paziente.
Anche i parenti del malato sono protagonisti del memo film: non solo sono coinvolti nella
“scrittura”del film, ma sono anche presenti in esso come immagini e parole. Abbiamo osservato le loro
reazioni: sono di gratitudine. Quel che i parenti apprezzano di più è l’attenzione per il loro congiunto,
testimoniata dal Memo Film, piuttosto che l’aspetto scientifico della sperimentazione.
Il film valorizza il loro apporto alla “cura”, valorizza i ricordi del congiunto, ripercorre itinerari emotivi
dispersi, riannoda dei legami e ripropone una speranza, un senso. E’ di questo che sono grati.
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6. L’approccio artistico cinematografico, alcuni elementi di ricerca.
Dalle prime esperienze, la realizzazione dei memo film, sul piano della comunicazione, sembra
caratterizzarsi con elementi diversi rispetto al linguaggio cinematografico che, non dimentichiamolo, nasce
per un pubblico “indistinto”, mentre il memo film è per un solo spettatore. Ma se da una parte questo è
importante per definire il mezzo, dall’altra, proprio perché nel caso delle demenze gli elementi cognitivi
(solitamente momenti imprescindibili della struttura di una narrazione) sono più o meno compromessi, ecco
che l’elemento emotivo tipico della comunicazione audiovisiva, rimette in gioco il mezzo filmico con le sue
specificità. Tanto che la chiave emozionale, se ben controllata, potrebbe diventare la strada per veicolare
quegli elementi cognitivi che si vogliono recuperare.
In sostanza, se struttura e tono della narrazione continuano a rivestire la loro importanza, il loro
peso è diverso e non necessariamente aspira all’equilibrio, alla sintesi formale, al punto che viene da pensare
che, teoricamente, perfino il cinema di poesia o d’avanguardia che “ideologicamente” arriva a privarsi della
narratività, potrebbe essere utile agli scopi prefissati.
Se queste considerazioni sono ancora troppo generiche per rivestire un significato utile, una cosa
appare certa: se l’aspetto emotivo è importante, la qualità della comunicazione lo è altrettanto e investe di
responsabilità nuova l’autore, che nel caso del memo film non dovrebbe esprimere in primis se stesso, ma
far sì, tra le altre cose, che il paziente che guarda il film a lui dedicato si riconosca, nel senso che “senta”
che quanto sta vedendo (e avvenendo) riguarda effettivamente lui, al di là delle palesi intenzioni annunciate
prima della visione, al di là della “meraviglia” ingenua ( o profonda) che le prime esperienze di memo film ci
paiono dire essere sempre presente nel nostro spettatore, un sentimento che rimanda al cinema delle
origini, quello dei fratelli Lumiere, quando ebbero la geniale intuizione di filmare e proiettare come
spettacolo ciò che spettacolo non è: la vita prosaica, i passanti che pensano ai loro affari… Avendo capito
che … le persone si sarebbero prima di tutto meravigliate di rivedere ciò che non le meravigliava: le proprie
cose, i propri visi, il proprio ambiente familiare (E.Morin- Il cinema e l’immaginario 1962).
Ma allora che forma di espressione è quella di chi poi è chiamato materialmente a realizzare il memo
film? E la si può chiamare forma espressiva? E come si riesce ad avere un effettivo coinvolgimento da parte
dello spettatore-paziente? E poi, quella del coinvolgimento è la strada sempre giusta per centrare lo scopo
del memo film, cioè contrastare la demenza nelle sue conseguenze cognitive e comportamentali? Bastano
già queste domande per capire che la ricerca è ampia, al fondo della quale potrebbe esserci, tra le altre
risposte, la necessità di formare da un punto di vista creativo una sensibilità nuova. E se il cinema è una
continua riscrittura che passa principalmente tre fasi la sceneggiatura, le riprese e il montaggio, come questa
sensibilità si spalmi tra le varie competenze, è un’altra delle domande possibili a cui trovare risposta.
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7. IL PROGETTO (definizione e costi)
DESTINATARI: pazienti affetti da demenza di grado lieve-moderato con disturbi del comportamento, di
varia eziopatogenesi, ricoverati in Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), in strutture residenziali per
anziani non autosufficienti o viventi in un contesto familiare.
OBIETTIVI GENERALI DEL PROGETTO: contrastare i disturbi dei pazienti con demenza, in particolare il
decadimento cognitivo, i disturbi psichici e comportamentali. Ricercare nuovi strumenti nella lotta alla
demenza e alla sua ricaduta sul piano sociale ed economico.
OBIETTIVI SPECIFICI:
Produrre un memo film personalizzato per ognuno dei 10 pazienti selezionati.
Migliorare la funzionalità dei processi cognitivi nei pazienti selezionati.
Migliorare i comportamenti adattativi e ridurre la sintomatologia psichiatrica dei pazienti selezionati
Migliorare il contesto famigliare e il rapporto con il personale di cura.
Sviluppare una metodica.
Individuare le caratteristiche del Memo film nel contesto della produzione audiovisiva.
Tradurre la sperimentazione in momenti e progetti formativi rivolti al personale del Giovanni XXIII, con
particolare attenzione agli aspetti clinici, riabilitativi e sociali.
STRUMENTI:
Per conseguire gli obiettivi di cui sopra si utilizzerà un particolare strumento audio-visivo chiamato appunto
“memo film”. Esso prevede diverse fasi di realizzazione.
1. Una fase istruttoria che parte dall’esame dei dati clinici del paziente, l’ascolto della testimonianza dei
familiari sull’universo emotivo - affettivo e cognitivo del paziente, in sostanza la vita vissuta,
integrata con le valutazioni del personale di cura. Al termine sono definiti gli obiettivi individuali
perseguibili.
2. Una fase preparatoria del personale di cura attraverso un percorso formativo che possa garantire
una valutazione oggettiva degli eventuali cambiamenti comportamentali e possa sostenere la
sperimentazione in tutte le altre fasi previste.
3. Una fase produttiva del memo film che prevede un momento preparatorio o pre-produttivo, le
riprese e l’edizione.
4. A cui seguono la valutazione del gruppo sul memo film prodotto, la visione con i parenti e la
“somministrazione”.
5. Una fase di verifica, aggiustamento e l’esame dei risultati raggiunti.
Per completare il raggiungimento degli obiettivi sopra specificati sono previste periodiche discussioni sui
memo film prodotti e loro comparazione. Le verifiche sono aperte al contributo di esperti di volta in volta
individuati a secondo dei temi affrontati.
A completamento del progetto è realizzata una pubblicazione finale che riassuma il lavoro svolto, le sue
conclusioni e le pubblicizzi.
TEMPI:
Il progetto ha durata di 18-24 mesi.
METODOLOGIA:
Viene selezionato un gruppo di 10 malati composto da persone con diagnosi di demenza di vario tipo e che
presentano problemi comportamentali disturbanti. Ai membri del Gruppo Sperimentale (GS), oltre alle usuali
attività stabilite dal piano assistenziale sarà presentato il memo film personale con le procedure qui di
seguito illustrate.
T0 : Al tempo T0 i pazienti saranno valutati con test Mini Mental State Examination (MMSE) e
Neuropsychiatric Inventory (NPI). Una Check List Situazionale (ChLS), a mediazione linguistica e
personalizzata, sarà approntata per ogni paziente, costituita da situazioni passate e presenti (persone,
oggetti, circostanze) emotivamente significative ed evocate espressamente dal memo film e di cui si può
verificare la riconoscibilità o meno da parte del paziente.
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Dopo la valutazione sarà somministrato al paziente il suo memo film. Nella fase d’avvio un parente che ha
partecipato al gruppo di lavoro condividerà con il malato la visione del film, sottolineando con atteggiamenti
empatici (rinforzo) i passaggi più significativi ed emozionanti. Nel caso di pazienti ricoverati in RSA, poco alla
volta al posto del parente subentreranno gli operatori professionali, che assumeranno nei confronti del
malato uguale atteggiamento empatico.
Il memo film sarà in seguito presentato al paziente del GS due-tre (non meno di 2 e non più di 3) volte al
giorno. Non è prevista espressamente la partecipazione di famigliari o personale d’assistenza.
T1 : L’intervento di stimolazione proseguirà per 2 mesi e sarà seguito dalla rivalutazione testistica: MMSE per
la valutazione cognitiva e NPI per la valutazione neuropsichiatrica delle manifestazioni comportamentali. Sarà
verificata altresì la Check List Situazionale (ChLS) personalizzata per apprezzare le variazioni della
riconoscibilità delle situazioni presentate nel memo film. In particolare verrà posta attenzione alla capacità di
“ricordare” la situazione ed alla capacità di rappresentare il ricordo con il linguaggio.
T2 : Identiche valutazioni di tipo cognitivo e comportamentale saranno eseguite alla fine del primo mese di
sospensione.
Un secondo ciclo di sperimentazione del memo film e i successivi cicli, riprodurranno identiche procedure
da T0 a T2. Analoga metodologia sarà seguita per un gruppo di controllo.
I punteggi ottenuti nelle scale di valutazione nei diversi momenti, descriveranno dinamicamente i risultati
della sperimentazione.
Della valutazione saranno incaricati valutatori esterni al Gruppo di Studio.
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Appendice (il primo Memo Film)
IL MEMO FILM “La signora B.”
Sig.ra B.
(figlia: M. A.)
INCONTRO PREPARATORIO (5 e 13 maggio 2006)
La signora B. è nata nel 1912 in prov. di Napoli. E’ ricoverata dall’aprile del 2005 al Giovanni XXIII. Diagnosi
all’ingresso: encefalopatia vascolare. Cardiopatia ischemica con pregresso infarto. Agitazione psicomotoria
con aggressività verbale. Deterioramento cognitivo, diabete.
Dall’incontro con il personale e con la figlia emergono questi aspetti: per ciò che riguarda l’universo emotivo
sostanzialmente non accetta il suo ricovero.
In Istituto: soffre la “solitudine”. Rivendica la presenza del
personale. Si agita nel letto e sulla sedia. Grida “Aiuto!” quando è sola e vuole attirare l’attenzione.
Speranze: spera sempre di tornare a Napoli. Il suo soggiorno al Giovanni XXIII è vissuto come momentaneo
e dettato da esigenze di salute.
La figlia le fa visita frequentemente e riferisce che la madre ha nostalgia di Napoli dove è vissuta fino al
1951. La sua vita è stata segnata dalla passione per la musica. A Napoli ha frequentato il conservatorio e si è
diplomata in pianoforte. I luoghi di Napoli a cui è particolarmente legata, come riferisce la figlia, sono il
Caffè Gambrinus, Palazzo Reale, Piazza Plebiscito, il Teatro S. Carlo. Anche la cucina napoletana e ben
presente nei ricordi della signora B., in particolare alcuni dolci tipici: le sfogliatelle, i Gajodin (cioccolatini), la
pastiera napoletana. La signora B. amava cucinare (per es. le pizze fritte). Ha sempre amato la compagnia di
un gatto.
Per ciò che riguarda la musica, le piace Chopin, il direttore Riccardo Muti (ricordo della “bacchetta”), il
Conservatorio di musica. Ha suonato a lungo il piano, ha dato concerti. AMICI: la sig.ra Rossi (Napoli) ogni
tanto telefona. Una sua foto è disponibile. Un amico violinista dei tempi di Napoli (forse un corteggiatore..)
Raccomandazioni della figlia.
Evitare qualsiasi riferimento che rimandi all’abitazione lasciata e alla propria condizione di persona anziana.
La degenza (definitiva e inevitabile) è stata fatta passare per provvisoria per rendere più sopportabile il
senso di abbandono (la signora B. è in attesa di guarigione). Si decide di assecondare la figlia e solo in una
fase successiva e dopo studio delle possibile ricadute in senso positivo o negativo affrontare l’aspetto che
riguarda il riconoscersi in un video.
PROCESSO DI SCRITTURA DEL MEMO FILM PER LA SIGNORA B.
Sceneggiatura
Bologna Piazza maggiore, un voce off dice dove siamo e che a Bologna c’è una struttura sanitaria qualificata:
il Giovanni XXIII
Esterni della struttura
Interni vari reparti. Voce off: nei vari reparti lavorano medici, infermieri e terapisti della riabilitazione
Intervista al dr.Tondi e altro personale
Interno bar: (v.off) durante la convalescenza è possibile svolgere attività creativa
Interno sala ricreativa e sull’onda della musica di sottofondo..
Esterni giardino e del gatto Arturo… v.off: il gatto che vedete è Arturo… particolare sui fiori curati dalla
signora B..
Esterno: la figlia arriva in visita.. v.off: non ci sono limitazioni al diritto di visita. La signora M.A. sta andando
a trovare sua madre.
Intervista alla figlia… “Mia madre non è di Bologna….- E’ nata a Napoli…una città meravigliosa… Scorrono
immagini di Napoli. Altre domande: Fino a che età è rimasta a Napoli? Cosa faceva sua madre?…. V.off:
Anche al dott. Tondi piace la musica
Il dott. Tondi afferma che gli piace la musica … commento musicale sul finale.
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Possibili indicatori dell’acquisizione mnemonica e del comportamento:
Nomi propri del personale.
Toponomastica napoletana
Frequenza del richiamo di aiuto
Segni di agitazione
Altri…………………………………………
Riprese
MDP: Panasonic NV-GS70 3CCD. Non è stato usato alcun materiale illuminotecnico e fonico. Macchina a
mano.
Luoghi di ripresa: Piazza maggiore e Due torri. Esterni interni Giovanni XXIII. Interviste personale e figlia
della signora B., M.A.. Ambienti naturali parco urbano Ferrara.
Materiale di “repertorio” usato: documentario su Napoli della De Agostini e altro materiale cinematografico e
televisivo in brevissime inquadrature…
Con la signora M.A. si concorda di giustificare agli occhi della madre la visione del film come un servizio
televisivo sul Giovanni XXIII, all’interno del quale c’è un’intervista alla figlia.
Ma durante il montaggio, visto la preponderanza dell’aspetto musicale, si è deciso di confezionare il film
come un programma televisivo finalizzato alla ricerca della musica classica nei posti più impensati.
Montaggio (Premiere 6.5)
E’ suddiviso in 4 parti:
L’ambiente del Giovanni XXIII
L’intervista alla figlia
I ricordi: Napoli e la vita musicale della signora B.
La fusione conclusiva della prima e della terza parte
Descrizione:
1)Come attacco è stata utilizzata la sigla del documentario De Agostini, intramezzata da due immagini: il
gatto (Arturo del Giovanni XXIII) e l’albero. L’immagine del gatto è finalizzata a richiamare l’attenzione della
signora B. che ama i gatti e l’albero che ritroveremo alla fine del film, è l’introduzione di un’immagine
archetipa. Dopo un’indicazione del dove siamo (Bologna), si passa alla presentazione del Giovanni XXIII.
Attraverso un gioco di dentro e fuori, entriamo nella struttura con l’intervista di Tondi e del personale, tesa a
definire in modo rassicurante la struttura come sanitaria. 2)Quindi si arriva all’intervista della figlia, pretesto
per un “salto” 3) a Napoli sull’onda dei ricordi e dell’attività di pianista della madre. La foto della signora B. a
13 anni è anche supporto a un lungo brano musicale di Chopin che accompagna le foto della nipote seduta
davanti al piano e dei gatti di famiglia amati in passato.4) Si ripetono le interviste al personale e alla figlia sul
ricovero presso il Giovanni XXIII e si conclude con un brano pianistico di Mozart che sostiene le immagini
appena viste (ripetizione).
Durata del video: 15’ 47”VERBALE RIUNIONE DOPO LA PROIEZIONE DEL FILM
Presenti: sig.ra M.A. (figlia della sig.ra B.), Ruggero Tedesco, Eugenio Melloni, Dott. Lucio Tondi, Dott. Gian
Carlo Savorani, Valeria Ribani
Dopo aver visto il memo film “Alla ricerca della musica classica”, espressamente pensato per favorire il
processo riabilitativo e d’adattamento della sig.ra B. e modificato rispetto alla sceneggiatura, i presenti
esprimono un parere positivo sul lavoro compiuto.
I commenti sul memo film sono stati positivi sia per quanto riguarda i contenuti che la forma.
In particolare la sig.ra M.A. ha dichiarato la propria commozione di fronte al materiale prodotto e alla forma
narrativa scelta oltre che al tono.
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Tutti i presenti hanno espresso la volontà di proseguire la strada della sperimentazione e si sono interrogati
sulle procedure da intraprendere per assicurare al lavoro un rigore scientifico.
Si è deciso pertanto di precisare meglio la situazione clinica della sig.ra B. utilizzando alcuni test (ad esempio
il Mini Mental Test e il N.P.I.), al fine di individuare degli indicatori per la verifica del risultato.
Si è convenuto che il valutatore clinico fosse una persona non appartenente al gruppo di lavoro, in modo da
garantire l’indispensabile neutralità. Lo stesso valutatore, secondo il protocollo, opererà una verifica di
risultato dopo 3, 6,9,12 mesi.
Questo il protocollo della ricerca:
Valutazione della situazione clinica di partenza della sig.ra B.
Individuazione di alcuni indicatori di risultato (coerenti con il memo film)
Esposizione quotidiana della sig.ra allo stimolo del memo film
Valutazione dei risultati secondo gli indicatori individuati
Tempi: -Valutazione clinica di partenza entro 30 giugno 2006
Prima raccolta dei risultati entro 30 settembre 2006
Si prende in considerazione la possibilità di approntare una scheda giornaliera di valutazione del
comportamento ispirata al Neuropsychiatric Inventory.
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ALLEGATO:
frequenza dei disturbi comportamentali prima e dopo la diagnosi di
malattia di Alzheimer
80
agitazione
Agitazione
frequenza (% di pazienti)
70
60
ritmi diurni
depressione
50
irritabilità
Irritabilità
40
ritiro sociale
30
allucinazioni
Allucinazioni
ansia
20
modificazioni dell'umore
comportamento socialmente
inaccettabile
paranoia
10
0
-40
-30
aggressività
Aggressività
vagabondaggio
ideazione suicidiaria
Ideazione
C
comportamento
accusatorio
comportamento sessualmente
deliri
inappropriato
-20
0
-10
10
20
30
mesi prima/dopo la diagnosi
Jost e Grossberg
14
Linee Guida sul trattamento della malattia di Alzheimer
Storia naturale della AD
Mild
Moderate
Severe
Mini Mental
State Examination
score
25 ---------------------| Sintomi
20
|----------------------| Diagnosi
|-----------------------| perdita ell’autonomia
15
10
|--------------------------------| disturbi Comportaentali
Ricovero in RSA
5
|-------------------------------------------|
0
morte |------------------------------------------
1
2
3
Feldman and Gracon, 1996
4
5
Years
6
7
8
9
15
Curriculum
GIUSEPPE BERTOLUCCI, regista e sceneggiatore. Presidente della Cineteca di Bologna.
GIANCARLO SAVORANI
Medico Geriatra, Specialista in Immunologia e in Gerontologia, Responsabile di S.S. ”Psicogeriatria” e referente del
Centro Esperto Demenze del Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna. Presidente Sezione Regionale Emilia-Romagna
dell’ A.I.P. Associazione Italiana Psicogeriatria. Dal 1997 Professore a contratto di Geriatria, autore di oltre 300
pubblicazioni scientifiche. Svolge ampia attività nell’ambito della formazione di operatori professionali geriatrici,
nonchè nell’ambito del volontariato (A.R.A.D. associazione di ricerca assistenza demenze di Bologna).
LUCIO TONDI
Medico. Specialista in Oncologia e Radioterapia Oncologica. In servizio presso l’ASP Giovanni XXIII in qualità di
medico per l’assistenza medico-geriatrica. Ha fatto parte del Gruppo Tecnico Organizzativo istituito dall’Az.U.S.L Città
di Bologna nell’ambito del progetto Regionale Demenze. Ha svolto attività di docenza per O.O.S.
EUGENIO MELLONI Ha un diploma in regia teatrale e ha collaborato a vario titolo con progetti teatrali e
cinematografici.. Filmografia:Soggetto e sceneggiatura
L'Accertamento, regia Lucio Lunerti, prodotto dalla Tecnovisual, distribuzione Lion Pictures con Giulio Brogi e Lino
Capolicchio.
Prima del Tramonto (Torball) regia di Stefano Incerti, Premio alla sceneggiatura della Presidenza del Consiglio,
produzione Cecchi Gori Group con Said Taghamaoui, Simona Cavallari, Ninni Bruschetta, Gigi Savoia, Peppino
Mazzotta, Maud Buquet. Selezione ufficiale Festival di Locarno 1999. Vincitore del Festival Annecy 1999. La
sceneggiatura è stata pubblicata dalla Federazione Italiana dei Circoli Cinematografici.
La vita come viene, per la regia di Stefano Incerti.Una produzione VideoMaura per la Cecchi Gori Group. Distribuzione
Medusa. Con Stefania Sandrelli, Tony Musante, Stefania Rocca, Valeria Bruni Tedeschi, Alessandro Haber, Daniele
Liotti, Lorenza Indovina, Claudio Santamaria, Maddalena Maggi, Primo Reggiani.
RUGGERO TEDESCO.
-Laurea in psicologia clinica conseguita nel 1973 presso l’Università “Paris 7” (Francia).
-Laurea in psicologia conseguita nel 1975 presso l’Università di Padova
-Specializzazione in Sessuologia clinica conseguita nel 1992 (Corso quadriennale del Centro Italiano di Sessuologia Sezione di Bologna)
Dal 1976 al 2007, ha lavorato ininterrottamente nel Servizio Sanitario Nazionale con la qualifica di psicologo dirigente,
a tempo pieno.
RIBANI LUCIANA detta VALERIA
Infermiera presso l’ASP GIOVANNI XXIII. Docente del metodo validation, diplomata presso il V.T.I. Docente dal
1985 nei corsi di formazione di operatori socio assistenziali (A.D.B. operatori sociosanitari)
LUISA GROSSO Regista
Laurea in Storia del Cinema al D.A.M.S. - Università di Bologna.
Diploma di Tecnico di Regia Cinetelevisiva alla Scuola di Cinema di Nanni Moretti. Stage di Sceneggiatura con Tonino
Guerra. Ha lavorato inizialmente come autrice di videoclip e cortometraggi, successivamente è stata video-giornalista
per RAI e MEDIASET (Report – Corto Circuito – TV Zone – Verissimo). Ha scritto, come co-autrice, il libro Reality tv
- La televisione ai confini della realtà, Edizioni Rai Eri, collana VQPT. Tra le sue regie:
Cocktail Dionigi, Una vita da filosofo, film documentario prodotto da ITC Movie, , 90’, Col.
Passo a due, film documentario, 21’, Col.
Le ceneri di Gramsci di P.P.Pasolini, spettacolo teatrale per coro, prodotto da Angelica, diretto da Giovanna
Giovannini, musiche di Giovanna Marini.
Dopo aver collaborato con Giuseppe Bertolucci alla regia di diversi documentari , dal 2005 Grosso e Bertolucci
lavorano come co-registi alla realizzazione di spettacoli teatrali in un area sperimentale tra la performance e
l’installazione. Tra le loro opere: Good Body, spettacolo teatrale tratto dal libro secondo di Eve Ensler, già autrice de I
monologhi della vagina. Fino al novembre ’07 lo spettacolo è andato in scena al M.A.D.R.E. di Napoli, al SuperSpazio
di Milano, al M.AM.B.O. di Bologna e al Teatro del Parco di Parma. Ritratto del Novecento, spettacolo teatrale scritto
dal poeta Edoardo Sanguineti.
ENZA NEGRONI regista cinematografica e documentarista, oltre all’ ideazione e alla scrittura dei suoi lavori si è
occupata di progetti sperimentali realizzando alcuni laboratori cinematografici rivolti ai giovani come il “Laboratorio
Cinematografico Pilastro” del Comune di Bologna e " Shooting your area-Doppia visione "con gruppi ultras e studenti
fuori sede.
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Tra le sue opere "Jack Frusciante é uscito dal gruppo" (“Efebo d'argento 1996”, Prix Jeune Jury e Prix du Public 1996
Villerupt-Francia, Rayon D'Argent 1997 Haiange- Francia) “Echi di sera” film sulla vita e l’invenzione di Louis Braille,
“Adottando a Tuzla” documentario sull’adozione a distanza in Bosnia, Viaggio intorno a Thelonius Monk” con Stefano
Benni e Umbetro Petrin, “ Le acque dell’anima” un diario di viaggio dello scittore Bjorn Larsson. “Mambo - Museo
d’Arte Moderna ” (2007) “Ero nato per volare” storia del Museo per la Memoria di Ustica . Per Rai Educational ha
realizzato “Istanbul narrata da Nedim Gursel “ prodotto dalla Movie Movie (2007)
DAVIDE SORLINI
Regista, sceneggiatore, produttore. Filmografia: ha scritto e diretto La Mucca Magnetica, Sexy Taxi, Non disturbare il
manovratore doc. 52’ Besali docufiction 60’.
IGOR BELLINELLO
Scenografo produttore di Lacrime napoletane, Sexy Taxi, responsabile di palcoscenico di Teatro Duse. Ha collaborato
con la Cineteca per l’allestimento di mostre.
STEFANO MARIA RICATTI
Compositore e cantante, autore di canzoni, racconti e progetti teatrali. Ricatti scrive musica per il teatro, per la danza,
opere radiofoniche, film. Dal 1993 opera con il RICATTI ENSEMBLE, organico privilegiato per l’esecuzione delle
proprie composizioni. Attualmente è impegnato con il gruppo nell’opera teatrale-musicale “Ad ore piene” che titola
anche il suo settimo CD.
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Giovanni XXIII
Azienda pubblica di servizi alla persona (ASP)
L'Istituto Giovanni XXIII è una grande azienda cui spetta un importante ruolo nell'assistenza della
popolazione anziana della città. I cittadini bolognesi trovano in essa un punto di riferimento nel momento più
delicato della loro vita o di quella dei loro familiari. Da anni, infatti, l'Istituto risponde alle esigenze di anziani
della terza e quarta età che esprimono bisogni complessi e sempre più differenziati progettando e
realizzando servizi in grado di soddisfare le loro aspettative ed arricchendo e valorizzando la rete cittadina
dei servizi socio-assistenziali e sanitari a favore della popolazione anziana.
La Casa Protetta è una struttura residenziale destinata ad anziani non autosufficienti e non più assistibili nel
proprio domicilio che assicura trattamenti socio-assistenziali e sanitari di base tesi al riequilibrio di situazioni
deteriorate di natura sia fisica che psichica.
La Residenza Sanitaria Assistenziale è una struttura extra-ospedaliera socio-sanitaria integrata a prevalente
valenza sanitaria organizzata secondo il DPCM 22/12/89 e destinata ad anziani non autosufficienti non
assistibili a domicilio e richiedenti trattamenti continui, affetti da patologie cronico-degenerative a tendenza
invalidante che non necessitano di specifiche prestazioni ospedaliere.
Il Centro Diurno è una struttura semiresidenziale socio-sanitaria che assiste a sostegno delle famiglie, anziani
parzialmente o totalmente non autosufficienti attuando programmi di riabilitazione e socializzazione.
CINETECA DEL COMUNE DI BOLOGNA
Istituzione comunale dal 1995
Nata negli anni Sessanta, dal 1989 membro effettivo della Fédération Internationale des Archives du Film
(FIAF), e dalla sua creazione della Association des Cinémathèques Européennes (ACE), la Cineteca di
Bologna è autonoma Istituzione comunale dal 1995. Nell’estate del 2000 è iniziata, con l’inaugurazione della
nuova sede di via Riva di Reno, una stagione di rielaborazione dell’attività e dei progetti, culminata il 28
giugno 2003 con il trasferimento della Biblioteca e delle collezioni non filmiche e con l’apertura di due nuove
sale cinematografiche negli spazi dell’area dell’ex Macello comunale, il cui riferimento architettonico è da
allora il ‘barattolone’ della Cineteca, ideato dal genio di Aldo Rossi, che costituisce l’ingresso ufficiale del
nuovo insediamento.
La Cineteca conserva e restaura il patrimonio cinematografico per renderlo fruibile oggi e consentire la sua
trasmissione futura, ma agisce con altrettanta forza anche nella promozione culturale e nel sostegno alla
diffusione e realizzazione del giovane cinema. Circa 35 mila pellicole depositate all’archivio film (tra cui il
catalogo di Corona cinematografica); il Laboratorio L’Immagine Ritrovata, di proprietà interamente pubblica,
per il restauro e la lavorazione di filmati; numerose collezioni e fondi archivistici privati acquisiti o depositati
–sia librari che fotografici- oltre al Centro Studi Archivio Pier Paolo Pasolini, il centro studi Marcello Marcello
Mastroianni fino al prestigioso Progetto Chaplin costituiscono il consistente patrimonio della Cineteca, cui si
affiancano altre macroaree di intervento attraverso cui si esplica l’attività quotidiana dell’istituzione: la
promozione – costituita dal progetto Schermi e Lavagne per la didattica, ipotesICinema e Fronte del
Pubblico- e la programmazione (le sale Lumière, il festival Il Cinema Ritrovato; OfficinemaFestival; il festival
Human Rights Nights; la manifestazione estiva Sotto le stelle del cinema e da ultimo anche la
FilmCommission che da circa un anno è gestita dalla Cineteca di Bologna).
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