Ricordo della prof. Lidia Nuvoli di Grinzane

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Ricordo della prof. Lidia Nuvoli di Grinzane
In un libro di Margherita Bongiovanni intitolato :
“Donne e tecnologia: il caso del Politecnico di Torino tra la fine
dell’Ottocento e gli anni Cinquanta”.
Tra le altre si legge :
“Le prime donne Assistenti nella facoltà di Ingegneria appaiono alla fine degli anni ’20” :
Teresa Bertino, laureatasi nel 1914 in Ingegneria Civile, risulta
poi essere “Aiuto” nel corso di
Idraulica e Macchine Idrauliche;
Ada Bursi,
laureatasi nel 1938 in Architettura, diventa Assistente Straordinaria temporanea nel corso di
Composizione Architettonica nell’anno 1939-40.
Lidia Nuvoli di Grinzane,
laureatasi nel 1950 in Ingegneria Industriale (elettrotecnica), diventa
Assistente di Ruolo di Geometrie a Ingegneria , e dopo professore di
Matematica e Fisica al liceo Scientifico Galileo Ferraris di Torino .
Anna Nuvoli di Grinzane (sorella di Lidia ,morta alcuni anni addietro) , laureatasi in Ingegneria l’anno dopo (1951) ,
diventa assistente di Disegno alla facoltà di Ingegneria.
LIDIA NUVOLI DI GRINZANE :
Due Lauree :
La prima in Ingegneria (1950).
La seconda in Matematica , conseguita nel periodo in cui ricoprì il Ruolo di Assistente di Geometrie del Prof. Eugenio Frola.
N.B. (Il Professore le chiese di ripassare le sue conoscenze di Matematica e Lei pensò bene di conseguire una seconda Laurea).
I Primi approcci con la Metodologia :
Terminata la Seconda Guerra Mondiale, a partire dall’estate del 1945, nel Salotto di casa Nuvoli (in Corso
Re Umberto 17), si riunivano :
Prospero Nuvoli (1901 – 1986 ), papà di Lidia, ingegnere Aeronautico, progettista e costruttore di Aerei,
Nicola Abbagnano (1901 - 1990), filosofo e storico della Filosofia,
Eugenio Frola (1906 – 1962 ), Ingegnere e docente di Geometria descrittiva al Politecnico di Torino,
Ludovico Geymonat (1908 – 1991 ), filosofo, matematico ed epistemologo,
Enrico Persico (1900 – 19969) fisico,
Enrico Buzzati Traverso,
Si trattava di incontri informali tra matematici, biologi, fisici,filosofi, per scambiarsi idee su questioni
generali e particolari di metodo riguardanti le diverse discipline coltivate da ognuno di loro.
A partire dal 1946 gli incontri avvennero poi in locali di palazzo Carignano e, ai sei sopra citati, si
aggiunsero Norberto Bobbio, giurista e Ordinario presso la Facoltà di Legge e Piero Buzano, Professore
Ordinario di Analisi Matematica al Politecnico di Torino. Successivamente Gleb Wataghin e altri ben noti
scienziati non solo italiani ma anche stranieri come J. Paul Dirac e altri parteciparono alle discussioni.
Nacque così il Centro di Studi Metodologici di Torino.
Nel Corso dei dibattiti , a volte anche piuttosto accesi, per saggiare sui giovani l’efficacia delle conclusioni
raggiunte dal gruppo, la giovane Lidia , veniva chiamata a fare da “cavia minor”, come scherzosamente la
chiamava il Prof. Ludovico Geymonat . Cresciuta in un simile contesto di altissimo livello culturale, Lidia
ebbe modo di formarsi e di diventare una epistemologa di notevole valore. Tanto è vero che, dopo la
Laurea , il Prof. Geymonat l’avrebbe voluta come sua Assistente all’Università di Cagliari e poi Pavia, ma
Lei rifiutò la proposta per rimanere vicino alla famiglia.
L’insegnamento come Assistente al Politecnico di Torino e come docente al Liceo Sc. Galileo Ferraris.
Fu quindi chiamata come Assistente di Ruolo di Geometrie dal Prof. Eugenio Frola al Politecnico di Torino,
e solo per un disguido (o meglio per un torto fattole, come ebbe modo di raccontarmi nei viaggi di ritorno
dai Congressi AIF) lasciò la carriera Universitaria per dedicarsi all’insegnamento della Matematica e della
Fisica al Liceo Galileo Ferraris di Torino.
In qualità di docente del Liceo “Galfer” (termine usato dagli allievi ma che non piaceva a Lidia Nuvoli), uno
dei Licei più in vista della nostra città, la Professoressa mantenne sempre un atteggiamento formale nei
confronti di colleghi e soprattutto degli allievi ai quali dava del “lei”, senza mai assumere atteggiamenti
troppo confidenziali che avrebbero potuto generare fraintesi. A tal proposito, mi ricordava il Prof Maurizio
Busso, oggi Ordinario all’Università di Perugia e da me incontrato nei giorni scorsi al Congresso Nazionale
2014 dell’AIF tenutosi nel capoluogo umbro, di essere stato suo allievo che, con un gruppetto di compagni
di classe, contestò la Lidia Nuvoli e che, per protesta nei suoi confronti, decise di trasferirsi con gli altri dal
Galileo Ferraris al Liceo Alfieri.
Lo scorso anno però, ritornando dai Seminari del martedì all’Istituto di Fisica, Lidia mi confidava, di essere
stata invitata e festeggiata con una cena conviviale da un gruppo di suoi ex allievi, che oggi occupano
importanti incarichi di lavoro nell’ambito sociale non solo torinese e italiano ma anche europeo.
Alcune sue Pubblicazioni.
Pubblicò numerosi articoli su alcune prestigiose Riviste Scientifiche, Il Nuovo Saggiatore, il Giornale di
Fisica, i Quaderni di Storia della Fisica, dirette dal prof. Castagnoli e delle quali Lei ricoprì il ruolo di
membro del Comitato di Redazione. Nel 1999, ricordo che scrivemmo un articolo : “Considerazioni
Metodologico-didattiche sulla prima lettera a stampa di A. Volta”, presentato, in occasione delle celebrazioni del
bicentenario della scoperta della pila, in un Convegno di studi voltiani a Villa Olmo in Como. Lavoro che fu
poi pubblicato nel primo numero dei Quaderni di Storia della Fisica del 2000 .
In collaborazione con il Prof. Piero Galeotti , Docente di Astrofisica neutrinica all’Università di Torino, nel
1985 pubblicò, stampato dalla casa editrice Loescher, il libro “La Fisica dell’Universo”.
Con il Prof. Angelo Piano, Docente di Fisica dell’Ambiente all’Università di Torino, scrisse un Testo di “Fisica
per i Licei Scientifici” stampato dalla casa editrice Lattes di Torino, contenente in Appendice Argomenti di
Storia della Fisica.
Con la collaborazione del Prof. Roberto Gallino, Docente di Astronomia ed Astrofisica nonché uno dei più
importanti studiosi al mondo di nucleo sintesi stellare, Lidia Nuvoli analizzò numerosi libri di Testo di
Fisica per verificare quanti e quali argomenti di Astronomia e Astrofisica erano in essi riportati e
pubblicarono i risultati della ricerca in un volume.
Lidia Nuvoli e Il Seminario di Aggiornamento Didattico e di Storia della Fisica dell’Università.
La conoscenza e la stima manifestatale dal Direttore dell’Istituto di Fisica dell’Università si concretizzò con il
suo incarico prima nella segreteria e poi nel Comitato Organizzatore dei Seminari ideati e diretti dal
Professor Carlo Castagnoli con cui Lidia Nuvoli ebbe un costante rapporto di collaborazione sin dall’anno di
istituzione dei Seminari, dei quali ricorre oggi il 47° Anno delle Attività, rese possibili grazie al suo notevole
apporto di alta competenza sia nel campo della didattica che in quello storico.
Come segreteria dei seminari, Il suo nome, unito a quelli di Luigi Briatore, Graziella De Coster, Piero
Galeotti figura sin dal 1976, alternandosi poi con Roberto Gallino e infine, dal 1994 con Ennio Iannucci,
fino alla istituzione, voluta dal Prof. Castagnoli, del Comitato Organizzatore del quale condivise le
responsabilità con I Professori Luigi Briatore, Angelo Piano, Ferruccio Balestra ed Ennio Iannucci.
Numerosi sono stati i suoi contributi seminariali in diversi ambiti , ne ricordiamo alcuni:
L’Insegnamento nelle Scuole Secondarie della Relatività (1973);
Giochi di simulazione come sussidio didattico (1982);
Macedonio Melloni e il calore raggiante (2001);
Libri di Testo di Fisica Generale e Sperimentale di ieri e di oggi (1989);
Commento del libro di A. Braccesi : “Una Storia della Fisica Classica” (1996);
Premesse alla Cosmologia Moderna (1978);
Dalle Antiche Visioni all’Eliocentrismo (1994);
Cosmologia tra Umanesimo e Rinascimento (2000);
La Rivoluzione Kepleriana (2009);
Informazione scientifica e aggiornamento didattico (nel corso del Convegno : Dalla pila di Volta alla pila di
Fermi) ( 1993);
La valenza attuale dei Seminari (2012);
Storia della Fisica e Metodologia (2006);
Tre Seminari li dedicò alla Figura e alle Opere di Amedeo Avogadro (suo trisnonno materno)
vedi Allegato (A) :
Amedeo Avogadro e la didattica (1979) e (1997);
200 anni dal Mémoire di A. Avogadro del 1811- (2011)
Il Mémoire del 2014 ( Seminario che non poté tenere per gravi motivi di salute);
E, a mio avviso, un capolavoro di Storia della fisica, per completezza di informazioni e per vastità di
conoscenze, è il suo seminario del quale riportiamo copia come Allegato (B):
“Fatti e Polemiche su Galileo Galilei” – tenuto nel 2009 (in occasione dell’Anno Internazionale
dell’Astronomia).
LIDIA NUVOLI E LA SEZ. A. I. F. di Torino.
Per 25 anni ,dopo le segreterie di Graziella De Coster, Marisa Ravagnani Dezza e Camillo Musso, è stata
alla guida della sez. AIF di Torino. Iscritta oltre che all’AIF, anche alla SIF e alla SAIT, Lidia Nuvoli era
espertissima in Astronomia disciplina per la quale si prodigò moltissimo per la sua divulgazione scientifica,
tenendo seminari , conferenze e collaborando con varie Organizzazioni Scientifiche Nazionali e
Internazionali coadiuvata da vari Professori tra i quali ricordiamo Roberto Gallino, Attilio Ferrari, Piero
Galeotti e Cristina Palici di Suni alla quale fece assegnare l’incarico di responsabile nazionale dell’EAAE.
Fu sempre attiva nella divulgazione scientifica come mostrano le foto sottostanti :
Qui la vediamo impegnata in un Seminario di Storia della Fisica, disciplina dove i suoi contributi
sono stati sempre di altissimo livello storico ed epistemologico.
Nella foto, Lidia Nuvoli parla di Amedeo Avogadro e del suo Mémoire del 1811 ad allievi e
docenti presenti del Liceo Scientifico Pascal di Giaveno, in occasione dell’invito rivoltole, dai
Professori Massimo Perucca e Antonello Barca, (soci della sez AIF di Torino) per presenziare a
una misura della costante di Avogadro effettuata dagli studenti del V° anno.
Lidia Nuvoli fu ospite, nel Dicembre 2004, ai GIOVEDI’ SCIENZE di Piero Bianucci
dove parlò a oltre 500 persone (giovani e adulti) del trisnonno Amedeo Avogadro,
[laureata in ingegneria e in matematica, è corresponsabile del Seminario di Aggiornamento didattico e di Storia della
Fisica dell’Università di Torino oltre che Segretaria della sezione torinese dell’AIF (Associazione per l’insegnamento
della fisica) ]
nel corso di una “tavola rotonda” tenuta con il Dott.Giuseppe Basile,
.
[ fisico e ricercatore presso l’Istituto di Metrologia “G. Colonnetti” del Cnr di Torino. Basile ha dato un prezioso contributo
alla conservazione del patrimonio storico e culturale legato al nome di Amedeo Avogadro. Attualmente è responsabile
del gruppo italiano per la realizzazione di un comparatore di lunghezze sub-nanometrico. Ha sviluppato interferometri
ottici per la misura di vibrazioni e si è dedicato alla determinazione assoluta della costante reticolare del silicio
nell’ambito di un progetto per la determinazione della Costante di Avogadro ].
e con l’Ing. Sigfrido Leschiutta
[già Ricercatore e poi Presidente dell’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris”, Docente al
Politecnico di Torino di “Misure elettroniche e metrologia del tempo e della frequenza”. Tra i suoi
interessi di ricerca, gli orologi atomici, i sistemi di navigazione satellitari, la storia degli apparecchi elettrici, la
musica. E’ autore di cinque libri e centinaia di articoli scientifici ].
Sarebbe lungo elencare tutte le sue altre importantissime attività condotte con estrema lucidità
fino a pochi mesi precedenti la sua scomparsa allorché offrì un suo ultimo contributo alla
Scienza scrivendo, per la pubblicazione di un libro, la biografia di Luigi Colla, Botanico e
Accademico delle Scienze di Torino, suo lontano parente.
Per me personalmente, per la sezione AIF di Torino e l’AIF Nazionale , nonché per i Seminari
suddetti, la sua scomparsa, avvenuta martedì 11 Novembre (2014) scorso, è stata una grave
perdita, ma i suoi preziosi insegnamenti,
di massima coerenza (quando doveva controbattere tesi che non condivideva, non usava mezzi
termini, ma parlava in modo aperto e sempre rispettoso dell’altro),
di elevatissimo grado culturale,
e di chiarezza espositiva e operativa nell’ insegnamento,
certamente guideranno il nostro cammino futuro.
E per tutte queste cose, Le possiamo semplicemente dire: “Grazie Lidia dal profondo del
cuore”.
Ennio Iannucci
ALLEGATO (A) La sua discendenza da Amedeo Avogadro :
AMEDEO AVOGADRO (n. a Torino 9/8/1776 – m. a Torino 9/7/1856), figlio di FILIPPO e di ANNA
VERCELLONE, sposò il - 9/gennaio 1776 - A.M. Felicita Mazzè (n. 10/01/1795 – m. 13/01/1870).
Dalla loro unione nacquero otto figli :
Anna
Giuseppina
Filippo
Chiara
Orsola
Luigi
Felice
Edoardo
n. 26/02/1814 n. 05/09/1817 n. 04/11/1818 n. 07/01/1821 n. 03/01/1825
n. 30/01/1826
n. 15/10/1828
n.27/01/1830
m.03/04/1909 m.24/10/1916 m.16/12/1847 m.29/11/1901 m. 14/04/1905
m.10/02/1900
m. 05/12/1907
m.14/11/1841
Carolina
Segretario di Sposa
sposò
Generale di
Primo
Ambasciata
B. Trompeo
Arnoldo Colla,
Presidente di
Monaco di
(Medico)
Figlio di Luigi
Colla, Botanico
e Accademico
delle Scienze
diTorino
Corpo
d’Armata
Baviera
nipote di
Corte
d’Appello
Da Luigi
Orsola Carolina nacque
era
nel 1870
Maria
Carola
FILIPPO
Della ChiesaNuvoli,
mamma di
LIDIA NUVOLI
(Generale di
Artiglieria)
Ultimo
discendente
di
linea
maschile
Lidia mi mostrò in più occasioni una Foto scattata a Rivoli, nell’ Orto Botanico di Luigi Colla - nell’autunno
1901, in cui l’anziana ORSOLA CAROLINA, figlia di AMEDEO AVOGADRO, sollevava la nipote MARIA
CAROLA DELLA CHIESA – NUVOLI , mamma di LIDIA NUVOLI.
ALLEGATO (B)
“ FATTI E POLEMICHE SU GALILEO GALILEI”.
Lidia Nuvoli di Grinzane - 17 febbraio 2009
Perché mai dedicare un seminario a Galileo, di cui così tanto già si è parlato, ed ai massimi livelli?
Per riportare, anche se molto semplicemente, alla nostra attenzione una serie di osservazioni
eccezionali che iniziarono proprio quattro secoli or sono. Vogliamo parlarne alla buona, rimandando
in ogni caso ai numerosissimi testi e trattati.
Nel 1609 a Padova, per mezzo dell’occhiale che aveva personalmente costruito e messo a punto,
Galileo, ormai 45.enne, dal giardino posto sul retro della sua casa osservava notte dopo notte il
cielo; e fece scoperte sconvolgenti :
- la rugosità della Luna che manifestava la sua imperfezione,
- quattro “corpi secondari” che si muovevano intorno a Giove,
- milioni di stelle nella “nebulosa via lattea”,
- le stelle avendo perso i loro “raggi” si differenziavano nettamente dai pianeti .
Il 30 gennaio del 1610 in una lettera all’amico Belisario Vinta, Galileo scrive: “…Così infinitamente
rendo grazie a Dio che si sia compiaciuto di farme solo primo osservatore di cosa così ammiranda e tenuta a tutti i
secoli occulta…” Frase che appare piena di riconoscenza al Signore, ma anche di presuntuosa
certezza interpretativa. Questo, come sappiamo diventerà il punto focale delle vicende riguardanti
Galileo, ma prima di parlarne ripercorriamo rapidamente gli avvenimenti dei primi quarant’anni di
vita del Nostro.
Galileo Galilei nacque a Pisa il 15-02.1564 1 da Vincenzio, musicista teorico, organista e riparatore
di strumenti, discendente di Galileo Buonaiuti, medico vissuto nel XIII° sec. 2.
Fino all’età di 10 anni visse a Pisa; dai 10 ai 13 a Firenze, dove si era trasferito il padre e dove
frequentò la scuola dei domenicani. Per gli studi umanistici (italiano, latino, greco, logica) è posto
dai benedettini di Vallombrosa. Quando si fece novizio, sperando di diventare monaco, il padre lo
ritirò in quanto non voleva sostenere le regolari spese per un fine che non avrebbe in seguito
prodotto reddito per la famiglia. Galileo, che era il primogenito di tre fratelli e quattro sorelle,
avrebbe dovuto cercare una strada redditizia .Nel 1581 a 17 anni si trasferì nuovamente a Pisa, ospite
di casa Ammannati per frequentare la Sapienza. Galileo non si interessò di medicina secondo il
desiderio del padre, ma di matematica e di meccanica. Presumibilmente sono di quegli anni i primi
1
( 1563 sul certificato di battesimo in quanto all’epoca il capo d’anno era ancora al 25 marzo).
( Testimonianza del quale è una piccola lapide in Santa Croce a Firenze e stemma “Scala a libro rossa in campo
d’oro”).
2
esperimenti sulla caduta dei gravi, che già erano volti a contestare le teorie aristoteliche sui luoghi
naturali.
Nel 1589 fu apprezzato lettore di matematica allo Studio di Pisa e già in quel periodo giovanile
emerse una sua insofferenza alle regole : fu multato per avere una volta mancato le prime sei
lezioni (adducendo che l’impedimento era causato da una piena dell’Arno), fu multato perché
sovente rifiutò di portare la toga regolamentare, che lo impacciava nei movimenti e lo costringeva
a comportarsi col dovuto decoro (come spiegò in alcuni versi satirici su tale paludamento ).
Quando nel 1591 morì il padre e Galileo si trovò sulle spalle il gravame di dover completare i
versamenti delle rate dotali delle sorelle e quelle per l’educazione di Michelangelo, l’unico fratello
rimastogli; anche se arrotondato da lezioni private, l’emolumento pisano di 60 scudi era assai
scarso e nel 1592 Galileo lasciò Pisa per Padova dove gli era stata offerta la cattedra di
Matematica con uno stipendio annuo doppio di quello che riceveva a Pisa 3. La Serenissima era
più generosa della Corte Granducale e l’emolumento di Galileo crescerà negli anni poiché lo
Studio Padovano ne riconosceva il valore mentre a Firenze solo un medico ben quotato poteva
ottenere 300 scudi ed un cattedratico illustre oltre 2000.
Per il suo valore scientifico e per le amicizie che riuscì a stabilire, Galileo arrivò in breve a 430
fiorini/anno; il Senato gli concedette anche un brevetto per un sistema di irrigazione a chiuse.
Galileo, che compiva quarant’anni nel 1604, era nel pieno del suo vigore : proseguì i suoi studi ed
esperimenti sul moto in quanto esso era base riconosciuta di ogni filosofia naturale, dava lezioni
private per accrescere i suoi introiti, faceva brevi soggiorni in dolci accoglienti ville dei suoi amici
(e nelle fresche grotte di una di queste si buscò un grave reumatismo che lo tormenterà fino alla
morte), si legò alla bella popolana veneziana Marina Gamba , che amerà per tutto il periodo
padovano senza ritenere di doverla sposare pur riconoscendone i figli.
Nel 1599, mettendo a frutto le sue conoscenze matematiche, Galileo inventò il “Compasso
trigonometrico militare”. Uno strumento a due bracci, che si potevano aprire secondo differenti
angoli e consentivano di sfruttare le tante scale che vi erano incise, per il calcolo dell’interesse
composto, dei tassi di cambio, per costruire modelli in scala nella progettazione delle navi, per
disporre in formazione quadrata, ritenuta ottimale, gli uomini in battaglia attraverso un rapido
calcolo della radice quadrata.
Dopo aver costruito personalmente i primi esemplari, Galileo fece del suo compasso una piccola
industria : venivano venduti a 5 scudi l’uno, ma 2/3 spettavano all’artigiano che era stato assunto
per fabbricarli; a questi Galileo doveva anche fornire vitto e alloggio per lui e famiglia. Dato che lo
strumento era ben richiesto, per rendere l’impresa redditizia Galileo impartiva a pagamento
lezioni per insegnarne l’uso e vendeva anche le istruzioni scritte.
Queste nel 1606 uscirono a stampa col frontespizio “Le operazioni del compasso geometrico et militare di
Galileo Galilei nobile fiorentino lettore delle matematiche nello studio di Padova – Stampato in casa dell’Autore”
con dedica a Cosimo de Medici , già suo allievo privato. Durante la chiusura estiva dello Studio
padovano, Galileo infatti si affrettava a tornare in Toscana tanto per occuparsi degli affari della
famiglia quanto per mantenere i contatti con gli amici e con la Corte che raggiungeva nella serena
residenza estiva di Pratolino , dove si faceva maestro del giovane granduca Cosimo.
3
( A fine Cinquecento 1 fiorino di Venezia valeva circa 1,4 scudi di Firenze)
Nei brevissimi cenni riportati fin qui sulla prima parte della vita di Galileo abbiamo cercato di
ricordare come egli fosse colto, umanista e scienziato, dotato di abilità manuali che sapeva
utilizzare per le sue sperimentazioni, attento ad una notevole rete di amicizie, consapevole della
sua posizione sociale che gli impediva di sposare la madre dei suoi amatissimi figli, preoccupato
sovente dai problemi economici derivatigli dalla famiglia.
Non sembra il caso invece di spendere molte parole sul clima socio-scientifico di cui tutti
conosciamo i punti essenziali : il Concilio di Trento si era chiuso da poco e la Controriforma era
particolarmente attenta ad evitare le interpretazioni personali che mettevano da parte il
magistero della Chiesa ( vedi il processo e il rogo di Giordano Bruno nel 1600). Il “De rivolutionibus
orbium coelestium” circolava a stampa, ma con la prefazione di Osiander ( che aveva presentato il
sistema copernicano come strumento di lavoro”) ; Tycho Brahe aveva preferito mantenere il sole,
con tutta la sua corte di pianeti, in rotazione rispetto alla Terra ecc……………………
Veniamo dunque a Galileo il quale riesce ad ottenere lenti sufficientemente prive di impurità,
molandole e levigandole a mano, ed a costruirsi un “occhiale” assai migliore dei “monocoli”
costruiti in Olanda e degli “occhiali” che da diversi anni si vendevano a Parigi
Galileo si premurò di mostrare al Doge ed al Senato veneziano il suo marchingegno che venne
assai bene accolto: “anche i Senatori più anziani salivano sui campanili più alti per vedere le navi
all’orizzonte”. Il Senato dichiarò Galileo membro a vita dello Studio di Padova con il ragguardevole
emolumento di ben 1000 fiorini l’anno.
Nei primi mesi dell’autunno il Nostro osservò
le rugosità della Luna, che la rendevano
“imperfetta” ed in ciò simile alla Terra. Assai intrigato dalla scoperta, Galileo costruì un nuovo e
più accurato strumento, che riusciva ad ingrandire di 20 volte le cose osservate , e nel novembre e
dicembre del 1609 rilevò con maggior accuratezza e disegnò le rugosità ed i crateri della Luna.
Galileo puntò il suo occhiale verso gli “astri fissi”, fissi nelle loro mutue posizioni mentre tutti
insieme si muovevano con ritmo giornaliero ripresentandosi all’osservatore …. L’osservazione
attraverso l’occhiale faceva loro perdere la palpitante corona di raggi e ne aumentava la pungente
brillantezza.
Mentre avanzava l’inverno ed il gelo delle notti più serene che faceva tremare le dita ed il tepore
del respiro appannando le lenti, il Nostro diresse il suo strumento anche sugli “astri erranti” ,
detti alla greca i “pianeti”, e scoprì che su di essi l’effetto era opposto a quella concentrazione
quasi puntiforme che si verificava per le stelle fisse : i pianeti sembravano avvicinarsi e
mostravano una loro forma, proprio come le navi quando apparivano lontane all’orizzonte. La
forma era rotonda come anche ad occhio nudo appariva la Luna ! Dunque essi erano assai, assai
più vicini delle stelle fisse.
Arriviamo al gennaio 1610 e Galileo incappò nella scoperta più straordinaria : quattro piccoli “astri
erranti” , mai da nessuno osservati prima, in quanto non visibili senza l’ausilio di un buon occhiale,
si muovevano intorno a Giove .
Galileo sviluppò una serie di osservazioni, come ci è documentato dai suoi appunti corredati dagli
schemi delle posizioni via via occupate da questi “nuovi” corpi celesti . Egli era ben consapevole
che il pianeta Giove munito di satelliti non poteva trovar posto nella cosmologia aristotelica
mentre risultava ben collocabile nella struttura copernicana !
Come si è detto, Galileo aveva offerto in primis il suo portentoso “occhiale” a Venezia; ora voleva
dedicare a Firenze i satelliti di Giove ad iniziare dal nome con cui indicarli. Tutti i dettagli della
scoperta furono riportati nel “SIDEREUS NUNCIUS” ormai pronto per la stampa.
Quando nel 1537 Cosimo I° diventato duca di Firenze, riferendosi al suo nome si proclamò
“incarnazione terrena del Cosmo” sostenendo che, per questo motivo, i Medici erano destinati a
dominare su tutte le altre famiglie aristocratiche di Firenze : Cosimo I° si identificava con il pianeta
Giove e per questo aveva riempito il palazzo della Signoria di allegorie sul dio del panteon romano.
In un primo momento Galileo pensò dunque di battezzare gli astri appena scoperti col nome di
“astri cosmici”,ma gli si fece sapere che il nome di “astri medicei” meglio sottolineava la potenza
della Famiglia e questo sarebbe stato dunque il loro nome.
Galileo dedicò il Sidereus Nuncius al Granduca Cosimo II°, appena succeduto al padre Ferdinando
I°, dicendo che ciò gli è stato suggerito dall’Artefice stesso delle stelle. Il 12 marzo 1610 poche ore
dopo la comparsa del volume a Venezia, l’ambasciatore britannico ne inviava un esemplare al Re
Giacomo I° Stuard .
A Praga Keplero lesse la copia inviata al Re Rodolfo e, pur senza possedere uno strumento idoneo
all’osservazione,
fu
convinto
dalle
deduzioni
di
Galileo
e
gli
scrisse:
“…forse posso sembrare temerario nell’accettare le conclusioni senza il supporto dell’esperienza, ma stimo che le ha
viste…”
L’opinione validante di Giovanni Keplero (1571- 1630), Astronomo Imperiale di Rodolfo II,
rappresentò un riconoscimento scientifico a livello europeo. Infatti dopo anni di calcoli
geometrico - matematici sui dati osservativi ereditati da Tycho Brahe, proprio nel 1609 Keplero
aveva pubblicato la sua “Astronomia nova aitiologhetos seu physica coelestis” contenente le
sue due prime leggi (ancor oggi accettate) delle orbite ellittiche e sulla costanza delle aree
spazzate dai raggi vettori .
Al Granduca Cosimo venne inviato il testo e lo strumento; Galileo venne ricambiato con la nomina
a vita a Primo Matematico dello Studio di Pisa nonché Primo Matematico e Filosofo del Granduca;
esonerato dal tenere lezioni nello Sudio di Pisa; esonerato dal pagamento delle rate dotali per le
sorelle; ricevette fondi per nuovi studi e per divulgare la scoperta.
A fronte di tali favori , Galileo scelse di abbandonare lo Studio di Padova, che tanto liberalmente lo
aveva accolto e la benevola protezione della Serenissima Repubblica di Venezia, per rientrare nella
sua amata Firenze. Portò con sé le due figlie maggiori, Virginia e Livia di 10 ed 8 anni, che affidò alla
nonna; lasciò a Padova il piccolo Vincenzio di soli 3 anni .. Lo lasciò con la madre, per tanti anni sua
fedele compagna, per la quale si preoccuperà di agevolare un regolare matrimonio con un buon
artigiano (Marina Gamba sposò Giovanni Bartoluzzi e il Nostro aiutò finanziariamente la formazione
di questa famiglia).
Galileo, ormai 45.enne trovò qualche difficoltà nel riabituarsi al clima freddo degli inverni
fiorentini ed ebbe frequenti periodi di febbri e dolori , che lo tormenteranno per il resto della sua
lunga vita.
Galileo era un abile e paziente osservatore, ma il suo occhiale specie se mal usato poteva dar luogo
a molte critiche : sovente infatti quanto osservato veniva attribuito a semplici difetti delle lenti.
Galileo costruiva personalmente buoni strumenti, facendosi inviare le lenti dagli artigiani
veneziani.
Si dedicò intanto all’osservazione del lontano Saturno, che gli appare come un “composto di tre
stelle”.
Nella primavera del 1611 si recò per la seconda volta a Roma dove era già stato nel 1587 per parlare
di geometria con il gesuita Padre Cristoforo Clavio.
Fu un viaggio di 6 giorni con soste notturne. Al suo arrivo riceve ottima accoglienza invitato nel
Collegio Romano dei Gesuiti. I Padri, studiosi di astronomia, confermarono le sue osservazioni pur
essendo aristotelici, non negarono infatti l’evidenza di quanto appariva ai loro sensi. Le dispute
teoriche, con le impuntature ed i giudizi di cui ancora oggi si parla, non erano ancora esplose.
Venne indetta una riunione in suo onore cui parteciparono vari Cardinali tra i quali il card.le
Roberto Bellarmino ( che diventerà, finchè il Signore gli darà vita, suo consigliere e protettore) e il
card.le Maffeo Barberini (il futuro Urbano VIII, laureato a Pisa). Galileo lo rivedrà ancora cardinale a
Firenze. E’ interessante notare che, all’epoca, il card. Maffeo stimasse Galileo, come risulta da
quanto gli scrisse per elogiare il suo lavoro sui corpi galleggianti.
Tema della discussione era proprio il galleggiamento dei corpi sull’acqua di cui Galileo si era
occupato a Venezia; quando molti ritenevano che il ghiaccio fosse più pesante dell’acqua e che
galleggiasse solo perché non ne bucava la superficie.
Organizzatore scientifico dell’assise fu il Principe Federico Cesi, Marchese di Monticelli, Duca di
Acquasparta e di S. Angelo e Signore di molte altre terre, quegli che nel 1603 aveva stabilito un
primato mondiale assoluto con la fondazione (unitamente a tre amici di cui uno olandese) della
molto elitaria ACCADEMIA DEI LINCEI.
Federico Cesi accolse Galileo nella sua Accademia.
Furono gli accademici lincei
“telescopio”.
che attribuirono allo strumento di Galileo il nome greco di
Il telescopio fin dal suo apparire introduceva fermenti rivoluzionari nelle considerazioni sulla
struttura del mondo : l’eliocentrismo copernicano da ipotesi intellettuale che agevolava le
osservazioni, offriva ora possibilità di verifica nei “fatti” : le scabrosità della Luna la rendevano
“simile” alla Terra, anche il Sole era imperfetto per via delle sue macchie. E che dire poi degli astri
medicei e delle fasi di Venere ?
Il “Discorso intorno alle cose che galleggiano sull’acqua …” fu il primo lavoro scritto dal Nostro in
italiano : “ Io l’ho scritto in volgare perché ho bisogno che ogni persona lo possi leggere …”. In esso egli disse
anche, incidentalmente, di non aver dimenticato l’astronomia e anzi di avere in corso osservazioni
relative a certe macchiette che aveva visto migrare sul Sole.
Per la verità quando era ancora a Padova aveva già scritto in volgare (anzi in dialetto), nel 1604
pubblicando un dialogo ironico e polemico sotto lo pseudonimo di Alimberto Mauri , sulla “nova”
comparsa nel Sagittario e su quella osservata pochi anni prima da Tycho in Cassiopea (1572).
Il 14 aprile 1611 Galileo Galilei, linceo, fu ricevuto in udienza da Sua Santità Paolo V.
Il Nostro ricevette attestazioni di stima da “tutta” Europa, aaaanche se i più ostinati rimasero
legati ad Aristotele.
Nel 1613 i Lincei pubblicarono alcune lettere dell’astronomo tedesco Welser sulle macchie solari
e le lunghe risposte di Galileo “Lettere intorno alle macchie solari” per la cui stesura Galileo si era
consigliato con il Card. Carlo Conti, che gli aveva assicurato che la Bibbia non si interessava della
“teoria dell’immutabilità”.
L’osservazione del Sole era avvenuta nei mesi di giugno e luglio ed aveva creato non poche
difficoltà ; per non rovinarsi gli occhi poneva un foglio di carta sull’obiettivo del telescopio e su di
esso disegnava direttamente il contorno delle macchie.
In quello stesso anno 1613, ottenuta la dispensa per la loro giovane età, Galileo ritirava nel
convento delle Clarisse di S. Matteo in Arcetri le due figlie Virginia e Livia .
Intanto le controversie legate alle sue osservazioni e deduzioni crescevano in modo preoccupante.
Nel novembre Benedetto Castelli, monaco benedettino, che da suo allievo era diventato amico e
valido collaboratore 4, lasciava Firenze per ricoprire a Pisa la cattedra di Matematica .
Come già aveva fatto Galileo a Pisa ed a Padova, anche Castelli si impegnò a insegnare secondo
Aristotele. Non così nelle discussioni “private” cui Castelli partecipava quando, durante l’inverno, la
corte granducale si trasferiva a Pisa, e ove mostrò l’occhiale sollevando ampie discussioni.
La Corte era tenuta dalla Granduchessa Madre, vedova dal 1609, e non dalla giovane Maria
Maddalena d’Austria , moglie di Cosimo II ; le discussioni erano vivaci e Galileo tenuto al corrente
dall’amico, gli suggeriva di sfumare le sue affermazioni 5.
Un anno dopo, il 1° dicembre 1614 dal pulpito di Santa Maria Novella in Firenze, un predicatore
fanatico, il domenicano padre Tommaso Caccini, accusò Galileo ed i suoi seguaci di arti magiche
legate all’uso del telescopio e nemici quindi della vera religione : il Padre venne rimproverato dal
suo Superiore e costretto a scrivere una lettera di scuse a Galileo.
La notizia giunse a Roma distorta e Galileo sentendosi quasi al centro di una congiura volle
difendersi personalmente davanti ai Cardinali romani, ma si era nel cuore dell’inverno ed egli
rimase nuovamente bloccato per alcuni mesi dalle sue febbri e forti dolori.
4
(Castelli l’aveva aiutato nella stesura del “trattato sulle macchie” e nel rispondere alle polemiche nate per
il “Discorso sulle cose che galleggiano…”).
5
( a stretto rigore nell’opera si parla poco di astronomia e non sono neppur menzionati gli astri medicei).
La “lettera” venne rimaneggiata in un trattato : “LETTERA ALLA GRANDUCHESSA” ,riprodotto
manoscritto in più copie. Senza adulare in modo eccessivo la Granduchessa Madre Cristina, Galileo
tracciò una sintetica storia dell’universo citando Pitagora, Platone; Archimede, …egli infatti si rese
conto della criticità della situazione ed affrettò il ritorno a Roma.
(Nessuno volle pubblicare la lettera ; solo nel 1636 verrà stampata a Strasburgo).
Un secolo prima, esattamente nel 1517, era scoppiata la Riforma di Lutero e, dal 1545 al 1563,
era rimasto aperto il Concilio di Trento6 che nei suoi decreti proibiva esplicitamente una lettura
“personale” della Bibbia. Non vi si parlava di astronomia, le idee sostanzialmente filosofiche
espresse dal Cardinal Cusano nel “De docta ignorantia” non avevano destato preoccupazioni e
neppure l’avevano fatto ancora gli schemi proposti da Copernico nel “De revolutionibus orbium…”
Secondo la formulazione del 1564 ogni teologo, ogni scienziato, ogni studioso si impegnava, con
giuramento, all’interpretazione delle Sacre Scritture data da Santa Madre Chiesa.
Nella “Lettera alla Granduchessa” Galileo accusava i suoi oppositori di aver mancato a tale
giuramento in relazione all’incorruttibilità del Sole, e questi gli si rivolgevano contro per lo stesso
crimine. Il problema per Galileo era di trovare prove certe della verità del sistema copernicano.
Nel dicembre del 1615 Egli ritenne di aver trovato tali prove : le maree, che sistematicamente si
ripetono, provano la rotazione della Terra !
A Roma, ospite come Matematico di Corte dell’Ambasciata di Firenze a villa Medici, nel gennaio del
1616 scrisse il suo “TRATTATO SULLE MAREE” …prova ben più sicura che non l’assurda pretesa di
credere tutte le stelle in rotazione intorno alla Terra.
Com’è noto, la spiegazione galileiana delle maree verrà abbandonata, comunque era corretto
affermare che “ le acque del Mondo occupano un recipiente in moto”…..Per gli aristotelici non vi
era una spiegazione ragionata delle maree, ma dicevano semplicemente che …“tutto è possibile a
Dio” come già affermava il vescovo Templier alla fine del XIII°secolo.
Ricordiamo che Galileo non parlò assolutamente di questioni attrattive (anche se erano già stati
fatti studi sui magneti ) e non avanzò ipotesi su che cosa tenesse legato il sistema di corpi in
rotazione : a differenza di Keplero che nel suo “Harmonice mundi” (che uscirà nel 1619 con la
famosa legge sulla costanza del rapporto tra i quadrati dei periodi ed i cubi dei raggi vettori) parlava
di filamenti irraggianti dal Sole in rotazione su stesso, una “species” immateriale , un legame
reciproco che trascina i pianeti mantenendoli in rotazione. Ovviamente era un’ipotesi puramente
filosofica; il Nostro invece non affrontava il problema.
Galileo presentò al 22enne Cardinale Alessandro Orsini, cugino di Cosimo II, il manoscritto sulle
maree perché a sua volta lo presentasse a Sua Santità Paolo V; ma il Papa ne rifiutò la lettura e
convocò un consiglio di esperti per vedere se non fosse il caso di condannare per eresia la dottrina
copernicana; della commissione faceva parte il gesuita Cardinale Roberto Bellarmino che era stato
accusatore nel processo a Giordano Bruno.
Bellarmino conosceva Galileo da parecchi anni, nel 1611 aveva osservato i satelliti di Giove col
telescopio, avendo studiato astronomia capiva ed apprezzava Galileo ed aveva confidato al
principe Cesi che , pur essendo Copernico morto prima dei divieti cui era giunto il Concilio di
6
( in successione sotto il pontificato di Paolo III, Giulio III e Pio IV ).
Trento, alcune tesi del “De Revolutionibus …” erano da condannare e sarebbe stata presto imposta
una rettifica onde evitare che finisse all’Indice.
Unica colpa” di Galileo era quella di considerare il sistema copernicano uno “scenario reale”
anziché un’ipotesi. Inoltre Galileo avrebbe dovuto astenersi dallo spiegare in pubblico come
interpretare la Bibbia; il Concilio e la maggioranza ritenevano che la Terra fosse ferma, “…Se Galileo
mi dirà che Salomone ( sempre ispirato da Dio) parla secondo l’apparenza.. come chi partendo su una nave vede
allontanarsi il litto ma rapido e vedendo muovere la nave poi si corregge…”.
In questo suggerimento di Bellarmino a Galileo, vediamo come fosse ormai usuale il ricorso al
racconto della nave per trattare dei moti relativi 7. Quello che importava era l’interpretazione
ontologica che se ne voleva trarre e Galileo non accetterà mai la posizione metodologicamente
avveniristica di Bellarmino. Il Nostro si batterà per la ricerca del “vero incontrovertibile” che
doveva uscire dalle osservazioni e dalle esperienze.
Il 23 febbraio 1616 gli undici membri della commissione papale furono concordi nel dichiarare
eretiche le tesi del “De Revolutionibus ..” relative al moto della Terra, tesi che dovranno essere
emendate prima che il testo possa nuovamente circolare. Dopo tale pronunciamento due membri
della Santa Inquisizione Romana scortano Galileo dall’Ambasciata toscana al palazzo del Cardinal
Bellarmino che lo accoglie sulla porta con la berretta cardinalizia in mano e lo guida in un salone
ad accomodarsi su di un seggio, poi gli spiega come la commissione riunita si era pronunciata
contro la “collocazione” del Sole al centro dell’universo , intimando a nome del Papa di non più
affrontare la cosa come “reale”. Galileo promise di conformarsi all’ordine del Cardinale.
Entrarono poi parecchie persone per vedere lo scienziato. Il 5 marzo fu pubblicato il decreto : il
carmelitano Paolo Antonio Foscari che aveva difeso il “De Revolutionibus …” fu condannato;
Galileo ebbe salvi tanto il manoscritto sulle maree quanto la Lettera alla Granduchessa. Arrivò
anche (l’undici marzo 1616) la sospirata udienza papale della quale vi è la relazione di Galileo al
Segretario di Stato toscano : il Santo Padre l’aveva ringraziato garantendogli , finchè Lui fosse stato
in vita la Sua benevolenza contro malignità e sospetti.
Galileo nel 1616 non era stato né processato, né torturato, né tantomeno condannato; tuttavia le
calunnie continuavano e si diceva che aveva giurato il falso . Per questo egli si rivolse all’amico
Bellarmino che scrisse: “ Noi Roberto cardinale Bellarmino avendo inteso che il Signor Galileo Galilei sia
calunniato e imputato di haver abiurato in mano nostra e per ciò penitenziato ….diciamo che non ha abiurato né
in mano Nostra né di altri né in Roma né altrove ma solo gli è stata denunziata la dichiarazione ….di messa
all’indice della dottrina copernicana (Sole fermo, Terra che gira intorno) ..”
Discolpato, ma messo a tacere Galileo volse nuovamente l’attenzione ai satelliti di Giove che
voleva utilizzare per la determinazione della longitudine. Le tabelle di periodicità che ne ricavò
non sono di facile consultazione, comunque egli aprì trattative per concorrere al premio posto in
palio dal Re di Spagna ; cercò anche di interessare l’Arciduca Leopoldo di Baviera, ma senza nulla
concludere .
In quegli anni la vita del Nostro fu abbastanza regolare e tranquilla : sentendo la mancanza dei
salutari soggiorni fuori città che gli offriva l’amico Filippo Salviati (morto nel 1614) nella sua Villa
alle Selve vicina a Signa, Galileo per 100 scudi l’anno affittò una villa con podere sul colle di
7
(già utilizzato dal Cusano e da Copernico, esempio che verrà ripreso approfondendolo con l’aggiunta di esperimenti
eseguiti a bordo, dallo stesso Galileo).
Bellosguardo , vi si produceva grano, fave e vino e di lì in tre quarti d’ora si arrivava ad Arcetri dove
erano conventate le figlie suor Maria Celeste e suor Arcangela.
A Bellosguardo oltre al figlio Vincenzio , che compiuti i sette anni, viveva con lui, Galileo ospitava
anche due suoi nuovi allievi, Mario Guiducci e Nicolò Arringhetti che lo aiutavano nelle riprese
esperienze sul moto e nel riordinare il guazzabuglio degli appunti padovani. Quegli studi di
meccanica “terrestre” venivano sospesi ogniqualvolta si presentasse l’occasione di lavorare col
telescopio, come avvenne nel settembre del 1618 quando nel cielo di Firenze apparve una piccola
cometa 8. Galileo non era in grado di avvicinarsi alle ipotesi moderne sulla natura del fenomeno.
Malgrado tutte le controversie, Galileo si manteneva profondamente devoto e nel ’18 dopo una
fastidiosa malattia, sciogliendo un voto fatto due anni prima a Roma, andò in pellegrinaggio a
Loreto dove nel 1294 la famiglia degli Angeli aveva trasportato la Santa Casa .
Senza entrare qui nei dettagli della vita privata di Galileo ricordiamo solo che egli si preoccupava di
far legittimare il figlio Vincenzio prima che compisse i 13 anni e di chiedere per lui “un benefizio”
anche piccolo al Granduca. Ricordiamo anche la sistematica amorevole corrispondenza con la
primogenita suor Maria Celeste da cui molto si apprende della sua vita anche se ci è pervenuto
(quasi integro) solo l’epistolario della monaca “all’ Eccellentissimo e molto amato Signor Padre”,
perché nel rigore della clausura non potevano venir conservati legami personali con il mondo.
Per la cometa del 1619 il gesuita Padre Orazio Grassi scrisse che avrebbe investito la Terra e il
Sole ed il Collegio Romano non trovò nulla da obiettare, anche se nella relazione vi erano errori
matematici e se ne poteva dedurre un uso non appropriato del telescopio.
Galileo con il suo discepolo Guiducci evidenziarono gli errori ridicolizzando il Gesuita. Questi
allora scrisse sotto pseudonimo “Ratiopondorum Librae ac Ginbellae” in cui figurava di “pesare”
le “idee di Galileo” sulle comete giudicandole “senza peso” e l’”Assaggiatore” , cioè colui che
effettuava le pesate, insinuava che Galileo avesse bevuto mentre formulava le sue obiezioni.
Nel 1620, mentre la disputa sulle comete s’inveleniva, la Sacra Congregazione annuncia quali erano
le correzioni da apportare al “De Revolutionibus…” di Copernico ( le affermazioni sul moto della
Terra dovevano diventare suggerimenti ipotetici). Come era tenuto a fare, anche Galileo apportò
le correzioni sulla copia del trattato da lui posseduta,..ma con tratti molto leggeri.
Evitando l’argomento proibito , Galileo continuò la polemica con SARSI (lo pseudonimo del Padre
Grassi) e distinse nettamente tra metodo sperimentale e metodo filosofico, irridendo la vaghezza
di quest’ultimo; non è il parlare di cose difficili che conta, ma quel che dicono gli esperti.. .
Nel 1621 scomparirono due figure importanti per la vita del Nostro : il 28 gennaio morì Paolo V e
non vi sarà più la sua alta protezione. Seguì un pontificato assai breve quello di Gregorio XV
(Alessandro Ludovisi, fondatore dell’Archivio Vaticano) già vescovo di Bologna.
Il secondo “sostenitore e consigliere” di Galileo a scomparire in quell’anno fu il cardinal Bellarmino
, che oggi veneriamo come Santo nella bella chiesa romana a Lui dedicata ai Parioli.
8
(Già Tyho Brahe a proposito delle vistose “comete” del 1577 e del 1585 aveva detto che per arrivare a rendersi
visibili dovevano aver bucato le sfere cristalline”).
Galileo, bloccato in Toscana per i suoi malanni, cercò di placare le polemiche scrivendo con
Guiducci un lungo articolo che inviò al giovane linceo Virginio Cesarini cugino del principe Cesi, per
eventuali ritocchi prima della stampa. Nelle cinquanta pagine del lavoro Galileo si rammaricava che
quanto scriveva venisse spesso malignamente distorto anche se la sua intenzione era buona (! ?);
leggermente ritoccato dai due Lincei, andò alle stampe col titolo: “IL SAGGIATORE”; nella stessa
estate il Cardinale Maffeo venne eletto Papa e tempestivamente nel frontespizio vennero
introdotte le tre api dei Barberini. .
L’opera nata dalla controversia sulle comete poteva venir utilizzata come biglietto d’ingresso alla
corte letteraria di Urbano VIII.
In effetti si poteva auspicare una certa benevolenza da chi, ancora Cardinale , nel 1620 aveva
utilizzato in una sua poesia le macchie solari come metafora dei timori che vagavano nel cuore dei
potenti. Ma le idee del Santo Padre erano assai più rigide, anche se faceva leggere dal giovane
Cesarini gli scritti di Galileo
Galilei era ancora a Bellosguardo bloccato dai suoi mali; con il figlio Vincenzio che gli dava
preoccupazioni ( studiava svogliatamente a Pisa come allievo del Castelli e i 3 scudi al mese che il
padre gli passava non gli bastavano mai).
Il 1° aprile del 1624 finalmente partì per Roma in una lettiga a cavalli sortita dalle scuderie di
palazzo Pitti e messa a sua disposizione dal giovanissimo Granduca Ferdinando II o meglio dalle
due reggenti (la madre M,Margherita e la nonna M. Cristina).
Durante il viaggio Galilei si fermò due settimane ad Acquasparta ospite del principe Cesi , che non
vedeva da otto anni perchè questi preferiva star lontano da Roma.
Il principe era ansioso di pubblicare l’opera che l‘amico aveva “in pectore” fin dal 1609 sui SISTEMI
DEL MONDO , realizzazione messa in dubbio dall’editto del 1616 .
Forse la liberalità intellettuale del nuovo Papa avrebbe potuto aprire buone speranze ?
Cesi voleva preparare Galilei su come muoversi alla Corte Vaticana per trattare l’argomento: in
quei giorni entrambi furono colpiti dalla triste notizia della morte per tisi, l’11 aprile, del 27enne
Virginio Cesarini.
Il 26 aprile 1624 Galileo è ricevuto per la prima volta in udienza privata da Urbano VIII e questo si
ripeterà per tutte le cinque settimane in cui si fermerà a Roma. Il Papa riservò a Galileo un
trattamento da vecchio amico e le udienze si realizzano con lunghe passeggiate nei giardini
vaticani; le conversazioni furono dunque strettamente private. Malgrado ciò si riferisce che
discutessero sulla possibilità di annullare il decreto contro il copernicanesimo del 1616, che
praticamente veniva rispettato solo in Italia. Quando era ancora cardinale Maffeo Barberini
unitamente al card. Bonifazio Caetani aveva chiesto che dal famoso decreto fosse quantomeno
modificata la parola “eresia” e per i loro interventi la “teoria del Sole fermo” era stata solo
dichiarata “falsa e contraria alle Scritture”.
Entrambi i cardinali avevano studiato Astronomia e, anche se non credevano nella realtà fisica
dell’universo eliocentrico, ne riconoscevano il valore di concezione cosmologica di eccellente
struttura matematica (nonostante che, causa delle sue orbite circolari, Copernico aveva dovuto
reintrodurre piccoli epicicli) . Divenuto Papa Urbano VIII continuava a non vedere alcun male
nell’uso del sistema copernicano in campo scientifico, purchè rimanesse un’ipotesi di lavoro.
L’8 giugno del ’24, quando riprese la strada per Firenze, Galileo aveva ottenuto dal Papa una
pensione per il figlio Vincenzio, un maggior rispetto della Regola per il convento di Arcetri dove
stavano le figlie ed una lettera personale del Pontefice al Granduca in cui Galileo veniva definito un
grand’uomo la cui fama risplendeva nel cielo illuminando la Terra.
Galileo (caparbio o in cerca di guai) volle illudersi di trovare il modo di far capire quanto fosse
“fuori strada” chi credeva ferma la Terra. Ed incominciò a preparare una lettera di contestazione
ad un manoscritto anti copernicano di Padre Francesco Ingoli , Segretario della Congregazione di
Propaganda Fide. Il lavoro cui diresse le sue critiche era stato scritto nel 1616 e si sviluppava su
basi teologiche dopo un dibattito tra i due.
In molte parti Galileo riuscì ad essere prudente, ma nelle cinquanta pagine della sua lettera schernì
Ingoli con spirito ironico e mordace. La lettera nella sua versione originale non giunse al
destinatario, Galileo la fece avere al principe Cesi ed ai suoi amici lincei e venne “riscritta” dal
Castelli , ormai trasferito a Roma come “idraulico” di Urbano VIII, che la riscrisse smussandone
molte asperità prima di farla circolare manoscritta intitolata “Rosa Ursina” , organizzandone
anche una “lettura parziale” dal titolo Dialogo sul flusso e reflusso delle maree .
Da questa Galileo passò alla stesura di un libro che aveva in mente già da una decina d’anni
articolato in quattro giornate: si svolgeva fra tre amici , Salviati, Sagredo e Simplicio, dove Salviati
era l’ “alter ego” di Galileo facendo rivivere il vecchio amico Filippo; Sagredo ricordava Giovan
Francesco patrizio veneziano, prematuramente scomparso, che era stato suo allievo, mentre
Simplicio derivava dal poco noto filosofo greco Simplicius, commentatore di Aristotele, il cui
nome apparve palesemente scelto per sottolineare il modo semplicistico di ragionare sulle cose
che si vedevano. Titolo della ormai famosissima opera : DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI
DEL MONDO,
Come noto, gli argomenti trattati erano : - moto della Terra; - organizzazione dei corpi celesti flusso e riflusso delle acque. L’opera fu scritta in bell’italiano piacevolmente leggibile anche oggi
da chi non si senta “parte lesa” dal modo con cui i problemi vennero affrontati.
L’analisi del “Dialogo …” ha riempito volumi ; qui ci limitiamo a pochissimi cenni.
Ricordiamo che, arrivando da Firenze e da Roma, Salviati e Simplicio raggiunsero in gondola il
palazzo di Sagredo, che Galileo , seguendo la sua abitudine di mettere note a margine dei libri che
leggeva, pose annotazioni matematiche e tabelle anche a margini del suo libro; sottolineiamo infine
come, fin dalla prefazione, Galileo aveva detto che il dictat contro Copernico fosse venuto da chi
non s’intendeva di astronomia e tarpava le ali alla ricerca..
Nella discussione sulla “fissità” della Terra, nella Giornata Seconda, per bocca di Salviati Galileo
fece notare che noi “ci siamo dentro” in quanto contenuti nell’involucro dell’aria 9.
Da quanto disse sulla struttura generale , non sembrano apparire segni premonitori relativi a
questioni attrattive ( non certo di gravità, ma neppure di magnetismo alla Gilbert ( 1540-1603),
l’autore del “De magnete magnetisque corporibus et de magno magnete Télluri physiologia
nova” ).
Le teorie e le “verità” astronomiche del Nostro sono di carattere cinematico; il dibattito sulle cause
e sulle forze “per variare il moto” inizierà pochi anni dopo con Bouillaud ( 1605- 1694) e con
Borelli (1608 – 1679) 10 .
Come scrisse in una lettera inviata a Parigi all’amico avvocato Elia Diodati, protestante, Galileo era
fermamente convinto del moto annuo della Terra anche se l’estrema lontananza delle stelle non
consentiva di rilevare misure di parallasse .
Nel “Dialogo..” si leggeva che Simplicio era invece convinto della immobilità della Terra perché
non credeva che Dio potesse aver sprecato tanto spazio per cose non utili all’uomo. Il commento di
Sagredo era distaccato : “se non mi preoccupo di sapere a cosa mi serve la milza o il fegato, perché
lo dovrei per la posizione di Giove ? “.
Durante gli anni padovani (1592-1609) Galileo aveva sicuramente visitato il Teatro Anatomico
fondato da Vesalio e letto il “De humanis corporis Fabbrica” del 1543:
Nella Giornata Quarta il moto mareale venne usato come prova fisica del moto della Terra.
Infine il padrone di casa, Sagredo, conclude : “stazione e retrogradazione dei pianeti, rivoluzione
del Sole su se stesso (provata dalle macchie), flussi e reflussi delle maree, sono a favore del
copernicanesimo”, ma Simplicio rifiuta “questa fantasia” ammissibile solo come chimera o
paradosso, “si può osservare la natura e si vede che tutto è possibile a Dio”. Salviati rifiuta la
soluzione fideistica lasciando aperto il problema.
Man mano che l’opera veniva revisionata e corretta, l’amorevole e intelligente primogenita di
Galileo, suor Maria Celeste, la ricopiava con la sua elegante grafia mettendola in forma idonea
alla stampa.
Ormai erano più di cent’anni che i libri dovevano ricevere un “imprimatur” preliminare alla stampa
e precisamente dal 1515 , anno della bolla di Leone X ( papa Medici). Dopo le norme restrittive del
Concilio, se non si sottoponevano al giudizio del Vescovo e dell’Inquisitore locali, autori, editori e
lettori rischiavano la scomunica.
Le prime opere di Galilei, compreso il “Sidereus Nuntius” avevano ottenuto l’imprimatur a
Venezia.
9
(Lo studio dei moti, sviluppato dalla Scuola Terminista sulle frecce lanciate verso l’alto, aveva proprio
trascurato il fatto di sperimentare dentro all’atmosfera).
10
( Le prime misure furono di Bessel nel 1838, mentre Bradley nel 1727 aveva trovato una verifica attraverso
l’aberrazione stellare).
Prima di sottoporre al giudizio dell’Inquisizione romana le “Lettere intorno alle macchie solari” il
principe Cesi le aveva sottoposte al cardinal Bellarmino. Ora c’era da temere per i “ Dialoghi …”,
che Galileo voleva pubblicare a Roma.
Il 3 maggio 1630 Galileo giunse di nuovo a Roma ospite dell’Ambasciatore toscano Francesco
Niccolini la cui consorte Caterina, di gran famiglia fiorentina, era cugina del domenicano Padre
Nicolò Riccardi , il quale già in occasione dell’imprimatur concesso al “Saggiatore” nel ’23 si era
dimostrato assai ben disposto verso le novità scientifiche. Certo i tempi erano cambiati e Galileo si
era fatto molti nemici.
Padre Riccardi ( o Padre Mostro, come da tutti veniva chiamato per la sua mole e la sua bruttezza)
lesse personalmente il manoscritto e incaricò anche un esperto delle verifiche matematiche.
In giugno Padre Riccardi firmò il manoscritto con l’impegno di Galileo a fare prima della stampa
alcune correzioni : - Il titolo non doveva alludere al fenomeno fisico delle maree; - e così anche la
prefazione e le conclusioni dovevano accettare la misteriosa onnipotenza di Dio .
Galileo riconoscente promise a Padre Riccardi che avrebbe fatto le modifiche e subito lasciò Roma
, anche se era riuscito ad avere una sola volta udienza dal Papa, impegnatissimo in quei due mesi
(in guerre, affari politici, progetti architettonici). Non poté lasciare il manoscritto al principe Cesi,
perché questi era gravemente ammalato 11. Tramontò in conseguenza la possibilità di una stampa
molto sollecita da parte dell’Accademia dei Lincei e Galileo impaziente pensò di evitare il vai e vieni
da Roma chiedendo un nuovo imprimatur all’Inquisizione toscana.
Il rientro a Bellosguardo si dimostrò una mossa infelicissima , perché nel frattempo la tremenda
epidemia di peste che stava dilaniando l’Europa arrivò anche in Toscana. Non si sapeva se il morbo
era trasmesso dai topi o trasportato dall’aria o per contatto e nel vano tentativo di bloccare la
pestilenza le norme precauzionali imposte dalle Autorità erano rigorosissime..
Accantonato qualsiasi progetto di stampa, Galileo riprese i suoi studi giovanili sul moto dei corpi.;
fornì anche consulenze tecniche al Granduca Ferdinando ( per la facciata di Santa Maria del Fiore,
per progetti contro le esondazioni del Bisenzio, …) ,
Dopo varie ricerche si trasferì da Bellosguardo ad Arcetri assai vicino al convento di San Matteo
dove vivevano le figlie suore. Si trattava di una costruzione del Trecento, con orto e giardino al
Pian dei Giullari, ben ristrutturata e con ottima esposizione , detta “il Gioiello”. Il contratto di
locazione venne firmato il 22 settembre 1631 per soli 36 scudi l’anno.
Già nell’ottobre 1631 Galileo aveva trovato un nuovo stampatore e aveva ottenuta l’autorizzazione
ufficiale dal Vicario del Vescovo di Firenze, dall’Inquisitore fiorentino e dal Censore di Corte, come
se non fosse mai stato a Roma. Egli tenne al corrente di tutto ciò Padre Riccardi il quale però
aveva già comunicato ad Urbano VIII quali fossero le modifiche che Galileo si era impegnato a fare
al manoscritto prima di passare alla stampa.
11
Morirà infatti 45enne il 1° agosto di quello stesso anno di cancro alla vescica
In sostanza Padre Mostro venne “informato” da Galileo soltanto che la morte di Cesi e il divieto di
circolazione, causato dalla pestilenza, lo obbligavano a pubblicare in Toscana . Il Segretario di Stato
del Granduca comunicò a Galileo che tutto era stato bloccato. Questi allora scrisse una nuova
lettera proponendo di inviare a Roma solo le parti contestate del manoscritto (prefazione e
conclusioni) perché Padre Riccardi potesse modificarle a suo piacere, mentre avrebbe potuto
indicare un revisore a Firenze.
Padre Mostro accettò e Galileo consegnò il manoscritto al nuovo revisore fiorentino.
Nella primavera seguente Galileo venne autorizzato ad iniziare la stampa delle parti non contestate
.
Padre Mostro sapeva con quanta convinzione Galileo avesse presentato le idee pitagorico –
copernicane, in modo stringato e incontrovertibile, ma non poteva che farle passare come
“verità ipotetiche”. Per questo motivo già nella Prefazione Galileo avrebbe dovuto mettere in
evidenza la potenza divina rispetto al fallibile intelletto umano.
La stampa del DIALOGO SUI DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO fu faticosa ed il volume fu pronto
solamente nel febbraio del 1632, quando Galileo aveva 68 anni..
Nel frontespizio si leggeva : “ DIALOGO … di Galileo Galilei, Linceo – Matematico sopraordinario
dello Studio di Pisa - e Filosofo e Matematico primario - del SERENISSIMO Granduca di Toscana –
dove nei congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo
Tolemaico e Copernicano, proponendo indeterminatamente le ragioni filosofiche e materiali tanto
per l’una quanto per l’altra parte”.
Il libro venne subito spedito a Bologna ed in altri luoghi mentre disposizioni precauzionali contro la
peste impedirono fino a maggio l’invio a Roma. Appena possibile Galileo ne inviò alcune copie
all’amico Castelli perché venissero lette e discusse.
Purtroppo in quel periodo Papa Urbano era assillato da molti impegni, inoltre era in urto col
Granduca di Toscana che gli contestava l’annessione del feudo di Urbino, avvenuta alla morte di
Federico della Rovere nell’anno precedente. Per l’insieme di questi motivi il Papa non lesse subito
personalmente il libro ed, ascoltando chi glielo dichiarava scandalosamente copernicano, accettò
che venisse costituita una nuova commissione : Galilei aveva beffardamente trasgredito ai vincoli
cui si era impegnato e si dovette procedere contro il libro ed il suo autore.
L’Ambasciatore Niccolini e il Segretario di Stato del Granduca erano assai preoccupati, Urbano VIII
non intervenne e, da Roma, partì l’ordine all’Inquisitore di Firenze di bloccare le vendite . In
ottobre Galileo ricevette dal card. Antonio Barberini di Sant’Onofrio, fratello del Papa, l’ordine di
recarsi a Roma. Galileo, ancora una volta indisposto, mandò a dire di essere ammalato, ma ciò
nonostante fu obbligato a partire.
Il 15 Gennaio del ’33 Galileo partì da Arcetri con lettiga e servitore della Casa Granducale e, dopo
un faticoso viaggio, giunse a Roma ospite di palazzo Medici, ed il famoso processo ebbe inizio.
La trascrizione ufficiale riporta le domande in latino “Quomodo et a quanto tempo Romae
reperiatur …” e le risposte in italiano : “ Io arrivai a Roma la prima domenica di Quaresima e son
venuto in lettiga …”. Urbano VIII avrebbe potuto farlo imprigionare, ma concesse che rimanesse
all’Ambasciata, dove il cardinal Riccardi e il cardinal Barberini gli consigliarono di rimanersene
ritirato anche per sua sicurezza personale.
Solo un certo mons. Sertori, consigliere del Sant’Uffizio, poteva andare a conversare con lui.
Vennero riesaminate le vecchie promesse che aveva fatto al cardinal Bellarmino a causa delle quali
nel ’26 aveva domandato a Urbano VIII se poteva scrivere il suo libro, sia pure trattando il
copernicanesimo in termini di stretta ipotesi.
Dal tono generale dell’opera il Pontefice ebbe la sensazione che lo scienziato si fosse preso gioco di
lui e ciò fece cambiare il suo comportamento nei confronti di Galileo.
Sicuramente Galileo non aveva ritenuto di dare la giusta importanza all’impegno preso con
Bellarmino, mentre tale impegno era stato registrato. Sempre ritornando a quegli anni, quale era il
particolare che Galileo si riservava di riferire solo dopo averne fatto parte anche al Papa? Forse gli
sforzi del cardinal Maffeo 12per evitare al copernicanesimo il marchio di “eresia”? Comunque
c’era oppure no il vincolo “quovis modo vitando” ? Galilei non aveva richiesto “licenza di scrivere”
perché riteneva di poterlo fare liberamente ?
L’Ambasciatore Niccolini chiese nuovamente al Papa di sveltire il processo appellandosi all’età ed
alla malferma salute di Galileo, ma il Papa rispose che ormai si doveva seguire il corso regolare.
Martedì 12 aprile 1633 Galileo venne interrogato nelle stanze del St. Uffizio (non in prigione né
in catene ) alla presenza dei dieci cardinali giudicanti e di un segretario.
Galileo disse di trovarsi a Roma perché convocato e di essere stato chiamato per la controversia
sulla stabilità del Sole e conseguente moto della Terra, cose che la Congregazione dell’Inquisizione
dichiararono ripugnanti e contrarie alle Scritture. Disse di aver avuto notizia dal cardinal
Bellarmino di doverla ritenere solo “opinione ex suppositione” e così egli aveva fatto. Cita la
lettera del Card. Foscari, , Provinciale dei Carmelitani, che ritenne assai opportuna la trattazione
“ex suppositione”; mostrò la lettera scritta il 25 maggio di diciassette anni prima dal cardinal
Bellarmino; richiesto poi, se vi fossero stati testimoni, disse che vi erano due domenicani che non
conosceva. Richiesto di ulteriori dettagli disse che dopo tanto tempo non ricordava altro.
Ricordiamo che i verbali del 1616 relativi agli emendamenti al “De Revolutionibus …” si riferivano a
Galileo come se fosse stato presente, mentre le cose non stavano assolutamente così!
Per quanto riguardava la stampa aveva anche ricusato le offerte ricevute da Venezia, Francia e
Allemagna. Ovviamente non è questa la sede per entrare nei dettagli del processo. Indubbiamente
la Commissione si era resa conto dello squilibrio con cui nel “Dialogo…” venivano trattati
12
(Allora Papa Urbano VIII).
copernicanesimo ed aristotelismo ed al termine dell’interrogatorio Galileo fu accompagnato in una
stanza del Quartiere degli Ufficiali dove doveva rimanere sulla parola”.
Esaminato da un ristretto gruppo di esperti il Dialogo venne condannati per la sua propensione
copernicana e per aver scelto la lingua italiana onde facilitarne la diffusione 13.
Il nipote di Urbano VIII, Cardinale Francesco Barberini, Linceo e già allievo di Galilei, fece il
possibile per difenderlo e per ottenere nuovamente una soluzione extragiudiziale, ma Galileo
aveva violato anche la liberale autorizzazione di Bellarmino ed il Papa impose che si arrivasse ad
una sentenza formale. Nel secondo interrogatorio Galileo dichiarò la sua buona fede e si disse
pronto a correggere il “Dialogo”dopo di che gli venne consentito di ritornare a Villa Medici.
Il 16 giugno, ricevendo in udienza riservata gli Inquisitori, Urbano VIII chiese di usare severità
contro Galileo che oltre a disobbedire aveva ridicolizzato le Scritture. Cinque giorni dopo
nell’ultimo interrogatorio venne chiesto a Galileo di confermare le sue idee sul Sole e sulla Terra ed
egli risponde che già prima del 1616 aveva trattato indifferentemente di entrambe le teorie, ma
dopo tale data si era convinto che una sola fosse vera in natura e l’altra matematicamente di
comodo…per cui si rimetteva alle superiori dottrine.
Nella sentenza ( 22 giugno del ’33) l’Inquisizione dichiarava
Galileo colpevole di crimini
“ignomignosi”, mentre era contenta che fosse assolto dal sospetto di eresia purchè prima
abiurasse. Ordinò che il libro fosse proibito. Condannò Galileo al “carcere forrmale” ed alla recita
settimanale dei sette Salmi Penitenziali, pene variabili o annullabili a suo giudizio. Per alcuni giorni
Galileo rimase nelle segrete del Sant’ Uffizio, poi il cardinal Barberini ottenne che ritornasse
all’Ambasciata.
La prolissa formula del giuramento venne messa a punto dal Castelli e Galileo, in cappa bianca
come prevedeva la prassi, la recitò alla presenza di tre cardinali ( Barberini, Borgia e Zacchia) nella
chiesa del convento dei Domenicani di Santa Maria sopra Minerva.
Ora Galileo voleva ritornare ad Arcetri dove era arrivata dalla Baviera anche la vedova del fratello
Michelangiolo con i suoi otto figli. Un nuovo intervento del nipote del Papa, Cardinal Barberini,
ottenne che Galileo potesse allontanarsi da Roma per trasferirsi a Siena sotto la custodia
dell’Arcivescovo Ascanio Piccolomini.
Il Dialogo restò all’Indice per quasi due secoli ed a Roma, Milano, Mantova, ecc …era “off limits”
con mercato nero a 6 scudi, mentre veniva letto, tradotto e commentato in tutta Europa (la
traduzione latina completa uscì a Strasburgo dopo solo due anni e quella inglese nel 1661).
13
( Si noti a questo proposito che ben presto venne tradotti in latino per facilitarne la comprensione nel
resto
d’Europa).
Quando all’inizio di luglio del ’33 Galleo arrivò a Siena era assai depresso, ma dall’amico
Arcivescovo non poteva trovare accoglienza migliore; Piccolomini come cura lo incitò a riprendere i
suoi studi di meccanica unendosi a lui nelle ricerche e venne consolato dalle lettere della sua
primogenita : “Molto illustre e amatissimo Signor Padre …” scrive suor Maria Celeste e gli riferisce
le faccende del convento e del podere, riattaccandolo ai problemi quotidiani della vita.
Dalle notizie che Galileo ricevette si rese anche conto di quanto il processo fosse stato
commentato specie negli ambienti più lontani dal cuore del Cattolicesimo. Non più dal suo amico
Keplero ormai scomparso, ma da molti altri quali : Gassendi, Cartesio, Mersenne, Fermat. Galileo
rimase particolarmente colpito, soprattutto dalla partecipazione di un suo ex allievo, il conte di
Noailles, Ambasciatore di Francia a Roma cui dedicherà la sua ultima opera “ LE DUE NUOVE
SCIENZE “ cui rimise mano dopo essersi fatto inviare da Arcetri tutti i suoi disordinati appunti,
relativi alle esperienze sul moto e sul comportamento dei materiali, iniziati già negli anni
padovani.
A Siena Galileo godette di molta libertà, era stimato e riverito e, secondo alcuni ecclesiastici,
l’Arcivescovo lo trattava troppo bene, consentendogli nelle conversazioni di diffondere le sue idee
“perverse”.
Galileo non si rese conto dell’eccezionalità della sua situazione a Siena sotto l’illuminata e
generosa protezione dell’Arcivescovo Piccolomini ed insistette per tornare ad Arcetri.
Domenica 13 novembre in udienza dal Papa, il Cardinal Barberini fece presente il desiderio di
Galileo; Urbano VIII dapprima si oppose dicendo che a Siena dove aveva protettori e contatti con
molti visitatori, stava fin troppo bene; infine concesse il trasferimento ad Arcetri, ma con contatti
assai più limitati che non a Siena e così dopo soli quattro mesi di “semi libertà”, Galileo ottenne di
“rinchiudersi al Gioiello”, dove il Granduca Ferdinando salì a portargli il suo bentornato.
In una lettera di ringraziamento al Cardinal Barberini si legge : “…. E con reverendissimo affetto
inchinandomi le bacio le mani…” ; ma in breve tempo il Nostro si rese conto del mal passo
compiuto : divieto di ricevere visite scientifiche, divieto di allontanarsi dal Gioiello con unica
eccezione il convento di San Matteo. Ivi la sua suor Maria Celeste , provata dai patimenti
sopportati durante la pestilenza, lascerà di lì a pochi mesi la vita terrena e Galileo ne soffrirà assai.
In una lettera all’amico Elia Diodati, il Nostro rimpiangendo il periodo di Siena , scrisse “fu
mutata la carcere nel ristretto di questa piccola villetta lontana un miglio da Firenze ..”
Nel 1634 Galileo sistemò il manoscritto delle “Due nuove scienze” e si domandò dove poterlo
stampare, dato che il Sant’Ufficio dell’Inquisizione gli aveva proibito omnia edita et edenda .
Vennero tentate varie vie: Fra Fulgenzio Micanzio della Serenissima libera Repubblica di Venezia ed
Elia Diotaiuti che saggiarono il terreno a Lione, dove era editore un lontano parente dei Galilei; si
pensò anche all’imperatore di Germania, l’olandese Louis Elzevir che andò di persona al Gioiello
per esaminare personalmente il manoscritto, …Infine il libro uscì a Leida nel 1638 quando Galileo
era ormai semi cieco per una grave infezione agli occhi.
Proprio nel 1638 Galileo accolse nella sua casa un nuovo allievo, il 16enne Vincenzio Viviani, che lo
assiste nelle esperienze, nei disegni per un prototipo di orologio ed ovviamente nella lettura e nella
stesura degli appunti.
Viviani,che sarà uno dei membri fondatori dell’Accademia del Cimento, resterà legato al Maestro
anche dopo la morte di questi, curando nel 1656 l’edizione completa delle sue Opere.
Nel 1641 Benedetto Castelli ottenne con fatica il permesso di recarsi ad Arcetri per dargli
sostegno morale, e per discutere ancora sull’utilizzo dei satelliti di Giove per la determinazione
della longitudine.
Galileo morì la sera dell’8 gennaio 1642, un mese prima di compiere 78 anni, e venne sepolto in
Firenze, non nella Chiesa di Santa Croce dove ora riposa, bensì per volere di Urbano VIII
nell’adiacente piccola Cappella delle Novizie .
Prima di concludere questi appunti è doveroso sottolineare che di proposito per seguire il filo
delle osservazioni galileiane del 1609 e delle loro conseguenze, si sono tralasciate altre parti assai
significative della sua attività scientifica quali il passaggio dal cannocchiale al microscopio con
studi prima impossibili sulla struttura degli insetti , le leggi sul pendolo e sul moto dei gravi e, non
ultima, la relatività dei moti quella che ancora oggi va sotto il suo nome . A proposito di
quest’ultima rimane per noi difficile capire perché mai Egli non l’abbia utilizzata nelle polemiche
sui sistemi del mondo invece di dibattersi tra verità ed ipotesi.
Probabilmente il distacco metodologico necessario per poter considerare l’interpretazione
scientifica del mondo come un “modello” non vero né falso, ma opportuno, era al di fuori della Sua
mentalità protoilluminista.
Ennio Iannucci (sez. AIF Torino)
.