Conseil constitutionnel, Corte costituzionale e norma parametro

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Conseil constitutionnel, Corte costituzionale e norma parametro
Conseil constitutionnel, Corte costituzionale e norma parametro.
Qualche spunto per una comparazione sul ruolo interpretativo
del giudice costituzionale in Francia e in Italia
Maria Grazia Rodomonte
SOMMARIO: 1. Conseil constitutionnel e Corte costituzionale: diversi punti di partenza, un approdo comune. – 2. L’introduzione del Preambolo nella Costituzione francese della IV Repubblica e il Preambolo alla Costituzione Francese
del 1958: dalla proclamazione all’attuazione dei valori costituzionali. – 3. Il
Preambolo e l’attività interpretativa del Conseil constitutionnel. – 4. Il diritto
di proprietà e la libertà d’impresa: Conseil constitutionnel e Corte costituzionale italiana a confronto. – 5. Valore del Preambolo e creatività del Conseil
constitutionnel.
1.
Conseil constitutionnel e Corte costituzionale: diversi punti di
partenza, un approdo comune.
Dopo il secondo conflitto mondiale e la sconfitta dei totalitarismi l’esigenza – che attraversa tutta l’Europa – di rifondare su basi
nuove i sistemi democratici rende urgente garantire le democrazie
postbelliche accompagnando i tradizionali meccanismi di rappresentanza con strumenti nuovi, atti a porre diritti e libertà al riparo da
ogni violazione. Gli attacchi inferti alla libertà ed alla dignità umana
sono infatti alla base dell’affermazione nei Paesi dell’Europa continentale del cosiddetto «costituzionalismo moderno»; cioè, in primo
luogo – secondo una ben nota descrizione1 – alla previsione di Costituzioni rigide che pongono regole e principi di cui si afferma la superiorità anche rispetto alla legge e quindi al potere politico; al solenne riconoscimento dei diritti e delle libertà all’interno dei nuovi
testi costituzionali; alla nascita, infine, di organi di garanzia della Costituzione, indipendenti dal potere politico ed in grado di assicurare
il rispetto delle norme costituzionali e, quindi, dei diritti fondamentali.
1 Vedi M. CAPPELLETTI, La giurisdizione costituzionale delle libertà, Milano, Giuffrè, 1955 e ID., Les pouvoirs des juges, Paris, Economica, 1990.
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Le esperienze costituzionali successive al secondo conflitto
mondiale sembrano, dunque, seguire tutte un percorso largamente
comune2. Tuttavia non può negarsi che nel caso francese sia evidente
una certa originalità che segna una distanza di partenza rispetto alle
esperienze costituzionali ad esso coeve.
In particolare, con riferimento all’introduzione di strumenti di
controllo della costituzionalità, sono almeno due gli elementi che differenziano il modello francese rispetto ad altri modelli di controllo
della costituzionalità presenti in Europa ed introdotti nello stesso periodo.
In primo luogo, infatti, il Conseil constitutionnel si caratterizza
per essere un organo cui vengono demandate una serie di attribuzioni3, la principale delle quali è quella di assicurare il rispetto del
nuovo riparto di competenze tra legislativo ed esecutivo. Più che un
giudice delle leggi, quindi – come invece, tra le altre, la Corte costituzionale italiana – il Conseil constitutionnel è – o dovrebbe essere,
nell’intento dei redattori della Carta del ’58 – il baluardo eretto a difesa delle competenze regolamentari dell’esecutivo. Non vi è dubbio
che tra le attribuzioni ad esso riconosciute vi sia anche quella di assicurare il rispetto della supremazia del testo costituzionale rispetto
alla legislazione ordinaria, ma si tratta solo di una tra le sue varie
competenze; azionabile peraltro solo da alcuni soggetti (Presidente
2 V.
ONIDA, La Costituzione, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 17.
gli artt. 58 e seguenti della Costituzione della V Repubblica, il Conseil
constitutionnel verifica infatti la regolarità delle elezioni presidenziali, esamina i reclami
e proclama i risultati degli scrutini; in caso di contestazioni decide sulla regolarità delle
elezioni di deputati e senatori; verifica la regolarità delle operazioni referendarie e ne
proclama i risultati; si pronuncia sulla conformità a Costituzione delle leggi organiche
prima della loro promulgazione e dei regolamenti delle assemblee parlamentari prima
della loro applicazione (entrambi questi atti devono obbligatoriamente essere sottoposti
al controllo del giudice costituzionale); inoltre, secondo quanto previsto dall’art. 37
Cost. i testi legislativi intervenuti successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, in materie che, sulla base dell’elencazione contenuta nell’art. 34, non appartengono alla competenza legislativa possono essere modificati con decreto nel caso in cui il
Conseil constitutionnel ne dichiari il carattere regolamentare; l’art. 54, infine, prevede
che se il Conseil constitutionnel, adito da Presidente della Repubblica, Primo Ministro,
Presidente dell’una o dell’altra Assemblea, sessanta deputati o sessanta senatori, dichiari
che un accordo internazionale comporti una clausola contraria alla Costituzione, l’autorizzazione a ratificare o ad approvare tale accordo non possa intervenire che dopo la revisione della Costituzione. applicazione.
3 Secondo
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della Repubblica, Primo Ministro e Presidenti di ciascuna Assemblea
legislativa e, solo dopo il 1974, 60 deputati e 60 senatori); per di più,
solo nella fase antecedente alla promulgazione del testo legislativo4.
L’altro elemento che contribuisce a distanziare in partenza il
Conseil constitutionnel dalle altre Corti è dato dall’incertezza della
norma parametro. La Costituzione del 1958 fa infatti riferimento ai
diritti dell’uomo ed alle libertà fondamentali solo in pochi articoli,
mentre i diritti e le libertà sono contenuti in un Preambolo esterno
che precede il testo della Costituzione vera e propria e che richiama,
oltre alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789,
anche le leggi della Repubblica e i principi economici e sociali particolarmente necessari ai nostri tempi e, solo dal 2005, la Carta dell’ambiente5. Al contrario, la nostra Corte costituzionale, come del resto altre Corti presenti in Europa, può valersi del saldo riferimento
alla Costituzione che contiene al suo interno un elenco lungo ed articolato di diritti e di libertà.
Se i punti di partenza degli organi di controllo della costituzionalità in Italia e in Francia sono dunque distanti e tali, per quest’ultimo Paese, da rappresentare un iniziale elemento di debolezza che
rischia di compromettere la futura affermazione di un vero controllo
di costituzionalità, non può tuttavia negarsi che gli esiti siano stati invece in larga parte comuni: è noto infatti come il giudice costituzionale francese abbia ampiamente contribuito in questi anni all’affermazione di quei diritti, pur partendo da un dato testuale incerto e da
una posizione istituzionale tutt’altro che favorevole. Attraverso una
attività interpretativa ricca e non esente da ampi spunti creativi il
Preambolo ha finito, infatti, con l’essere incorporato nel testo della
4 Ricordiamo
infatti che solo nel 2008 ad opera della legge di revisione costituzionale n. 2008-724 del 23 luglio è stata introdotta una modifica dell’art. 61 – che peraltro
entrerà in vigore solo alle condizioni stabilite dalla legge e dalle leggi organiche necessarie all’applicazione della revisione – in base alla quale il Conseil potrà essere adito, oltre che in via preventiva, anche successivamente all’entrata in vigore della legge dal Conseil d’Etat e dalla Cour de Cassation, in occasione di un procedimento in corso dinanzi
ad una giurisdizione e nel caso in cui la disposizione legislativa porti pregiudizio ai diritti ed alle libertà garantiti dalla Costituzione. Si tratta di una revisione che già si era
tentato di introdurre, senza successo agli inizi degli anni ’90. In proposito sia consentito
il rinvio a M.G. RODOMONTE, Il problema dell’introduzione di un ricorso incidentale di costituzionalità in Francia: Conseil constitutionnel e forma di governo, in Il Politico, 4,
1995, p. 667 e ss.
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Costituzione, contribuendo a costruire il bloc de constitutionnalitè –
come lo si definisce in Francia – cioè quell’insieme di diritti e libertà
garantiti anche contro il legislatore ordinario. Il Conseil, infatti, anche grazie alle riforme che dagli anni ’70 hanno ampliato le possibilità di accesso all’organo, ha finito con l’accentuare il ruolo, marginale tra le altre competenze, di giudice delle leggi, rispondendo di
fatto ad un’esigenza che nasce dalla stessa dinamica politica ed istituzionale francese e riducendo così le distanze rispetto alle altre
Corti Europee.
Il percorso compiuto dal Conseil constitutionnel è dunque ampiamente noto così come, altrettanto, lo è il fatto che il giudice costituzionale francese abbia contribuito alla costruzione, anche giurisprudenziale, di un «blocco di costituzionalità» non meno articolato
di quegli elenchi di diritti e di libertà già presenti nelle Costituzioni
europee, tra cui quella italiana.
Del pari, si può certo affermare che non meno ricca sia stata la
giurisprudenza della nostra Corte costituzionale, spesso anche creativa e tale da aver operato delle riletture, talvolta delle vere e proprie
riscritture, di quel catalogo di diritti già sufficientemente ampio e
collocato nella prima parte della Costituzione italiana del ’47.
Non è dunque su questo aspetto, quello cioè, da un lato, della
crescita del Conseil constitutionnel quale giudice delle leggi e, dall’altro, del progressivo ed inesorabile avvicinamento che ha caratterizzato tutte le esperienze di giustizia costituzionale presenti in Europa, che appare opportuno soffermarsi.
Piuttosto, sembra utile riflettere sul ruolo delle Corti quali interpreti del testo costituzionale: l’interrogativo principale rimane infatti, a nostro avviso, quello relativo al rapporto tra testo scritto ed
attività interpretativa. In particolare, di fronte all’evoluzione del sistema francese di giustizia costituzionale è necessario indagare se
l’assenza di un elenco strutturato di diritti all’interno del testo costituzionale consenta – o richieda – uno spazio di creatività più ampio
per il giudice costituzionale di quanto non sia quello reso possibile
dalla presenza, invece, all’interno di un testo costituzionale, di un catalogo di diritti e libertà sufficientemente lungo ed articolato.
5 Sulla recente introduzione della Carta dell’ambiente vedi G. DRAGO, Contèntieux constitutionnel français, Paris, PUF, 2006, pp. 268-270.
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2.
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L’introduzione del Preambolo nella Costituzione francese della IV
Repubblica e il Preambolo alla Costituzione Francese del 1958:
dalla proclamazione all’attuazione dei valori costituzionali.
La volontà di rafforzare ed estendere i diritti di libertà, che accomuna le nuove democrazie sorte dopo il secondo conflitto mondiale6, rappresenta il segno più evidente della volontà di rottura con
le traumatiche vicende del recente passato.
Anche nella Francia della IV Repubblica la proclamazione dei
valori di libertà e di giustizia sociale in un Preambolo di apertura al
testo costituzionale sottolinea – la centralità da questi assunta nella
nuova democrazia sorta dalle ceneri di Vichy. Tuttavia, la collocazione
dei diritti e delle libertà in un ambito esterno al testo costituzionale
vero e proprio – cui viene demandato esclusivamente il compito di
definire i rapporti tra i poteri dello Stato – rappresenta, come già evidenziato, una soluzione originale nel panorama dei sistemi democratici postbellici nei quali, nella stessa fase, si preferisce infatti inserire
cataloghi ben dettagliati di diritti e libertà all’interno delle nuove
Carte costituzionali7. In Italia, in effetti, pur non mancando negli
stessi anni un interessante dibattito sull’opportunità di introdurre un
Preambolo al testo costituzionale8, la scelta infine operata, voluta con
6 Molto
vasta è la letteratura volta a sottolineare la centralità assunta dai diritti
umani nelle esperienze costituzionali del secondo dopoguerra. Tra i tanti contributi in
materia ci limitiamo a segnalare N. BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990 e
1992.
7 E cioè in Germania ed in Italia.
8 In particolare è un «costituente atipico» come La Pira ad evidenziare la necessità di premettere alla Costituzione una solenne Dichiarazione dei diritti dell’Uomo in
grado di riaffermare energicamente i valori della democrazia in opposizione ai principi
dello Stato totalitario (Cfr. S. GRASSI, Il contributo di Giorgio La Pira ai lavori dell’Assemblea costituente, in Scelta della costituente e cultura giuridica, vol. II, Protagonisti e
momenti del dibattito costituzionale, a cura di U. DE SIERVO, Bologna, Il Mulino, 1980,
p. 179 ss.). Per Calamandrei invece, pur favorevole all’introduzione di un Preambolo,
questo dovrebbe servire per trascrivervi i diritti sociali in quanto non veri diritti ma soltanto «programmi, desideri…che hanno un carattere sentimentale ma non un carattere
giuridico». Per Calamandrei, infatti, l’apparizione dei diritti sociali nelle Costituzioni
non è il punto di arrivo di una rivoluzione già compiuta, quanto piuttosto il punto di
partenza di una rivoluzione che si mette in cammino (cfr. P. BARILE, La nascita della Costituzione: Piero Calamandrei e le libertà, in op. ult. cit., p. 27; vedi inoltre A. PACE, Diritti di libertà e diritti sociali nel pensiero di Piero Calamandrei, in Pol. dir., 4, 1988, p.
683-709). Ecco quindi che, secondo il costituente, sarebbe più corretto, proprio per non
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forza da cattolici e marxisti, è a favore dell’integrazione di principi
fondamentali nel testo stesso della Costituzione9. Comune convincimento è, infatti, che solo l’elencazione il più possibile esaustiva dei diritti all’interno del testo costituzionale sia in grado di conferire a tali
principi democratici «diretta ed immediata efficacia normativa nei
confronti sia del legislatore, sia di ogni altro soggetto, ed anzi efficacia potenziata di “super-legalità costituzionale”»10.
La differente scelta operata in Francia rispetto quindi all’Italia
– come anche alla Germania – può invece essere spiegata se si tiene
presente che in realtà in Francia non è del tutto assente una tavola di
valori onnicondivisi in grado di richiamare una ben precisa ed accolta identità culturale: la Costituzione del 1946, come poi quella del
1958, non fa quindi che affiancare valori fondamentali nuovi a valori
fondamentali già presenti nella coscienza del corpo sociale che è sufficiente riconoscere a livello costituzionale. È indubbio infatti che in
Francia già nel ’46 esista una robusta unità nazionale capace di resistere anche ai passaggi di Costituzione. In Italia e in Germania invece, la debolezza dell’unità nazionale rende necessario che la Costituzione venga chiamata a disegnare tutti i valori sociali comuni: in
Italia, quindi, l’unità costituzionale è pazientemente edificata dalle
forze politiche protagoniste della Costituente11.
È indubbio, in ogni caso, che la Dichiarazione in 39 articoli che
accompagna il progetto costituzionale di aprile, così come il Preambolo di apertura alla Costituzione in seguito approvata, vengano considerati, nell’intento dei costituenti francesi del ’46, come il segno
più evidente della volontà di sancire i valori fondanti della France liingenerare speranze illusorie nei cittadini, mettere i diritti sociali in un Preambolo e solo
i diritti individuali, che hanno valore giuridico, nel testo della Costituzione. Ciò non
esclude tuttavia che anche questa enunciazione dei diritti sociali possa avere un valore
programmatico o pedagogico ed un valore politico: «essa segna una tendenza ed un impegno; e quando fosse in funzione un controllo sulla costituzionalità delle leggi, un siffatto impegno scritto nella Costituzione non potrebbe non servire da orientamento pratico per la legislazione futura».
9 Vedi tra gli altri Cultura, politica e partiti nell’età della costituente, a cura di
R. RUFFILLI, Bologna, Il Mulino, 1979; C. MEZZANOTTE, La Corte Costituzionale: esperienze e prospettive in AA.VV., Attualità e attuazione della Costituzione, Bari, Laterza,
1979, in particolare pp. 153-160.
10 C. MORTATI, voce Costituzione, in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1962, p. 214.
11 Vedi M. LUCIANI, Tramonto della sovranità e diritti fondamentali, in Critica
marxista, 5 1993, pp. 24-28.
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berée, affermando, con rinnovato entusiasmo, diritti e libertà in contrapposizione al regime di Vichy12. In un solenne Preambolo di apertura al testo costituzionale il richiamo alla Dichiarazione dei diritti
dell’Uomo e del cittadino del 1789 e ai principi fondamentali riconosciuti dalle Leggi della Repubblica si salda infatti – in quella che
alcuni hanno definito come un’«impossibile sintesi»13 – ai principi
economici e sociali «particolarmente necessari ai nostri tempi», sintomo evidente della volontà di introdurre una giustizia economica e
sociale14 più ampia di quella ereditata dai testi Rivoluzionari e di
epoca liberale.
È evidente, allora, come il tratto caratterizzante l’eterogenea
struttura del Preambolo del ’46 sia rappresentato dall’assenza di organicità e di un’elencazione completa e strutturata di diritti e libertà
che, nella stessa fase, contraddistingue invece le nuove elaborazioni
costituzionali in Europa. L’assenza, inoltre, di una garanzia di costituzionalità lascia incompiuta l’evoluzione, qui solo prospettata ma
non pienamente compiuta, verso l’effettiva protezione dei valori proclamati15.
12 La
volontà di rinnovamento si traduce così nella elaborazione, in un primo
tempo, di una nuova Dichiarazione che, indicando le tappe di una vera e propria «rivoluzione economica e sociale», aspira di fatto a realizzare una profonda trasformazione
nel Paese. Dopo il fallimento del più ambizioso progetto di anteporre al testo costituzionale una Dichiarazione dei diritti, conformemente alla tradizione repubblicana, a seguito dell’esito negativo del referendum del 5 maggio ’46 diviene necessario tener conto
del nuovo equilibrio politico, più moderato, presente ora alla seconda Assemblea Costituente: la inevitabile ricerca di un compromesso tra comunisti e socialisti da un lato e
forze democratico-cristiane dall’altro, si traduce così nella rinuncia ad una nuova Dichiarazione e nel richiamo alla tradizione rivoluzionaria e repubblicana che si accompagna ad una più sintetica indicazione dei nuovi principi dello Stato sociale.
13 C. BIDEGARAY, C. EMERI, La définition constitutionnelle des droits et des libertés
en France, in Droit constitutionnel et droit de l’homme - Rapport Français au IIe Congrès Mondial de l’Association de Droit constitutionnel, Paris, Aix-en-Provence, 31 août5 septembre 1987, Paris, Economica, 1987, p. 15.
14 Stemperando però le indicazioni marxiste e rivoluzionarie presenti nella Dichiarazione di aprile. Sui dibattiti alla Costituente per l’introduzione del Preambolo
vedi J. LE MASURIER, La Constitution de 1946 et le côntrole juridictionnel du législateur,
Paris, R. Pichoh - R. Durand-Auzias, 1954. Sul Preambolo del 1946 vedi inoltre J. RIVERO, Le Conseil constitutionnel et les libertés, Paris, Economica, 1984; C.A. COLLIARD,
R. LETTERON, Libertés publiques, Paris, Dalloz, 2005; J. ROBERT, J. DUFFAR, Libertés
publiques, Paris, Montchrestien, 1999.
15 Non bisogna tuttavia dimenticare che nel corso della IV Repubblica le giurisdizioni applicano il testo della Dichiarazione del 1789 ed il Preambolo del ’46 per valu-
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È indubbio però che attraverso il Preambolo ed in esso il recupero di una tradizione fortemente radicata, già a partire dall’esperienza costituzionale della IV Repubblica si ristabilisca il senso di
un’appartenenza unitaria che precede ora, con un valore giuridico
ancora indeterminato, ma con un valore simbolico e ideologico indubbio, l’intero assetto politico ed istituzionale del 1946.
La Costituzione della IV Repubblica, schiacciata dal peso di
contraddizioni politiche troppo forti, è tuttavia destinata, come è
noto, ad una vita breve e travagliata. Dopo gli eventi algerini e l’acutizzarsi di una crisi politica non più ricomponibile, il ritorno di de
Gaulle al potere conduce a tracciare per la Francia un nuovo ordinamento giuridico. I redattori della nuova Costituzione finiscono allora per guardare con attenzione pressoché esclusiva all’elaborazione
di più valide regole del gioco politico, in grado di fornire alla Francia quella stabilità e coerenza di governo che era risultata assente durante la IV Repubblica: il tema dei diritti e delle libertà non può così
che essere relegato in secondo piano. Ciò conduce a riprendere in
tutta fretta la tecnica del Preambolo confermando, con una formula
quanto mai sintetica, la fedeltà del popolo francese «ai diritti dell’uomo ed ai principi della sovranità nazionale così come sono stati
definiti dalla Dichiarazione del 1789 confermata e completata dal
Preambolo della Costituzione del 1946».
Nel ’58 l’introduzione del Preambolo, che eredita dunque
quella disomogeneità di un testo nato più con funzioni proclamatorie che prescrittive, non solleva appassionati dibattiti, né contrasti tra
i redattori della nuova Costituzione. Il consenso, infatti, non può che
essere generale attorno ad un testo che costituisce un vero e proprio
trait-d’union con la IV Repubblica e che si iscrive nel segno della
continuità sia con l’eredità rivoluzionaria che con quella della Liberazione16.
tare la legittimità degli atti di loro competenza. In particolare le giurisdizioni ordinarie
sembrano riconoscere con maggior chiarezza il valore giuridico di tali testi, mentre
quelle amministrative preferiscono far riferimento alla categoria dei principi generali del
diritto. Bisognerà infatti attendere gli anni ’50 affinché il Consiglio di Stato si riferisca
esplicitamente al testo del Preambolo del ’46 ed alla Dichiarazione del 1789. D. ROUSSEAU, Droit du contentieux constitutionnel, Paris, Montchrestien, 2008, pp. 92-93.
16 B. GENEVOIS, Le Préambule et les droits fondamentaux, in L’écriture de la
Constitution de 1958, Paris, Economica, p. 483 ss.
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Il dibattito si orienta invece sul problema del valore da attribuirsi a tali solenni proclamazioni. Ancora una volta il nodo non può
però essere sciolto poiché, se in larga parte favorevoli a quanto sostenuto dal commissario del governo Raymond Janot per il quale il
Conseil constitutionnel non ha alcuna autorità per censurare leggi
contrarie ai diritti ed alle libertà contenute nel Preambolo – che non
ha quindi altro valore se non filosofico e simbolico – è certo che i
parlamentari membri del Comitato consultivo costituzionale non
tracciano alcuna soluzione definitiva sul piano formale. Per il Conseil
constitutionnel, che dovrà in primo luogo vegliare sul rispetto della
nuova distribuzione di competenze tra Governo e Parlamento e che,
solo marginalmente, ha il compito di operare un controllo di costituzionalità del legislatore, il riferimento al testo del Preambolo non
viene quindi più espressamente precluso, come era invece avvenuto
nel 1946 per il Comité constitutionnel.
Nei primi dieci anni di vita della nuova Repubblica il giudice
costituzionale francese, interpretando in senso restrittivo le proprie
funzioni, si limita tuttavia a svolgere la missione di chien de garde del
potere esecutivo, evitando accuratamente di confrontarsi con quei
principi, contenuti nel Preambolo, che aprirebbero la strada all’affermazione di un controllo di costituzionalità ben più ampio di
quello attuato attraverso il solo controllo di conformità alle règles de
procédure.
Preannunciata da due decisioni del 1969 e del 197017 è nel 1971
che si attua però la svolta più significativa nella giurisprudenza del
Conseil constitutionnel: per la prima volta infatti l’organo si riferisce
in termini inequivocabili al Preambolo della Costituzione per affermare l’incostituzionalità di alcune disposizioni che limitano la libertà
di associazione18.
Quella che si compie nel 1971 è allora una vera e propria «rivoluzione giuridica» poiché il Conseil rompe con la tradizione di in17 Con
la decisione del 26 giugno 1969 si manifesta infatti un primo tentativo di
ampliamento dei testi di riferimento dal momento che il Conseil constitutionnel fonda
la sua decisione sui principi generali di diritto, una categoria consacrata fino a questo
momento solo dal Conseil d’Etat. Con la decisione del 19 giugno 1970, il Conseil si riferisce per la prima volta al Preambolo seppur in merito al problema della costituzionalità di un trattato. Vedi L. FAVOREAU, L. PHILIP, Les grandes décisions, Paris, Dalloz,
2007, p. 228 ss.; p. 275 ss.
18 Si tratta della storica decisione 71-44 DC.
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tangibilità legislativa presente in Francia sin dall’epoca rivoluzionaria
proprio attraverso il riferimento al Preambolo il cui valore giuridico
era rimasto a lungo incerto. Una rottura ancora più importante se si
pensa che la difesa dei diritti e delle libertà individuali anche contro
il potere legislativo – o, se si preferisce, contro il potere della maggioranza politica – non è frutto di un progetto organicamente posto
alla base del nuovo testo costituzionale, ma di un autonomo sviluppo
che può compiersi nel corso degli anni ’70 proprio per il venir meno
del monopolio gollista dell’interpretazione costituzionale. Infatti, la
sparizione dalla scena politica del generale De Gaulle alla fine degli
anni ’60 rende di fatto possibile diverse interpretazioni della Costituzione e consente l’emergere di nuovi interlocutori politici. Una «concorrenza interpretativa» assente nel periodo gollista nel corso del
quale la V Repubblica aveva finito, nel suo complesso, per identificarsi con la volontà del suo stesso fondatore. Lo «strappo» al monopolio gollista introduce, così, in una società come quella francese dell’epoca, pluralista e fortemente frammentata, un elemento di dinamismo e di conflittualità nel sistema politico che richiede di essere
mediato e risolto tramite un intervento esterno e neutrale rispetto al
combat politique. Proprio a partire dagli anni ’70 e, con maggior evidenza, nel corso delle alternanze degli anni ’80, viene rivendicata allora, sempre più di frequente, un’interpretazione en droit 19 che consente al Conseil constitutionnel di ritagliarsi un ruolo di crescente rilievo nella vita politica ed istituzionale francese, divenendo il
principale mediatore dei conflitti politici attraverso la garanzia del
rispetto del Preambolo e dei valori che esso richiama.
3.
Il Preambolo e l’attività interpretativa del Conseil constitutionnel.
Superando, quindi, le limitazioni connesse alla natura più proclamatoria che prescrittiva del Preambolo, al Conseil constitutionnel
deve dunque riconoscersi il merito di aver sottratto questo insieme
eterogeneo di diritti al sacro empireo delle solenni proclamazioni che
segnano la rottura con il recente passato ed il recupero di una identità sempre presente, ma che non hanno un valore giuridico certo:
19 B. FRANÇOIS, Le juge le droit et la politique: élements d’une analyse politiste, in
Revue Française de Droit Constitutionnel, 1990, 1, p. 65.
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grazie all’attività giurisprudenziale del Conseil, il Preambolo può essere invece oggi considerato come un insieme di principi e regole
che, oltre a vincolare il legislatore e gli interpreti, riassume le tendenze della Costituzione che precede contribuendo a determinare la
natura e le aspirazioni di fondo del sistema politico ed istituzionale
francese20.
È indubbio, tuttavia, che il Preambolo, caratterizzato più da
una sovrapposizione che da una sintesi tra vecchi e nuovi principi,
tra gli ideali e le ideologie di stampo liberale ed individualista e la volontà di realizzare un compiuto Stato sociale, ponga l’interprete di
fronte a non poche difficoltà nell’attività di individuazione e di concretizzazione di principi troppo spesso confusamente enunciati. Le
difficoltà si manifestano in particolare per il Conseil nella prima fase
della sua attività, fase che ha inizio nel 1971 e che arriva fino ai primi
anni ’80, nella quale non solo l’organo viene sempre più spesso chiamato a pronunciarsi sulla costituzionalità delle leggi – grazie anche
alla riforma del 1974 – ma nella quale l’insieme dei diritti da opporre
alle eventuali derive del potere politico deve essere ancora tutto ricostruito, spesso attingendo all’ampio complesso di leggi repubblicane o attraverso una elaborazione autonoma, individuando infatti
«principi» o «obiettivi» costituzionali. È in questo periodo quindi
che, accanto ai «principi fondamentali riconosciuti dalle leggi della
Repubblica», il giudice costituzionale francese costituzionalizza anche i «principi economici e sociali particolarmente necessari ai nostri
tempi»21, approdando infine ai «principi di valore costituzionale» e
20 È indubbio che tale profonda innovazione della vita costituzionale francese non
avrebbe potuto realizzarsi appieno se il giudice costituzionale avesse limitato il proprio
intervento al testo costituzionale vero e proprio, rappresentando quest’ultimo una base
certo insufficiente per operare un controllo attento e penetrante dell’attività legislativa.
Di qui la necessità di rivolgersi al Preambolo del testo costituzionale, il solo in grado di
offrire all’organo le basi per realizzare quel «salto qualitativo» che ne ha contraddistinto
la giurisprudenza a partire dagli anni ’70. La Costituzione del ’58 fa riferimento infatti
ai diritti dell’uomo ed alle libertà fondamentali in pochi articoli: gli articoli 2, 3 e 4 che
compongono il titolo primo della Costituzione «de la souveraineté»; gli articoli 5 e 16
che fanno parte del titolo secondo relativo al Presidente della Repubblica; gli articoli 64
e 66 che fanno parte del titolo VIII sull’autorità giudiziaria; l’articolo 72 infine, che si riferisce al titolo XI consacrato alle collettività territoriali.
21 Sanciti dal Preambolo del ’46 con l’intento evidente di fare della Francia postbellica una democrazia economica e sociale, sono ritenuti quali diritti particolarmente ne-
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agli «obiettivi costituzionali», categorie esclusivamente giurisprudenziali ed in cui è assente il riferimento ad un’esplicita fonte costituzionale22. In particolare gli objectifs – che solo in una prospettiva estremamente riduttiva possono essere definiti quali semplici tecniche
giurisprudenziali23 – rappresentano dei veri e propri principi costituzionali che, se consentono al legislatore di tracciare dei limiti ai diritti fondamentali in vista della necessità di operare una conciliazione
con esigenze quali l’ordine pubblico, il pluralismo, la salute ecc…,
forniscono al Conseil constitutionnel degli strumenti penetranti di
controllo dell’attività legislativa. Attraverso infatti un’interpretazione
dinamica ed evolutiva del testo scritto – Déclaration o principi del
’46 – che arriva però fino a rinvenire nella «Costituzione materiale»
del Paese quei fini che rappresentano il sostrato, l’humus su cui si
fonda la convivenza di una società storicamente individuabile, il
Conseil può così tracciare una guida in grado di fissare nei confronti
del legislatore gli orientamenti e le priorità da realizzare.
Pur non essendo sempre possibile fornire una periodizzazione
certa dell’attività del Conseil, in particolare con riferimento all’utilizzo del parametro costituzionale, si può comunque affermare che
gli anni ’80 rappresentino un’ulteriore e diversa fase di svolta nella
giurisprudenza del Conseil constitutionnel. Il cambiamento è non
solo quantitativo, con un considerevole aumento del numero delle
decisioni, ma anche qualitativo poiché per la prima volta il Conseil
opta per un orientamento giurisprudenziale chiaro e deciso. Tale
svolta corrisponde peraltro al rinnovamento parziale dell’organo nel
cessari ai nostri tempi: il diritto di eguaglianza senza distinzione di sesso, razza e religione
(comma 1 e 3); il diritto al lavoro, alla libertà sindacale ed allo sciopero (5° e 7° comma);
il diritto di ogni lavoratore a partecipare, tramite delegati, alla determinazione collettiva
delle condizioni di lavoro e alla gestione delle imprese (8° comma); la possibilità di nazionalizzare beni o imprese il cui sfruttamento si caratterizzi come un servizio pubblico o
come un monopolio nazionale di fatto (9° comma); il diritto della famiglia e dell’individuo a veder garantite le condizioni necessarie allo sviluppo (10° comma); il diritto alla
protezione della salute, della sicurezza materiale, del riposo e del tempo libero (11°
comma); il diritto all’istruzione, alla formazione professionale e alla cultura (13° comma).
22 Proprio questa attività fa parlare il Favoreu di «Conseil détonnateur» in quanto
«c’est à ce moment-là que s’est déclenché un développement considérable des activités
de contrôle de constitutionnalité» L. FAVOREAU, Le droit constitutionnel jurisprudentiel,
in Revue du Droit Public, 1989, p. 407.
23 In questo senso H. ROUSSILLON, Le Conseil constitutionnel, Paris, Dalloz, 2008.
MARIA GRAZIA RODOMONTE
169
febbraio 1980 che vede far parte del Conseil una personalità giuridica di spicco quale George Vedel. È proprio quest’ultimo ad evidenziare, nel corso delle giornate giuridiche franco-tedesche del giugno 1984, come «la più sicura garanzia della stabilità, se non della
perennità della giurisprudenza costituzionale si trova nel fatto che il
Conseil constitutionnel, ampiamente messo in guardia contro il pericolo del «governo dei giudici», non si reputi padrone delle fonti del
diritto costituzionale. Solo raramente possono citarsi motivazioni di
una delle sue decisioni che non facciano riferimento con precisione a
un testo di valore costituzionale…Tutta la Costituzione, nient’altro
che la Costituzione, questo sembra essere il campo delle regole applicabili dal giudice costituzionale francese»24.
Abbandonato quindi l’atteggiamento «esplorativo» di chi si
muove senza esperienza su un terreno nuovo e senza basi normative
certe, guardando più all’esperienza del Conseil d’Etat che a quella
delle altre Corti europee, il Conseil constitutionnel preferisce infatti
riferirsi, già a partire dalla seconda metà degli anni ’80, a fonti costituzionali più nettamente identificabili assumendo, in definitiva, un
atteggiamento di maggior cautela proprio nella fase di stabilizzazione
e di consolidamento del proprio intervento, divenuto, con un aumento quantitativo della sua giurisprudenza, non solo più frequente,
ma anche più delicato poiché la funzione di garante delle libertà
passa ora attraverso quella di equilibratore dello scontro politico nel
complesso gioco delle alternanze fra maggioranze di segno opposto25. Questa maggior attenzione rispetto al parametro costituzionale
si coniuga d’altronde con un fatto certo e cioè che l’opera più complessa di costruzione dell’edificio giurisprudenziale dei diritti si sia
compiuto in particolare tra gli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80, per
cui la generazione di giudici che arriva al Conseil tra il 1985 e il
24 Vedi L. FAVOREAU (a cura di), Le Conseil constitutionnel et les partis politiques,
Paris, Economica, 1987, pp. 71-72.
25 Con l’alternanza completa dell’81, che conduce all’avvento della sinistra al potere, si assiste ad un radicalizzarsi dello scontro politico ed il Conseil diviene uno dei
principali artefici della vita istituzionale del Paese: proprio nel ricorso all’organo la destra individuerà infatti uno dei principali strumenti da opporre alla maggioranza di gauche. Nell’86 inoltre la coabitazione di maggioranze di segno opposto amplia certo le
possibilità di intervento del Conseil, che finisce dunque col giocare nel corso degli anni
’80 un ruolo chiave nella dinamica politica francese.
170
LA V REPUBBLICA FRANCESE
1990, come ricorda Jaques Robert, «trova un corpo giurisprudenziale già fortemente elaborato»26.
Le incognite interpretative, che avevano reso quindi più criticabile l’operato del Conseil soprattutto nel corso degli anni ’7027 vengono allora notevolmente ridotte dall’intento dell’organo di fondare
e di legittimare il proprio intervento su più solide basi, a partire cioè
dal riferimento a fonti costituzionali che siano chiaramente identificabili dal punto di vista formale, come avviene per la Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Il testo di origine rivoluzionaria ha infatti il vantaggio di rappresentare, rispetto ad altre
parti del Preambolo, in particolare i principi fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica, un sicuro aggancio testuale al
quale il Conseil sembra volersi richiamare con maggior frequenza soprattutto quando il riferimento a principi vaghi ed incerti potrebbe
26 J.
p. 136.
ROBERT, Le juge constitutionnel, juge des libertés, Paris, Montchrestien, 1999,
27 Soprattutto i principi così come gli obiettivi di valore costituzionale sono infatti
oggetto di critiche spesso aspre da parte della dottrina timorosa che, attraverso il riferimento a principi che arrivano ad essere definiti «introvabili…a geometria variabile…dal
contenuto elastico o dagli effetti aleatori» (Così D. LOSCHAK, Le Conseil constitutionnel,
protecteur des libertés?, in Pouvoirs, 13, 1980, p. 37) si possa giungere a realizzare il sempre temuto governo dei giudici. Attraverso il riferimento a questa nuova categoria il
Conseil, senza doversi preoccupare di saldare la propria giurisprudenza ad un dato testuale certo e chiaramente individuabile aveva così sviluppato nella fase espansiva della
propria attività, una linea interpretativa autonoma, in grado di adeguarsi in maniera flessibile alle esigenze richieste dal caso sottoposto al suo vaglio. Proprio l’imprecisione di
tali principi sembra infatti facilitare la risoluzione dei conflitti di valore che il Conseil è
chiamato a risolvere. Secondo alcuni autori riferirsi a tali principi equivale in realtà a richiamare, attraverso una formula generica, delle disposizioni costituzionali. Tuttavia, secondo altri, ciò rischia di lasciare nell’ombra il fatto che la nozione stessa di principio di
valore costituzionale sia stato utilizzato «in maniera originale, a fianco ad altri elementi
del blocco di costituzionalità» (D. ROUSSEAU, op. cit., pp. 97-98). Vedi inoltre M.C.
PONTHEREAU, La reconnaissaince des droits non-écrits par les Cours Constitutionnelles italienne et français, Paris, Economica, 1994, p. 124. Costituiscono tra gli altri «principes à
valeur constitutionnelle» il «principe du respect de tout être humain dès les commencement de la vie», sancito dalla decisione sull’interruzione volontaria della gravidanza del
15 gennaio 1975; il principio della «continuité de la vie nationale» nella decisione del 12
luglio 1979; il principio di continuità del servizio pubblico nella decisione del 25 luglio
1979; il principio della «protection de la santé et de la sécurité des personnes et des
biens», nella decisione del 20 luglio 1980; ed infine il principio della protezione della salute pubblica nella decisione dell’8 gennaio 1991.
MARIA GRAZIA RODOMONTE
171
offrire spazio a quanti sono pronti ad invocare, contro la garanzia costituzionale, il rischio di un «governo dei giudici».
È innegabile però che anche la Dichiarazione ponga il Conseil
constitutionnel di fronte ad alcune difficoltà interpretative: proprio
per la sua originaria collocazione, la Dichiarazione dell’89 risente infatti di una lettura in chiave individualista e legicentrica tipica dell’età
rivoluzionaria28. Il giudice costituzionale è così chiamato a compiere
un’opera di giuridicizzazione e di attualizzazione del testo rivoluzionario che consente non solo di operare il passaggio, come è stato affermato, dall’etico al giuridico29, di trasformare cioè delle mere enunciazioni di principio in norme concrete, ma che permette anche di ricollocare i principi dell’89 nel nuovo contesto politico e sociale.
Secondo parte della dottrina francese, tuttavia, la Dichiarazione,
intrisa di legicentrismo e individualismo tipico dell’età rivoluzionaria
e liberale, sarebbe in realtà ben poco incline ad una lettura compatibile con lo Stato sociale contemporaneo. Si obietta così, in primo
luogo, che l’operazione compiuta dal Conseil risenta di una sorta di
«vizio d’origine» individuabile nel fatto che, se nel contesto rivoluzionario i diritti e le libertà possono realizzarsi, secondo il mito russoiano e giacobino, unicamente attraverso la legge, il Conseil constitutionnel intervenga invece per compiere un’operazione molto distante dagli iniziali intenti dei Costituenti, quella cioè di elevare i
diritti e le libertà proclamate a barriera contro lo stesso legislatore30.
In realtà, è forse la stessa Dichiarazione a mostrare una contraddi-
28 Sul
tema della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 vedi,
oltre alla Revue du Droit Public del 1989, che ha dedicato un intero numero all’argomento, anche la rivista Droits, 2, del 1985 con i contributi di S. RIALS, P. WACHSMANN, e
P. DELVAUX; ed il n. 8 del 1988 della stessa rivista con numerosi contributi, tra i quali
S. RIALS, G. GIUSDORF, ecc.
29 R. BADINTER, Synthese: droits de l’homme et «Etat de droit», in E. SMITH (a cura
di), Les droits de l’homme dans le droit national en France et en Norvegie, Paris, Economica, PUAM, 1990, p. 172.
30 A tal proposito vedi tra gli altri quanto affermato da G. BACOT, La Déclaration
de 1789 et la constitution de 1958, in Revue du Droit Public, 1989, p. 685 ss. L’autore evidenzia a più riprese il fatto che nello spirito della Dichiarazione del 1789 la garanzia dei
diritti sia demandata alla legge e quindi essa «ne peut pas être soumise à une norme supérieure sans qu’il soit porté atteinte à la souveraineté de cette volonté». Spirito che, a detta
dell’autore appare certo lontano da quello che anima la V Repubblica in cui la creazione
del Conseil manifesta proprio la volontà di subordinare la legge alla Costituzione.
172
LA V REPUBBLICA FRANCESE
zione – che anima d’altronde l’intera epoca rivoluzionaria – tra la
«proclamazione di una libertà costituzionale e il potere dato al legislatore di limitarne l’esercizio»31. Il mito della legge finisce infatti per
oscurare la differenza – pur inizialmente avvertita tra gli altri da
Sieyès – tra Costituzione e legge ordinaria e «la legge sovrana, come
il monarca assoluto» può così «impunemente affrancarsi dal rispetto
della norma superiore»32. Il Conseil, rendendo effettiva la tutela dei
diritti proclamati nella Dichiarazione, elimina quindi quella contraddizione tra assolutismo della legge e affermazione di diritti ritenuti
superiori che si perpetua da oltre due secoli.
L’attualizzazione, inoltre, dei principi contenuti nel testo di origine rivoluzionaria può ben considerarsi come un’operazione del
tutto legittimamente compiuta dal giudice costituzionale. È indubbio
infatti, per un verso, che l’individualismo tipico dell’epoca rivoluzionaria sia in contrasto con la realtà contemporanea. Sotto un altro
profilo, tuttavia, riteniamo che si possa concordare con l’osservazione in base alla quale la coincidenza, data per necessaria, tra borghesia e principi della Rivoluzione non sia in effetti che una falsificazione: se coincidenza esiste, questa va infatti ricercata unicamente sul
piano storico e, dunque, contingente. Di qui, allora, «l’impossibilità
di fornire una interpretazione riduttiva dei principi della Dichiarazione», quasi che essi respingano «qualsiasi apertura verso interessi
diversi da quelli del borghese isolato ed egoista»33 e la necessità, invece, di recuperarne l’esigenza di fondo di rottura dell’arbitrio del
31 P.
WACHSMANN, Naturalisme et volontarisme dans la Déclaration, in Droits, 2,
1985, p. 20. L’Oberdorff (H. OBERDORFF, A propos de l’actualité juridique de la Déclaration de 1789, in Revue du Droit Public, 1989, p. 675) rileva inoltre come una lettura più
attenta della Dichiarazione mostri che se da un lato è certo possibile rinvenire una
grande fiducia nei confronti del legislatore, dall’altro l’esistenza stessa della Dichiarazione come principio superiore traduce anche una certa sfiducia nei confronti del legislatore che viene ad essere limitato anche da espressioni quali «la Loi n’a le droit de
défendre que les actions luisibles à la societé» oppure «la loi ne doit établir que…». Secondo l’autore l’ambiguità della Dichiarazione è più evidente di quanto si possa credere
ed il Conseil constitutionnel non ha fatto altro che porre fine a tale ambiguità.
32 J. RIVERO, Fin d’un absolutisme, in Le Conseil constitutionnel et les libertés, cit.,
p. 138.
33 L. CARLASSARE, La «Dichiarazione dei diritti» del 1789 e il suo valore attuale, in
AA.VV., Principi dell’89 e Costituzione democratica, a cura di L. CARLASSARE, Padova,
Cedam, 1991, p. 22.
MARIA GRAZIA RODOMONTE
173
potere, depurando la Dichiarazione dalle distorsioni imposte dalla
lettura liberale34.
Ecco che quindi, in questa chiave, l’attività di rilettura dei principi dell’89 svolta dal Conseil constitutionnel, di ricollocazione di
questi in un contesto nuovo e diverso da quello dell’individualismo
borghese – come esamineremo al paragrafo successivo – sia, in fin
dei conti, non solo giustificabile, ma al limite auspicabile in quanto
in grado di garantire l’attuazione, nel contesto dello Stato contemporaneo, di principi in realtà universali e aperti verso i nuovi confini
del sociale.
4.
Il diritto di proprietà e la libertà d’impresa: Conseil constitutionnel e Corte costituzionale italiana a confronto.
Non è possibile in questa sede ripercorrere l’ampia opera ricostruttiva del Conseil constitutionnel che, come abbiamo già evidenziato, a partire dagli anni ’70 ha quindi progressivamente condotto
alla definizione del bloc de constitutionnalité. Possiamo allora solo limitarci a riflettere brevemente su alcuni dei momenti più qualificanti
del percorso giurisprudenziale compiuto dal giudice costituzionale
francese. In particolare, sembra utile ricordare la costituzionalizzazione di alcuni diritti economici: la collocazione di alcuni fra questi
all’interno della Dichiarazione del 1789 rappresenta l’occasione forse
34 La
CARLASSARE, (Vedi op. ult. cit., passim), si riferisce in primo luogo al principio democratico. Secondo quanto stabilito dall’articolo 3 della Dichiarazione «le principe de toute souveraineté réside essentiellement dans la Nation. Nul corps, nul individu ne peut exercer d’autorité qui n’en emane expressement» indicando non solo l’origine ma l’appartenenza della sovranità nel popolo. Tuttavia – rileva l’autrice – «ciò che
trovò attuazione per quasi due secoli, non fu il principio della sovranità popolare, ma la
sua versione mistificata» (p. 13), che ponendo tutto l’accento sull’origine della sovranità,
ha finito con il sostituire «un generico concetto di rappresentatività» (p. 15) con quello
di democrazia. Allo stesso modo anche l’eguaglianza appare come un principio sostanzialmente negato che ha trovato applicazione solo dopo una riduzione quantitativa e
qualitativa di cui è difficile rinvenire il fondamento negli articoli delle Carte Rivoluzionarie. Al contrario, il principio d’eguaglianza affermato «nel primo articolo della Dichiarazione unitamente alla libertà contiene in germe l’idea della giustizia sociale sino
alle sue ultime possibili applicazioni». Vedi DEL VECCHIO, La Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino nella Rivoluzione francese, Genova, 1903, ora in Contributi alla
storia del pensiero filosofico e giuridico, cit. in L. CARLASSARE, cit., p. 22.
174
LA V REPUBBLICA FRANCESE
più idonea per riflettere sul ruolo delle Corti costituzionali quali interpreti.
Come si è poc’anzi ricordato l’attività del Conseil constitutionnel, in assenza di un catalogo di normes de référence completo ed
esaustivo, è indirizzata ad attualizzare il testo del 1789 – facendo sì
che la Dichiarazione possa essere infine non più solo sacré ma
protégé 35 – già a partire dagli anni ’7036 anche se è soprattutto a partire dagli anni ’80 che il testo di origine rivoluzionaria acquista un
ruolo centrale all’interno del bloc de constitutionnalité. In particolare, con la nota decisione del 16 gennaio 1982 sulle nazionalizzazioni il blocco di costituzionalità – come è stato a ragione sostenuto
– viene infatti «ricentrato» a vantaggio della Dichiarazione. La nota
decisione del giudice costituzionale, infatti, oltre ad aprire un ampio
dibattito sulla giustizia costituzionale – ove non sono certo assenti le
punte polemiche ed il riaffiorare del timore, mai veramente sopito,
di un gouvernement des juges – ha il merito di indicare con estrema
chiarezza, il carattere fondamentale37 della Dichiarazione tra le
35 B.
POULLAIN, La pratique française de la justice constitutionnelle, Paris, Economica, p. 81.
36 In questa fase, prima con la decisione del 19 giugno 1970 e poi con la più nota
decisione del 16 luglio 1971 con la quale viene definitivamente costituzionalizzato il
Preambolo, si apre la strada al riferimento esplicito alla Dichiarazione del 1789. Con la
decisione del 27 dicembre 1973 il Conseil si richiama infatti per la prima volta ad un articolo della Dichiarazione per sancire l’incostituzionalità di una legge relativa alla procedura fiscale di tassazione d’ufficio In questo caso è l’articolo 6 della Dichiarazione del
1789 che stabilisce l’eguaglianza di fronte alla legge ad essere violato. Secondo il giudice
costituzionale, la mancata previsione per i contribuenti maggiori della possibilità di contestare davanti al giudice l’aumento della tassazione d’ufficio, introduce infatti un elemento discriminatorio incompatibile con il principio richiamato.
37 L’affermazione infatti che il Preambolo della Costituzione del 1946 intenda unicamente completare i principi dell’89 con i nuovi principi particolarmente necessari ai
nostri tempi, non sembra lasciare alcun dubbio circa il peso da attribuirsi al testo rivoluzionario. Ma, quel che è più importante, il Conseil riconosce pieno valore costituzionale a tutti i principi enunciati nella Dichiarazione, sottolineando infatti che proprio ad
essi il popolo francese ha confermato in tre occasioni la propria adesione, rifiutando la
prima volta con il referendum del 5 maggio 1946 un progetto di Costituzione che si
apriva con una nuova Dichiarazione, ed approvando invece con la Costituzione del
1946 la riaffermazione «des droits et des libertés consacrés par la Déclaration de 1789»
e con la Costituzione del 1958 i diritti dell’uomo «tels qu’ils ont été définis par la Déclaration de 1789».
MARIA GRAZIA RODOMONTE
175
norme parametro utilizzate dal Conseil38 riconoscendo infatti ai principi presenti nel testo di origine rivoluzionaria, e tra questi quindi al
diritto di proprietà, «pieno valore costituzionale»39.
La decisione del 16 gennaio 1982 costituisce tuttavia un momento fondamentale nella giurisprudenza dell’Alta Istanza non solo
per il valore attribuito in termini quanto mai espliciti alla Dichiarazione, ma anche per la vicenda che essa affronta e che, come ha sottolineato Rivero40, finisce per oltrepassare il caso specifico e per riguardare infine la struttura stessa dell’economia e della società francese nel suo complesso. Di fronte alla maggioranza socialista, forte di
una duplice consacrazione popolare, il Conseil pone infatti l’esigenza
di salvaguardare la scelta che il popolo francese ha compiuto a più riprese, e cioè nel 1946 e nel 1958, a favore dei principi del 1789 e
dunque a favore di una Repubblica che, mettendo sullo stesso piano
il diritto di proprietà, la libertà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione non può trasformarsi in una Repubblica socialista. Una affermazione che assume un valore tanto più forte se paragonato a
quel programma elettorale della sinistra che fino a qualche mese
prima aveva delineato la necessità di un cambiamento del regime
della proprietà economica del Paese. Tuttavia, la proprietà che il
Conseil constitutionnel vuole difendere non è quella sacra ed inviolabile del 1789, poiché quell’idea di proprietà ha subito delle modificazioni delle quali bisogna tenere conto. Secondo il Conseil infatti
«le finalità e le condizioni di esercizio del diritto di proprietà hanno
subito un’evoluzione caratterizzata al tempo stesso da una notevole
estensione del suo campo di applicazione a degli ambiti individuali
nuovi e dalle limitazioni rese necessarie dall’interesse generale»41. Il
diritto di proprietà al quale il Conseil attribuisce valore costituzionale non può essere allora quello «sacro e inviolabile» presente nel
38 Quanto affermato dal Conseil constitutionnel permette così di superare la posizione di chi in dottrina aveva escluso il valore costituzionale di quei principi che non
riguardavano né i diritti dell’uomo, né la sovranità nazionale secondo quanto stabilito
dal Preambolo del ’58. In questo senso tra gli altri L. PHILIP, La valeur juridique de la
Déclaration des droits de l’homme et du citoyen du 26 août 1789 selon la jurisprudence du
Conseil constitutionnel, in Mélanges Kayser, t. II, p. 317.
39 Vedi dec. 132 DC del 16 gennaio 1982, considérant 16.
40 J. RIVERO, Ni lu, ni compris, in Le Conseil constitutionnel et les libertés, Paris,
Economica, 1984, p. 111.
41 Dec. 132 DC, cons. 16.
176
LA V REPUBBLICA FRANCESE
contesto rivoluzionario, ma, come sottolinea Dominique Rousseau,
deve trattarsi necessariamente del «diritto di proprietà odierno» che
«avendo integrato molti attacchi e amputazioni dal 1789, include necessariamente il diritto costituzionale di limitazioni legislative per ragioni di interesse generale»42. In sostanza dunque, al Conseil spetta il
compito di procedere alla sistematizzazione di tutte le modifiche che
hanno riguardato il diritto di proprietà intervenute nel corso del
tempo. Modifiche che hanno condotto ad attualizzare il diritto di
proprietà che ha ormai perso il connotato dell’assolutezza di stampo
rivoluzionario e liberale. Tuttavia, pur riconoscendo le mutate esigenze, il diritto di proprietà viene comunque preservato e ciò consente di applicare alle nazionalizzazioni le procedure e le garanzie
previste dall’art. 17 della Dichiarazione e quindi la necessità di un
«giusto e preventivo indennizzo». Spetta così al legislatore modellare
il diritto di proprietà decidendo in merito ad un’eventuale compressione di questo diritto, ma pur sempre entro i limiti che derivano dal
fatto di non poter svuotare di significato il diritto stesso; il che avverrebbe se venissero oltrepassati i confini che il Conseil traccia a
partire dal testo della Dichiarazione e individuati sia nell’interesse
generale delle limitazioni del diritto, che nella definizione di una indennità equa. Al Conseil spetta poi, in rapporto all’indenizzo, stabilire quale sia una limitazione sopportabile rispetto ad una ablatoria e
tale quindi da richiedere un intervento compensativo a favore del
proprietario43. Senza interferire allora con la scelta legislativa circa la
sussistenza del requisito della pubblica necessità di procedere ad
espropriazione, l’art. 17 diviene allora un limite che neanche la maggioranza politica può oltrepassare, rendendo quindi impossibile restringere l’ambito della proprietà privata a tal punto da trasformare
la società francese in un regime socialista.
La decisione del 16 gennaio 1982 è emblematica dunque dell’attività interpretativa svolta dal Conseil constitutionnel: il giudice
costituzionale, raccordando le esigenze del presente alla necessità di
42 D.
ROUSSEAU, Droit du contentieux, cit., p. 315.
un’analisi puntuale della giurisprudenza del Conseil si rinvia al classico L.
FAVOREAU, L. PHILIP, Les grandes décisions du Conseil constitutionnel, Dalloz, Paris,
2007. Si segnala inoltre la rassegna annuale di giurisprudenza del giudice francese a cura
di P. COSTANZO sulla rivista Giur. cost.
43 Per
MARIA GRAZIA RODOMONTE
177
non snaturare il senso del diritto di proprietà, consente l’applicazione del testo rivoluzionario senza che si debba stravolgere la regola
contenuta nella Dichiarazione. Il nucleo «duro» ed immutato del diritto è così salvaguardato ed il processo di attualizzazione del testo
può compiersi grazie ad un’applicazione estensiva della regola in essa
contenuta al nuovo contesto della società contemporanea44.
In Italia, a differenza di quanto avviene in Francia, la nostra
Corte costituzionale si trova di fronte ad un diritto di proprietà che
il costituente ha inteso disegnare in maniera ben diversa dal diritto di
proprietà ricavabile dalla Dichiarazione del 1789. In primo luogo, infatti, si osserva come la sua collocazione nell’ambito dei rapporti
economici segni già il passaggio ad un ambito diverso da quello dei
diritti inviolabili, il che appare evidentemente confermato anche dal
contenuto del diritto stesso quale si ricava dalla lettera dell’art. 42
Cost.45. A ben vedere non può che concordarsi con l’osservazione in
base alla quale il testo elaborato in assemblea costituente sia sicuramente scarno e tale da rinviare al legislatore futuro le decisioni in
44 A
seguito della decisione del 16 giugno 1982, il riferimento alla Dichiarazione
conosce un’espansione considerevole lungo tutto il corso degli anni ’80, periodo contrassegnato da ben tre alternanze al potere ed in cui il ricorso al Conseil da parte soprattutto della minoranza parlamentare, diviene proprio lo strumento di mediazione, attraverso il diritto, dello scontro politico. Il ricorso al Conseil subisce così un’accelerazione considerevole e dagli 8 casi di applicazione della Dichiarazione dal 1973 al 1980,
si passa a ben 48 casi dal 1989 al 1990. È quindi soprattutto in questa fase (ma anche
nel corso degli anni ’90 che sembrano confermare la tendenza del decennio precedente).
che il Conseil constitutionnel sviluppa maggiormente la sua giurisprudenza, costituzionalizzando una serie di diritti a partire proprio dal riferimento alla Dichiarazione del
1789. Tra questi ricordiamo in campo penale, il principio di legalità dei reati e delle
pene, stabilito dall’art. 7 della Dichiarazione; il principio della irretroattività della legge
penale e il principio della proporzionalità tra la gravità dell’infrazione e la gravità delle
pene, entrambi costituzionalizzati a partire dall’art. 8 della Dichiarazione del 1789. In
materia di libertà viene inoltre affermato, sulla base dell’articolo 11 della Dichiarazione
sulla libertà di manifestazione del pensiero, sia la libertà di stampa che la libertà di comunicazione audiovisiva. Il diritto di proprietà in particolare, stabilito sulla base degli
articoli 2 e 17 della Dichiarazione, dopo la decisione del 16 giugno 1982 viene richiamato in diverse altre pronunce che confermano la giurisprudenza precedente, la più
nota delle quali quella sulle privatizzazioni del 1986 nella quale sostanzialmente si conferma il precedente indirizzo giurisprudenziale del Conseil pur se muta l’angolatura
dalla quale si osserva il diritto.
45 Cfr. G. SALERNO, art. 42, in V. CRISAFULLI, L. PALADIN (a cura di), Commentario
breve alla Costituzione, Padova, Cedam, 1990, p. 297.
178
LA V REPUBBLICA FRANCESE
merito al contenuto del diritto46. La dottrina appare infatti concorde
nel ritenere che uno dei tratti sicuramente caratterizzanti l’art. 42
della Costituzione possa rinvenirsi proprio nell’ampia capacità
conformativa che viene riconosciuta al legislatore47. Tuttavia, la possibilità del legislatore ordinario di determinare il contenuto della
proprietà ed i suoi modi di acquisto sono finalizzati ad assicurare la
funzione sociale della proprietà e la necessità di renderla accessibile
a tutti. Il che implica, in sostanza, che al legislatore spetti certamente
il compito di sviluppare una puntuale disciplina della proprietà, ma
che tale rinvio al legislatore – pur consentendo svariate forme di intervento statale in materia di proprietà – non consenta tuttavia di
abolire la proprietà come genus, né di imporre dei limiti che finirebbero per annullarla sostanzialmente «facendo perdere significato
economico alla situazione proprietaria»48. Dunque, la proprietà non
è, per un verso – né può evidentemente esserlo nel contesto di uno
Stato sociale – un dominio assoluto ed illimitato, ma non è neanche
per questo collocata, con le altre libertà economiche «nel cono d’ombra del disvalore»49. Al contrario, le libertà economiche, pur non
partecipando della stessa intensità di compenetrazione con il valore
della persona umana che deve riconoscersi alle libertà personali,
«sono comunque declinabili nei termini di chance di espressione
della personalità e della capacità umana»50. In questa prospettiva,
dunque, alla Corte costituzionale spetta proprio il compito di tutelare il diritto di proprietà affermando il rispetto di tutti quei limiti e
vincoli di cui il legislatore deve tener conto nel proprio intervento.
Ciò in particolare riguarda la definizione delle ipotesi di espropriazione che richiedono un indenizzo, così come della qualificazione di
questo come equo.
Tenendo dunque conto di quanto affermato si potrebbe essere
indotti a ritenere che l’opera ermeneutica della nostra Corte non sia
46 ID.,
Ib.
per tutti A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali, Padova, Cedam,
1992, p. 457 e ss.; G. SALERNO, op. cit.; R. NANIA, Libertà economiche e libertà d’impresa, in R. NANIA, P. RIDOLA (a cura di), I diritti costituzionali, Torino, Giappichelli,
2001, p. 69 e ss.
48 Così G. SALERNO, cit.
49 R. NANIA, op. cit., p. 72.
50 ID., Ib.
47 Vedi
MARIA GRAZIA RODOMONTE
179
stata così ampia come quella che inevitabilmente è spettata al Conseil constitutionnel, impegnato nello sforzo di attualizzare il diritto di
proprietà originariamente riconosciuto nell’ambito della Dichiarazione dei diritti del 1789. La nostra Corte si trova in effetti di fronte
ad uno «schema» del diritto di proprietà già presente nel testo costituzionale: la collocazione della proprietà nei rapporti economici, la
funzionalizzazione sociale del diritto, la necessità che l’espropriazione avvenga per motivi d’interesse generale; schema che, per
quanto scarno, presenta però con chiarezza quei caratteri di cui si è
detto e che consentono alla Corte, senza molte difficoltà, di tracciare
un limite per l’intervento del legislatore nell’apposizione di vincoli al
diritto di proprietà. L’attività ricostruttiva della Corte, partendo
quindi da queste premesse, si compie invece soprattutto con riferimento all’individuazione delle ipotesi nelle quali i vincoli gravanti
sulla proprietà siano tali da richiedere indennizzo e nella misura dell’indenizzo stesso.
Per il Conseil, al contrario, non può non riconoscersi che lo
sforzo ermeneutico-ricostruttivo almeno inizialmente, sia certamente
superiore. Se si considera infatti che la base di partenza è data dalla
collocazione del diritto «inviolabile e sacro» – come viene definito
dall’art. 17 della Dichiarazione, assieme alla sicurezza e alla resistenza all’oppressione – secondo l’art. 2 del testo rivoluzionario, tra i
diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo, ci si avvede di quanta
strada sia stata percorsa da allora ad oggi, strada che ha portato a
modificare alcuni tratti fondamentali di quel diritto. Tuttavia lo
sforzo ricostruttivo compiuto dal giudice costituzionale francese non
deve essere, a nostro avviso, sopravvalutato.
Ciò per una serie di ragioni.
In primo luogo infatti, come si è già osservato, il Conseil non
crea alcunché di nuovo. Si tratta soltanto di far emergere e di sistematizzare ciò che nell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale successiva al testo del 1789 già esiste e cioè un diritto di proprietà che
può essere limitato in relazione agli interessi generali, senza che tuttavia tali limitazioni neghino il diritto stesso.
Inoltre, è indubbio che, più in generale, il regime della proprietà sia condizionato dall’evoluzione economica, cioè tale regime, e
quindi l’eventuale disegno costituzionale, non può risultare indiffe-
180
LA V REPUBBLICA FRANCESE
rente rispetto ad un’evoluzione economica che indubbiamente muta
il quadro di riferimento nel corso del tempo. La scrittura del testo
non può allora che risultare condizionata dalla situazione del momento in cui essa nasce, ma non per questo deve rimanere ancorata
all’occasione storica che l’ha prodotta, conducendo in questa prospettiva ad una lettura riduttiva del testo che, nel caso della Dichiarazione, indica nell’affermazione della sacralità ed assolutezza della
proprietà solo la volontà di affermare anche in questo campo l’antitesi ad ogni abuso di potere51 e che, in quel preciso momento storico,
si sostanzia nella volontà di cancellare i precedenti principi feudali e
in ogni caso qualunque altra inframmettenza nell’utilizzo dei beni52.
Ciononostante, già nel testo di origine rivoluzionaria non si esclude
che di questa libertà si possa venir privati se lo esige evidentemente
una «necessità pubblica» rimessa alla discrezionale valutazione del
legislatore e a condizione che il proprietario venga indennizzato.
Questo è quanto afferma il testo e ci sembra di poter ritenere che al
di là del contesto storico che ne è l’occasione, una volta depurato il
diritto del suo carattere sacro, già il testo stesso risulti sufficientemente elastico ed adattabile rispetto alle nuove esigenze dello Stato
sociale, permettendo in fondo al giudice costituzionale «di fare il suo
lavoro», di rileggere cioè dei principi sufficientemente elastici, ma
pur sempre attuali, alla luce di esigenze che sono destinate nel tempo
inevitabilmente a mutare.
Quanto affermato appare ancora più evidente nel caso della libertà d’impresa e delle altre libertà ad essa correlate, cioè la libertà
del commercio e dell’industria e la più recente libertà di concorrenza. In Francia manca in effetti un espresso riferimento a questo
complesso di libertà, ma la dottrina appare in questo caso concorde
nel ritenere che ciò non possa condurre ad escluderne l’esistenza. Secondo alcuni, peraltro, il mancato riferimento a tali libertà economiche all’interno della Dichiarazione del 1789 si spiega perché si tratterebbe, in realtà, di un riferimento del tutto superfluo dal momento
che la Francia liberale non può che riconoscere la libertà d’impresa
come elemento costitutivo del regime economico al quale la Francia
51 N.
BOBBIO, La Rivoluzione francese e i diritti dell’uomo, Camera dei deputati,
Roma, 1990, p. 31.
52 Cfr. G. SALERNO, op. cit., pp. 294-295.
MARIA GRAZIA RODOMONTE
181
aveva aderito53. Il giudice costituzionale francese partendo così da
quest’ «assenza» di espresso riconoscimento scritto nella decisione richiamata del 1982 ed a riprova della collocazione delle libertà menzionate nel contesto dello Stato liberale, lega la libertà d’impresa al
diritto di proprietà. Anche a questa libertà, infatti, viene riconosciuto, nella stessa occasione della decisione sulle nazionalizzazioni,
valore costituzionale sulla base dell’esile riferimento dell’art. 4 della
Dichiarazione dei diritti del 1789 secondo il quale «la libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri». Come dicevamo,
un riferimento sicuramente scarno, che non si riferisce direttamente
alla libertà d’impresa, ma che tuttavia consente al Conseil, a partire
da questa decisione, di costituzionalizzare la libertà d’impresa e di
delimitare le eventuali restrizioni a questa libertà. Non si tratta, infatti, come si è evidenziato, di una libertà illimitata, ma di una libertà
che per rimanere tale non tollera «restrizioni arbitrarie o abusive»,
contrarie come tali alle disposizioni della Dichiarazione dei diritti. Il
Conseil constitutionnel sarà nuovamente chiamato a pronunciarsi su
questa libertà che definisce «né generale né assoluta» e che «non può
esistere se non nell’ambito di una regolamentazione istituita dalla
legge»54. Infatti, si può osservare che, posti alcuni limiti che non
mancherà in effetti di far osservare anche in decisioni più recenti, la
definizione del contenuto del diritto spetta al legislatore.
Potremmo dire né più né meno di quanto avviene in Italia in cui
la Corte si trova davanti ad un articolo controverso, l’art. 41 Cost.,
anzi di fronte ad uno «fra quelli di più controversa interpretazione
nell’ambito di quelli compresi nel titolo relativo ai rapporti economici»55. Un articolo fortemente condizionato in effetti dal contesto
tutt’altro che favorevole, nell’ambito del costituzionalismo italiano del
secondo dopoguerra, al pieno dispiegamento delle libertà economiche ma che pure, come si è già osservato per il diritto di proprietà,
non consente di arrivare fino al punto di negare a tali libertà, compresa la libertà di iniziativa economica, ogni valore56. La Corte costi53 Vedi O. RAYMUNDE, La protezione del principio di libera concorrenza in Francia,
in L. MEZZETTI, Costituzione economica e libertà di concorrenza. Modelli europei a confronto, Torino, Giappichelli, 1994, pp. 128-129.
54 Decisione 141 DC del 27 luglio 1982.
55 G. SALERNO, art. 41 Cost. in V. CRISAFULLI, L. PALADIN, op. cit., p. 288.
56 Cfr. R. NANIA, op. cit., p. 72.
182
LA V REPUBBLICA FRANCESE
tuzionale è così chiamata a dare lettura di questo articolo negando
ogni interpretazione troppo radicale e in ogni caso, riempiendo di
contenuti alcune lacune garantistiche presenti anche in questa disposizione e che portano la Corte ad estendere l’istituto della riserva di
legge anche alla modalità di applicazione dell’utilità sociale quale
clausola limitativa della libertà d’iniziativa economica privata. La definizione dei limiti posti dall’utilità sociale viene però rimessa al legislatore dal momento che la Corte si limiterà a valutare la «ragionevolezza» delle scelte legislative senza entrare nel merito di queste, assecondando così quasi ogni limitazione del diritto di fronte agli interessi
pubblici di volta in volta individuati dal legislatore. L’ambigua formulazione della libertà di iniziativa economica si dimostra di fatto aperta
a diverse possibili letture consentendo il suo adattamento sia ad un
modello economico di tipo dirigistico, che si afferma in particolare in
Italia negli anni ’80; sia ad una vera e propria inversione di tendenza,
sulla spinta di una politica economica indirizzata, nella prospettiva
comunitaria, alla realizzazione di un’economia di mercato «aperta e in
libera concorrenza». Così il testo costituzionale, sicuramente controverso, ma altrettanto sicuramente caratterizzato da una serie di limiti
e vincoli rispetto alla libertà d’impresa, consente tuttavia una lettura
evolutiva, in grado di adattarsi al mutare dei tempi che – bisogna riconoscere – sono fortemente mutati e piuttosto lontani da quel dirigismo economico che, affermatosi negli anni ’80, ben poco sembra
avere a che fare con la progressiva affermazione della concorrenza
quale principio cardine del sistema economico comunitario, in grado
quest’ultimo, tuttavia, di operare una vera e propria torsione interpretativa dell’art. 41 Cost. da molti ritenuta tutt’altro che incompatibile con il testo stesso57. Sotto l’influsso dunque, dell’economia di
mercato e in libera concorrenza dell’Unione Europea, si può quindi
riconoscere che la lettura del testo costituzionale abbia conosciuto
un’indubbia evoluzione resa possibile dal fatto che – almeno secondo
alcuni58 – le previsioni dell’art. 41 Cost. risultano sufficientemente
elastiche da potersi adattare, in fatto d’impresa, tanto ad un regime
57 ID.,
pp. 84-85.
ritiene necessario invece procedere anche su questo aspetto ad una revisione della Costituzione è A. CHIAPPETTI, La Costituzione ritrovata, Torino, Giappichelli,
2008, p. 75 e ss.
58 Chi
MARIA GRAZIA RODOMONTE
183
dirigistico che ad una realtà economica in cui il principio cardine è la
libera concorrenza.
Dunque, potremmo affermare che, per un verso, l’attività ricostruttiva del Conseil appare indubbia quando riconosce sia la libertà,
più antica, del commercio e dell’industria, sia le più moderne libertà
d’impresa e la libertà della concorrenza59. Ma non si può mancare di
osservare come le due Corti compiano un percorso comune. Anche
in Francia prevale fino al 1986 un chiaro dirigismo economico,
aprendosi poi alla libera concorrenza proprio dopo questa data con
la liberalizzazione dei prezzi. Dove attinge dunque il Conseil al fine
di ricostruire la libertà d’impresa così come la libertà di concorrenza? L’assenza di un testo scritto di rango costituzionale potrebbe
forse condurre a ritenere che in questo Paese occidentale, con un’economia di mercato, che è uno dei Paesi fondatori della CECA, l’assenza di un espresso riferimento scritto possa condurre a negare la libertà di concorrenza o d’impresa? O, piuttosto, come ci sembra più
ragionevole, esiste comunque una Costituzione «materiale» che vive
anche al di là dei testi scritti e che al Conseil non compete altro che
disvelare e definirne i confini?
5.
Valore del Preambolo e creatività del Conseil constitutionnel.
Il rapido excursus sin qui svolto sull’evoluzione giurisprudenziale compiuta dal Conseil constitutionnel in tema di difesa di diritti
e di libertà, in particolare con riferimento ai diritti economici, in
comparazione a quella del nostro giudice costituzionale consente
dunque di sviluppare alcune brevi riflessioni.
In primo luogo, appare evidente come l’attività interpretativa
delle Corti sia in ogni caso condizionata dalla differente scrittura
della Costituzione rispetto a qualunque altro testo normativo. È indubbio infatti che questa sia caratterizzata dalla sua open texture,
conseguenza del fatto che al suo interno sono trasfusi i valori di un
gruppo sociale, trasformati in principi sufficientemente elastici e tali
da potersi adattare all’evolvere ed al mutare nel tempo delle esigenze
politiche, sociali, economiche ecc… di quel gruppo.
59 Cfr.
P. CALSON, P. IDOUX, Droit public économique, Paris, LGDJ, 2008, p. 55 e ss.
184
LA V REPUBBLICA FRANCESE
In secondo luogo, nell’interpretazione dei testi costituzionali appare evidente come, in ogni caso, non sia oggi più possibile prescindere, dalla comune appartenenza ad un contesto europeo che postula il riconoscimento di alcuni principi che finiscono con l’orientare l’azione degli interpreti nazionali, accomunando così, oggi, sotto
una nuova matrice culturale tutte le Corti costituzionali europee.
Infine, nel raffronto tra l’evoluzione e il ruolo del giudice costituzionale francese rispetto a quello italiano emerge con chiarezza il
ruolo assolto dalla radicata tradizione francese dei diritti che affonda
le sue radici nella Rivoluzione e che rappresenta la comune matrice
identitaria, anche al di là dei testi scritti; cosa che, con ogni probabilità, ha consentito di supplire all’incertezza del testo scritto, rappresentando per il Conseil constitutionnel, al tempo stesso, il riferimento per l’affermazione di un complesso di diritti costituzionalmente garantiti e l’argine alla sua attività creativa.
Con riferimento in particolare a quest’ultimo aspetto è evidente
come il Conseil, superata la fase iniziale in cui il controllo del legislatore è più spesso operato senza alcun esplicito riferimento ad un
testo scritto, si rivolga ormai, proprio attraverso l’interpretazione del
testo di origine rivoluzionaria, a «trarre tutte le implicazioni dalle regole o principi di valore costituzionale»60 contenute nella Dichiarazione, sia adattandone le norme alle nuove esigenze poste dalla società attuale, sia facendo derivare, soprattutto dai principi più generali, regole che, pur non figurando in maniera esplicita nel testo,
possono però considerarsi in esso contenute61.
Il Preambolo ha dunque assolto un ruolo determinante nell’affermarsi di un compiuto Stato costituzionale in Francia. Solo grazie
alle sue disposizioni di principio – che richiamano valori comuni sia
nell’identificazione del patrimonio rivoluzionario e repubblicano
della Francia odierna, sia nell’appello a quelle esigenze, storicamente
più recenti, di solidarietà sociale – è divenuto possibile affermare ormai compiutamente i diritti individuali anche in un Paese per lungo
tempo ostile a qualunque forma di controllo del legislatore sovrano.
L’approdo verso la garanzia costituzionale dei diritti e delle libertà ha
60 Vedi
«Revue Française de Droit Administratif», 1990, p. 322.
Y. AGUILA, Le Conseil constitutionnel et la philosophie du droit, Paris,
LGDJ, 1993, p. 68.
61 Vedi
MARIA GRAZIA RODOMONTE
185
certo richiesto al Conseil constitutionnel uno sforzo ermeneutico notevole che si è rivelato fondamentale per rinsaldare quella trama di
valori che, già presente nel Preambolo, appare oggi tuttavia, proprio
grazie all’attività del giudice costituzionale, più chiaramente posta
alla base della convivenza sociale e politica del Paese.
Lo strumento interpretativo ha quindi rappresentato un indispensabile elemento nell’attività di riscoperta e di attuazione dei valori costituzionali: la stratificazione tra esigenze spesso contrastanti,
l’elaborazione dei testi in epoche diverse, l’assenza di un progetto
unificante, hanno richiesto infatti da parte del Conseil la ricerca,
spesso proprio tra le «pieghe» del testo costituzionale62, di tutte le
possibili implicazioni in grado di ampliare la sfera dei diritti e delle
libertà costituzionalmente protetti, utilizzando così appieno tutte le
possibilità offerte dallo strumento interpretativo. Quella che è ad alcuni apparsa quale una vocazione più «formalista» rispetto al primo
decennio di attività, dettata anche dalla necessità di affermare un
62 È proprio Pace (A. PACE, Diritti «fondamentali» al di là della Costituzione?, in
Pol. dir., 1, 193, p. 7) a ritenere che sia possibile dare risposta a tutte le mutevoli esigenze della società contemporanea rinvenendole proprio «nelle pieghe dell’articolato
costituzionale» e «saggiando tutte le possibili virtualità interpretative insite nelle disposizioni costituzionali» stesse. Anche se oggi la Costituzione è sempre più una «tavola di
valori», l’aggancio al dato testuale risulta quindi utile. Sembra infatti corretto affermare
che se «il dato testuale si mostra sempre ricco di significati diversi tra loro e talvolta
contrastanti, è pur innegabile che, se non altro, esso limita un certo campo di possibilità
interpretative, vasto ma finito, precludendo eccessi che si rivelano sempre inopportuni».
(Vedi F. RIMOLI, Costituzione rigida, potere di revisione e interpretazione per valori, in
Giur. cost., 1992, p. 3788). E questo proprio perché i valori non si sovrappongono in
realtà alla Costituzione ma, come ritiene il Baldassarre, è ciascuna norma costituzionale
che consiste «in una particolare gerarchia di valori relativa ad una determinata materia».
A. BALDASSARRE, Costituzione e teoria dei valori, in Pol. dir., 4, 1991, p. 658. Sul tema dei
valori vedi tra glia altri anche A. CERRI, Il «principio» come fattore di orientamento interpretativo e come valore «privilegiato»: spunti ed ipotesi per una distinzione, in Giur.
cost., 1987, p. 1807-1830; M. LUCIANI, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori, in
R. ROMBOLI (a cura di), La giustizia costituzionale a una svolta, Torino, Giappichelli,
1991; F. RIMOLI, Costituzione rigida, potere di revisione e interpretazione per valori, in
Giur. cost., 1992, p. 3712-3789; S. BASILE, «Valori superiori», principi costituzionali fondamentali ed esigenze primarie, in Giur. cost., 3, 1993, p. 2201-2258; F. BILANCIA, Emergenza, interpretazione per valori e certezza del diritto, in Giur. cost., 4, 1993, p. 30073042; M. DOGLIANI, Il «posto del diritto costituzionale», in Giur. cost., 1993; F. MODUGNO, Interpretazione costituzionale e interpretazione per valori, in Costituzionalismo.it
(8.7.2005); A. PACE, Interpretazione costituzionale e interpretazione per valori, in costituzionalismo.it (11.7.2006).
186
LA V REPUBBLICA FRANCESE
controllo di costituzionalità in un sistema ancora poco incline ad accettare la limitazione del potere politico da parte del giudice, non
deve allora condurre a sottovalutare il fatto che l’organo goda comunque di un ampio margine di discrezionalità nell’interpretazione
del Preambolo e in particolare della Dichiarazione dei diritti63. Una
discrezionalità che può infatti affermarsi soprattutto quando è posto
di fronte a principi caratterizzati da una formulazione estremamente
generica, ma che non è comunque assente anche laddove si tratti, più
semplicemente, di ridare vita e forza normativa al testo di origine rivoluzionaria. Se non si può infatti negare che, riducendo il riferimento ad elementi normativi prodotti ex nihilo, il Conseil constitutionnel abbia certo semplificato e reso maggiormente intelligibile il
quadro di riferimento, rivendicando così una maggiore credibilità al
proprio intervento, d’altro canto ciò non ha eliminato lo spazio lasciato alla sua attività che, nell’attualizzazione dei principi dell’89
come nell’utilizzo degli objectifs, delle «finalità» della legge e della
stessa ragionevolezza, consentono di recuperare un ampio margine
di manovra in grado di adattare i diritti alle esigenze di una società
in evoluzione, delimitando «dall’alto il lavoro legislativo orientando
preventivamente dei conflitti d’interesse globali»64.
Il notevole sviluppo giurisprudenziale del Conseil constitutionnel rappresenta dunque un dato innegabile. Tuttavia riteniamo di
poter affermare che esso non abbia condotto, come al contrario alcuni ritengono65, a cancellare o a sovrapporre al testo scritto un bloc
de constitutionnalité frutto esclusivamente di una libera creazione
giurisprudenziale da parte del giudice costituzionale. Se applicare la
norma vuol dire necessariamente interpretarla, oggi appare ormai
maggioritaria in dottrina l’idea la quale cui ogni attività interpretativa
63 È
indubbio quindi che i diritti dell’89, utilizzati in una prospettiva dinamica
che tenta di farne derivare tutte le possibili implicazioni, costituiscono certo uno spazio
aperto alla creazione di nuovi diritti. È proprio per tale ragione che – come sottolinea la
Carlassare – il documento rivoluzionario non ha certo finito «di produrre tutti i suoi
frutti» ma «è ancora in grado di dar luogo al riconoscimento di diritti quando le circostanze politiche, giuridiche, intellettuali e sociali lo consentiranno». Cfr. L. CARLASSARE,
La «Dichiarazione dei diritti» del 1789 ed il suo valore attuale, in Principi dell’89 e Costituzione democratica, a cura di L. Carlassare, Padova, Cedam, 1991, p. 40.
64 B. FAURE, op. cit., p. 67.
65 In questo senso in particolare D. ROUSSEAU, Une rèsurrection: la notion de
Constitution, in Revue du Droit public, 1990, p. 15 ss.
MARIA GRAZIA RODOMONTE
187
sia per ciò stesso anche creativa66 e ciò risulta tanto più vero per il
Conseil che attualizzando e bilanciando i principi contenuti nel
Preambolo ha certo compiuto un’operazione dinamica, tesa cioè a
collegare le proclamazioni teoriche all’effettivo radicamento dei valori nella comunità sociale, lasciando così emergere tutte le potenzialità espansive e la capacità di adattamento ai mutamenti storici di un
testo «universale» quale è la Dichiarazione del 1789. È indubbio che
il Conseil, nato in realtà per assicurare il rispetto della nuova ripartizione di competenze tra Governo e Parlamento creata nel 1958, si sia
mosso nelle prime fasi in maniera spesso discontinua, spingendosi
talvolta fino al punto di mostrare un’eccessiva autonomia rispetto al
testo scritto, in altri casi fin troppo attento a conservare saldamente
una legittimazione certo difficile, certamente mai scontata, nel contesto istituzionale e politico francese.
Gli indirizzi giurisprudenziali del Conseil appaiono oggi, in ogni
caso, sufficientemente consolidati. Il che implica, pur non escludendosi la possibilità di un’evoluzione giurisprudenziale, che l’intervento
del Conseil sia generalmente ispirato a saggezza ed equilibrio e che,
conseguentemente, l’ampliamento della sfera di garanzia dei diritti
non sia caratterizzato da brusche modifiche e fratture repentine e inaspettate, ma possa piuttosto definirsi come un continuum, certamente
dinamico ed aperto all’evoluzione, ma pur sempre organico. Tale caratteristica contribuisce così a circondare di certezza l’attività di con66 Anche in Italia è ormai superata la polemica degli anni ’50 che ha visto contrapporsi Ascarelli e Carnelutti. È infatti uscita vincente la posizione del primo per cui la
norma vive nella sua concretezza solo nel momento in cui viene applicata. La norma non
esiste quindi nel testo come aveva ritenuto il Carnelutti, il diritto positivo non può essere
visto cioè come una realtà per se compiuta in tutto preesistente rispetto alle operazioni
interpretative ed applicative. (Vedi L. PALADIN, Le fonti del diritto, Bologna, Il Mulino,
1996, p. 101. Vedi inoltre A. PUGIOTTO, Sindacato di costituzionalità e diritto vivente, Milano, Giuffrè, 1994). È per questa ragione allora che, come afferma l’Angiolini, «Il diritto
può essere sempre non-opinabile, purché non si voglia interpretarlo o applicarlo» ma «se
si vuole darne interpretazione ed applicazione… il diritto medesimo non può che essere
opinabile» (V. ANGIOLINI, Libertà costituzionali e libertà della giurisprudenza, in AA.VV.,
Libertà e giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, 1992, p. 22). L’interpretazione del diritto è dunque fonte di incertezza, ma non per questo deve trattarsi di un’attività che faccia a meno del testo scritto. Sui problemi connessi all’attività interpretativa
vedi inoltre L. GIANFORMAGGIO, L’interpretazione della Costituzione tra applicazione di
regole ed argomentazione basata su principi, in Riv. int. fil. dir., 1985, p. 65 ss.; Ibidem,
G. ZACCARIA, Dimensioni dell’ermeneutica e interpretazione giuridica, p. 362 ss.
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LA V REPUBBLICA FRANCESE
trollo della costituzionalità sulla base del Preambolo che, come l’analisi della giurisprudenza del Conseil mostra, è stato quindi «integrato,
arricchito (e) vivificato»67, certo non «annientato», dall’attività interpretativa del giudice costituzionale, che ne ha fatto al contrario la
base di partenza di ogni ulteriore sviluppo giurisprudenziale68.
L’attività interpretativa del Conseil, lungi allora dall’essere
espressione di un’autonoma e libera creazione di nuovi ed inaspettati
vincoli per il potere politico, appare non solo generalmente caratterizzata da equilibrio e saggezza ma ha consentito invero la realizzazione più completa dei principi contenuti nel Preambolo, riaffermando e rinsaldando quella trama di valori che rappresenta il «tessuto connettivo» dell’intero sistema politico francese. Il Preambolo,
a sua volta, disomogeneo, ma certo carico di significati, è così progressivamente divenuto un «nucleo forte» della Costituzione in
grado di estendersi oggi in ogni ramo del diritto.
Se questa è dunque l’evoluzione, qui tracciata a grandi linee,
della giurisprudenza del giudice costituzionale francese, si può tentare a questo punto di dare una risposta all’interrogativo che ci eravamo posti inizialmente circa il più o meno ampio ruolo creativo
delle Corti in rapporto ad un parametro costituzionale più o meno
stringente. Non si ha evidentemente la pretesa di fornire risposte definitive in merito ad una questione che coinvolge la stessa teoria della
Costituzione, ma semplicemente di offrire degli spunti per una riflessione ben più ampia, fotografando alcuni frammenti di una realtà
certamente complessa.
Ora, è indubbio quindi che anche attraverso l’attività del Conseil di definizione del bloc de constitutionnalité si sia affermata in
Francia un’idea di Costituzione per così dire «aperta». Al di là della
Costituzione formale e scritta esiste infatti un insieme normativo che
67 In senso opposto L. CARLASSARE, in V. ANGIOLINI (a cura di), Libertà e giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli, p. 8.
68 In questo senso anche il LUCHAIRE, Discussion, in Le Conseil constitutionnel et
les partis politiques, op. cit., p. 86, secondo il quale, riferendosi all’immagine di Favoreu
del bloc de constitutionnalité come una sorta di muro, sottolinea proprio come questo
muro preesista in realtà alle decisioni del Conseil che lo deve scoprire ma non creare. E
quindi «se le Conseil a bien mis en lumière le mur, il a ouvert aussi et il ouvre constantement des portes immenses car les normes de référence servent aussi très souvent à justifier des textes législatifs malgré un certain nombre de principes ou des droits et des
libertés reconnus par la Déclaration».
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è la Costituzione vivente e che è in parte – ma non solo – frutto di
una elaborazione giurisprudenziale svolta ad opera del giudice costituzionale, come si è avuto già modo di sottolineare.
Tuttavia, tale constatazione non vale a porre distanze insormontabili rispetto ad altre esperienze costituzionali, quali ad esempio
quella italiana alla quale si è qui fatto riferimento, quanto piuttosto
ad individuare nuovi punti di contatto.
Anche nel caso della Costituzione italiana, e non solo per la sua
prima parte ma anche per la seconda, autorevole dottrina ritiene infatti che «la Costituzione che oggi utilizziamo è fatta di disposizioni
scritte, delle relative scelte ermeneutiche, dei regolamenti parlamentari e delle leggi ordinarie che hanno concretato le scelte delle
assemblee legislative, delle elaborazioni concettuali che vi si sono sovrapposte, delle convenzioni e prassi poste in essere dagli organi governanti, dalla giurisprudenza spesso additiva e certamente innovativa della Corte costituzionale»69. Gli esempi ai quali ci siamo sopra
riferiti, per quanto evidentemente esigui, mostrano, infatti, come sia
per il giudice costituzionale francese che per quello italiano il parametro costituzionale sia un documento aperto, non lo stesso una
volta per sempre, ma destinato a modellarsi di fronte a nuove esigenze interpretative, pur rimanendo fermi alcuni limiti fondamentali
espressi dal testo.
In definitiva, allora, la creatività del Conseil sembra così non essere di gran lunga superiore a quella mostrata in questi anni anche
dal giudice costituzionale italiano che attraverso manipolazioni, addizioni e bilanciamenti non è certo risultato esente da una più che
evidente riscrittura del testo costituzionale. Tutto questo senza dimenticare che il parametro costituzionale non è solo il testo e la sua
interpretazione giudiziale, per quanto creativa, ma si riempie di significati, come appare particolarmente evidente nel caso della Costituzione economica, anche in relazione alle scelte di volta in volta
operate dal legislatore, creando così una trama in cui il giudice costituzionale è, assieme ad altri interpreti, solo uno degli attori, anche se
uno dei principali, ma non certo l’unico.
69S. BARTOLE, Interpretazioni e trasformazioni della Costituzione repubblicana, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 445.