Relazione Luisa GROSSO 1 APRILE
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Relazione Luisa GROSSO 1 APRILE
MEMO FILM Breve relazione di Luisa Grosso Quando mi è stato proposto di entrare a far parte del gruppo di cineasti che avrebbe curato la realizzazione dei memo film mi sono chiesta immediatamente quale fosse la relazione tra il racconto audiovisivo e la memoria. Ho provato a riflettere sulla mia esperienza personale di scrittrice di racconti per immagini e mi sono resa conto di quanto il lavoro creativo – e qualunque genere di lavoro creativo - sia sospeso tra il ricordo e l’oblio, tra la memoria e quel luogo della psiche affollato di tutte le nostre rimozioni, i nostri conflitti più nascosti, che è l’inconscio. Chi, tra gli artisti, fa esplicitamente dell’autobiografismo la sua fonte narrativa – o quantomeno è consapevole del fatto che l’autobiografia è il suo più grande serbatoio di ispirazioni - sa che durante il processo creativo è inevitabile imbattersi in ricordi che, se spesso portano con sé un bagaglio di verità immediatamente riconoscibili, in altri casi hanno l’aspetto ambiguo di eventi elaborati appositamente dalla nostra mente, dalla nostra immaginazione, perché possano abitare questo o quel racconto, questa o quella musica, questo o quel dipinto. Il processo creativo passa attraverso il bizzarro gioco della memoria così come la creazione della propria identità nella vita reale. A questo proposito García Márquez, in apertura del suo libro autobiografico dal titolo Vivere per raccontarla scrive: "La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla". Ognuno di noi, complice la memoria, è il romanziere della propria vita. Quali siano i criteri di selezione della memoria, - credo, e correggetemi se sbaglio non ci è dato saperlo. Ciò di cui siamo certi è che noi siamo la nostra memoria perchè il ricordo è ciò che ci permette di non separarci dal mondo e dalle persone care, e da noi stessi. Le forme di demenza alterano la memoria, sia quella meccanica che emozionale, ecco che la persona malata si ritrova con una identità ridotta in cocci e della rappresentazione di sé non rimane che un mucchio di specchi rotti. Il memo film ha lo scopo di far permanere il ricordo, per evitare una separazione definitiva, è una sorta di diario che la persona malata di Alzheimer o di altre forme di demenza tiene sul comodino, una memoria sostitutiva, un ritratto di sé, un tentativo di rimettere insieme i frammenti di quello specchio rotto. Come potete constatare dall’elenco di definizioni, anch’io – e credo di poter parlare anche a nome dei miei amici cineasti – sto cercando di mettere a fuoco questo strano oggetto ancora in fase di sperimentazione, già in grado però di dare risultati evidenti. Si tratta di una forma di rappresentazione audiovisiva e in quanto tale capace di stimolare reazioni emotive, coinvolgimento o rifiuto, piacere o disgusto, ricordi o indifferenza e tutta la gamma di sensazioni che vanno dalle risate alle lacrime cui tutti noi ci sottoponiamo durante la visione di un film. E’ una forma di rappresentazione audiovisiva, dicevo, che ha la particolarità di essere ad uso di una sola persona e confezionata su misura come un abito di sartoria. Il sarto è il cineasta che con la sua maestria deve saper usare lo specifico cinematografico - il linguaggio - e con la sua sensibilità e il suo gusto personalizzare al massimo il film. La personalizzazione è la chiave del nostro lavoro, è la conoscenza profonda del paziente, della sua memoria residua, dei suoi affetti e manie a guidarci nel lavoro di preparazione. Allo stesso modo in cui si scrive la sceneggiatura di un film a partire dall’interprete, dalle sue capacità attoriali, dal ruolo che predilige e dai suoi tic per cucirgli addosso personaggio e storia. Sono storie, quelle che possiamo raccontare, tutte diverse tra loro, con alcuni punti in comune. Vorrei prima riflettere sulle diversità, sulle differenti strategie di comunicazione necessarie per ottenere un approccio personalizzato. Come presentare al paziente la realizzazione e poi la somministrazione del film stesso? La casistica è complessa; si parte dal considerare la sensibilità della persona, il livello di coscienza, la sua capacità di attenzione, le forme del discorso che le sono proprie, le turbe psichiche e caratteriali, ma soprattutto l’obiettivo che si vuole raggiungere. In uno degli ultimi memo film, ad esempio, è stato inventato, come contenitore, un format televisivo con tanto di titolo, un programma sui mestieri che va a cercare le persone più meritevoli, puntando così sulla valorizzazione della persona, evidenziando l’eccellenza del suo operato e l’impeccabilità del suo comportamento nell’ambiente in cui ha vissuto e lavorato tutta la vita, per agire in due direzioni: accrescere l’autostima e alleviare una forma di delirio che probabilmente aveva origine proprio dalla sua professione. Per fare questo si sono intervistati parenti e colleghi, sovrapponendo all’ambiente del Giovanni XXIII° una scuola; una vera e propria simulazione. In un altro caso si è fatta rivivere una delle esperienze ritenute più importanti nel vissuto dal paziente, un percorso in automobile per la città di Bologna, un percorso fatto migliaia di volte nello svolgimento della sua professione, un percorso sia visivo, fatto di luoghi e paesaggi, che affettivo, punteggiato da incontri, allo scopo di risvegliare il paziente dall’apatia, stimolare l’osservazione e il ricordo con immagini senza dubbio sedimentate nella sua mente e nel suo spirito. Ultimo esempio: un film dedicato, una sorta di lettera filmata diretta ad una paziente da persone che l’hanno conosciuta e ne sono state fortemente colpite, colpite dalla sua personalità, dalla voce intonata, dalla sua bellezza e il suo gusto. In questo caso si è tentato di colmare almeno in parte una evidente carenza affettiva, di alleviare la solitudine di una persona effettivamente sola al mondo, attraverso parole dirette, rassicuranti e stimolanti. Calore, accoglienza, riconoscimento, credo siano queste le parole chiave. Per ognuno dei memo film fino a qui realizzati si è fatto ricorso ad un linguaggio differente. Immagini soggettive o oggettive. L’uso della terza persona da parte degli intervistati (ad esempio: Giorgio è stato un valoroso partigiano), laddove era necessaria, e possibile, una ricostruzione puntuale dei momenti chiave della biografia del paziente. L’uso invece del discorso diretto (ad esempio: Mia cara Elena, sono qui per mostrarti la casa dove hai vissuto tanti anni) si è prediletto laddove la soglia d’attenzione era molto bassa e migliorava in un rapporto a due, cercando lo sguardo, pronunciando continuamente il nome proprio del paziente, instaurando una prossimità, una vicinanza, oppure nel caso in cui non c’erano dati biografici che permettessero una costruzione narrativa classica. In alcuni memo film il paziente è in video, in altri casi no, a seconda degli effetti che il rivedersi può produrre in termini di riconoscimento di sé, o di shock. In un caso si è puntato per la stimolazione su un interesse prevalente, ad esempio la musica, in un altro, per calmare l’ansia ed eliminare una paranoia, sull’effetto rassicurante di una notizia data in video da una persona che il paziente riconosce come fidata. Questa casa è tua, questo è l’atto di proprietà, nessuno può portartela via. In alcuni memo sono stati intervistati parenti e amici e colleghi, in altri, in assenza di testimoni, l’identità si è ricostruita a partire dal presente, dai dati di realtà, puntando ad esempio sul riconoscimento delle persone che lavorano nella struttura o che ne sono ospiti, sull’orientamento nella struttura stessa. Se per elencare i diversi approcci registici potrei continuare all’infinito, sarò breve nel descrivere i punti comuni che fino a qui abbiamo riconosciuto. - Il linguaggio semplice e diretto, ottenuto attraverso l’uso di una mdp miniDV che per le sue caratteristiche di leggerezza permette un approccio delicato, non invasivo e l’uso di una troupe minima, spesse volte formata da un’unica persona, che riesce ad instaurare un rapporto confidenziale, non mediato dalla macchina audiovisiva classica composta di varie professionalità, di lampade fotografiche, carrelli e microfoni e consente velocità di ripresa e nessun tempo morto. - L’uso dei primi piani: è molto importante che le persone intervistate si vedano in viso, si distinguano chiaramente le parole pronunciate. - La ripetizione: per persone che non hanno più la memoria breve è necessario ripetere più volte i concetti e le immagini chiave. - Un montaggio piano e ritmico, che rispetti i tempi di assimilazione ma che mantenga vivo l’interesse. - L’uso di immagini belle e emozionanti, da qui il ricorso a immagini archetipe, immagini di natura, rilassanti e rassicuranti. - Il ricorso ad immagini di repertorio evocative del tempo vissuto dal paziente, tratte da documentari d’epoca o film di finzione famosi. - La ripresa delle fotografie più significative della storia personale e famigliare del paziente. - Suoni e musiche particolarmente emozionanti per il paziente, che ne assecondino la concentrazione e creino il giusto coinvolgimento. Queste sono a grandi linee le riflessioni, da un punto di vista operativo, che credo di poter condividere con i miei colleghi. Vorrei concludere con una considerazione di carattere più generale: il memo film porta ogni giorno un po’ di mondo esterno personalizzato in luoghi in cui il rischio della spersonalizzazione, per ragioni strutturali di concezione architettonica e progettuale, è molto forte. Recentemente mi è capitato di vedere un film documentario, molto commovente, su una coppia di contadini molto anziani che, grazie alla vita di campagna pur condotta con le poche risorse rimaste, sopravvivono dignitosamente e felicemente.Ho pensato che sradicati dal loro ambiente naturale non sarebbero certo sopravvissuti. Perché allora non concepire sull’esempio del memo film, che usa uno strumento di comunicazione di massa per un’individualizzazione estrema - delle strutture-mondo e non dei “non luoghi” che ospitano persone che come comune denominatore hanno soltanto l’essere anziani e/o l’essere malati? Perché non tentare, progetto mi rendo conto ambizioso, di pensare strutture personalizzate, di dare possibilità di scelta, di creare dei luoghi più adatti ad ospitare contadini, intellettuali, appassionati di cinema, di musica, artisti piuttosto che marinai? Luoghi che somiglino di più alla vita?Perché, per parafrasare Balzac, un vecchio non sia soltanto un uomo, o una donna, che ha già mangiato e guarda gli altri mangiare.