I confini della comunità

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I confini della comunità
COLLANA DELLA SOCIETÀ DI STUDI VALDESI
36
Volumi disponibili nella Collana della Società di Studi Valdesi:
17. Una resistenza spirituale. «Conscientia» 1922-1927. A cura di D.
Dalmas e A. Strumia
18. La Bibbia, la coccarda e il tricolore. I valdesi fra due Emancipazioni (1798-1848). A cura di G. P. Romagnani
19. Emanuele Fiume, Scipione Lentolo (1525-1599). «Quotidie laborans evangelii causa»
20. L’annessione sabauda del Marchesato di Saluzzo tra dissidenza
religiosa e ortodossia cattolica (secc. XVI-XVIII). A cura di Marco
Fratini
21. Essere minoranza. Atteggiamenti culturali e sociali delle minoranze religiose tra Medioevo ed età moderna. A cura di Marina
Benedetti e Susanna Peyronel
22. Samuele Montalbano, Ermanno Rostan, cappellano militare valdese (1940-1943)
23. Piero Jahier: uno scrittore protestante? A cura di Davide Dalmas
24. Marina Benedetti, Il “santo bottino”. Circolazione di manoscritti
valdesi nell’Europa del Seicento
25. Libri, biblioteche e cultura nelle valli valdesi in età moderna. A
cura di Marco Fratini
26. I tribunali della fede: continuità e discontinuità dal medioevo
all’Età moderna. A cura di Susanna Peyronel
27. Con o senza le armi. Controversistica religiosa e resistenza
armata nell’età moderna. A cura di Pawel Gajewski e Susanna
Peyronel Rambaldi
28. Héritage(s). Formazione e trasmissione del patrimonio culturale
valdese. A cura di Daniele Jalla
29. Michaela Valente, Contro l’Inquisizione. Il dibattito europeo (secoli XVI-XVIII)
30. Gabriel Audisio, Migranti valdesi. Delfinato, Piemonte, Provenza
/ Migrants vaudois. Dauphiné, Piémont, Provence (1460-1560)
31. Giovanni Calvino e la Riforma in Italia. Influenze e conflitti. A
cura di Susanna Peyronel Rambaldi
32. Antonio Mastantuoni, Bilychnis. Una rivista tra fede e ragione
33. Il Protestantesimo italiano nel Risorgimento. Influenze, miti, identità. A cura di Simone Maghenzani
34. Predicazione, eserciti e violenza nell’Europa delle guerre di religione (1560-1715). A cura di Gianclaudio Civale
35. Dino Carpanetto, Nomadi della fede. Ugonotti, ribelli e profeti tra
Sei e Settecento
COLLANA DELLA SOCIETÀ DI STUDI VALDESI - 36
MARTINO LAURENTI
I CONFINI
DELLA COMUNITÀ
Conflitto europeo e guerra religiosa
nelle comunità valdesi del Seicento
CLAUDIANA - TORINO
www.claudiana.it – [email protected]
Martino Laurenti,
insegnante nella scuola secondaria, ha concluso un dottorato di ricerca
in Studi Storici presso l’Università degli Studi di Torino e un dottorato in
Histoire et Civilisation presso l’EHESS di Parigi. Attualmente collabora
con il Laboratorio di Storia delle Alpi di Mendrisio (Università della Svizzera Italiana) con una ricerca comparativa sulle «Pasque Piemontesi» e il
«Sacro Macello» di Valtellina.
Scheda bibliografica CIP
Laurenti, Martino
I confini della comunità : conflitto europeo e guerra religiosa nelle
comunità valdesi del Seicento / Martino Laurenti
Torino : Claudiana, 2015
464 p. ; 24 cm. - (Società di studi valdesi ; 36)
ISBN 978-88-6898-050-4
1. Valdesi - Sec. 17.
284.4 (ed. 22) - Chiesa albigese, chiesa catara, chiesa valdese
Progetto sostenuto con i fondi otto per mille della Chiesa Valdese
(Unione delle chiese valdesi e metodiste).
©
Società di Studi Valdesi
Per la presente edizione
©
Claudiana srl, 2015
Via San Pio V 15 - 10125 Torino
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Copertina: Vanessa Cucco
Stampa: Stampatre, Torino
In copertina: La pista delle miniere [s.d.]; Archivio di Stato di Torino,
sez. riunite, articolo 664, disegno 14. Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino.
La frontiera alpina
Le comunità di valle
tra guerre europee e conflitto locale
1574-1624
TRA DUE GUERRE DI RELIGIONE
La storia del violento conflitto religioso del 1655 ha radici lontane.
Se è vero che quella vicenda fornì l’occasione per lo scontro finale fra
due modelli di organizzazione politica comunitaria, allora è necessario
capire quali fossero le origini di questo dualismo politico. Per farlo bisogna risalire alla seconda metà del Cinquecento, quando la completa
adesione del valdismo alpino al paradigma riformato introdusse un
modello di autogoverno alternativo a quello fissato dagli statuti che alla
fine del Medioevo avevano istituito il comune rurale. Il contradittorio
dualismo che si venne a creare tra gli antichi organi assembleari delle
comunità e le nuove strutture di autogoverno della chiesa riformata si
inserì all’interno di un quadro politico più ampio, caratterizzato dalle
continue tensioni internazionali che si addensavano sull’area alpina e,
più in generale, sul nord Italia.
Dal 1536 il Piemonte occidentale era diventato parte integrante del
regno di Francia, e tale rimase per ventitré anni, fino alla pace di Cateau-Cambrésis. L’area alpina occidentale visse quindi sotto il dominio
francese la stagione dello slancio evangelico con il quale Calvino e i
suoi seguaci conquistarono alla loro causa intere province del regno di
Francia. La diffusione della Riforma, che avrebbe avuto conseguenze
rilevantissime nella storia politica transalpina, coinvolse anche le zone
comprese tra il Delfinato e il Piemonte, dove già era presente una consolidata tradizione di dissidenza religiosa. I primi pastori riformati
giunsero nelle comunità valdesi attorno al 1555, e vi giunsero da sudditi francesi in terra francese. Quattro anni dopo la diplomazia internazionale modificò la geografia politica di quell’area, ponendo le premesse di un rompicapo politico che si sarebbe sciolto solo un secolo e
mezzo dopo. Il trattato di Cateau-Cambrésis riconsegnava infatti il
Piemonte al duca di Savoia trasformandolo in uno stato cuscinetto tra
Francia e Spagna, e allo stesso tempo individuava nelle piazzeforti di
Pinerolo e Saluzzo le due pedine di una partita politico-diplomatica destinata a durare per tutta la seconda metà del Cinquecento. In questo
contesto, è dunque necessario capire quando e in che modo le questioni
diplomatiche relative al fronte alpino si erano intrecciate con la dialettica politica interna alle comunità di valle. Un buon punto di partenza è
l’analisi della storia politica della val Perosa nel cinquantennio compre20
so fra due guerre di religione: quella che interessò la Francia negli anni
Settanta del Cinquecento, all’indomani del massacro di San Bartolomeo; e quella che interessò tutto il continente europeo negli anni Venti
del Seicento, con la scia di violenze perpetrate dagli eserciti cattolici e
protestanti nella prima fase della guerra dei Trenta Anni.
All’inizio delle guerre di religione in Francia il quadro politico
dell’area alpina era tutt’altro che chiaro. Il trattato di Cateau-Cambrésis
aveva restituito il Piemonte al duca di Savoia lasciandolo però sotto la
pesante tutela di Francia e Spagna, che ne fecero uno stato-cuscinetto
incuneato a ridosso delle Alpi. Allo stesso tempo il trattato di pace non
aveva risolto annose questioni dinastiche – il marchesato di Saluzzo era
sotto tutela francese dal 1548 – né aveva trovato soluzioni per quei presidi, come Perosa e Pinerolo, nei quali la Francia manteneva le sue
guarnigioni. A questo quadro va aggiunta l’instabilità politica di tutta
la regione, messa a soqquadro dalle guerre di religione che in area alpina videro protagonista il comandate ugonotto François de Bonne, signore di Lesdiguières, che dopo essersi impadronito di tutte le piazzeforti del Delfinato volse le sue mire sul marchesato di Saluzzo e su Pinerolo, teste di ponte per una conquista del Piemonte occidentale, dove
all’epoca della dominazione francese il partito riformato aveva fatto
proseliti.
In questo contesto il confine alpino diventò l’oggetto di aspre contese militari tra monarchia francese e ducato sabaudo. Le valli di Luserna, Perosa e San Martino erano piazzeforti inserite nella rete di presidi
al confine tra Francia e Piemonte, e fino all’accordo diplomatico del
1574, siglato da Emanuele Filiberto di Savoia ed Enrico III Valois, il re
di Francia mantenne sue guarnigioni nei forti della val Perosa e di Pinerolo e per il tramite dei suoi luogotenenti nelle terre «de là les Monts»,
esercitò la sua giurisdizione su questo piccolo ma strategico corridoio
tra il Delfinato e la pianura padana. Tuttavia il problema non era solo di
ordine politico-militare. Chiunque avesse avuto il dominio di queste
terre doveva assicurarsi in primo luogo la fedeltà della popolazione che
lo abitava. Questo voleva dire fare i conti con la presenza di una radicata minoranza valdese che aveva appena gettato alle ortiche il nicodemismo di un tempo per trasformare le comunità di valle in una piccola
Ginevra, e che si trovò a dover difendere con le armi in pugno il primo
nucleo delle future «chiese riformate» del Piemonte, proprio nel momento in cui la Francia si avviava nel baratro delle guerre civili. Tutto
ciò obbligava governi, funzionari e militari a spendere le loro energie
non solo per controllare passi e frontiere, ma anche per controllare i
movimenti e le decisioni politiche dei valligiani. L’alternativa che si
21
poneva era grosso modo la seguente: lasciare ampi margini di autonomia politica e religiosa, rinunciando però ad un controllo diretto di
queste terre di confine; oppure perseguire un obiettivo di integrazione
politica e religiosa al prezzo però di un aspro conflitto con le comunità
locali.
Mossi dalla necessità impellente di contenere il protagonismo di Lesdiguières e delle sue truppe ugonotte e allo stesso tempo stimolati dalla curia pontificia a presentarsi come campioni del cattolicesimo tridentino, nella seconda metà del Cinquecento i duchi di Savoia privilegiarono una politica di controllo poliziesco delle comunità di valle. Il risultato fu uno sciame di conflitti che percorse le comunità per oltre
quaranta anni. L’episodio che segna emblematicamente l’inizio di questi conflitti è la spedizione militare organizzata dal duca Emanuele Filiberto nel 1560-61 per cacciare dalle valli i «ministri forestieri», vale a
dire i pastori calvinisti francesi, che da cinque anni Ginevra aveva spedito in queste valli per convertirle alla Riforma. Il governo ducale li
considerava molto pericolosi: istigavano i rustici montanari alla rivolta,
organizzavano milizie armate legate al partito riformato d’Oltralpe e
agivano come spie di potenze straniere infiltrate alle porte del Piemonte. Il conte Giorgio Costa della Trinità fu incaricato di cacciarli fuori
dai confini degli Stati ducali, ma le comunità di valle reagirono opponendo una dura resistenza. L’inaspettata capacità militare della guerriglia valdese e l’alleanza che i ribelli piemontesi avevano stretto con i
correligionari delfinenghi impegnarono duramente le truppe ducali e
costrinsero il duca a capitolare e concedere ai valdesi le patenti di grazia, siglate a Cavour il 5 giugno 1561, che assicuravano una limitata
libertà di culto nelle terre delle tre valli1.
A partire da questo episodio, presto diventato il cardine delle narrazioni apologetiche uscite dalla penna dei polemisti di parte riformata,
per tutta la seconda metà del Cinquecento le comunità valdesi furono
impegnate in una continua lotta con governatori sabaudi e luogotenenti
francesi, che culminò in una crisi politico-diplomatica nel corso degli
1
Sulla vicenda della guerra del 1560-61 si vedano, oltre alle fonti narrative contemporanee (ad esempio, S. LENTOLO, Histoire memorable, de la guerre faite par le
Duc de Savoye contre ses subjectz des Vallées, Lyon, Honorat Sébastien, 1561), A.
PASCAL, Fonti e documenti per la storia della campagna militare contro i Valdesi
negli anni 1560-61, in BSSV, 110, 1961, pp. 51-125; nonché il più aggiornato lavoro
di S. PEYRONEL RAMBALDI, «Morire piuttosto che obbedire ad un principe così perfido». Resistenza armata e valdesi nel Cinquecento, in Con o senza le armi. Controversistica religiosa e resistenza armata nell’età moderna. Atti del XLVII Convegno di
studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia (Torre Pellice, 8-9 settembre
2007), a cura di S. Peyronel Rambaldi e P. Gajewski, in BSSV, 202, 2008, pp. 31-65.
22
anni Settanta, dopo il massacro di San Bartolomeo, quando l’area di
Pinerolo e di Saluzzo fu oggetto di una aspra contesa che coinvolse
comandanti francesi, milizie riformate e autorità centrali. La crisi trovò
una soluzione parziale nell’accordo del 1574, che restituiva Pinerolo e
la val Perosa ai Savoia ma lasciava aperta la questione di Saluzzo, destinata a trascinarsi per altri dieci anni e a scatenare nel 1588 una lunga
guerra tra ducato sabaudo e regno di Francia. Per tutta la seconda metà
del Cinquecento le comunità valdesi furono perciò protagoniste di episodi di conflitto che seguono le dinamiche e le fasi delle guerre civili
francesi.
Nel 1601 la pace di Lione decise la partita per il marchesato di Saluzzo e mise la parola fine alle dispute di confine tra Francia e Piemonte. Il ducato sabaudo usciva rafforzato nei suoi confini e la monarchia
francese riprendeva il controllo delle province più periferiche, anche
grazie alla politica di conciliazione promossa da Enrico IV. Il nuovo
corso politico si manifestò specularmente a livello locale. Nel 1603
messer Giovanni Giacomo Bontempo, fabbro della val Perosa e console cattolico, firmava congiuntamente con i consoli valdesi una supplica
al duca di Savoia affinché «per la quiete publica delle Valli» il duca revocasse il bando emesso contro chi in passato aveva preso le armi: una
grazia che nell’ottica dei supplicanti doveva mettere una pietra tombale
sopra ai conflitti religiosi nei quali si erano trovati coinvolti2. Nelle
comunità le preoccupazioni della guerra cedettero il passo all’ordinaria
amministrazione contabile e finanziaria dei comuni rurali. La supplica
auspicava l’emanazione di un atto che mettesse ufficialmente fine alle
lotte intestine dei decenni precedenti e ponesse il sigillo ducale
sull’accordo raggiunto tra cattolici e valdesi per il governo delle comunità3.
2
Racolta degli editti, memoriale delle valli Luserna, Perosa e S. Martino del 29
settembre 1603, pp. 29-31.
3
Questo accordo tra cattolici e riformati non era una realtà isolata. Altrove le
comunità locali contese tra due gruppi confessionali avevano raggiunto simili accordi
che talvolta presero la forma di veri e propri patti scritti. Nel 1580 le comunità della
val Maira – nel marchesato di Saluzzo – avevano siglato un atto notarile nel quale
cattolici e riformati si impegnavano a convivere pacificamente, a rispettarsi reciprocamente, e a sostenere in comune la libertà di culto: cfr. A. PASCAL, Il Marchesato di
Saluzzo e la Riforma protestante durante il periodo della dominazione francese,
1548-1588, Firenze, Sansoni, 1960, pp. 518-520. Sulla pratica delle paci religiose,
cfr. anche O. CHRISTIN, La paix de religion. L’autonomisation de la raison politique
au XVIe siècle, Paris, Seuil, 1997.
23
Nelle comunità, la principale conseguenza di questo clima fu di rendere marginale il ruolo pubblico esercitato dai ministri del culto e ridare centralità politica ai consigli di valle, che si riaffermavano come spazi di mediazione politica fra le due metà dei villaggi. Nei primi decenni
del Seicento i consoli delle valli, cattolici e valdesi, firmavano insieme
petizioni per chiedere la revoca di editti contro le chiese riformate,
l’amnistia per i matrimoni interreligiosi, o più semplicemente per ottenere esenzioni fiscali. All’interno dei consigli di valle l’élite locale collaborava nella gestione delle finanze e nella ricerca di soluzioni al processo di indebitamento che – come vedremo – interessò tutte le comunità di valle. Se messi in confronto ai verbali cinquecenteschi, gli ordinati dei consigli comunali del primo Seicento sembrano talmente concilianti da apparire perfino un po’ anomali: nessuna traccia di tensioni,
nessuna polemica, nessuna voce fuori dal coro. All’apparenza, la quiete
pubblica e la concordia politica regnavano sovrane sulle tre valli.
I primi sintomi del disaccordo si manifestarono all’inizio degli anni
Venti, in corrispondenza dello scoppio della guerra dei Trenta Anni: un
nuovo conflitto politico-religioso, dunque. Nelle comunità i consoli
cattolici cessarono di fare da sponda alle politiche finanziarie della
componente valdese, che cercò nuovamente di riallacciare i contatti con
le altre valli e con il corpo pastorale riunito nei sinodi. Nei verbali dei
consigli di valle fanno capolino tensioni che aggravano i rapporti interni alle comunità. Di fronte alla crisi finanziaria e all’aumento vertiginoso del debito pubblico, molti consoli si rinfacciavano le responsabilità e
minacciavano di gettare la spugna. Anche l’uso degli spazi pubblici
all’interno delle comunità – piazze, strade, contrade – diventò un pretesto per la polemica. L’uso promiscuo dei cimiteri o degli spazi di culto
veniva contestato esplicitamente non solo dalle autorità ducali, ma anche da una parte delle élite di valle. Il risultato di queste tensioni fu la
segmentazione del notabilato locale e la perdita di centralità dei consigli di valle, a tutto vantaggio dei pastori che tornarono ad esercitare la
loro influenza politica sulle scelte dei valligiani.
L’episodio che fece esplodere le tensioni che da tempo covavano
nelle comunità fu una spedizione militare decisa dal duca Carlo Emanuele I nel 1624 per imporre la demolizione di alcuni templi riformati
costruiti fuori dai «limiti di tolleranza» stabiliti nel 1561. Il breve conflitto che ne seguì, irrilevante sul piano strettamente militare, ebbe effetti dirompenti sul piano politico interno. Di lì a poco il Piemonte sabaudo avrebbe fatto il suo ingresso ufficiale all’interno della guerra dei
Trenta Anni schierandosi a fianco della Spagna e del fronte cattolico,
un fatto che nelle comunità valdesi contribuì a chiudere gli ultimi spiragli di collaborazione tra i gruppi religiosi che condividevano il go24
verno locale. Il sospetto si era insinuato per le vie dei villaggi. I notabili valdesi tornavano a organizzare milizie armate con la benedizione dei
pastori del culto, al duplice scopo di difendersi dagli agguati dei missionari cattolici ed eseguire perquisizioni improvvise nelle case dei
principali capi cattolici, accusati di alloggiare di nascosto truppe ducali
pronte ad occupare le valli. Dal canto loro i cattolici, supportati dai
missionari residenti in valle, tendevano trappole giudiziarie ai valdesi
accusandoli nei tribunali di aver superato in vario modo i «limiti di tolleranza». Nel giugno del 1624 il giudice locale (cattolico) scriveva una
lettera nella quale affermava in tono allarmato che «questa gente doppo
questa motione d’armi s’è fatta tanto altiera che non si può più viver
con luoro»4.
Le premesse del violento conflitto religioso che scoppiò nella primavera del 1655 vanno cercate in questo cinquantennio che alternò fasi
di duro scontro, dentro e fuori alle comunità, a fasi di stabilità e di pacifica convivenza tra gruppi religiosi. In questo lasso di tempo il problema del dualismo politico interno ai comuni rurali si intrecciò sempre
più fittamente al problema della definizione del confine alpino, in un
abbraccio fatale destinato ad avere pesanti ripercussioni sulla storia di
queste comunità. Nei prossimi capitoli analizzeremo questo intreccio,
non prima però di definire il profilo sociale e politico dei protagonisti
di questa storia: gli abitanti delle valli di Luserna, Perosa e San Martino.
4
AST, sez. corte, Provincia di Pinerolo, mazzo 15, articolo 8, Lettere diverse riguardanti li religionari delle Valli di Luserna, corsivo mio.
25
UNA FRONTIERA INVISIBILE
Il capitano e il pastore
Il capitano Sebastiano Grazioli di Castrocaro non era un uomo di
lettere. Veterano delle guerre di Piemonte, si trovava più a suo agio con
barbacani, false braghe, e terrapieni. Ciò nonostante gli capitò di dover
lavorare molto più con la penna che con la spada. Quasi ogni giorno
spediva dispacci a Torino per informare il duca circa il delicato incarico
che nel 1565 gli era stato conferito: governare a suo nome le «valli di
Luserna», un ginepraio di montagne e valloni pieni di eretici che solo
cinque anni prima si erano ribellati al loro «legittimo principe» costringendolo a capitolare. Uno di questi dispacci fu depositato negli archivi
ducali, vi rimase per secoli, e lì si trova ancora oggi. Una «rellatione
delle vallate» senza data e firma descrive la situazione geografica delle
tre valli di Luserna, Perosa e S. Martino e propone alcuni accorgimenti
tecnici affinché «Vostra Altezza acquist[i] tutte queste anime a dio, et i
corpi al suo servitio (…) et alla sua obedientia». Il territorio montano è
descritto come un anfiteatro fertile, pianeggiante e circondato da monti
tra le cui pieghe si nascondono boschi e altipiani da pascolo:
La valle della Perosia (…) è largha, piana, commoda, et fruttifera al
possibile di formazi, feni, biave, vino, et carne, per che ha certi monti
intorno, non molto alti né asperi, et di sopra di essi si comprende che gli
debbe esser belle pianure e pascoli, et dicono che gl’è bellissime cacce5.
Il tono della relazione cambia radicalmente quando il governatore
analizza le problematiche del controllo militare del territorio. Le tre
valli sono collegate tra loro da valichi, altipiani e valloni interni ed è
proprio su questo punto che si concentra l’occhio del professionista di
cose militari. Contrariamente al fondovalle (luogo sostanzialmente ad5
AST, sez. corte, Provincia di Pinerolo, mazzo 1, Rellatione delle vallate. Il documento è anonimo e senza data, ma i riferimenti presenti in questa relazione e la
grafia con cui è stata redatta, identica a quella del segretario del governatore Sebastiano Grazioli di Castrocaro, fanno ritenere che il documento sia stato redatto su dettatura del governatore attorno alla metà degli anni Sessanta del Cinquecento.
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domesticato e di facile controllo), valloni e altipiani dell’interno sono
un territorio insidioso: sono «la pestilenza (…) di questo paese», luoghi
nei quali il governatore non ha nemmeno voluto metter piede «per no
metter malitia a quel paese», zone che vanno fortificate per assicurarsi
non solo il controllo della frontiera con il Delfinato, ma soprattutto
l’obbedienza della popolazione locale.
Il capitano Sebastiano Grazioli, che la gente del posto chiamava
semplicemente «il Castrocaro», era toscano di nascita e conosceva poco
le Alpi. La sua unica esperienza di guerra in montagna era stata un fallimento totale: aveva partecipato alla spedizione contro i valdesi, nel
1560-61, ma era stato fatto prigioniero dalle milizie valligiane. Forse
anche per questo motivo la sua descrizione delle valli insiste sulla distinzione tra fondovalle e alture, che nella logica di un militare come
lui si configura come una distinzione tra l’ordine e il disordine, la sicurezza e l’insidia. Al fondovalle fertile, coltivato e «fruttifero al possibile» di prodotti agricoli si contrappone il disordine dei versanti montani,
abitati dai «delinquenti» ribelli al principe, territorio che dunque va
riorganizzato allo scopo di ridurre le anime a Dio e gli uomini
all’obbedienza del duca.
Il pastore Pierre Gilles, figlio del venerando barba Gilles de Gilles,
non era un uomo d’armi. Si trovava più a suo agio con sermoni, pulpiti
e sacre scritture. Ciò nonostante si trovò a vivere in un tempo dominato
dalla guerra religiosa alla quale egli diede il suo contributo propagandistico pubblicando, durante la tempesta della guerra dei Trent’anni, una
Histoire ecclésiastique des Eglises Reformées recueillies en quelques
vallées de Piedmont et circonvoisines, autrefois appelées Eglises Vaudoises. Anche in questa cronaca emerge la distinzione tra alta e bassa
valle, una distinzione che insiste sul radicamento territoriale dei valdesi
e sulle loro attività agropastorali. Pierre Gilles racconta l’arrivo dei
primi valdesi nelle valli, durante il medioevo, postulando una sorta di
«patto» tra i nuovi arrivati e gli autoctoni.
Ces Vallées n’estoyent pas peuplées par tout avant l’arrivée des fidèles Lyonnais [inteso come «poveri di Lione»]. Car n’y ayant pas si
grand peuple, les originaires habitans n’en cultivoyent guères que les
lieux de plus doux air, et de plus facile et utile labourage. Tellement
que ceux-là obtindrent facilement de ceux qui en avoyent le droit et
moyennant les deues conventions, des terres assez pour leur habitation,
labourage, et nourriture, és lieux en peu plus eslevés en toutes les
vallées, et y bastirent en tous les quartiers plusieurs bourgades és
meilleures et plus asseurés, esquelles ils accomodèrent des maisons
28
pour leurs Pasteurs, et lieux pour y recevoir et instruire ceux qui leur
estoyent commis6.
I pochi abitanti originari, tutti cattolici romani, si erano sempre limitati a sfruttare i fondovalle più fertili e dal clima meno rigido lasciando
pressoché intatte le aree più elevate. Sicché al loro arrivo i «Poveri» si
sarebbero accontentati di occupare quegli spazi vergini colonizzandoli
secondo «les deues conventions». Alla legittimazione «storica» della
presenza valdese nelle valli il pastore Gilles aggiunge una legittimazione giuridica rappresentata dalle «convenzioni» che i coloni valdesi avrebbero siglato con gli abitanti originari al momento del loro arrivo
nelle valli. In questo modo Gilles non si limita a fissare un nesso tra
valdismo e uso delle risorse montane, ma lo storicizza allo scopo di legittimare la rivendicazione dei riformati ad abitare liberamente quelle
terre, nonostante i limiti imposti dalle autorità cattoliche.
Le testimonianze del capitano e del pastore ci dicono due cose. In
primo luogo che i contemporanei sottolineavano la distinzione geografica tra il fondovalle e le zone più interne; in secondo luogo che questa
distinzione era associata a un preciso criterio di insediamento da parte
dei due gruppi religiosi residenti nel territorio. La compresenza di cattolici e valdesi, che nel tempo si erano spartiti il territorio e le sue risorse, aveva tracciato una frontiera invisibile che attraversava ciascuna
comunità separandola tra bassa valle e versanti. Come vedremo, si trattava di una frontiera estremamente permeabile che tuttavia stabiliva una
precisa differenziazione nelle pratiche d’uso della montagna7.
6
Histoire ecclésiastique, tomo I, capitolo I, p. 15.
La frontiera sociale che separava la popolazione delle valli secondo il codice
dell’appartenenza religiosa era per certi versi assimilabile a quella che divideva i villaggi di Tret e St. Felix studiati da J. Cole e E. Wolf. In entrambi i casi infatti abbiamo a che fare con diversi modelli di sfruttamento delle risorse alpine. Tuttavia la
frontiera tra cattolici e valdesi era meno netta di quella che separava due «etnicità»,
come quelle trentina e sudtirolese, studiate dai due antropologi. Nel nostro caso infatti l’appartenenza religiosa diventava un fattore di differenziazione solo in corrispondenza di alcune precise fasi politiche, come vedremo più diffusamente nei prossimi
capitoli. Cfr. J. COLE, E. WOLF, La frontiera nascosta. Ecologia e etnicità fra Trentino e Sudtirolo, Roma, Carocci, 2000. Sul problema della porosità delle frontiere tra
gruppi sociali è ancora fondamentale Ethnics groups and boundaries: the social organization of culture difference, a cura di F. Barth, London, Allen & Unwin, 1969.
7
29
I sentieri dei pastori
Nella Carta delle tre Valli di Piemonte disegnata dal pastore Valerio
Gros nel 1640 (cfr. figura 1) manca del tutto la segnalazione di strade
carrozzabili nel fondovalle, ma sono segnalati con dovizia di particolari
gli alpeggi sparsi nel territorio e tutti i colli che permettevano di passare alle valli del Queyras, sul versante francese delle Alpi Cozie. Cinquanta anni dopo il geografo ufficiale di Luigi XIV, Jean Baptiste Nolin, presentava una sua Description des vallées de Piedmont
qu’habitent les vaudois ou Barbets (cfr. figura 2) nella quale tornavano
le indicazioni dei principali alpeggi delle valli e dei colli transalpini,
ma con una maggiore finezza descrittiva che tracciava una linea di confine tra le diverse vallate8. Pur focalizzando solo il versante piemontese
delle Alpi, l’elemento ricorrente in queste rappresentazioni cartografiche è dunque dato dalla presenza di pascoli e colli che costituiscono
snodi di una rete viaria d’altura in grado di mettere in comunicazione le
valli, indipendentemente dai confini territoriali tra Stati.
Le fonti scritte ci aiutano a fare chiarezza sull’uso di queste risorse
da parte della popolazione locale. I consegnamenti feudali sono a questo proposito illuminanti. Tra il 1478 e il 1535 i comuni della val Luserna ottennero dal consortile feudale la cessione in libero allodio di
terre, mulini, pascoli, boschi, e in una parola le risorse locali che le tre
potenti famiglie dei conti di Luserna detenevano in feudo almeno
dall’XI secolo. Il trasferimento dei diritti feudali dalle mani dei signori
a quelle dei consigli comunali era stato ottenuto al termine di lunghe e
difficili trattative – non prive di risvolti conflittuali nei rapporti fra feudatari e contadini – nel corso delle quali fu soprattutto l’uso dei pascoli
d’altura a impegnare i valligiani in cavillosi negoziati con i signori9.
8
Le due carte erano state fatte con finalità diverse: la prima, serviva da commento visivo alla narrazione del pastore Jean Léger,che la allegò alla sua Histoire générale nel 1669. La seconda invece era stata dedicata al maresciallo Nicolas Catinat,
che quelle valli le aveva ridotte al suo controllo con la forza. Così nella prima i valloni che si aprono ai lati dei principali torrenti prendono la forma di luoghi tortuosi e
protetti dalle alte e fitte catene montuose che li circondano, mentre nella seconda la
prospettiva dall’alto e la presenza di piccole collinette sparse qua e là danno
l’impressione di un luogo di facile accesso. Sull’uso politico di questa cartografia si
veda l’articolo di M. FRATINI, Una frontiera confessionale. La territorializzazione dei
valdesi del Piemonte nella cartografia del Seicento, in Confini e frontiere nell’età
moderna. Un confronto tra discipline, a cura di A. Pastore, Milano, Franco Angeli,
2007, pp. 127-144.
9
In proposito rimando al mio Difendere i pascoli, difendere le comunità. Comunalizzazione dei pascoli alpini e rivolta armata nelle comunità valdesi tra Quattro e
30
Nel 1533, ad esempio, le comunità di Bobbio e Villar siglano un accordo con i rappresentanti delle cinque famiglie del consortile feudale,
che sancisce la cessione in allodio degli undici alpeggi situati nel territorio dei due comuni. L’accordo definisce minuziosamente le regole di
accesso al pascolo: i gentiluomini potranno condurre una quota limitata
di bestie (fino a 12 vacche oppure 90 pecore) per un periodo limitato di
tempo (tra la festa di S. Barnaba e quella di S. Giuliano) e dovranno
pagare tutti i carichi fiscali stabiliti a inizio maggio dall’assemblea di
villaggio e «accensati» a un esattore. Inoltre le bestie di loro proprietà
non potranno «uscir dalla fruitaria [dei formaggi] de qual si vogli di
detti Alpi», che sarà quindi gestita collettivamente dai pastori, ai quali
la comunità avrà affidato il bestiame10. L’accordo è ribadito quaranta
anni dopo in un patto concernente l’uso dell’Alpe del Piccolo Giulian
stipulato tra la comunità di Bobbio e i signori Manfredi, conti della val
Luserna, ai quali è permesso condurre animali al pascolo purché «le bestie delli predetti signori (…) stiano nelle fini di detto Alpe et deppasceranno secondo li usi et regule dell’Alpe, et come le altre bestie delli
altri»11.
La centralità degli alpeggi nelle economie locali emerge anche dai
consegnamenti redatti nella vicina val San Martino, dove l’aristocrazia
locale riesce a mantenere il dominio eminente dei pascoli in cambio
della cessione in enfiteusi a consorzi composti perlopiù da singole parentele, che si trasmettono di generazione in generazione il diritto esclusivo di uso degli alpeggi. Per esempio i Truchietto, signori del vallone di Riclaretto, vantano diritti su tutti gli alpeggi del luogo (le alpi
della Patta, del Lausun, della Cialancia e della Guglia) ma nei conse-
Cinquecento, in «Histoire des Alpes – Storia delle Alpi – Geshichte der Alpen», 19,
2014, pp. 57-74
10
La transazione del 18 luglio 1533 viene presentata dai sindaci delle due comunità nel corso di un consegnamento fatto nelle mani del commissario ducale Giorgio
Laurenti nel gennaio 1568. Cfr. AST, sez. riunite, Camera dei Conti, Articolo 737 –
Consegnamenti feudali, Registro 146 (1564 in 1572), ff 178r-v fino a 197r-v, Consignamento delle communitadi del Villaro et Bobio valle di Luserna, 22 gennaio 1568.
11
Si tratta di una transazione fatta il 7 aprile 1578 tra la comunità di Bobbio e i
signori Carlo Francesco e Emanuele Filiberto Manfredi, conti della val Luserna e
consignori del luogo. La transazione viene presentata dai sindaci della comunità nel
corso di un consegnamento fatto nel 1586. Cfr. AST, sez. riunite, Camera dei Conti,
Articolo 737 – Consegnamenti feudali, Registro 148 (1564 in 1592), ff 317r-v fino a
335r, Consignamento delle communità del Villar et Bobbio della Valle di Luserna, 20
novembre 1586. L’accordo stabilisce, inoltre, che la comunità possa trattenere ai signori – come a tutti gli altri proprietari di bestiame – una quota di formaggi prodotti
nei primi mesi di pascolo per rimborso delle spese sostenute nella manutenzione di
stalle e edifici presenti nell’alpeggio.
31
gnamenti dichiarano di ricevere alcuni fitti minuti in denaro e formaggi
dai privati che, consorziati ad altri parenti, tengono in enfiteusi alcune
quote dell’alpeggio. La formula con la quale il notaio registra il consegnamento definisce chiaramente questo sistema: nel 1567, ad esempio,
Pietro Clot «et li altri consorti dell’Alpe del Losone» pagano al signor
Bonifacio Truchietto 7 fiorini e mezzo e una certa quota di formaggi
per l’usufrutto dell’alpeggio; esattamente come Pietro Peyronel «et li
consorti dell’Alpe della Guglia»12. Ancor più illuminante è il caso del
feudo di Rodoretto, dove i consegnamenti mostrano la straordinaria
continuità con cui per due secoli i vari membri di un unico lignaggio,
quello dei Balma, tengono in enfiteusi dal signore del luogo quote
spesso infinitesimali dell’Alpe della Balma (nomen omen…) pagando
per questo un fitto in denaro e formaggi13.
Il pascolo costituiva dunque una risorsa centrale nelle economie di
queste società di montagna. Tutte le fonti – sia i consegnamenti cinquecenteschi sia le carte notarili seicentesche – ci mostrano che lo
sfruttamento di questa risorsa era una prerogativa delle famiglie valdesi
12
AST, sez. riunite, Camera dei Conti, Articolo 737 – Consegnamenti feudali,
Registro 146 (1564 in 1572), ff 133v fino a 149v, Consignamento del molto Magnifico signor Bonifacio Truchietto delli signori della valle di san Martino, 15 maggio
1567. La presenza di questi «consorzi» parentali è confermata nei consegnamenti
precedenti e successivi: li ritroviamo nel consegnamento del 1506 (Ivi, registro 65
(1501 in 1506), f 216r-v, Espectabilium Thome et fratrum ac consortium suorum de
Truchietes condominorum vallis sancti Martini recognitio, 27 luglio 1506), e in quello del 1623 (Ivi, registro 217 (1619 in 1628), ff 223r-v – 245r, Consignamento del
Molto Illustre signor Gio Michele Truchietto de signori della Valle San Martino, 20
gennaio 1623).
13
Ivi, Registro 146 (1564 in 1572), ff 219v – 227r, Consignamento delli Magnifici
signori Gabriele et Pietro de Signori della valle di San Martino, 12 ottobre 1568. Da
questo consegnamento risulta che Bartolomeo Balma, Giordano Balma, Riccardo
Balma e un altro Bartolomeo Balma pagano annualmente un fitto in denaro e formaggi per l’uso «di soa parte dell’Alpe della Balma indivisa con li altri consorti». La
presenza di questi fitti sull’uso di porzioni dell’alpe della Balma da parte dei membri
dell’omonima parentela è confermata nel consegnamento del 1578 (cfr. Ivi, Registro
148 (1564 in 1592), ff 229v – 238r-v, Consignamento del molto Magnifico signor
Giacomino de signori della Valle di San Martino, 21 novembre 1578); nel consegnamento del 1601 (cfr. Ivi, Registro 181 (1584 in 1608), ff 315r-v – 327r-v, Consignamento del Illustre signor Georgio delli signori di San Martino, 19 novembre
1601); e ancora nel consegnamento del 1663 (cfr. Ivi, Registro 246 (1647 in 1669), ff
328v – 357r-v, Consignamento dell’Illustrissimo signor Conte Gio Battista Ressano
di Pinerolo de signori Conti della valle di San Martino, 24 dicembre 1663). Sui pascoli della val San Martino, e in particolare su quelli del territorio comunale di Massello, si veda E. PASCAL, Gli alpeggi di Massello. Note in margine ad una mostra, in
«La beidana», 30, 1997, pp. 20-32.
32
delle valli, in maggioranza dedite ad un’economia agropastorale di autoconsumo. C’era dunque un legame molto stretto fra l’uso degli alpeggi e l’appartenenza ad uno dei due gruppi confessionali presenti nelle valli, come peraltro aveva sostenuto il pastore Pierre Gilles ipotizzando a posteriori l’esistenza di patti che garantirono ai primi «poveri
di Lione» l’uso esclusivo delle alture. Questo legame emerge prepotentemente anche dalle opere di propaganda elaborate tra Cinque e Seicento da missionari cattolici e pastori riformati.
Una relazione scritta da un missionario cappuccino che all’inizio del
Seicento soggiornò nelle valli racconta di un incontro poco piacevole
con alcuni pastori durante una sua escursione tra i monti: «nel passar
un colle certi pastori heretici ne incitarono doi grossi cani alla vita (…)
e nel passar un’horrida comba altri heretici si missero a cridar verso di
noi»14. Il pastore riformato Gerolamo Miolo scriveva nel 1587 che le
valli erano circondate da «belle montagne et Alpagii grassi et herbosi»
e che d’estate gli antichi barba valdesi erano soliti predicare «nelle
montagne dove la gente si ritirava con loro bestiame per la maggior
parte»15. D’altro canto a inizio Cinquecento barba Morel aveva esplicitamente detto che «tutti i nostri [barba] provengono quasi sempre dalla
pastorizia o dall’agricoltura»16. La stretta connessione tra l’economia
agropastorale e il mondo valdese emerge anche dalle pagine di Jean
Léger, che nel 1669 pubblicava una Histoire générale des églises évangéliques des Vallées de Piémont ou vaudoises. L’opera si apriva con un
intero capitolo dedicato alla fauna selvatica, alle qualità delle erbe medicinali, ai boschi secolari disseminati «dans les hautes Montagnes et
parmi les rochers inaccessibles», e all’uso degli alpeggi che fornivano
ai valligiani «quelque pasturage du moins pour les brebis, que l’on y
entretient 6 ou 8 semaines en Esté»17.
Nelle cronache dei missionari la montagna è una terra incognita abitata da una popolazione ostile (le «orride combe» abitate da minacciosi
14
Cfr. la Relazione storica dello stato delle Valli di Perosa e S. Martino circa la
religione e dominio spirituale e templi e misfatti dei Protestanti in queste Valli del
padre Agostino di Castellamonte, pubblicata in J. JALLA, La Riforma in Piemonte negli anni 1620-1623, in BSHV, 60, 1933, pp. 5-61.
15
G. MIOLO, Historia breve e vera de gl’affari de i Valdesi delle Valli, manoscritto del 1587 pubblicato a cura di E. Balmas, Torino, Claudiana, 1971, cit. da pp.
101, 106.
16
Così si esprimeva Morel nelle peticions che nel 1530 aveva rivolto ai riformatori Martin Butzer e Johannes Oecolampadius per spiegare loro la dottrina e la disciplina dei barba. Cfr. G. TOURN, Il Barba. Una figura valdese del Quattrocento, Torino, Claudiana, 2001, cit. da p. 10.
17
Histoire générale, libro I, capitolo I, cit. p. 6.
33
montanari), mentre in quelle di parte riformata le alture sono il rifugio
che nel corso del tempo aveva preservato i valdesi dalle persecuzioni di
inquisitori, missionari e soldati ducali. Léger, ad esempio, sottolineava
come fin dalla fine del XV secolo alcuni alpeggi delle valli erano stati
usati dai valdesi come «le fort d’où toute la ruse et la rage de si grand
et puissans ennemis ne les put jamais débusquer»18. La connessione tra
economia agropastorale e popolazione valdese si arricchisce così di un
terzo elemento, e cioè l’uso del territorio montano come rifugio naturale dagli attacchi che provenivano dal mondo esterno alle valli.
Fucine e miniere. Nel mondo dei fabbri ferrai
Il pascolo non era l’unica risorsa disponibile in quell’ambiente alpino. L’industria mineraria e la metallurgia erano le altre due importanti
attività economiche delle comunità di valle. Una mappa senza titolo e
data, ma verosimilmente dell’ultimo quarto del XVI secolo, descrive la
pista che dalla città di Pinerolo portava alle miniere dell’alta val San
Martino (cfr. figura 3). L’attenzione del cartografo è posta quasi esclusivamente al fondovalle dove corre una strada ben segnalata che passa
attraverso città fortificate, piccoli agglomerati rurali e borghi circondati
da mura. La mappa si cura assai poco di descrivere valloni laterali,
borgate d’altura, o pascoli e colli. Con tutta evidenza lo scopo del cartografo era trovare la strada più comoda e veloce per collegare le miniere ai centri della pianura piemontese, dove il materiale cavato trovava il
suo naturale sbocco di mercato19.
I consegnamenti feudali ci sono nuovamente utili per definire i contorni sociali di queste attività. Le consegne fatte dai sei comuni della
val Perosa rivelano l’esistenza di una serie di miniere e fucine per le
quali gli affittuari erano tenuti a pagare un canone annuo al duca di Savoia, signore diretto di queste terre. Le carte fanno emergere la presenza di un nucleo compatto di famiglie locali che si tramandarono di generazione in generazione il monopolio quasi assoluto di tutto ciò che
ruotava attorno al mercato del ferro. Spesso si trattava di un primato di
lunga data: dall’inizio del Trecento alla prima metà del Seicento, ad e-
18
Ivi, cit. p. 4.
Molti studi hanno mostrato l’esistenza di un vivace mercato del ferro nelle città
poste all’imbocco delle vallate che alimentava manifatture e fucine nei borghi delle
basse valli.Tra gli altri, per il caso delle Alpi occidentali si veda Miniere, fucine e
metallurgia nel Piemonte medievale e moderno, a cura di R. Comba, Rocca de’ Baldi,
Centro studi storico-etnografici, 1999.
19
34
sempio, le fucine del borgo di Perosa furono patrimonio quasi esclusivo della famiglia Bontempo. In occasione di una consegna delle «ferrerie” fatta nel 1299-1300 Michele Bontempo di Perosa dichiarò di aver
cavato 40 somate di ferro (circa 2.000 kg) dalle miniere della zona e di
averne ottenuto 450 centenari «extracti de furno», pagando tra l’altro la
somma maggiore tra tutti coloro che denunciarono la loro attività20.
Due secoli dopo, nel luglio del 1506, i fratelli Andrea e Giovanni Bontempo di Perosa consegnavano «una fucina con tre ruote e martinetto»21, la stessa che settanta anni dopo un altro Bontempo, Allerino del
fu Claudio, denunciava di possedere in società con i fratelli Geronimo,
Michele e Filippo Calcagno, tre fabbri originari di Giaveno22. Pochi
anni dopo i Calcagno denunciano anche un forno «da fonder et collar
ferro» e soprattutto «un croso delle minere bianche d’azallo sittuate alla
bochiarda»23, la montagna che sovrasta il villaggio di Perosa. La descrizione delle coerenze del forno dei Calcagno ci informa che esso
confinava con un’altra fucina di Tommaso Bastero di Perosa, il cui
nome compare anche nei registri dei dazi dell’anno 1585, durante il
quale Bastero pagò dazio all’esattore della dogana per il trasporto di 25
rubbi 14 libbre di ferro (235,6 kg) da una miniera che teneva sul monte
Bocciarda24.
Bontempo, Calcagno, Bastero: tre famiglie imparentate fra loro che
per tutto il Cinquecento hanno il monopolio assoluto delle attività di
estrazione e lavorazione del ferro nelle fucine situate fuori le mura del
20
Cfr. L. PATRIA, In fondina veteri: prospezioni minerarie e pratiche metallurgiche nelle Alpi Cozie (secoli XII-XIV), in Miniere, fucine, cit., dove viene trascritta
una buona parte di questo consegnamento, ed in particolare per il caso di Michele
Bontempo: «De. III solidis IIII denariis receptis a Michaele Bontemp pro quadraginta
somis mene ferri et levantur pro qualibet soma unus denarius. De. XXXVIII solidis
VI denariis receptis ab eodem Michaele et sociis eius pro quatercenter et quinquaginta centenarii ferri extracti de furno per idem tempus et levatur pro quolibet centenario
unus denarius Viennensis, videlicet pro pondere», cit. p. 37, n. 31.
21
AST, sez. riunite, articolo 737, Consegnamento feudi, Inventario. Perosa e valle.
22
La consegna del 1576 (probabilmente una copia seicentesca) si trova
nell’archivio della famiglia Porporato. Gli atti di consegna corrispondono perfettamente a quelli descritti nell’inventario. Cfr. AST, sez. corte, Archivio Porporato, busta 11, «Consignamento della Comunità di Perosa e delle terre della sua Valle, ed
altri particolari», Consignamento di Allerino Bontempo della Perosa, 3 novembre
1576.
23
Ivi, Consignamento delli nobili Hieronimo, Gio Michele et Gio Filippo fratelli
figlioli del fu messer Andrea Calcagno di Giaveno, 15 novembre 1581.
24
AST, sez. riunite, Miscellanea – Dazi, tratta e gabelle, mazzo 112/1, art. 394,
Datio di Susa nella Perosa dalli 23 agosto 1585 sino li 23 decembre detto anno.
35
borgo di Perosa, dove risiedono. Oltre a condividere lo stesso mestiere,
queste tre famiglie sono unite dal fatto di frequentare la parrocchia cattolica della loro comunità e di avere intense relazioni con il mondo degli artigiani e dei professionisti residenti nel borgo. Per esempio con la
famiglia Broardo, che per tutto il Cinque-Seicento si tramanda l’ufficio
di notaio in valle, o con il governatore militare della val Perosa, don
Pietro Turta di Asti, che nel 1592 aveva ricevuto in licenza l’uso di «un
croso de minera di ferro da far azallo nel monte d’esso loco della Perosa, ove se dice alla Bochiarda, (…) per lui ritrovato, scoperto et delle
sue proprie spese cavato et fatto»25.
Il mercato del ferro era dunque uno spazio legato al mondo semiurbano dei borghi del fondovalle ed era dominato da alcune famiglie
cattoliche. Sul piano topografico questo spazio sociale corrispondeva ai
centri del fondovalle, che differivano sotto ogni aspetto dalle borgate di
contadini sparse sui versanti delle valli. Insomma, se i pascoli d’altura
erano dominio dei valdesi, le attività artigianali erano affare dei cattolici. Questa spartizione dello spazio e delle risorse si traduceva sul piano
topografico e rispecchiava una precisa distinzione nelle relazioni sociali
dei due gruppi. I cattolici, perlopiù artigiani, risiedevano nei borghi;
mentre i valdesi, in maggioranza contadini, abitavano nelle borgate. Si
trattava di una ripartizione territoriale che non escludeva spazi di intersezione e che tuttavia nel corso del tempo divenne una realtà che i contemporanei, come abbiamo visto, percepivano distintamente. In ogni
caso, questi due mondi non erano inesorabilmente separati. Cattolici e
valdesi, o meglio artigiani e contadini, condividevano uno spazio relativamente limitato da un punto di vista sia fisico sia ecologico. Era
dunque naturale che questi due gruppi entrassero in contatto. Prima ancora che da una frontiera politica e religiosa, le comunità di valle erano
percorse da un’invisibile frontiera sociale. Tuttavia queste tre frontiere
erano estremamente permeabili. La condivisione dello stesso territorio
comunale obbligava infatti gli abitanti a confrontarsi e collaborare
all’interno dei principali organi politici locali: le assemblee dei «capi di
casa» e il consiglio di valle.
25
AST, sez. riunite, articolo 737, registro 161, 1568 in 1598, ff 253r-v, 254r-v,
255r-v, 256r-v, 257r, Consegnamento e ricognitione prestatta a favor del Patrimonio
Ducale dal signor Pietro Turta Governatore della Perosa, per causa di un fitto e
censo perpetuo di minera di ferro da far azzallo posta nel monte di la Perosa alla
Bochiarda sotto il censo d’un dinaro per caduna soma di minera biancha et altro
censo per cadun centenaro di ferro, 24 gennaio 1592. L’albergamento di questa cava
è precedente di dieci anni alla consegna: esso fu fatto l’8 dicembre 1581.
36
INDICE
Introduzione
5
Abbreviazioni
16
LA FRONTIERA ALPINA. LE COMUNITÀ DI VALLE
TRA GUERRE EUROPEE E CONFLITTO LOCALE.
1574-1624
19
Tra due guerre di religione
20
Una frontiera invisibile
27
Il capitano e il pastore
I sentieri dei pastori
Fucine e miniere. Nel mondo dei fabbri ferrai
L’organizzazione politica e religiosa delle comunità
Un «comunalismo alpino»?
L’istituzionalizzazione della chiesa valdese
Governare la frontiera
«Lighe e adherenze»
Il patto di unione e i consigli di valle
La rivolta della val Perosa contro la giurisdizione abbaziale
Una vecchia storia
Rivolta fiscale e dissidenza religiosa
Il vicario Rinaldo Ressano tra interessi privati e politica religiosa
La famiglia Ressano, i fabbri della val Perosa e la «svolta»
del 1592
27
30
34
37
37
45
49
49
52
56
58
60
62
66
La «guerra dei templi» nella cronaca del pastore Pierre Gilles 73
«Une désunion perpétuelle»
460
74
Alla ricerca di una trasformazione politica delle comunità
La comunità e i poteri esterni
La val Perosa nell’era della finanza straordinaria
Crisi del debito e conflitto armato
Le autonomie locali e le riforme fiscali del duca
Crisi del debito e segmentazione confessionale
Condividere la comunità
Condividere gli affari. La famiglia Bontempo
e il notabilato valdese
Condividere la politica. Matteo Bertulino:
console, sindaco, esattore e anziano
Condividere lo spazio. La «confraria» d’Albona
La promiscuità tra cattolici e valdesi: il tormento
delle autorità cattoliche e dei Sinodi valdesi
La confraria d’Albona e il «priore» Giovanni Heritier
La confraria dei fabbri e la confraria dei contadini
Confessionalizzazione e segmentazione sociale
76
85
86
90
94
97
101
103
107
111
113
115
116
118
DIVISI DALLA FEDE, SEPARATI DAL CONFINE.
IL COMUNALISMO ALLA PROVA DELLA GUERRA
DEI TRENTA ANNI. 1624-1648
121
Effetto domino
122
La «guerra dei templi»: una nuova interpretazione
125
Perdonanze, agguati, vendette: la politica violenta del console Jean
Gilles
126
Fazioni in val Perosa
128
Costruire confini culturali
I tormenti dei ministri
La religione dei «montani idioti»
Gli asini del villaggio, gli asini di Madrid. Cultura religiosa
e politica internazionale
Costruire confini politici. Nel ginepraio dei
«limiti di tolleranza»
La capitolazione del 1630: lo smembramento delle valli
in due sovranità
135
135
138
145
149
149
461
Nelle terre sotto il dominio ducale
Nelle terre sotto il dominio francese
Limiti di tolleranza e politica internazionale
153
157
160
LA «GUERRA VALDESE» E L’EUROPA. LA DIMENSIONE
INTERNAZIONALE DEL CONFLITTO. 1655-1670
167
La violenza e la storia
La «guerra valdese» (1655-1670)
Il massacro del 1655 e la resistenza valdese
25 aprile 1655: «Le jour de sang et de carnage»
Il precedente: la spedizione del 1653
La spedizione del marchese di Pianezza
Un esercito affamato per il marchese di Pianezza
La resistenza valdese
I «cospiratori»
Cronaca di un massacro annunciato
L’internazionalizzazione del conflitto
La diplomazia valdese: la Lettre des fidèles exilées e il primo
viaggio di Jean Léger a Parigi
Se Parigi val bene una messa, Pinerolo val bene
una «santa cena»
Il «contagio» della rivolta
L’intervento francese: le Patenti di grazia e perdono
dell’ambasciatore Enemond Servient
Il banditismo di stato
L’eredità del dopoguerra
Preparare la rivolta: il dopoguerra nelle fonti dell’intelligence
sabauda e inglese
La nascita dei banditi: terra e vendetta
Una guerra banale o una guerra di liberazione?
Obiettivi e metodi dei banditi
Vendicatori
Iconoclasti
Rapinatori
Miliziani
Le conseguenze politiche del banditismo
462
168
171
175
175
177
180
183
187
189
193
199
199
204
207
212
219
220
222
230
236
238
239
241
242
243
La «guerra dei banditi»: tra conflitto religioso
e guerra per procura
I «luoghi sicuri» dei banditi
Il «banditismo di Stato»
Truppe francesi al servizio dei banditi
La querelle dei grani
I muli di monsieur La Londe
La pace del duca: soddisfazione e sicurezza
La sconfitta
246
247
250
251
252
253
254
258
LA «GUERRA VALDESE» NELLE COMUNITÀ.
ANATOMIA DI UNA GUERRA TRA FAZIONI.
1640-1670
263
I confini della comunità
264
Il regime dei concistori
271
Gli «eletti» di San Giovanni e il pastore Jean Léger
Incidere confini sulla terra: i progetti di separazione dei
catasti comunali
Comunità border line
La famiglia Bastia, o le conseguenze del vivere ai confini
della comunità
Prologo: il caso Ressano (1655)
271
276
281
283
291
Omicidio di un curato di campagna
Chi ha ucciso don Bernardino?
La fucina delle imposture
Fazioni e uso politico della giustizia
291
293
300
304
Intermezzo: il memoriale Léger (1656)
311
Il Dio delle vendette
Il missionario strappato dalle mani del Diavolo
La «tragedia» di Bartolomeo Polat, o degli effetti devastanti
della conversione
Lo sbirro paralitico
La propaganda del «regime dei concistori»
Le ragioni del memoriale. Il pastore Jean Léger,
suo zio Antonio, e il prefetto Ressano
«L’insopportabile tirannia dei concistori»
311
313
315
319
322
326
332
463
I «mali del di fuori e del di dentro»
339
Epilogo: l’affaire Leger (1659-1664)
343
«Dolor est medicina doloris». Alla ricerca di una dissidenza
valdese
344
I «longueillistes». Un’opposizione organizzata contro
il «regime dei concistori»
347
Anatomia della dissidenza valdese
349
Il chirurgo e il pastore: Michele Bertram, Jean Léger e l’eredità
delle sorelle Pellengo
352
Le petizioni e il processo contro Jean Léger
357
Dal Sinodo di Chiotti al coinvolgimento del governo ducale
(1659-1660)
358
Il processo Léger (1661)
361
La faida valdese (1661-1662)
364
L’omicidio Garnier, o la deriva violenta del «regime
dei concistori»
368
La «domenica di sangue». Dall’esilio di Jean Léger alla sconfitta
dei «banditi»
370
I «nuovi Cananei»
Il «remarquable ménage» e la disciplina dei concistori
«Il mal modo di vivere che si praticava in queste valli»
Gli eletti contro i Cananei
375
378
383
387
Conclusioni
391
Bibliografia
397
Cronologia comparata (1555-1670)
417
Indice dei nomi
449
Finito di stampare il 22 aprile 2015 – Stampatre, Torino
464