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Accesso al mercato? No grazie!
8. Conclusioni
La spinta crescente verso l’industrializzazione e la globalizzazione del mondo agricolo e
dell’approvvigionamento alimentare mette in pericolo il futuro dell’umanità e il mondo rurale.
In ogni continente, le comunità rurali stanno richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica sugli
effetti dei sistemi alimentari ed agricoli controllati dalle imprese multinazionali, che hanno
trasformato l’agricoltura in industria di estrazione ed il cibo in grande rischio per la salute.
Stanno emergendo movimenti, molti dei quali in più paesi e tra loro collegati, che ristabiliscono i
legami storici tra cibo, agricoltura e valori collettivi. Questi movimenti riportano il cibo e la sua
produzione a riprendere il giusto posto nella cultura e nella natura.
Manifesto sul futuro del cibo, San Rossore 15 luglio 2003
Si prevede un consolidarsi dell’internazionalizzazione della vendita al dettaglio di alimentari e
dell’industria di trasformazione. Nel prossimo futuro quattro o cinque grandi organizzazioni di
vendita opereranno su scala mondiale (fra Wal-Mart, Tesco, Carrefour, Safeway, Delhaize, Aldi, Lidl)
insieme a un numero di retailer dominanti a livello regionale e nazionale.
Il potere delle catene di vendita crescerà, in particolare nelle categorie dei prodotti freschi e semifreschi esclusi dal dominio dei principali marchi.
I grandi marchi continueranno ad essere forti, particolarmente nei paesi in via di sviluppo. Ma si
attendono crescenti reazioni negative alla globalizzazione da parte di gruppi di consumatori. Alcuni
grandi marchi hanno già iniziato ad adeguare la loro strategia globale, aumentando l’assortimento di
merci locali.
Estratto da State of the Art in Food, studio di Capgemini sui cambiamenti nell’industria alimentare
mondiale1
Attraverso i vari capitoli di questa ricerca, abbiano visto come l’AoA abbia sinora servito
allo scopo di concentrare in poche mani il potere nella catena degli approvvigionamenti,
relegando i contadini al ruolo di manodopera da sfruttare nell’industria del cibo.
Dieci anni di applicazione, preceduti per molti paesi poveri da dieci anni di prescrizioni
da parte del Fondo monetario, hanno modificato in peggio l’agricoltura, hanno reso più
deboli e vulnerabili gli ecosistemi, hanno ridotto la varietà delle specie coltivate, hanno
reso sempre più inquinante una pratica che nell’immaginario collettivo rimane ancora
associata alla terra e alla natura.
Certo la produzione di cibo è aumentata e, almeno in occidente, possiamo spendere
sempre meno per alimentarci, ma a prezzo di una sua mutazione, una sua riduzione di
sapore, di gusto e di salubrità, con effetti collaterali quali il rapido aumento dell’obesità.
L’asserzione che più esportazioni significhino più benessere per tutti non regge alla
realtà, è solo propaganda. Costringere i contadini a commerciare i prodotti agricoli a
prezzi validi a livello mondiale significa volere il loro male.
Ma il male dei contadini è male per tutti noi perché gli esseri umani non vivono di PIL o
di astrazioni teoriche, vivono di alimenti, di sapori, di odori, di colori e di paesaggi che
meritino l’esistenza degli occhi, vivono di alberi, di terre e di prati, vivono di convivialità.
Nessuno gode del grigiore delle città industriali e di quei non luoghi rappresentati dai
centri direzionali dispersi nelle periferie di Milano o Roma.
Per questo l’agricoltura ci riguarda tutti e per questi valori è giusto sostenere il lavoro dei
contadini attraverso appositi sussidi.
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Edito nel 2004, vedi www.capgemini.com/cprd
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Accesso al mercato? No grazie!
8.1.
Il Doha Round: nessuna illusione
Il negoziato commerciale in corso a Ginevra porterà, nel caso giunga al termine, alla
ratifica di un nuovo accordo agricolo nel 2007 e rappresenta un passo importante per
decidere il futuro del sistema agricolo alimentare.
Formalmente è chiamato negoziato “per lo sviluppo” ma la parola sviluppo venne
inventata dall’allora commissario europeo Lamy solo per illudere i paesi poveri della
bontà dell’iniziativa e vincere la loro resistenza.
Ma è inutile illudersi, nelle stanze di Ginevra ciascuno cerca di difendere i propri
interessi acquisendo vantaggi per le proprie imprese da esportazione, la retorica dello
sviluppo serve solo ad ingannare l’opinione pubblica.
L’AoA in questi anni ha aggravato le difficoltà dei contadini e non ha minimamente
considerato il problema primario di assicurare cibo a tutti i popoli del pianeta. Porre
come priorità lo stimolo delle esportazioni ha creato situazioni paradossali di paesi capaci
di esportare prodotti agricoli e di non riuscire a sfamare la propria popolazione.
Il rinnovo dell’AoA si sta muovendo sui binari tracciati da quello esistente e continuerà a
dare priorità agli esportatori.
Cosa può accadere?
La fase preparatoria del vertice di Hong Kong sarà molto intensa perché in caso di
fallimento, fallirebbe l’intero ciclo di negoziati.
Per questo anche se il negoziato sembra estremamente difficile sono attese sorprese.
Certamente l’Unione europea annuncerà una data, entro la quale porrà fine ai suoi
sussidi all’esportazione, non accadrà prima del 2010, probabilmente nel 2013; al
momento però continuano le scaramucce con gli USA, poco propositivi sulla regolazione
dei crediti e degli aiuti alimentari. L’attuale empasse del negoziato agricolo è in attesa,
come durante l’Uruguay Round, di un nuovo accordo di Blair House in cui i due maggiori
pugili sul ring trovino una intesa indispensabile al raggiungimento di un accordo globale
allargato agli altri membri del WTO.
Difficile sperare che la scatola blu e quella verde siano rese più selettive e normate, in
modo da evitare facili passaggi di sussidi da una all’altra, alla fine saranno stabiliti dei
tagli al totale dei sussidi distorsivi, anche perché questo, insieme al tema dei sussidi
all’esportazione, è quello su cui punta il G20, il blocco dei nuovi “paesi forti” del WTO.
Il prezzo sarà un taglio dei dazi significativo per tutti e soprattutto il prezzo sarà pagato
in altre aree dei negoziati, servizi e prodotti industriali, perché come durante l’Ur molte
imprese spingono per accedere a nuovi mercati e l’agricoltura può essere il prezzo da
pagare.
Ci sarà battaglia per definire i prodotti esentati, definiti come “speciali” per i PVS e come
“sensibili” per i paesi industrializzati. Il rischio è una compensazione a danno del
concetto di trattamento speciale e differenziato che in teoria dovrebbe tenere conto delle
differenze fra i diversi paesi, favorendo i più poveri.
L’avvento del G20 ha certo introdotto novità positive, non fosse altro, ha allargato il
numero dei decision maker in seno al WTO, ma si tratta di paesi con interessi offensivi
nelle esportazioni agricole e pertanto in linea con le aspettative euro-americane e il mito
dell’accesso al mercato.
Tant’è che il vecchio Quad sta perdendo valore e si fa strada un nuovo G4 in cui il posto
di Canada e Giappone è stato preso da India e Brasile. La strategia di USA ed UE è di
frammentare il blocco dei paesi in via di sviluppo ed è basata sulla constatazione della
disomogeneità del gruppo. L’India ha alcuni interessi simili a quelli europei sulle tariffe e
sulla determinazione della formula di taglio mentre il Brasile (grande esportatore),
focalizza il suo interesse sulla fine dei sussidi perché, secondo alcune stime, ne ricavebbe
un beneficio di 10 miliardi di dollari.
Ma entrando nella stanza dei bottoni, Brasile ed India si sono poste nella posizione di
non poter più difendere in blocco le posizioni di tutti i PVS e di dover negoziare in primis
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Accesso al mercato? No grazie!
i propri interessi e magari di parlare di vittoria di Sud, come hanno fatto dopo l’accordo
di luglio, quando di vittorioso c’è poco da annoverare per la maggioranza dei PVS.
Per i paesi più poveri, per l’Africa in particolare, il G20 non rappresenta dunque una
fonte di aiuto.
Per questo la via più praticabile per loro è quella di una strenua difesa del diritto a
difendere la propria agricoltura, attraverso minori tagli tariffari possibili, un adeguato
numero di prodotti da considerare come speciali e un nuovo sistema di salvaguardia che
li difenda dalle esportazioni estere sottocosto.
Come ampiamente ripetuto nei capitoli precedenti, l’accesso al mercato non è a loro
favore.
8.2.
La società che vogliamo
Ma se il negoziato si presenta con un orizzonte così buio, c’è qualcosa che tutti possiamo
fare, si tratta di una autentica forma di lotta politica dal basso.
E’ una lotta comunque necessaria, sia che il Doha round finisca positivamente sia che
fallisca.
Abbiamo visto che il sistema alimentare moderno ha bisogno di una profonda riforma;
che i regimi dei sussidi occidentali vanno modificati in modo che servano ad aiutare una
agricoltura di contadini e non di industrie; che serve una adeguata regolamentazione del
lavoro e un freno alla decurtazione dei salari e alla flessibilità richiesta ai lavoratori delle
imprese di trasformazione. Che occorre regolare le concentrazioni che si trasformano in
potere assoluto nello stabilire i prezzi da fame per gli agricoltori, che va difesa la piccola
distribuzione per conservare la vitalità dei centri urbani, che andrebbero limitati i
messaggi pubblicitari, specie quelli rivolti ai bambini e che li indirizzano su cibi
spazzatura.
Ebbene tutto questo è possibile solo cambiando il nostro modo di fare acquisti, solo così
possiamo lanciare dei segnali forti a governi ed imprese. Del resto sono proprio loro che
come una litania dicono sempre di agire per adattarsi alle richieste dei consumatori!
E’ un impegno che serve non solo ad avere cibi più sani, ma anche ad inquinare meno e
ad aiutare chi soffre la fame. Come abbiamo visto tutti i problemi legati al cibo sono
interconnessi e difendere i diritti degli altri popoli collima col desiderio di difendere i
nostri diritti e la nostra salute. Ecologia e giustizia sociale sono due facce della stessa
medaglia.
Ma dobbiamo smettere di volere cibo a basso costo, lamentandoci della bassa qualità e
delle frodi alimentari. Dobbiamo cercare di acquistare di meno ma nutrendoci meglio,
con cibo che non faccia migliaia di chilometri per arrivare sulla nostra tavola
(alimentando l’economia del petrolio), con prodotti di stagione, evitando le grosse catene
di vendita.
Certo per tutto questo serve tempo, una ricchezza di cui siamo sempre più poveri.
Ma rallentare per pensare ed agire al di fuori dell’effetto dei condizionamenti dei mass
media e di un sistema che chiede sempre più adattabilità a danno della qualità dei nostri
stili di vita, è indispensabile.
Come ricorda slow food, il cibo è uno dei grandi piaceri della vita, attorno alla tavola per
secoli si sono intessute le relazioni sociali fra gli esseri umani.
Quando incontriamo qualcuno con cui sentiamo nascere simpatia e amicizia, viene
spontaneo prima o poi invitarlo a cena.
Pensare a quale tipo di sistema agricolo e alimentare vogliamo significa, in ultima analisi,
pensare a quale tipo di società vogliamo.
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