Relax - Mensa Italia

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La rivincita dei
videogiochi
di Davide Tomei
M
olte persone, quando sentono
la parola “videogioco”, pensano
alla classica scatolona arcade che si
trovava nelle sale gioco e alla scritta
insert coin. Ancora oggi, per alcuni, la
massima conoscenza dei videogiochi
non va oltre Asteroids o Space Invaders1.
All’inizio dell’era dei videogiochi, gli
arcade erano infatti l’unico mezzo per
poter giocare, poiché non era ancora
disponibile una tecnologia che portasse
nelle case l’intrattenimento videoludico.
Sembrano passati tempi lunghissimi da
quelle prime macchine per videogiochi,
sicuramente più dei trent’anni che ci
separano. Il primo a rendersi conto del
potenziale commerciale fu, sulla scia del
successo degli arcade, Nolan Bushnell
(futuro fondatore dell’Atari), che inventò
il famoso gioco Pong, primo vero
videogioco commerciale.
Fu, però, alla fine degli anni ’70 e ai
primi degli anni ’80 che ci si accorse
che il Mondo era veramente pronto
per degli apparecchi domestici con
cui intrattenersi. Le console erano
dirette sopratutto ai teenager, così
come i giochi, che complice anche la
tecnologia “povera” dell’epoca, erano
a dir poco essenziali, sia nella grafica
che nel gameplay. Sta di fatto che sono
di questo periodo alcune tra le console
più famose di tutti i tempi, come l’Atari
2600 (del ’77) o il Nes 2 (quest’ultimo,
fu in produzione dal 1983 al 1994),
che generarono alcuni tra i protagonisti
più famosi della storia dei videogiochi,
come Pac-Man e Super Mario.
La vera rivoluzione si ebbe negli anni
’90 con il lancio della prima Play Station,
che fino ad oggi ha venduto 103 milioni
di pezzi. La PS2 ne ha venduti 120. Le
concorrenti Xbox e GameCube, dello
stesso periodo, pur non arrivando a tali
cifre, si attestano sempre su decine di
milioni di console vendute.
Anche i giochi divennero sempre
più complessi: non più semplici
trasposizioni di famosi arcade, come
sulle prime console, ma nuovi, moderni
e veloci giochi ispirati alla realtà così
come dettati dalla più sfrenata fantasia
degli sviluppatori. Il mercato dei
videogiochi e delle console continuò
a crescere, introducendo generazioni
di macchine sempre più tecnologiche,
arrivando, con le ultime PS3, Wii e Xbox
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360, alla 7ma generazione. Dagli anni
’90, una grossa spinta la si ebbe con
i PC, che ormai polivalenti, sostituirono
le console delle prime generazioni,
condannando le sale giochi ad un
inesorabile declino.
E’ sopraggiunta, con gli anni, anche la
voglia del “gioca ovunque”; numerose
sono state infatti le console portatili: dal
GameBoy e Game Gear, al più recente
DS, dalla PlayStationPortable ai cellulari
dedicati, come il Nokia N-Gage.
La massificazione dei videogiochi era
ormai realtà. Da fenomeno di nicchia,
in venti anni, l’industria videoludica
è diventato il secondo fenomeno di
intrattenimeto, dietro solo a quella
cinematografica.
Anche per fatturato, i discendenti di
Super Mario sono secondi solo ad
Hollywood: nel 2003, il valore del
software e hardware collegato ai
videogiochi ha raggiunto la cifra di 20
miliardi di euro. Le più grandi società di
sviluppo e distribuzione di giochi hanno
fatturati di tutto rispetto: la Elecronic Arts,
la più grande per ora, ha fatturato nel
2006 quasi 3 miliardi di euro. E’ notizia di
questi giorni che la Activision (creatrice,
tra l’altro, di Guitar Heroes e della serie
di successo Call of Duty), ha effettuato
una fusione con un’altra software
house, la Blizzard Entertainment (che
ha dalla sua titoli come Diablo e la serie
di Warcraft) per un valore complessivo
di 13 miliardi di euro. Se si pensa che
queste società non producono nulla di
veramente tangibile e duraturo, i numeri
risultano ancora più stupefacenti.
Insomma, il videogioco è stato
sdoganato dal vecchio stereotipo che
lo voleva come una perdita di tempo,
un inutile divertissement, così come il
videogiocatore non è più considerato
solo un ragazzino. Ciò è confermato
dalle numerose rassegne e fiere annuali
dedicate esclusivamente al mondo dei
videogiochi, la più importante delle
quali, l’E ³ (Electronic Entertainment
Expo), attira annualmente circa 60 mila
persone.
Per dare un’idea del mercato italiano,
nel 2005 sono stati venduti 5,6 milioni
di giochi , considerando tutte le console
in circolazione e il PC. Sempre nel 2005,
l’introito del mercato videoludico italiano,
considerando software e hardware, ha
superato i 600 milioni di euro, e si stima
che circa il 36% della popolazione sopra
i 14 anni giochi ai videogames. Alla
rivoluzione commerciale che ha avuto
per protagonisti i videogiochi negli ultimi
anni, sottende un’altra rivoluzione:
quella socio-culturale. Le imponenti cifre
che riguardano l’industria videoludica,
infatti, non si potrebbero ottenere se i
videogiochi non fossero diventati parte
della vita (per alcuni quotidiana) di molta
gente. La motivazione principale è da
ricercare nella presa di coscienza che i
videogiochi non sono destinati ad uso
esclusivo dei teenager, ma possono
essere fruiti (e ad oggi è proprio così) da
una fascia di età molto più ampia. Un
altro aspetto da tenere in considerazione
è l’alto livello qualitativo raggiunto dai
videogiochi. Sono molte le persone che
optano per una serata passata a giocare
ad un ottimo titolo piuttosto che vedere
un film mediocre.
Molti videogiochi hanno infatto raggiunto
un livello di profondità della narrazione
e della storia, di perfezione grafica e di
coinvolgimento tale, che non hanno
nulla da invidiare ai titoli cinematografici.
Inoltre già da qualche tempo, le software
house, fanno uso di famosi attori per
dare voce ai protagonisti, prorpio per
alzare il livello qualitativo del gioco. A
ciò si aggiunga il fatto che i videogiochi
sono interattivi, quindi non si subisce
passivamente la storia come nei film.
Proprio analizzando la storia dei
videogiochi in relazione alla storia
recente dei film, si possono trarre
interessanti conclusioni. Sin dalla
nascita dei videogiochi, questi hanno
avuto uno stretto legame con i
film. Più precisamente, si creavano
dei videogiochi basati sui film di
successo da poco usciti nei cinema
con la speranza che la popolarità del
film “tirasse” anche la vendita del
videogioco. Si possono ricordare E.T.
(tra i primi), Blade Runner, le dozzine
di giochi basati su Star Wars e Star
Trek, Indiana Jones, molti dei cartoni
Disney, fino ai recenti Il Signore degli
Anelli e Pirati dei Caraibi 4. Soprattutto
negli ultimi anni per ogni blockbuster,
immancabilmente è uscita la sua
controparte in forma di videogioco. Può
capitare, ovviamente, che quest’ultimo
non riscuota il successo del film, anzi,
tra i videogiocatori, i titoli su licenza
godono di scarsa considerazione,
in quanto spesso di bassa qualità.
E’ successo però, che anche i
produttori di Hollywood hanno capito
l’importanza e la forza dei videogiochi.
Molti hanno creato dei videogiochi che
non riprendono il film vero e proprio,
ma piuttosto che ne amplino e ne
completino la storia. Degli spin-off, degli
approfondimenti che hanno personaggi
e situazioni proprie, ancora immersi
nell’atmosfera del film, ma che del film
originale hanno poco o nulla.
Questo passaggio, che può sembrare
solo un artificio commerciale, segna, a
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mio avviso, un importante passo avanti
per il riconoscimento per videogiochi
di un ruolo da comprimario e non solo
come cugino povero di Hollywood.
Per fare questo tipo di videogioco,
non basta più prendere gli attori e
la sceneggiatura del film, e renderli
“giocabili”. Tali prodotti necessitano di
nuovi personaggi, nuove sceneggiature,
nuovi luoghi, oltre ad un collegamento,
più o meno forte, con il film. Prendete
un film come Star Wars. Oltre ai già
citati adattamenti, negli ultimi anni, in
concomitanza con i 3 prequel sono
apparsi dei videogiochi che spaziano
nell’intero universo di George Lucas,
non limitandosi a coprire l’arco spaziotemporale dei film. Un esempio: siamo
nel secondo episodio, Anakin, Obi-wan
e Padmè sono prigionieri nell’arena
del Pianeta Geonosis, quando Yoda
arriva con l’esercito dei cloni e libera gli
ostaggi, mentre infuria la battaglia.
E’ proprio qui che inizia uno dei
videogiochi 5, nel quale si deve prendere
il comando di un gruppo di elite di cloni
che, defilandosi dalla battaglia principale,
deve portare a termine missioni cruciali
per il proseguimento della guerra. Ora,
il fatto saliente, è che nelle numerose
cronologie del film, le azioni compiute
dai soldati nel videogioco, vengono
riportate accanto a quelle degli
attori veri, come se ne fossero parte
integrante. Omissioni di tale rilevanza,
del resto, denoterebbero discontinuità
nella narrazione. Altri film, di portata
inferiore, utilizzano i videogiochi come
veri e propri sequel o prequel. Nei film
Pitch Black e The Chronicles of Riddick,
il protagonista, il misterioso Richard
B. Riddick, è un pericoloso assassino
destinato a salvare l’Universo.
film e dove il giocatore può scorpire
(calandosi nei panni del protagonista)
come Riddick sia scappato da un
carcere di tripla sicurezza, per creare un
credibile antefatto del film.
Alcuni sono arrivati a dire, vista l’alta
qualità del gioco, che questo sia
in effetti addirittura meglio dei film.
Ancora, ne Il Signore degli Anelli si
racconta la guerra dell’Anello nel Sud
della terra di mezzo, anche se come
scritto nel libro, fu combattuta anche al
Nord. Un recente videogioco 6 permette
di combattere in prima questa parte
della guerra dell’Anello, mai realmente
narrata nei libri. Anche Indiana Jones ha
compiuto delle avventure solamente nei
videogiochi, ma queste vengono a tutti
gli effetti contate come “autentiche”.
Si può facilmente intuire che in questo
tipo di giochi, molto più che nelle semplici
trasposizioni, la storia e la qualità di gioco
devono essere di primissimo livello,
proprio per permettere al giocatore una
immersione totale. La collaborazione
film videogiochi, comunque, non è
stata univoca.
Molti videogiochi sono stati trasposti
in film, tra i più famosi Resident Evil e
Tomb Raider.
Tomb Raider
The Chronicles of Riddick
Il videogioco Escape from Butcher
Bay, è un prequel di Pitch Black, in
cui si fanno la conoscenza di alcuni
personaggi effettivamente presenti nei
Complice la perdurante mancanza
di creatività che sembra aleggiare
negli Studios, negli ultimi dieci anni i
videogiochi sono stati una vera fonte di
ispirazione, con risultati, purtroppo non
entusiasmanti.
Se nel 1993 il film su Super Mario aveva
fatto storcere il naso ai fan dell’idraulico
italiano, gli appassionati dei già citati
Tomb Raider e Resident Evil, di Doom
e Alone in the dark 7 non hanno
avuto destino migliore. Ma perché
le trasposizioni (sia da videogioco
che da film) sono spesso inferiori
qualitativamente dell’originale?
Entrambi hanno come obiettivo
l’intrattenimento, ma il modo per
raggiungerlo è molto diverso. Anzitutto
un videogioco ha un tempo di
produzione molto più lungo di un film.
Doom
Per un buon gioco, infatti, ci vogliono
almeno 2 anni di lavoro, mentre per un
film bastano 6-8 mesi. Anche la durata
di un gioco è superiore di molto a quella
di un film: un gioco può durare dalle
venti alle trenta ore, contro le 2-3 di un
film. E’ chiaro che queste differenze
si riflettono in modo determinante sul
contenuto. In venti ore di gioco, si
possono approfondire i personaggi, la
trama, le sfumature della narrazione,
così come i colpi di scena. Alcune cose
devono essere per forza tralasciate
“comprimendo” il gioco in 2 ore di film.
E’ vero anche che dipende dal tipo di
gioco. Super Mario, il più classico dei
platform 8, non lasciava molto spazio
alla storia, ed è chiaro che un film che
si basi su di esso, dovrà inventarne la
maggior parte. Così come Doom, uno
dei primi sparatutto 9, dove lo scopo
è quello di andare in giro... sparando
a tutto ciò che si muove: non c’è
molto materiale su cui fare un film, ma
essendo un cult, hanno pensato che ciò
sarebbe bastato.
Doom
I recenti Tomb Raider e Resident Evil,
con i relativi sequel, hanno riscosso
un discreto successo poichè basati
su giochi di avventura che oltre ad
avere un numeroso seguito, hanno
comunque una solida base narrativa da
cui partire.
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In generale, comunque, è evidente
che per forza di cose, si rimane un
po’ delusi da tale trasformazione. Un
compromesso che non soddisfa né
gli amanti del cinema, né quelli dei
videogiochi. Ridurre un videogioco
in 2 ore significa appiattirne la storia,
eliminando molti elementi che ne hanno
decretato il successo. Anche il processo
inverso, già accennato, è stato infausto.
Film di successo come Blade Runner, Il
Padrino, Scarface, Ghostbusters, Ritorno
al futuro (per citarne alcuni) sono stati
adattati sulla scia del loro successo con
scarsa fortuna. Sono veramete pochi
i casi di successo, come le avventure
grafiche 11 di Indiana Jones. Qui si è di
fronte all’esatto opposto: “spalmare” in
10 o 20 ore un film risulta, il più delle
1
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volte, in un gioco ripetitivo e senza
pathos. Inoltre l’abitudine di attenersi
troppo al film rischia di creare un effetto
deja-vù, facendo perdere interesse
nel videogioco, che invece dovrebbe
essere un prodotto a sé, e non una
semplice copia interattiva del film. I due
generi sono quindi incompatibili?
Non è detto.
L’errore che è stato fatto, a mio avviso,
è quello di aver usato dei videogiochi
senza particolare trama (come gli
sparatutto, come si è detto) o di aver
trasposto videogiochi troppo vecchi
che per forza di cose non avevano la
stessa forza narativa di quelli moderni.
Sono convinto che se si scegliesse
il giusto videogioco adattandolo in
maniera decente, verrebbe fuori un
film godibile. Lo so, è più facile a dirsi
che a farsi, ma la nuova generazione
di videogiochi potrebbe dare una
mano in questo senso. Di fatti, il trend
videoludico recente è quello di creare
videogiochi di difficile inquadratura dal
punto di vista del genere. Ad una trma
complessa ed avvince aggiungono
elementi di avventura, sparatutto,
elementi di giochi di ruolo o puzzle
tipici delle avventure grafiche.Tali
prodotti, che hanno riscosso notevole
successo (come il recente Bioshock),
possono offrire in effetti differenti spunti
per una conversione, sempre che se ne
sfruttino le potenzialità, che potrebbero
finalmente far decollare l’unione tra film
e videogioco. Staremo a vedere (e a
giocare).
Per chi non li conoscesse, erano 2 tra i più famosi videogiochi tra gli anni ’70 e ’80. Oggetto, insieme ad altri cassici, di innumerevoli
restyling e cloni, il loro nome rimane indissolubilmete legato agli arcade.
Molte altre console fecero il loro debutto in quegli anni. Nel 1983, anno della c.d. crisi dei vidogiochi, il mercato era inflazionato da ben
12 console contemporaneamente.
Il valore esprime una quantità fisica. Sono 5,6 milioni di pezzi, cartucce o cd/dvd. Ogni gioco ha, ovviamente, prezzo diverso
4
Anche alcuni libri sono stati trasposti in videogiochi. Proprio Il Signore degli Anelli, prima che uscissero i film, era stato oggetto
di numerosi adattamenti videoludici. Sono stati trasposti in videogiochi anche il personaggio di Sherlock Holmes, i racconti di H.P.
Lovecraft e di Douglas Adams, per citarne alcuni.
5
Per chi fosse interessato, il gioco in questione è Star Wars: Republic Commando
6
7
Battaglia per la Terra Di Mezzo 2
Sono più numerosi di quanto si pensi i film tratti da videogiochi. Per citarne alcuni: Alone in the dark, Doom, Final Fantasy, Gears of
War(annunciato), Hitman, Halo, Silent Hill, Street Fighters
8
Come suggerisce il nome, lo scopo in un platform è di passare da una piattaforma sospesa ad un’altra collezionando vari oggetti.
9
In inglese FPS (First Person Shooter): tradotto con sparatutto in prima persona, o più semplicemente sparatutto
10 Lara Croft è forse l’esempio più fragoroso della commsitione tra finzione videoludica e realtà. La Eidos, che ne detiene i diritti, cura
l’immagine della procace eroina come una vera star, con fatturati milionari.
11 In una avventura grafica, il giocatore si cala nei panni del suo alter-ego per risolvere enigmi, puzzle, indovinelli o misteri, quasi sempre
con una modalità punta-e-clicca, vale a dire con il solo uso del mouse.
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008
Frammenti di un viaggio in Grecia
La taverna di Zorbas
di Renato de Rosa
D
opo avere trascorso un
giorno ed una notte al
mega centro Olympian Village,
tra spiagge, animatori, piscine,
turisti italiani e self service, ti
viene voglia di cenare in un
posto diverso e ciò per due
motivi: per non dissanguare
ulteriormente il tuo portafoglio
ed per respirare l’aria autentica
della autentica Grecia, per vivere
il paese in cui ti trovi, insomma.
Così ti ricordi che lungo la strada
che porta al Centro hai notato la
Taverna di Zorbas, un nome che
è tutto un programma. Convinci
così a fatica moglie e figlio senza
rimuovere i comunque i loro dubbi
profondi, li carichi in macchina
ed arrivi al locale. Sono le venti
e trenta e rimani perplesso: non
c’è nessuno. Il cameriere, un
giovanotto gentile sui trent’anni,
vi corre incontro vi saluta, vi fa
accomodare ad un tavolino sotto
un pergolato e corre ad accendere
un impianto stereo che diffonde
nell’aria tramite una cassa posta
proprio sopra la vostra testa,
le musiche tradizionali greche.
Lo stereo e la solitudine del locale
ti lasciano perplesso e provocano
le occhiate di disapprovazione
della
tua
gentile
consorte.
Ma ormai ci siete e non potete
più tornare indietro anche se, in
un impeto di orgoglio, vi spostate
in un tavolino distante dalla cassa
dello stereo. Il cameriere vi porta il
menù e in un buon inglese illustra
cosa c’è e cosa non c’è. Speravate
in una cena di pesce, ma
l’unica pietanza ittica è costituita
da calamari surgelati per cui
decidete di cambiare programma.
Così optate su piatti tipici
della tradizione
greca, che
scegliete con fatalismo e quasi
casualmente, senza porre troppe
ed imbarazzanti domande sugli
ingredienti e la preparazione.
Infine arrivano le portate la prima
delle quali è costituita dalla
immancabile insalata greca, con
feta, cetrioli, pomodori ed olive. Il
locale nel frattempo si è riempito
di indigeni che in verità sono assai
cordiali ed amichevoli.
Il servizio è lento, un po’ perché
i greci non hanno alcuna fretta
ed un po’ perché il cameriere
adotta una strana procedura: gli
hanno riservato un posto in uno
dei tavolini centrali e, ogni volta
che porta una pietanza o ritorna in
cucina, si ferma e mangia qualcosa.
Ma più che mangiare beve: ogni
volta – all’andata ed al ritorno tracanna un bicchiere di vino e
spesso tutti si alzano in piedi per
un allegro brindisi.
I piatti che vi porta traballando
però sono buoni: un arrosto di
pollo farcito di verdure e formaggi,
pomodori ripieni con paprika e
carne alla griglia.
gastronomiche.
Le
riprenderà
gradualmente,
man mano che avrà
notato
nell’anziano Zorbas i segni
dell’appannamento dei sensi
provocato
presumibilmente
dall’alcool ingurgitato.
Dopo uno squisito yogurt con
miele, un caffè greco ed un
bicchiere di Tempura, chiedi il
conto che il cameriere sorridendo
ti reca:. 31,50 euro, cioè la quinta
parte di quanto avresti speso al
Villaggio Globale, mangiando
peggio e per giunta a fianco di
turisti italiani.
Ciao Zorbas, grazie di esistere:
stai pure tranquillo, diffonderemo
il tuo nome attraverso i misteriosi
canali della rete e così sarai presto
inglobato anche tu nel grande
Villaggio della globalizzazione.
Ad un tratto un evento: come John
Wayne in un film western, entra
in scena lui: Zorbas, il proprietario
del locale. Zorbas è un signore
anziano che indossa una elegante
(per gli standard greci) camicia
bianca e reca in mano un boccale
di birra. Il suo ingresso prima
che visto è annusato, perché
si è versato addosso un intero
flacone di Paco Rabanne e il
profumo oscura persino il sapore
dei cibi che state mangiando.
L’ingresso di Zorbas è trionfale,
passa da tutti i tavoli, compreso
il nostro, e saluta sorridendo, poi
sceglie dove sedersi: il tavolo
di una anziana coppia assieme
ai
quali
tracannerà
senza
indugio numerose altre birre.
All’arrivo di Zorbas il cameriere
diventa efficientissimo e solerte
e sospende le proprie soste eno-
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La cuoca pasticciona
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I rompicapo di Emma la pasticcera
di Lorenzo Pescini
L
e serate a casa da sola sono di una noia mortale per Emma che sprizza di felicità quanto riceve un invito a cena
soprattutto quando può cimentarsi nella preparazione di piatti anche particolarmente elaborati e complessi.
Ma, a dispetto delle sue grandi doti da pasticcera, Emma, come cuoca, è una vera frana. Succede infatti spesso che lasci
in forno l’arrosto, sbagli le quantità da usare o si dimentichi di qualche ingrediente fondamentale.
Nonostante tutto questo però, nella sua cerchia di amici, Emma è sempre benvenuta sia per la sua esplosiva vitalità
che per la profonda e sincera umanità. Quella sera era ospite da Vittorio, un amico di vecchia data, che da sempre ama
festeggiare il suo compleanno con una sorta di cena in piedi “autogestita”: ad ogni invitato è richiesto di portare tutto il
necessario per preparare il piatto preventivamente concordato.
Ad Emma erano state assegnate due diverse portate:
Spaghetti alla Posillipo e Strozzapreti Contadini. Aveva tutti gli ingredienti sul tavolo davanti a lei. Strinse il grembiule e dopo
essersi gustata un sorso di Amarone della Valpolicella si mise gli occhiali e incominciò a leggere il suo personalissimo
ricettario…
SPAGHETTI ALLA POSILLIPO (Dosi x 4 persone)
400 gr. di spaghetti, 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva, uno spicchio d’aglio, 500 gr. di pomodorini, un chilo di frutti
di mare misti, prezzemolo, sale e pepe q.b..
Fate soffriggere in un tegame l’aglio e l’olio, aggiungete i frutti di mare misti (che avrete risciacquato molto bene in acqua
fredda) con un po’ d’acqua ed i pomodorini e coprite. Fate cuocere per circa dieci minuti. A parte lessate gli spaghetti
in abbondante acqua salata, scolateli al dente e versateli sopra al sugo, amalgamare bene il tutto e servire su un piatto
di portata.
STROZZAPRETI CONTADINI (Dosi x 4 persone)
360 gr. di strozzapreti, una salsiccia fresca, 100 gr. di pancetta affumicata, 40 gr. di funghi secchi, . 300 gr di pomodori
passati, 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva, uno spicchio d’aglio, un bicchiere di vino, un chiodo di garofano,
prezzemolo, sale e pepe q.b.
Fate imbiondire in una pentola con l’olio l’aglio schiacciato; aggiungete quindi la salsiccia senza pelle e la pancetta a tagliata
a dadini. Fate rosolare, bagnate con il vino e fatelo evaporare. Aggiungete i funghi secchi ammorbiditi precedentemente
in acqua fredda, insaporite con gli aromi il sale e il pepe. Aggiungete un po’ dell’acqua dei funghi, versate il pomodoro e
fate consumare il tutto per 20 minuti circa. Aggiungete la panna e spolverate con il prezzemolo tritato. Fate cuocere gli
strozzapreti in abbondante acqua salata, scolateli al dente e conditeli con il sugo preparato. Servite a caldo
Emma doveva preparare i due piatti simultaneamente e questo rendeva tutto molto più difficile. Dopo aver “carbonizzato”
l’aglio ed aver esagerato con il pepe (trasformando gli strozzapreti in vere “bombe di fuoco” come ebbe a dire un invitato
di quella sera) Emma volle recuperare un po’ di credibilità. Così ritornò su materie a lei più congeniali proponendo ai
presenti il seguente rompicapo.
“Carissimi, ho qui davanti a me un’oliera da circa mezzo litro e una bottiglia contenenti dell’olio extra vergine d’oliva; due
tazzine vuote di dimensioni diverse: una con capienza pari a 4 cucchiai d’olio (n.d.a. “cucchiaio” nel senso di unità di
misura), l’altra a 5 cucchiai.
Visto le mie esigenze di cottura, ho necessità di avere contemporaneamente 2 cucchiai d’olio in ognuna delle tazzine
così come richiesto nelle rispettive ricette…”
Emma prese il fiato e dopo aver nuovamente sorseggiato il buon vino rosso veronese proseguì:
“Ah, dimenticavo i vincoli del gioco. Si può solo effettuare operazioni di travaso, in numero non superiore a 10, tra i
recipienti presentati senza alcuna perdita d’olio. La bottiglia, avendo l’erogatore, può essere solo svuotata...”.
Il gioco accese un bel dibattito tra i presenti (anche perché Emma disse di avere in mente una soluzione ma che
non escludeva la possibile esistenza di altre…), nel frattempo che l’intera compagnia completava la preparazione della
cena.
La serata fu piacevolissima, anche se nessuno seppe risolvere il problema. Emma, dal canto suo, continuava ad essere
la cuoca pasticciona di sempre rimanendo però la vera cervellona del gruppo.
Domanda:
Se l’oliera è colma, quale sarà la quantità minima che deve essere presente nella bottiglia affinché il problema di Emma
sia risolvibile?
NdA (Se volete provare a realizzare per davvero le due ricette, vi suggerisco di evitare gli errori di Emma apportando
le seguenti modifiche nelle quantità dell’olio richieste: un decilitro per gli spaghetti, quattro cucchiai per gli strozzapreti.
Buon appetito!)
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