Progetto Rorschach A n onim A Scrittori

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Progetto Rorschach A n onim A Scrittori
Numero 3
Progetto
Rorschach
Scrittori
A n onim A
WWW.ANONIMASCRITTORI.IT
i Racconti di Marzo
Sommario
Massimiliano Lanzidei
2
Carlo Miccio
3
Graziano Lanzidei
7
Il Progetto è semplice.
Si chiama Rorschach come le figurine
che gli psichiatri usano per entrarti
dentro la testa, perché il metodo è
quello.
Piermario De Dominicis
12
Rita Debora Toti
13
Angelo Zabaglio
13
Euridice
14
Emiliano Vitelli
17
Fernando Bassoli
20
Si prende un’immagine e si racconta
quello che viene in mente, a ruota libera,
di getto o riflettendo, correggendo e
vivisezionando.
Fabio Mazza
21
Nient’altro.
Francois De Gerard
23
Ci sono 12 immagini in cantiere e un
mese di tempo ognuna per raccontare…
Rorschach 2004 / Marzo
A n o nimA
scrittori
Anonima Scrittori è un
l a b o r a t o r i o i n c ui s i
c o n d u c o n o e s p er i m e n ti
letterari.
I vari progetti cui stiamo
dando vita hanno il fine di
liberare energie creative.
Stimolarci a uscire da quella
pigrizia mentale che a volte ci
impedisce di sederci davanti a
una pagina bianca con una
penna in mano.
I progetti di Anonima Scrittori
si basano essenzialmente su
una serie di vincoli: temporali,
di lunghezza, di ispirazione …
nella consapevolezza che il
concetto di limite, lungi
dall’inibire la creatività, può
esserne stimolo e opportunità.
D’altronde: cosa c’è di meglio
dall’approssimarsi di una
scadenza per spronarci a
terminare un lavoro?
Un’idea.
La pagina bianca.
La sfida.
C r e dits
Progetto
Rorschach
Disegni:
Rorschach è
progetto di
Scrittori.
E’ partito
2004.
nel
il primo
Anonima
Gennaio
Ai cinque partecipanti al
progetto (i cosiddetti
“ r e s i de nt i ” ) è s t a t o
consegnato un disegno, la
macchia: hanno un mese di
tempo per scrivere un
racconto, una poesia, un
saggio o qualsiasi altra
cosa venga loro in mente
ispirandosi a quel disegno.
Alla fine del mese dovranno
consegnare
i
loro
manoscritti che verranno
pubblicati sul sito ed in
forma
cartacea
e
riceveranno un’altra
macchia.
Cristina Govi
Scrittori residenti:
Piermario De Dominicis
Graziano Lanzidei
Massimiliano Lanzidei
Carlo Miccio
Rita Debora Toti
Scrittori Fuori Quota:
Barbara Amerio
Sara Di Trapano
Angelo Zabaglio
D o v e trovarci
www.anonimascrittori.it
[email protected]
Anonima in Rete:
Chiunque voglia inviare
lavori basati sulle nostre
macchie
può
farlo
attraverso il sito o l’email
[email protected] e i
contributi entreranno a far
parte della sezione Fuori
Quota.
Riccardo Lanzidei
Versione cartacea:
Libreria “Le Nuvole” - Galleria
Pennacchi—Latina
Libreria “Come un Romanzo” Via don Morosini—Latina
Pub “Heaven” - Piazza Santa
Maria Goretti—Latina
Pub Solentiname—Lungomare
Vittorio Emanuele II, 13—
Sanremo
Pagina 2
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach / Marzo
Solo un’altra storia
d’amore di Massimiliano
Lanzidei
L’ultima cosa che vidi prima di
svenire fu il maledetto tulipano.
E quella maledetta pianta grassa
che mi ondeggiava davanti allo
sguardo velato di sangue.
Paesaggio livido e sanguigno
sullo sfondo delle mie percezioni
retiniche.
Poi il buio.
Quando mi risvegliai mi resi
conto di aver sognato orrendi
mostri striscianti. Dinosauri
repellenti dotati di lingue
sibilanti e corpacci umidi e
viscidi.
Vomitai sul tavolo.
La cameriera fece un cenno
all’uomo dietro al bancone che
mi afferrò per il colletto della
camicia, mi sollevò di peso e mi
accompagno fino all’uscita del
pub.
L’aria fresca mi fece subito bene.
Ruttai.
Il barista mi scaraventò contro
un bidone della spazzatura dove
rimasi afflosciato ad aspettare
che l’entrata del bar smettesse di
ruotarmi davanti agli occhi.
Quando l’ondeggìo si fu quasi
stabilizzato vidi uscire la
cameriera con in mano
un’inverosimile quantità di carta
accartocciata che intuii fosse
servita alla pulizia del tavolo che
avevo imbrattato.
Buttò tutto nel bidone. Il
coperchio risuonò plastico e
metallico allo stesso tempo nella
mia testa.
Mi alzai e mi sporsi quasi per
intero all’interno del secchione e
frugai a tentoni finché non
raggiunsi l’involto umido. Sorrisi
quando le mie dita
rintracciarono il tulipano ancora
quasi intatto. Era solo
leggermente storto.
Lo annusai...
NU M E R O 3
Lo osservai in controluce, poi lo
addentai. Sulla corolla:
strappando a metà tutti i petali:
li sentii scricchiolare tra i denti e
freddi sulla lingua.
Poi li sputai a terra.
Mi guardai intorno, respirai a
fondo e risi.
- Cazzo, - disse soddisfatto
allontanandosi dalla scrivania
mentre rileggeva le ultime righe
sul monitor del computer, cazzo, questo sì che è un finale
come si deve...
E così la fine c’era: adesso
toccava all’inizio.
Si riavvicinò alla tastiera del
portatile.
“Ero solo quella sera in quel
cazzo di pub: m’avevano rimasto
solo quei quattro cornuti: e
quella ragazza l’avevo già notata
qualche volta: quando si alzò per
venire dalla mia parte ebbi una
sensazione di già visto.
- Ciao, - mi disse,- questa è per
te – porgendomi un foglio di
carta e uscendo dal locale
seguita dal mio sguardo a pesce
bollito.
Era una poesia intitolata Il
tulipano narcisista. Era la prima
volta che qualcuno scriveva
qualcosa per me.”
Così era fatta: c’era l’inizio, c’era
la fine: a chi poteva interessare
tutto quello che sarebbe
successo in mezzo?
...dedicato a Serena, vera Musa
ispiratrice.
Explicit Lyrics
ovvero della percezione di se
stessi attraverso le parole del
proprio oggetto d’amore
sala è corredata di una quindicina di
tavoli, una televisione che nessuno
guarda sintonizzata sulla CNN, ed un
acquario che corre lungo tutta una
parete, luminoso e curato nei minimi
dettagli. Pesci multicolori si aggirano tra
piante marine e rocce effervescenti,
l’acqua è pulitissima e la temperatura
interna indica 29°. La sala è mezza
vuota, o mezza piena se preferite, una
famigliola radical-chic, un paio di
coppiette e una squadra di calcetto
femminile al termine dell’allenamento.
Su un tavolo adiacente all’acquario,
totalmente soggiogata dal movimento
dei pesci dentro l’aquario, siede una
ragazza sui trent’anni, completamente
sola, con la borsetta appoggiata sulla
sedia accanto. Davanti a se una
scodellina di aperitivo cinese al ginepro,
praticamente intonsa. La gente si
domanda distrattamente cosa faccia una
donna sola davanti ad un acquario così
grande, e lo stesso fa lo staff in idoma
mandarino, lanciando sguardi distratti ai
sottotitoli in inglese della CNN. Lei
avverte la curiosità dei presenti, ma non
se ne cura e continua ad osservare i
pesci. Che a loro volta si sentono
osservati e si avvicinano al vetro per
fissarla intensamente negli occhi. La
ragazza a volte ride di gusto alle
espressioni dei pesci, ma cerca di non
darlo a vedere.
Un giovane vestito da impiegato
ministeriale entra nel ristorante, guarda
la donna sola assorta nell’aquario, e
sorride divertito avvicinandosi al tavolo.
Lei si accorge della presenza di lui e si
volta. Lui si abbassa a baciarla sul collo.
COLPO DI SCENA : la donna non è
sola, era soltanto in attesa del cavaliere.
La folla mormoreggia un po’, e una
cameriera cinese in divisa si avvicina
con una secondo aperitivo al ginepro.
Lui si siede sulla sedia di fronte a lei,
l’acquario posizionato di fianco ad
entrambi, ora. Tra di loro, un vaso
cinese con dentro 3 (tre) tulipani di
plastica arancione. Nel vaso c’è acqua
vera, ma i fiori sono comunque di
plastica.
di Carlo Miccio
“Come è andata la giornata?”
domanda lei raccogliendo il menù porto
dall’inserviente cinese.
Interno sera, ristorante cinese, una folla
di inservienti in divisa scorrazzano fra i
tavoli riempiendo la sala di fonemi
cinesi incomprensibili alla clientela. La
“Una chiavica…”mormora lui
scrollando le spalle e fissando un punto
inesistente nella trama della tovaglia.
Pagina 3
Rorschach 2004 / Marzo
“Perché una chiavica?” incalza lei, con
un tono reso ancora allegro
dall’espressione dei pesci nell’acquario
da solo 4 mesi e si fa capire bene in
Italiano vuol dire che è una donna
intelligente….”
“Margaret mi ha fatto un
megacazziatone oggi…’sta grandissima
stronza inglese che non è altro….”
Lui la fulmina con occhi di bragia, e per
un attimo tra i due galleggia un silenzio
sospeso carico di dubbi. “Mi fa sedere
nel suo ufficio – riprende lui – e mi dice
che è successa una cosa moooooolto
spiacevole. E mi ricorda che la visione
di materiale pornografico durante
l’orario di lavoro è strictly forbidden,
fermamente proibita.”
“Margaret la nuova direttrice del
personale, quella di Londra?”
Lui non risponde, semplicemente si
limita a scuotere la testa in segno
d’assenso.
“Mi avevi detto che era carina, una
donna piacente e ben vestita , per essere
un inglese…”
Lui solleva il capo dalla tovaglia:
“Adesso che c’entra che sia una donna
piacente? Comunque è una stronza
puritana del cazzo” sibila via con rabbia
“Puritana? – chiede lei – Puttana o
puritana, insomma?”
“Non ho detto puttana – alza la voce lui
– ho detto stronza- puritana- del
cazzo!” Ormai il suo nervosismo è fin
troppo evidente.
In quel momento arriva la cameriera a
prendere gli ordini: i due elencano nomi
cinesi incomprensibili con la sicurezza
che solo l’abitudine può dare. La
cameriera sorride e si allontana.
“Insomma, mi dici che è successo?”
domanda lei, allungando la mano sul
tavolo per accarezzare la mano di lui.
“E’ successo che verso le tre, appena
rientrati dal pranzo, passa Marisa e mi
dice che la Capa vuole vedermi. Io vado
in ufficio convinto che volesse parlarmi
di quel lavoro a Trieste, invece appena
entro la guardo in faccia e capisco che
è incazzatissima. Mi dice di sedermi e
poi inizia a parlare.”
“In italiano o in inglese?” domanda lei,
e la domanda lo fa alterare ancora di
più:
“Ma che cazzo te ne frega in italiano o
in inglese, non mi ricordo neanche
più…..”
“Ma parla bene l’italiano Margaret?”
“Si insomma, direi di si, con me parla
sempre mezza e mezza, inizia la frase in
Italiano e poi la finisce in Inglese…ma
comunque, non è importante….”
“Si che è importante -dice lei – se è qui
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“Pornografia? Quale pornografia?” la
voce di lei adesso è attenta e totalmente
calata nella narrazione di lui. Ha
staccato la mano da quella del consorte
e gingilla nervosamente con il gambo di
uno dei tulipani di plastica arancione.
“E, appunto, anch’io le ho chiesto:
quale pornografia? E lo sai che mi
risponde questa deficiente
anglosassone? Mi dice che è stato fatto
un controllo random nei computer della
rete aziendale e che nel mio avevano
trovato materiale pornografico..”
“COSA!!!!” strilla lei, il tono della voce
così alto da raggiungere gli altri tavoli,
mentre la cameriera si avvicina con un
vassoio di involtini primavera e relative
salse. Sullo sfondo, la CNN sta
trasmettendo le immagini di ragazzini
palestinesi che prendono a sassate un
carroarmato dell’esercito israeliano.
Sotto le immagini una scritta veloce di
cui si percepisce soltanto la parola
progress. La cameriera si allontana
augurando buon appettito.
“Cosa???Pornografia??Nel tuo
computer in ufficio??? Ma che sei
matto???” adesso il tono della voce di
lei era leggermente ansioso, si respirava
nel suo alito la confusione che
avvolgeva ogni suo pensiero.Lui la
guarda noncurante, anzi quasi offeso:
“Ti hanno licenziato?” domanda secca
lei
“Non mi hanno licenziato, cazzo, stai
zitta almeno cinque minuti, per l’amor
del fottutissimo cielo”. Adesso è il tono
di lui a tradire nervosismo: aveva
passato una giornata a cercare di
spiegarsi, e neanche ora ci stava
riuscendo, con sua moglie mentre
mangiavano nel loro ristorante cinese
preferito..e poi aveva anche notato che il
vaso ripieno di fiori di plastica era
colmo di acqua vera, e la cosa
misteriosamente lo disturbava assai…
“Insomma – riprende aggressivo – ad
un certo punto domando alla stronza
che cosa cazzo c’era dentro questa
pornografia, che cosa aveva trovato,
foto, filmini, disegni…e sai che mi
risponde la stronzissima?”
“No, dimmelo tu”
Adesso è lui a dettare i tempi del
racconto, improvvisamente si sente
sicuro, e si concede un paio di secondi
di pausa per inforcare un secondo
involtino, prima di interrompere il
silenzio.
“Pornotetris. Stava parlando del
Pornotetris, sta repressa vittoriana del
cazzo…” esclama con gusto lui, e dal
tono della voce si capisce che
implicitamente si attende tutta la
comprensione della moglie. Che invece
continua a non capire,e chiede: “Cos’è
il pornotetris?”
In quel momento arriva la cameriera con
nuove portate, wanton in brodo e
noodles al pollo e gamberoni, che
sentendo le parole di lei inizia a ridere e
a ripetere “polnotetlis, polnotetlis, hi hi
hi”, per riallontanarsi poi verso le
cucine, sempre ridacchiando tra se e se.
Lui attacca solenne la sua spiegazione:
“Se mi lasci parlare 5 minuti di seguito
– dice lui agguantando un involtino –
forse riesco a spiegarmi”.
“Dai, te lo ricordi il tetris? Quel
“Comincia” dice lei, versandosi
dell’acqua minerale nel bicchiere.
forme e colori diversi che cadono giù
“Insomma, mi dice che ho del materiale
pornografico nascosto nel computer e io
dico: Ma stiamo scherzando vero? Non
può essere. Ma lei continuava a
scuotere la testa, che mi avevano
beccato e tutto ciò era contrario alla
politica aziendale…..”
videogioco dove ci sono mattoncini di
sempre più velocemente, e tu li devi
sistemare su un unico livello, e così fai
punti e vai avanti???dai che ci abbiamo
anche giocato insieme, sul computer di
tuo fratello, l’anno scorso a pasquetta…
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
è probabilmente il videogioco più
porno…”
famoso del mondo, ha nutrito i
La cameriera sembra sintonizzata sulla
parola Porno, perché puntuale risbuca
fuori con 2 porzioni di pollo alle
mandorle adagiate su un letto di riso
alla cantonese
polpastrelli di almeno 4 generazioni di
ragazzini, tra cui la nostra, e anche
quella di tuo fratello, e questa mi viene
a rompere le scatole per il
pornotetris…”
“Ok, - fece lei sconcertata, inforcando i
noodles strafritti nell’olio di soya – che
c’entra il Tetris con il porno?”
“C’entra che due giorni fa sul sito di
Repubblica c’era questa nuova
versione, che si chiama Pornotetris. In
pratica invece dei mattoncini ci sono dei
pupazzetti in sagome da kamasutra, e tu
devi incastrare loro invece che i
mattoncini. Tutto qua. E’ un videogioco,
innocentissimo videogioco, l’ho
scaricato dal sito di Repubblica, mica
Analsex.com,poi per farmi una risata,
ho fatto un paio di partite, l’ho
schiantato fino all’ultimo livello,
quando esce la scitta “ORGASMO
MULTIPLO”, e poi me lo sono
dimenticato li dentro. E poi, oggi,
hanno fatto una delle solite ricerche del
cazzo, con parole chiavi, tipo sesso,
porno, pompini etc etc : allora se c’hai
il pornotetris il server ti segnala
all’ufficio personale, ma se invece
dentro il pc c’hai il filmino di
biancaneve che si fa stantuffare dai 7
nani, allora non risulta niente, perché
nano non è un termine offensivo, o
almeno, non è vietato…..capito?”
“Blavi, blavi, polno, polno, mio malito
mai polno, semple dolmile lui, lui stanco
e vole dolmile”
Lui se la guarda stupefatto: eccone
un’altra che non ha capito un cazzo e
deve dire la sua…la voce della moglie
lo distoglie da alcune violente riflessioni
sul kung fu.
“Non ci posso credere che ti sei fatto
beccare col porno nel computer, ma che
sei un ragazzino segaiolo????”
Adesso lui si inizia a scaldare
veramente: “Ma falla finita pure
te…insomma mi sono alzato dalla sedia
e l’ho guardata negli occhi a Margaret,
…...”
“E’ una bella donna vero?”
l’interrompe lei, ricevendo di rimando
un’occhiataccia di sdegno dal consorte,
che riprende: “L’ho guardata negli
occhi e le ho detto, in inglese:
Margaret, ma che razza di idea di
pornografia hai tu?”
“E lei?”
“Insomma – rispose lei sconsolata - ho
capito che ti scarichi le cose porno da
internet…”
“Non mi ha risposto, e allora ho
incalzato, le ho chiesto se secondo lei
c’erano persone al mondo che potessero
“realmente” eccitarsi con il pornotetris,
e poi le ho chiesto se per caso lei non si
eccitava con quel cazzo di giochino…”
“E’ proprio quello che mi ha detto
“NNNNNNNNNNOOOOOOOOO?!?!?
……”
Margaret, quella stronza di Margaret
Anderson…insomma, le ho detto, fai la
seria, è solo un video-gioco, serve solo
a farsi due risate e rilassarsi, ma quale
porno, ma lei no, inflessibile, mi guarda
fissa negli occhi e mi dice “I think is
porno, and it’s not allowed in here…”
“Che vuol dire allowed?”domanda lei
“Permesso, not allowed vuol dire che
non è permesso, perché secondo lei è
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“Si invece,e poi ho iniziato ad urlare e
a dirgli che era una repressa
anglosassone del cazzo, e che tutta la
cultura di cui era impregnata il suo
paese si basa sulla repressione sessuale,
e che attraverso ciò impediscono alla
gente di essere quel che vorrebbero
veramente essere, e non sono capaci di
manifestare le loro vere emozioni a
meno che non si bevono una decina di
pinte, e che…”
“Davvero le hai detto questo?” La
domanda di lei arriva con un tono piatto,
neutro e senza emozioni
“Certo” risponde coinciso lui, convinto
di aver finalmente raggiunto l’oggetto
della sua ansia comunicativa, esprimere
quel senso di tradimento che si stava
vivendo addosso da quel pomeriggio,
quando era stato accusato di essere un
pornografo solo per esseresi rivelato
curioso su una nuova dimensione del
videogioco più venduto ed emulato al
mondo negli ultimi venti anni…
“Certo” pensa lui, però non così lei,
che a sua volta inizia a deformare il tono
della sua voce con modi astiosi ed
epiteti sempre più marcatamente
volgari: “Certo un cazzo, questi ti
danno un lavoro, e un computer per
lavorarci, e tu ti ci scarichi dentro
pornografia: ma che sei
rincoglionito????” Lei stenta a credere
a quello che è successo, ma il punto era
che neanche lui ci crede, ma tutte e due
intimamente dentro di loro sanno che il
fatto è veramente successo, è R-E-A-LT-A’. E pian pianino le loro alterazioni
crescono, simmetriche ma opposte,
strillano sempre di più, aumentando il
volume e l’astio nei loro toni di voce.
“Che cazzo c’entra: mi danno un lavoro
ed un computer???Fino a prova
contraria sono io che presto il mio
lavoro, il mio cervello, e lo faccio
anche bene, ed in regola con i tempi,
per cui ho tutto il diritto di spendere 5
minuti su un videogioco…”
“Un videogioco pornografico…”
“Un videogioco, cazzo, serve a
videogiocare, non a masturbarsi…e
comunque il mese scorso con il mio
lavoro ho fatto ricavare all’azienda
dieci volte di più di quello che loro mi
pagano di stipendio..dieci volte capisci,
il mio lavoro gli costa 100 ma gli
produce mille, e poi mi trattano come
un ragazzino segaiolo…ma quando ce
l’avevo il tempo di fargli guadagnare
tutti quei soldi se passavo il giorno a
scaricarmi il filmini di Sylvia
Saint????”
“Chi è Sylvia Saint?”
“Una nota pornostar, ecco chi è Sylvia
Saint”
“Nota non certo a me: tu come fai a
conoscere i nomi delle pornostar????”
La discussione lentamente ma
inesorabilmente si assesta sui binari di
un’incomprensione totale: lei si
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
domanda che bisogno abbia mai suo
marito di ricorrere alla pornografia, lui
dal canto suo non riesce a capire come
mai la moglie non veda l’evidenza
dell’ingiustizia che gli era stata
perpetrata, e non riesce a smettere di
pensare un pensiero sconvolgente: ma
sua moglie, che razza di persona
pensava che lui fosse? Cosa amava di
lui, che cosa l’aveva veramente fatta
innamorare, almeno all’inizio….e come
faceva a far coincidere quell’idea di lui
con quella dell’impiegato sporcaccione
che usa internet per scaricarsi il
porno??? Ma era possibile che lei
davvero pensasse questo di lui? Ma era
possibile che incomprensioni del genere
potessero davvero accadere fra loro? Ma
era possibile che magari lui fosse
davvero uno sporcaccione, e che nella
sua fallocratica miopia non se ne fosse
mai accorto? Sente il bisogno di uscire
da quell’opprimente immagine di se, le
accuse e i dubbi di sua moglie lo stanno
sgretolando dentro più di quanto potesse
sgretolarlo quel licenziamento che poi,
alla fine, non c’era più stato, perché
Margaret aveva concluso dicendo “Not
this time, non questa volta” …..
“Ma fammi capire una cosa – si sforza
di proseguire lui- ma tu non ti
incazzeresti se il tuo preside mettese il
naso nel tuo cassetto in sala dei
professori?”
Lei lo guarda distratta, un’altra volta
assorbita dai pesci nell’acquario, e
risponde che lei comunque non tiene
giornaletti pornografici nel cassetto a
scuola.
“Non era pornografia, cazzoooo, era il
tetris, solo un’altra sfacciata, goliardica
versione del videogioco più popolare
del mondo…non ti ecciterebbe
giocarci…”
“A me comunque non mi eccitano i film
pornografici” taglia corto lei, che
probabilmente film pornografici però
non ne aveva mai visti, pensa lui.
La cameriera si ripresenta con un
contorno di alghe fritte mentre tra i due
aleggia un silenzio denso come un
macigno: “non essele tliste plima di
polno, dopo si, ma plima no….”
Pronuncia questa frase con il tono da
massima confuciana che solitamente li
faceva ridere sempre tutt’e due, quando
ordinavano pollo fritto in agrodolce..ma
Pagina 6
stavolta no, non li fa ridere. In quel
momento la CNN sta trasmettendo un
servizio sule finali NBA, e lui nota che
le ponpon girl sono molto più
pornografiche dei pupazzetti del
pornotetris: chissà se Margaret guarda
mai la CNN……
Lui si sente avvolto in quel genere di
tristezza che di solito avvolge i comuni
mortali dopo esposizione ininterrotta
alle news per più di due ore, quando vi
hanno raccontato tutto e tutti, dalla
guerra al fantacalcio, da Saddam a
Michael Jackson, senza però riuscire a
spiegare nulla …..sente il bisogno, la
necessità assoluta, l’imperativo
categorico, di spiegarsi, di essere capito,
di essere certo che tutti gli altri, ma
soprattutto sua moglie, capiscano che la
pornografia non è davvero un suo
hobby….e quindi dopo un po’ riprende
a parlare:
“Ma scusa, non riesci davvero a vedere
che lo sconfinamento nella virtualità
esorcizza del tutto la perversione del
pornografico?”
“Parla italiano con me – rispose acida
lei – che sennò non ti capisco…..”
“Pensaci un po’…-dice lui fissandola
negli occhi - se mettono l’acqua vera ai
fiori finti magari allora anche i pesci
nell’acquario sono di plastica. Intendo
dire… nella Società dello Spettacolo
tutto è intrattenimento e per questo
l'intrattenimento deve essere
continuamente hackerato, sabotato,
ridefinito. Anche Baudrillard lo
dice……”
Un urlo strozzato di lei lo interruppe al
suono della parola: Baudrillard
(pronuncia bo-dri-gliard):
“Basta, mi hai rotto i coglioni con
queste menate, tu baudrillard e la
rivoluzione elettronica, e poi le
paranoie del controllo, e la parola che è
un virus, ed il contagio sociale, e tutte
quelle altre stronzate con cui ti nutri
dalla mattina alla sera…ma non puoi
guardarti le partite alla tele come tutti
gli altri, cazzo??? Ho sposato una
persona che vive di pippe mentali, anzi
no, magari qualcuna vera con il
pornotetris te la sarai anche fatta…”
Una repressione sorda, nata chissà
quando, anima la sua voce, come una
gelosia cieca ed immateriale contro
chissà quale nemico….un nemico nel
quale lui di certo non si riconosce:
possibile??? pensa lui.
“Ah, sono tutte cazzate allora, hai
appena scoperto che sei sposata da due
anni con un pippaiolo debosciato di
40anni, e non sei contenta, però fino
all’altra sera c’eri anche tu a giocare al
simulatore di orgasmi, al tamagotchi
Co.Co.Co. e a tutti gli altri videogames
concettuali su www.molleindustria.it, o
sbaglio? E alla scommessa su
www.delirouniversale.com sulla morte
del papa, li ci hai puntato dieci euro
veri, non virtuali, o sbaglio???? O
sbaglio?” La rabbia gli strozza le parole
in gola, epperò si sforza di
continuare.“Un marito virtuale, ecco
cosa ti sei sposata vero, un deficiente
tardoadolescenziale che lavora in una
ditta di merda, con una manager ottusa,
in un settore in crisi, e si fa le pippe
davanti al computer…ma chi cazzo
credevi di sposarti? Dimmelo ora, chi
cazzo pensavi di sposarti????”
Lei è stanca ed oramai anche un po’
imbarazzata, tamburella le dita sul
tavolo rimestando con lo sguardo il
risotto multicolore nel piatto del marito.
In televisione parte uno spot:
cartaigienica, ma la musica è sparata a
volume assassino: è la voce di Elvis che
canta “Love Me Tender”.
Per un attimo sulla guancia di lei brilla
un luccichio sospetto:
“Senti, finiamola qui- dice lei -,
riparliamone a casa, adesso
calmiamoci, finiamola” .
E poi aggiunge: “Game over, ok?
GAME - OVER”.
Game Over, proprio così, dice Game
Over per chiudere il discorso, ed il
discorso finisce li.
I due si alzano e tutto quel che rimane
è una tovaglia sporca, qualche briciola
e un vaso pieno di acqua e fiori di
plastica.
Nota dell’Autore: per verificare da
voi stessi, il Pornotetris si scarica
clikkando qui: okkio, che lo.zip file
pesa 1.8 mega.
http://www.shadowgate.it/files/pornot
etris.zip
Buona partita☺
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
Amore perfetto
di Graziano Lanzidei
per fare come l’altre fanno.
E’ bisogna oggi portare
ritoccata da poco.
“Di quali reati contro il
SignorenostroDio si sono macchiati
questi peccatori?”
(Roma, 1493)
Gli occhi drieto e non davanti,
Dentro quella cella l’ambiente era
soffocante. L’umidità si condensava
sulle pietre e, gocciolando a terra,
formava un acquitrino che si mischiava
con urina e feci. Il pagliericcio che
costituiva il giaciglio su cui riposare era
completamente fradicio. Una donna
tossiva continuamente e due uomini
parlottavano vicini.
né così possi un guardare:
Però noi facciam senza
“Esattamente Magister”.
“Basta! Non mi concentro a dovere!
Devo ricordare una canzone da dedicare
al mio amico” gridò Timoteo guardando
con occhi severi la povera donna che
stava piegata sul pagliericcio tenendo
una mano all’altezza dello sterno.
Di questo nostro ire addietro
“Verranno interrogati secondo le
tecniche illustrate dal Mallus
Maleficarum domani mattina appena il
sole si sarà destato” sussurrò sottovoce
alla guardia in maniera tale che anche i
prigionieri sentissero.
“Non posso farci niente – quasi biascicò
la donna – E’ da parecchio tempo che
mi trovo in queste condizioni”.
Il terzo cercava di far finta di nulla, da
un lato la pena per la donna e dall’altro
la gioia che quel bel ragazzo gli volesse
dedicare una canzone. All’improvviso
Timoteo con il piede gettò uno schizzo
di acquamistomerdaepiscio sulla donna,
in segno di disprezzo.
“Spero che la tua fine sia vicina, non ti
sopporto più” avvicinandosi e
sussurrandogli queste parole
all’orecchio.
“Che tu sia maledetto” lei cercò di
gridare con quanto fiato aveva in gola.
“Alessandro… cosa ne pensi? La
vogliamo uccidere noi? … magari
guadagniamo il perdono da parte degli
Inquisitori” disse Timoteo facendo
l’occhiolino al suo compagno di cella.
“Ma… io… non me la sento…” ed
iniziò a piangere combattuto com’era tra
il terrore di trovarsi in mano
all’Inquisizione, la pena per la donna
malata e il fascino irresistibile di
quell’uomo.
“Ah! Ecco! Mi viene in mente una
canzone del mio amico Lorenzo… di
Firenze…” e prese a cantare
“Le cose al contrario vanno
Tutte, pensa a ciò che vuoi:
come il gambero andiam noi,
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traditor siamo tutti quanti;
tristo è che crede a sembianti
chè riceve spesso inganno.
È s’intende, oggi ognun l’usa:
questo è ‘l modo consueto
chi lo fa, dunque, stia cheto;
noi sentiam che tutti il fanno.
“E’ dedicata proprio ai sodomiti come
te, Alessandro” disse ammiccando
Timoteo.
Dentro la cella calò il silenzio dovuto
all’imbarazzo ed alla rabbia.
L’avrebbero ucciso loro, iniziò a
pensare Alessandro che non aveva
gradito granchè la dedica. Il perdono da
parte dell’Inquisizione l’avrebbe
guadagnato comunque, no? Sentirono
un rumore di passi che si faceva sempre
più vicino. Passi di diversi uomini.
Alessandro e la donna si alzarono e si
misero al fianco di Timoteo, schiacciati
al muro. Nei loro sguardi puro terrore.
Arrivò un uomo armato. Iniziò a
scrutare l’interno cella.
“Uscite dall’ombra, peccatori. Sta
arrivando l’Inquisitore della Santa
Sede”. Nessuno si mosse. Tutti gli
sguardi si concentrarono su Timoteo.
Come se attendessero una sua mossa.
“Uscite dall’ombra. Questa ritrosia
verrà considerata prova inconfutabile
delle accuse a vostro carico!”
Alessandro e la donna fecero un balzo
in avanti. Timoteo stava inginocchiato a
terra a cospargersi il corpo con l’acqua
lorda che stava sul pavimento. Si rialzò
lentamente e si avvicinò alle inferriate
quasi ringhiando. Dopo qualche istante
arrivò l’inquisitore nella sua tunica
bianca e marrone. La tonsura era
abbastanza evidente, quasi fosse stata
“La Santa Inquisizione ha portato
davanti alla giustizia divina un
sodomita, tal Alessandro da Benevento,
e due persone dedite alle pratiche di
stregoneria, Timoteo da Vienna e
Camarilla da Roma”.
“Tutti servi, ognuno a modo suo, del
Maligno, mi sembra di capire”.
Alessandro tremava come una foglia,
Camarilla iniziò a piangere
singhiozzando mentre Timoteo aveva
dipinto sul volto un ghigno da animale
in gabbia. L’inquisitore fece un cenno
sbrigativo alla guardia armata e, prima
di andarsene, gettò un fiore all’interno
della cella.
“Il solo amore perfetto è quello verso
Dio. Credo che questo fiore orientale
possa donarvi la giusta ispirazione per
ritrovare la strada del Signore”.
(LATINA, 2004)
All’interno della Questura la tensione si
tagliava con il coltello. L’omicidio
Labanti aveva scosso tutti i poliziotti in
servizio. La mobilitazione per trovare il
colpevole era stata massiccia ed era
durata tutta la notte. In quella città non
erano abituati a delitti di inaudita
violenza. Dopotutto non era quella «la
città che dormiva» come l’aveva
definita il Commissario Capo, Marco
Tinigri, alle nuove reclute?
In quel momento entrò il portiere del
palazzo in cui la famiglia Labanti
abitava ormai da anni per un
interrogatorio.
“Commissario è arrivato il portiere!”
“Arrivo subito, Otinetti, fallo
accomodare”.
Tinigri stava finendo di assaporare una
sigaretta, la prima dopo tanti anni.
Continuava a fumarla affacciato alla
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Rorschach 2004 / Marzo
finestra fissando le macchine che
passavano ed i movimenti nei negozi di
fronte. Non riusciva a togliersi dalla
mente il ricordo del corpo straziato della
donna. Un corpo quasi totalmente privo
di sangue, preso a morsi un po’
ovunque, le dita rattrappite per il dolore
e lo sguardo fisso in una espressione di
terrore. Scosse la testa. Spense la
sigaretta nel posacenere. Si avviò
nell’altra stanza.
“‘Ngiorno Commissà“ fece il portiere
sorridendo. Un’espressione che si tolse
subito dal volto appena riuscì a
focalizzare l’aria turbata di quello che
l’avrebbe dovuto interrogare.
“Buongiorno Signor Braga – mormorò
Tinigri – si è ripreso?”
“Be… diciamo di si… conoscevo la
signora Labanti ma nun me sarei mai
immaginato che potesse fa ‘sta fine”
“In che senso?”
“Ner senso che la signora non usciva
quasi mai de’ casa. Non riesco a capì
perché l’hanno ammazzata!”
“A questo ci pensiamo noi. L’abbiamo
chiamata per sapere i movimenti
avvenuti ieri all’interno del palazzo”.
“Che je devo dì… ieri pioveva e c’è
stato un viavai continuo. Er marito de la
signora è uscito presto de’ casa… fa il
ricercatore alla CDS…
quell’associazione pe’ donà ‘r
sangue…- Tinigri prese un foglio di
carta, tirò fuori la penna dalla giacca
pronto a segnare qualsiasi informazione
– la moje me pare che fosse annata a fa
la spesa…che potevano esse… le 10 e
mezza… le undici… perché a quell’ora
io me stavo a vedè un telefirm su Itaia
1… - iniziò a grattarsi la testa – Ah! Mo
che me ce sta a fa pensà… me ricordo
che… mentre stavano a fa la pubblicità
me pare che era rientrata co’ n’artra
persona… se conoscevano… perché lei
stava a ride… - Tinigri seguiva con
attenzione – e so’ saliti coll’ascensore…
- volse lo sguardo verso il basso - poi la
signora non l’ho mai più rivista. Viva
intendo”.
“Si ricorda com’era fatta la persona con
cui stava la signora? Cosa stava
facendo? L’aiutava a portare la spesa,
per esempio?”
“Era un signore molto alto, biondo,
muscoloso… m’o’ ricordo bene…
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giacca e cravatta… ed era veramente
pallido… pallidissimo da fa paura… pe’
me quello ar mare nun c’è mai
annato…”
gambe levate. Dentro quella cella, con
quell’umidità e con la condizione in cui
versavano sembrava una proposta come
un’altra. Da valutare.
Tinigri rimise la penna in tasca e si alzò
dalla sedia dietro la scrivania. Volse lo
sguardo verso Otinetti.
“Come fai a togliermi il sangue? Non ci
sono le sanguisughe…”
“Continua tu… io vado nel mio ufficio.
A proposito, chiama uno per l’identikit
così proviamo a concludere qualcosa
almeno entro questa mattina”.
Rientrò nel suo ufficio. Mosse
leggermente il mouse per interrompere
lo screensaver. Si accomodò. Nei plichi
di fogli e cartelle ai suoi lati cercò il
materiale relativo al caso Labanti. Il
rapporto provvisorio della Scientifica,
ad esempio. Da qualche parte doveva
esserci qualche straccio di indizio, no?
Squillò il telefono.
“Commissario? Ha telefonato il Centro
Donatori Sangue… vorrebbero conferire
per il caso Labanti… nella loro sede…”
(ROMA, 1493)
All’esterno pioveva e tuonava. Dalle
fessure in alto continuava a gocciolare
l’acqua e la situazione, sul pavimento,
era peggiorata molto. A peggiorare
erano state anche le condizioni di
Camarilla che, ormai, non riusciva più
nemmeno a dormire a causa della tosse.
Alessandro versava in condizioni
mentali disperate mentre Timoteo stava
perdendo la sua proverbiale arroganza,
come se si stesse affievolendo
lentamente.
“Non resisto... Non dormo da diversi
giorni e nessuno ci inquisisce. Non è
questa la dimostrazione che non sono
una strega? Sarei guarita da sola, no?”
“Camarilla… un rimedio… volendo…
ci sarebbe…” sussurrò Timoteo che
stava abbandonato sul suo pagliericcio
in un cantuccio, all’ombra.
“Quale?” domandò incuriosita la donna
tra un colpo di tosse e l’altro.
“Vuoi dormire? Basta soltanto toglierti
un po’ di sangue. Calma l’organismo…
talmente tanto… che potrebbe
permetterti di riposare”.
La donna aveva l’aria riflessiva. La
proposta di Timoteo, in condizioni di
normalità, l’avrebbe fatta ridere di buon
cuore o l’avrebbe portata a fuggire a
“Ci penso io… un morso al collo… in
mancanza delle sanguisughe…”
Alessandro faceva finta di dormire…
non riusciva nemmeno lui a riposare
dentro quell’umidissimo letamaio.
Ascoltava in silenzio quasi terrorizzato.
Timoteo negli ultimi giorni gli era
tornato simpatico. Si era calmato ed era
sembrato anche più affabile.
“Un morso al collo?” aveva domandato
quasi inorridita Camarilla
“Sono un medico… se non avevo
sanguisughe a disposizione dovevo
inventarmi qualche cosa, no? Mi si sono
sviluppati, nel tempo, anche gli
incisivi… Guarda?” e mostrò la sua
strana dentatura
“Perché non mi hai aiutato prima se sei
un medico?” la donna sembrava avere
l’aria offesa.
“Pensavo che migliorassi
spontaneamente… non credevo che la
situazione sarebbe peggiorata così
tanto” ed il tono dell’uomo sembrava tra
i più sinceri che avessero mai sentito.
La donna mostrò il collo a Timoteo
reclinando lentamente la testa da una
parte. Passarono solamente una
manciata di secondi e l’uomo si avventò
sulla giugulare della donna e prese a
succhiare per quelli che sembrarono,
almeno ad Alessandro, minuti
lunghissimi. Finita l’operazione la
donna venne adagiata sul pagliericcio,
addormentata.
“L’hai uccisa?” chiese piagnucolando
Alessandro.
“No. Sta dormendo. Non voglio
uccidere nessuno. Voglio aiutarvi”
“Puoi aiutare anche me?”
“Si. Posso aiutare anche te”
Alessandro si mise a sedere sul
pagliericcio e mostrò il collo a Timoteo.
Quest’ultimo si avventò con meno foga
su Alessandro. Il beneventano provò un
piacere sublime sia perché l’uomo lo
stava “baciando” sul collo sia perché
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Rorschach 2004 / Marzo
provava una sensazione di abbandono
corporeo. Piacere che lo fece sentire
realmente e consapevolmente colpevole
delle accuse fatte dalla Santa
Inquisizione a suo carico. Timoteo
abbandonò anche lui sul pagliericcio in
uno stato di sonno profondo.
Sorridendo.
(LATINA, 2004)
La sede del CDS si trovava in una
lussuosa villa in centro città. Ad aver
telefonato in Questura era stato il
Presidente della Fondazione, Presidente
anche di una multinazionale importante.
Tinigri, prima di recarsi, si era
informato. Aveva scoperto che la CDS
era una fondazione che, in breve tempo,
aveva soppiantato le vecchie
associazioni di donatori del sangue. Una
fondazione privata che viveva soltanto
con i finanziamenti di una
multinazionale. C’era anche un loro
spot, ci aveva fatto caso da poco, che
girava per tutte le televisioni. Iniziava
con un tulipano che stava morendo
cadendo verso terra, quasi adagiandosi.
Sul fondo, viola e blu la facevano da
padroni mischiandosi e contorcendosi.
Appena visibili dei rami secchi.
All’improvviso una goccia di sangue
cade in terra. Il tulipano inizia a rivivere
ed a riprendere colore. I colori dello
sfondo diventano quelli di un’estate
meravigliosa. Giallo, rosso, verde,
azzurro. Fuori campo una voce calda,
sensuale e femminile dice:«Dona la vita
anche tu». Dissolvenza. Fermo
immagine del logo. Un tulipano
stilizzato. CDS.
“Commissario, la stavo aspettando”
Tinigri venne preso alla sprovvista. Fece
un balzo.
“Mi dispiace di averla spaventata.
Piacere Riccardo Pagliaroli,
VicePresidente della CDS. Il Presidente
Costantino non la può ricevere oggi. Ci
siamo noi dello staff, comunque, e le
daremo tutta l’assistenza possibile”.
Il VicePresidente aveva tutta l’aria di
essere un uomo di scienza. Occhiali
rotondi, faccia a triangolo rovesciato,
capelli ricci leggermente più lunghi del
normale e aria assolutamente mite.
Si sedettero all’interno di una sala
riunioni molto elegante. Moquette,
tavolo in legno pregiato e sedie in pelle.
Pagina 9
“Per quale motivo mi avete convocato
qui?”
“L’abbiamo convocata presso la nostra
sede perché il signor Labanti, che sta
arrivando in aereo da Madrid, è un
nostro dipendente”
“E con questo? Avete qualche
informazione che può esserci utile e che
fa riferimento alla vostra fondazione?”
“Non propriamente. Sappiamo che
qualcuno vuole cercare di fare del
benchmark scorretto nei nostri
confronti…” Tinigri lo guardava
sconcertato, l’uomo continuava
imperterrito come se stesse leggendo
una ricetta “abbiamo dovuto istituire un
corpo di polizia privata e stiamo
avviando delle indagini”.
“Non credete nel lavoro della polizia?”
il Commissario avrebbe voluto gridare,
strillare, puntargli la pistola, prenderlo a
sberle ma doveva mantenere la calma.
“No. Non intendevo questo. Mi perdoni
se le ho dato un’impressione sbagliata.
Crediamo nelle istituzioni. Tutte.
Indistintamente. La nostra è, se
vogliamo, un’azione preventiva.
Dobbiamo sapere cosa succede per
preservare la nostra fondazione da
qualsiasi attacco esterno…”
“Siete una fondazione di donatori di
sangue… non riesco ad immaginare chi
possa esservi nemico” il tono era
veramente stupito.
“Se ho parlato esponendomi così tanto è
perché siamo sicuri dei dati in nostro
possesso. Il sangue è un bene primario,
prezioso e c’è qualcuno che vorrebbe
lucrarci senza fare troppa attenzione alle
leggi che regolano il mercato. Noi della
CDS dobbiamo tutelarci”.
“Ho capito… Posso parlare con
qualcuno della vostra polizia…privata
per vedere a che punto sono arrivate le
vostre indagini?”
“Certo” e pigiò un tasto sull’interfono
“Puoi far venire il signor Ferrucci?” e
rivolgendosi nuovamente al
commissario “Sa… dall’esterno sembra
tutto pacifico, calmo. Noi, invece,
dobbiamo fare i conti con una
associazione criminale, tutti i giorni”.
“Potevate rivolgervi alla polizia… ed
evitare magari che ci andassero di
mezzo altre persone”
Pagliaroli ebbe uno scatto d’ira, subito
represso. Si aprì la porta alle spalle del
commissario. Entrò un biondo,
muscoloso, pallidissimo ma che non
corrispondeva all’identikit
dell’assassino.
“Commissario Tinigri le presento il
signor Ferrucci, Capo della nostra
vigilanza”.
Dopo i convenevoli di rito entrarono
subito nel vivo della discussione.
“L’indagine privata come procede?”
chiese con un velo d’ironia Tinigri.
“Sappiamo da quali ambienti viene il
colpevole. Fa parte di una
organizzazione criminale che vuole
entrare clandestinamente nel traffico del
plasma”.
(ROMA, 1493)
L’Inquisitore aveva preso l’abitudine di
passare ogni giorno alla cella dei 3
detenuti alle prime luci dell’alba e
aveva anche preso l’abitudine di
rinviare l’interrogatorio al giorno dopo.
Come segno del suo passaggio lanciava
sempre quel fiore dalla vaga forma di un
turbante. Era sempre accompagnato da
due guardie armate. Solitamente dopo
qualche tempo inziavano a provenire, da
un posto lontano, grida di dolore che
facevano accapponare la pelle.
Camarilla, lentamente, si stava
riprendendo dalla sua malattia ed aveva
attribuito, erroneamente, questa sua
guarigione ai “baci” di Timoteo.
Alessandro, invece, il gesto di Timoteo
aveva iniziato a fraintenderlo. Aveva
pensato che, forse, quella era tutta una
messinscena per ottenere il massimo
dalla situazione e sfogare una segreta
attrazione fisica nei suoi confronti. Per
ricambiare il gesto d’affetto aveva preso
a toccarlo nelle parti intime quando si
avvicinava per i suoi “baci”.
Giunse anche il momento degli
interrogatori. Strazianti per chi li subiva.
L’Inquisitore si era rivelato, con quei
modi rassicuranti da fervente cattolico,
un grande conoscitore di torture, sia
fisiche che mentali. Alessandro, per
esempio, era stato sodomizzato
ripetutamente con un ferro
incandescente mentre Camarilla aveva
subito delle ferite gravi al seno
attraverso l’utilizzo di due pinze
gigantesche. Ogni volta tornavano
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
stremati da questi interrogatori.
Timoteo, invece, non sembrava
assolutamente provare dolore ed ogni
volta che veniva messo alla Garrota
guardava con occhi gelidi il suo
aguzzino. Un giorno, però, all’ennesima
prova della Garrota, Timoteo iniziò a
strillare cogliendo di sorpresa tutti.
Credevano di avere davanti il Diavolo in
persona ed invece…
“La prova che Dio è con noi” sussurrò
all’orecchio dell’aguzzino l’Inquisitore.
Le grida sovrastarono quelle di
Alessandro e Camarilla che, nella cella,
si stavano contorcendo dal dolore.
“Timoteo, servo del Maligno, il tuo
signore ti ha abbandonato?”
“NO” uscì una voce strozzata “il mio
Signore… è anche il suo…”
“Stai dicendo il falso. Il mio Dio è il
Signore dei Cieli, il tuo è il signore
degli Inferi”.
“NO!” e le grida risuonarono
nuovamente in maniera potente
rimbombando all’interno di quello
stanzone costellato di oggetti infernali.
“Vuoi confessare la tua adorazione per
il diavolo? Vuoi gridarla ai quattro
venti? Solo così puoi avere salva la
vita” e rivolto all’aguzzino “Apri le
finestre! Fai entrare il Sole!”
“NO” gridò ancora Timoteo “Confesso
tutto. Confesso tutto”.
“In nomine patrii…”
“Sono quei due nelle mie celle a … - e
l’affanno ebbe il sopravvento – ad
avermi corrotto… non volevo… ma mi
hanno costretto… con qualche
sacrilegio....”
“E allora perché strillavi?” insinuò
l’Inquisitore
“Perché il Diavolo… stava uscendo dal
mio corpo” sibilò dolorosamente
Timoteo che aveva l’aria stremata.
“Vuoi confessare che quel sodomita e
quella strega hanno fatto un sacrilegio
su di te… incantandoti… - l’Inquisitore
stava cercando di ragionare – E allora le
accuse che gravano su di te e che ti
hanno portato davanti alla giustizia del
Signore?”
“Questo sacrilegio dura da parecchio
tempo… e mi aveva portato a fare cose
Pagina 10
indicibili nel mio villaggio… la
vicinanza, poi, aveva reso il tutto di una
potenza ancora più vincolante del
solito”.
debita distanza. L’ultima cosa che sentì
quest’ultimo fu il TAC della catena che
cedeva di schianto. Poi divenne cibo per
vampiro.
“Hai salvato la tua anima. Ti sei
guadagnato la vita, lo sai? I due
complici verranno condannati al rogo –
sentenziò solennemente l’Inquisitore –
l’esecuzione è prevista per domani
mattina – si voltò verso l’aguzzino e
non cosciente del proprio tono cercò di
bisbigliare – domani mattina prepara il
rogo per quei due e domani pomeriggio
preparalo per lui. L’ingenuità e la
debolezza di spirito non possiamo
tollerarle… è come spalancare la porta
dell’anima al Demonio”.
(LATINA, 2004)
Timoteo ascoltò tutto in gran silenzio.
Tornò in cella. Rimase in silenzio
recitando la parte del sofferente. I due si
stavano lentamente riprendendo dai
dolori.
“Ci salveremo?” chiese Alessandro
sdraiato a pancia in sotto
“Domani saremo tutti salvi” sussurrò
Timoteo
Durante l’esecuzione dei due, che
l’avevano maledetto dalla Piazza tra le
urla di giubilo del pubblico, Timoteo era
rimasto in silenzio. Aveva capito molte
cose durante quel soggiorno. Loro e gli
umani potevano convivere sotto lo
stesso tetto: quello del mondo.
Dovevano, però, mischiarsi. La
vendetta. L’odio. La follia. Potevano
annientarli. L’Inquisizione aveva
bruciato parecchi di loro. Li aveva presi
da soli. Li aveva fatti indebolire
esponendoli al sole e facendogli
mancare il sostentamento. Li aveva
bruciati. La sua fortuna era stata
convivere in quella cella con due umani.
Una fortuna che non poteva dimenticare
in fretta. Avrebbe riunito i suoi fratelli
in una Congrega. Camarilla. In nome di
un sentimento provato che non sapeva
qualificare. Un sentimento che aveva
fatto fatica a reprimere proprio il giorno
dell’esecuzione.
“Tocca a te!”
Negli occhi di Timoteo nessuna
sorpresa. L’avevano incatenato, mani e
piedi, con le spalle al muro. L’aguzzino
si avvicinò. Timoteo ebbe uno scatto
fulmineo. Tentò di tirare un pugno in
faccia all’aguzzino che si era tenuto a
Il Commissario Tinigri aveva preso a
girovagare per la città durante la notte
insieme ad alcune guardie della CDS.
Le prove tradizionali” non c’erano. Le
deposizioni non avevano portato ad
alcuna pista. Quella era l’unica via:
seguire le indicazioni della polizia
privata. Era entrato nel mondo della
perversione notturna di quella città, che
aveva considerato, sbagliando, sempre
troppo tranquilla. Feste a base di droga,
sesso e alcol. Violenze gratuite tra
bande... Quella sera, all’interno di un
locale che dovevano controllare, un
gruppo stava suonando musica HipHop. Lui stava battendo il tempo sul
tavolino con il vigilantes biondo della
CDS, tal Girolamo Giovanni, che
sembrava completamente insensibile al
ritmo incessante. Due tavoli più in là
una banda di persone. Erano Loro,
almeno una parte di Loro.
All’improvviso un ragazzo con il
berretto ben calato in testa si alzò in
piedi, scostò il giubbotto, prese qualcosa
dalla tasca interna. Si avviò verso il
palco con un braccio disteso lungo il
fianco. A pochi passi dal gruppo
musicale (composto da 3 persone) iniziò
a fare fuoco. Gli spari rimbombarono
nelle orecchie di tutti. Nel locale tutti si
avviarono follemente verso l’uscita
quasi camminando uno sull’altro.
Tinigri e il poliziotto privato rimasero
seduti. Finita l’esecuzione quelli del
tavolino si avvicinarono ai corpi delle
vittime ed iniziarono a raccogliere il
sangue a terra con le dita e presero a
leccarne la punta, quasi fosse Nutella.
Tinigri a vedere quella scena prese a
respingere rumorosamente conati di
vomito che montavano con sempre
maggiore intensità. Si girarono tutti
nella loro direzione.
“Un Castigatore!”
Il biondo prese velocemente la pistola
all’interno della giacca cacciando un
«Maledizione» a denti stretti. I 3, in un
baleno, cercarono di guadagnare
l’uscita. Uno di loro venne trafitto alle
spalle da un proiettile. Cascò a terra.
Iniziò a bruciare.
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
“Cosa cazzo hai fatto! Cosa cazzo hai
fatto!” Tinigri prese a gridare.
“Ci avrebbero sparato loro” disse lui
quasi a giustificarsi
“CHE CAZZO DI PROIETTILI HAI
USATO?” a Tinigri non importava della
sorte di quel cristo, non di quello
almeno.
“Proiettili in dotazione alla polizia
privata della CDS” rispose con
sicurezza Girolamo
“Devo dichiararti in arresto…” nel
mentre tirò fuori la pistola e gliela puntò
contro “Puoi avere tutti i porti d’arma
che ti pare, quei proiettili non sono
legali, ad occhio e croce”
“E’ meglio che vieni in sede con me” il
tono del poliziotto privato si era fatto
gelido.
“Che fai mi arresti?”
“Vieni con me, stronzo!” anche il
biondo puntò la pistola.
Tinigri lasciò partire il colpo che trafisse
alla spalla Girolamo, quest’ultimo
arretrò di qualche passo. Per qualche
secondo fuoriuscì del sangue. Qualche
secondo ancora e sulla mascella di
Tinigri arrivò, velocissima, una botta
terrificante con il calcio della pistola che
gli fece perdere i sensi.
Si risvegliò all’interno di una macchina
che correva sulla statale, stava sul sedile
posteriore insieme a due energumeni
che non lo perdevano di vista un
momento. Stavano andando fuori città.
Era buio. A destra della superstrada che
stavano percorrendo c’era un bosco
fitto. Dopo poco entrarono in una
piccola città. Arrivarono davanti ad una
discoteca. Andarono nel privè e poi da lì
entrarono, attraverso una porticina a
specchio, in un ampio locale popolato di
giovani e meno giovani. Ballavano una
musica incessante il cui ritmo, grazie
alla potenza delle casse, ti entrava nello
stomaco e ti faceva vibrare cuore e
polmoni. Alcuni erano impregnati di
sudore, altri, invece, sembrava fossero
appena entrati. Si agitavano tutti,
indistintamente. Il biondo si fermò,
controllò l’orologio e fece cenno agli
altri di lasciare il Commissario. Tinigri
controllò all’interno del giubbotto.
Niente. Si erano presi tutto
l’armamentario, com’era ovvio.
Pagina 11
Il deejay iniziò ad aumentare il ritmo
della musica. La gente iniziò ad agitarsi
sempre più velocemente. Qualcuno
sembrava avere gli occhi rigirati. Lo
stesso deejay agitò un braccio con il dito
indice puntato in aria. Tutti si
fermarono, quasi con il fiato sospeso.
Velocemente il dito schiacciò un tasto
gigante sulla parete. La musica si fermò.
Le luci si accesero. Si iniziarono a
vedere dei fili trasparenti ovunque.
Correvano sul soffitto. Correvano per
terra, sotto il pavimento trasparente in
plexiglas. Correvano anche fino alle
casse. Tutti insieme iniziarono a
colorarsi di rosso. Velocemente. La
musica riprese. Le luci ripresero la loro
azione stroboscopica. Erano rosse, come
il fuoco, come il sangue.
All’improvviso, di nuovo silenzio.
Qualche secondo di silenzio irreale. La
gente, comunque, continuava ad
agitarsi, una parte in maniera convinta,
con gli occhi chiusi, quasi in estasi, altri
per puro spirito imitativo, con gli occhi
sgranati aspettando di vedere cosa stesse
per succedere. Dalle casse, dal soffitto e
dal pavimento iniziò a schizzare sangue.
Sangue ovunque. Con quell’odore tipico
che ti entrava nelle narici. Sangue sui
vestiti, sulla pelle. Dopo pochi istanti
anche Tinigri era fradicio. Alcuni
continuavano a ballare estasiati, con la
bocca aperta a bere il plasma. Altri,
invece, terrorizzati cercavano una via
d’uscita, altri ancora vomitavano, altri,
per terra, giacevano svenuti. Il biondo e
gli altri si erano messi intorno al
Commissario in cerchio, a mo’ di
protezione. Successe l’irripetibile. Iniziò
un massacro irreale e sistematico. Una
parte degli avventori di quella discoteca
ultraclandestina iniziò a mangiare tutti
gli altri avventori. In un attimo tutti
stavano addosso a tutti e mordevano e
mangiavano e bevevano sangue come
bestie affamate ed inferocite. Tinigri
vide una ragazza che si era nascosta
dietro le casse, sottraendosi a quei
momenti di follia pura. Stava tremando.
Per un attimo gli occhi del Commissario
e della ragazza si incrociarono. Un
uomo rasato con dei grossi tatuaggi
persino sul cuoio capelluto sentì l’odore
della sua paura. Come una bestia iniziò
ad annusare nella direzione della
ragazza. Aveva appena finito di
massacrare e sbranare e dissanguare un
cinquantenne dall’aspetto giovanile. La
prese con una forza sovrumana per i
capelli ma la prima volta gli si
spezzarono tra le dita. La seconda,
invece, venne sollevata di peso e portata
davanti alla cassa. L’uomo/ bestia la
spogliò con foga. La sdraiò a terra. Le
divaricò le gambe e prese a bere il
sangue dalla sua figa, mordendogliela e
strappandone pezzi di carne. Le grida di
dolore della giovane si sovrapposero a
tutte le altre. Dopo poco svenne. Dalla
figa l’uomo rasato e tatuato passò a tutto
il resto del corpo con la stessa passione.
Non c’era nulla di sessuale in quello che
aveva fatto. Era una furia. Irrefrenabile.
Portarono il Commissario Tinigri via da
quell’immondo macello di carne umana.
“E’ il nostro Capodanno. Il Capodanno
della Camarilla”.
Tinigri non aveva la forza per fare nulla.
Né gridare, né reagire, né vomitare. Era
completamente inerme. I due
energumeni, difatti, lo stavano
trascinando di peso. A parlare era
sempre il biondo, Girolamo, che aveva
il tono di chi voleva giustificarsi.
“Adesso capirà tutto, Commissario, la
stiamo portando dal Presidente”.
“Non capirò mai la ragione di quello
che è successo lì dentro” le parole
sembravano provenire dagli anfratti più
nascosti dell’anima di Tinigri, ancora
sottochoc.
Il poliziotto privato prese a sorridere
con un ghigno che veniva riflesso nello
specchietto retrovisore. Tinigri chiuse
gli occhi, voleva assentarsi per un po’.
Si risvegliò per il rumore del brecciolino
schiacciato dalla macchina. La villa era
immensa. C’erano anche i nomi delle
vie. Davanti la casa c’era piazzale
Alessandro da Benevento. Il cuore del
Commissario, nonostante quel riposo,
riprese a battere insistentemente.
Entrarono nella villa. Si ritrovarono
subito all’interno di un immenso salone.
All’altra estremità un uomo dietro la
scrivania.
“Ti stavo aspettando” e la voce
rimbombò in tutta l’enorme stanza.
“Aspettavo con ansia l’ora di rivedere la
tua faccia di merda, Timoteo”.
“Magister… non sei cambiato affatto
dopo tanti secoli”.
“No. Abbiamo un conto in sospeso io e
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
te, ricordi? Dopo tanti secoli sono
riuscito a trovarti.”
“Sono contento. Per una volta il tuo Dio
ti ha dato una mano, no?”
Tinigri iniziò a sorridere. Erano
terminate tutte le finzioni. Aveva
organizzato quasi 600 anni di vita per
ritrovarsi, prima o poi, faccia a faccia
con Timoteo. Aveva visto o fatto morire
un po’ di persone per quello scopo.
Creature del Signore che erano state
sacrificate all’interno di un disegno
divino. Nessuna condanna
dell’Inquisizione poteva non essere
eseguita. Lui era lì per questo. Il soldato
del Signore.
“Voglio eseguire la condanna” e appena
finito di parlare prese a picchiare
selvaggiamente i due energumeni più il
biondo. In poche mosse i 3 erano stesi a
terra in una gigantesca pozza di sangue.
Con le mani unite a formare una ciotola
il Magister prese a raccogliere il plasma
per portarselo alle labbra. Si rigirò verso
Timoteo con le mani ed il mento sporco
di sangue “Siamo soli Timoteo”.
“Lo vedi? Ora sei uguale a me. Quando
si rincorre il male, alle volte, si rischia
di diventare il male stesso, Magister.
Non c’è più nulla di umano. Solo
rancore. Rancido rancore covato nei
secoli. Come esiste l’amore perfetto
esiste anche l’odio perfetto. Il tuo nei
miei confronti, ad esempio”.
Il Commissario inquisitore iniziò a
escogitare qualche piano. Stava
riflettendo. Aveva preso dalla tasca un
tulipano. Lo rigirava fra le dita.
Timoteo, intanto, lo osservava con aria
distaccata. Aveva ottenuto quello che
voleva.
“Non senti quel morso alla gola che ti
prende ogni volta che si fa sentire la
sete? Eh Magister? Non lo senti?”
“…”
“L’amore perfetto obnubila la mente
dell’umanità, Magister” in mano aveva
un piccolissimo telecomando. Spinse
l’unico tasto presente. Dal soffitto iniziò
a provenire uno stridio fastidioso. Il
Magister ebbe soltanto il tempo di
guardare in alto. Una pioggia di argento
fuso gli piovve addosso. Le carni del
commissario presero a bruciare. In
pochi secondi rimase soltanto il
tulipano, in terra, a ricordare il
Pagina 12
passaggio del Magister “Amore perfetto
ed odio perfetto sono prerogative della
divinità, caro Magister. Agli esseri
imperfetti obnubilano la mente”.
(ROMA, 1493)
Timoteo era riuscito a fuggire dal
carcere completamente incustodito. Le
vie della città erano quasi deserte.
Cercava di camminare il più
velocemente possibile ma il sole stava
facendo un pesante effetto di
indebolimento. La determinazione,
comunque, era più forte di qualunque
ostacolo. Doveva scappare ma, per
l’ultima volta, voleva rivedere
Camarilla e Alessandro. Tra le viottole
intorno alla piazza delle esecuzioni
rimediò un vestito e del cibo grazie ad
un viandante, poi abbandonato morto in
un angolo buio. Coperto, mascherato e
rinvigorito dall’abbondante pasto si
avvicinò al rogo dei suoi due “amici”.
La pila ancora bruciava. Al di là del
fuoco era chiaramente visibile il palo e
la forma umana delle persone, morte,
che vi erano legate. La gente avrebbe
seguito lo spettacolo fin quando non si
fossero spente le fiamme da sole. In
prima fila il Magister quasi in estasi
mistica, sul viso riflessi i colori del rogo
che erano anche i colori del dolore e
della morte. Si avvicinò
silenziosamente. Intorno grida di giubilo
miste a preghiere. Arrivato alle spalle
mormorò all’orecchio dell’Inquisitore.
“L’amore perfetto obnubila la mente
dell’umanità, Magister” quest’ultimo
non ebbe nemmeno il tempo di girarsi.
Timoteo morse il collo dell’inquisitore
cercando di mettere in pratica la
Generazione. Finita l’operazione si
dileguò. Giusto il tempo di allontanarsi
a sufficienza e la folla si accorse di
quanto successo all’Inquisitore Generale
di Roma. Spontaneamente si organizzò
una sorta di caccia all’uomo, si doveva
dare una risposta forte al Male, così era
stato gridato dagli altri Inquisitori. Gli
uomini iniziarono a massacrarsi
vicendevolmente. Il sangue prese a
scorrere per le vie. Le case dei
potenziali sospetti vennero incendiate.
Vennero regolati i vecchi conti. Vecchie
ripicche, odi privati. Timoteo ringraziò
per tanta gentilezza. Cibo senza fatica.
Cibo che, dopo poco, iniziò a fargli
anche schifo perché frutto di una follia
collettiva. L’amore perfetto.
Cunctator di Piermario De
Dominicis
Tulipani. Su un davanzale di
una via un po’ miserabile, messi
a mollo in un vaso di vetro
azzurrino, di quelli da poco
prezzo. Non particolarmente
freschi, non particolarmente
sfioriti.
Mi ero infilato nella città vecchia
e avevo appena comprato le
sigarette da un tabaccaio il cui
negozio, sopravvissuto ad ogni
modernità, sembrava in bianco e
nero. Pubblicità di trent’anni
prima appese alle pareti, di un
bianco incerto. Addirittura quelle
di una marca, certamente
estinta di tabacco da fiuto.
Uscito da lì fui risucchiato dai
vicoli che si incrociavano
senz’ordine, pareva fossero loro
ad inseguir la gente, gente fitta
fitta che camminava con piglio
frettoloso. Esibire tanta fretta
era senz’altro una posa
collettiva. La mia sensazione era
che tutti disponessero di
moltissimo tempo da perdere e
che in realtà stessero
passeggiando, godendosi sia il
sole abbacinante che l’ombra
continua e netta delle case che
divideva la strada come un tratto
preciso di righello.
Stando dalla parte del sole eri
immerso in un’impressione
violenta d’insieme, vedevi colori e
movimenti guizzare, sfuggiti alla
luce fortissima. L’ombra ti
restituiva la vista, ne recuperavi
con sollievo il dettaglio. Quello,
non era un giorno come un altro
per me. Avrei dovuto infatti
prendere una decisione
importante. Che fosse così
importante, di quelle che ti
cambiano per sempre la vita e
che hanno il potere di modificare
anche l’esistenza altrui, mi aveva
permesso di prendere tempo fino
a quel momento. Tempo che
tuttavia scadeva quel giorno e si
legava ad un’azione che dovevo
assolutamente fare. Avevo
ancora qualche ora.
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
La mattina ero uscito di casa
inebetito da una notte irta di
spine. Avevo preso il caffè al
solito bar e a Fernando, il
gestore, con cui parlavo di cose
trascurabili ma essenziali al
nostro rito quotidiano, avevo
risposto meccanicamente, senza
un minimo di testa né cuore.
Avevo poi seguito le mie gambe,
apparentemente decise, fino a
trovarmi nella città vecchia.
E il tacco sinistro – quello della mia
nera scarpa preferita –
Non ci mettevo piede da
vent’anni ma evidentemente la
mia assenza prolungata era stata
ben tollerata dato che nulla, ma
proprio nulla, era cambiato da
come ricordavo.
- Le lagrime egoiste e di incenso -
Attorno a me il flusso delle
persone scorreva impetuoso,
senza soste. Le urla dei
fruttivendoli e i richiami dei
pescivendoli di tanto in tanto
inchiodavano qualcuno a
contrattare. Dai negozi di stoffe
pendevano pezze colorate coi
vistosi cartellini dei prezzi.
La crisi demografica, almeno in
quel quartiere poteva dirsi
scongiurata: teste e gambe di
bambino ovunque. Spesso
capitava che una signora o l’altra
ne riacciuffasse uno e serrandolo
ben bene si immettesse di nuovo
nella corrente incessante. Io
seguivo la gente, a caso
camminai per molte ore. Conobbi
schiene, gambe, scarpe, gonne,
calzoni, calze e sandali fino a
quando, guardando l’orologio, fui
certo che fosse ormai troppo
tardi per decidere, tardi per agire
e tardissimo per rimandare.
I giochi erano fatti. la mia vita
sarebbe rimasta immutata, la
solita vita.
Non mi dispiacque. Ciò che non
accade, in effetti accade.
Forse vedendoti
inciamperò di Rita Debora
Toti
perdendo un già incerto equilibrio
Pagina 13
Chissà se reggerà
Ho mani diverse – dislessica come tanti
in amore
E guardando lontano
Ne tengo una – polso e bracciale
Come unico legame che so
E non conta come tutto ritorna
o il caso che fa il resto diverso
perché resta il vetro e la tenda d’anelli
d’argento
restano i passi che abbiamo fatto
e poi – ancora !
la mia piccola masochista –
quella che gira
per tre volte l’anello e soltanto una la
parola
quella che piange e sorride
quella dalla dolce confusione –
quella che non lascio e che tengo
Come le ossa e i capelli
Questo unico legame – oh questo unico
bagliore ! che so.
Craxi è morto ma don
Alfio ascolta ancora
“Like a Virgin” di Angelo
Zabaglio
Liberi come tanti Craxi sparsi per il
mondo. Liberi come petali nel vento
sporchi di catrame e calpestati da
pneumatici bucati da un ramo
caduto da un pino situato nel
giardino del nostro vicino il cui figlio
è il nostro migliore amico arrestato
per favoreggiamento alle nove e 46
di un sabato mattina di Gennaio
freddo che ricorda ghiaccio
e circoli di polo organizzati da Forza
Italia. Riunioni familiari con salatini
dolci e cornetti alla crema serviti
da Lino Banfi. Musiche di Crivelli e
note sparse sopra un foglio viola. I
piccoli fori ricevono querele e anime
immense si modificano il contorno di
spinaci da Platinette, mentre la
Pivetti prega il Signore che
l’orchestra della Corrida non crei
danni all’ascolto del suo
programma. Lo incontrai all’uscita
del bar degli studenti di Roma tre,
pioveva grandine color nebbia.
“Perché non entri?” gli dissi. “Non
posso entrare con l’ombrello
aperto!” mi rispose. Questa
considerazione non è sbagliata,
pensai nel vento. Una confezione di
pasta trafilata al bronzo mi ricorda
che le elezioni sono vicine. È in
questo marasma che il giovane
anziano naviga senza remi e senza
bussola e senza permesso di
soggiorno e senza casa e senza la
minima idea e senza senso. Il
giovane anziano è pronto per il
duello con l’anziano giovane, non
molto simile a lui. Entrambi hanno
acquistato almeno un numero de “Il
giornalino” all’età di sette anni ed
ora espongono la bandiera della
Pace come segno di rivolta. Per
protesta fumano erba e si assumono
pochissime responsabilità come il
protagonista di American Beauty.
Entrambi odiano la televisione ma
quando capita ammirano il
capitalismo creato dalla pubblicità
con i modermi tessarati al Fascismo
(Luca e Paolo, Claudio Bisio, Enrico
Bertolino, Fabio Fazio) Il
sonnambulo doveva andare in
bagno ma il gabinetto del
dottor Caligari era occupato, si recò
quindi nella più vicina sagrestia. In
quel tempo si svolgeva la sagra
dell’ostia Antica, dove decine di
curati con il raffreddore,
assolvevano dai peccati centinaia di
bambini che masticavano bruschette
con olio molto saporito. Nel
clima di festa, la perpetua si esibiva
nel numero magico della sparizione
del calice d’oro. Sei volte su undici,
l’esperimento non riusciva ma le
mamme applaudivano lo stesso,
seguite dai figli, dalle nonne, dai
padri, dai nonni, dalle figlie e dai
rimanenti ospiti paganti. Nella
gioiosa folla di preganti, anche
donne sicule in lutto, la più anziana
tra loro recava una fascia rossa al
braccio e dirigeva le preghiere. In
sagrestia intanto era esposto il
nuovo calendario con Madonna in
dodici pose molto audaci,
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
la nota pop star era diventata l’idolo
di don Carlo, un prete che venerava
le patatine fritte e la buona musica
anni 80. Questi aveva sempre
votato DC , anche se con un
passato di brigatista nero. I suoi ex
compagni terroristi ora sono al
vertice di una nota multinazionale
che controlla l’80 per cento (quindi
l’800) del mercato di campo dei fiori
a Roma. In cima alla classifica ci
sono i gladioli seguiti da garofani,
crisantemi e rose gialle. Tra
di loro era presente anche una spia
orientale reduce del Vietnam, un
certo Gon. “Sai Gon?! Siamo ancora
a Saigon! Altre tre ore di viaggio e
arriviamo all’albergo non
preoccuparti” gli disse la moglie per
rincuorarlo. Lei era un’hostess
dell’Alitalia con la passione del
modellismo e del sadomaso. Si fece
tre anni nel carcere di Poggio Reale
per aver stuprato un pony del circo
Orfei. La famiglia di circensi li
sorprese in atteggiamenti equivoci
nel camerino del quadrupede, lei
con in mano una Lido rossa, lui
disteso sul pavimento, sfinito.
Maionese sparsa in terra, del
Domopak e pacchi di fazzolleti
aperti sulla scrivania. Alla vista di
tale scena, il guardiano che aprì la
porta del camerino, rimase alquanto
scioccato, cominciando così ad
ululare e telefonare ad amici e
parenti per informarli che la sera
stessa a Porta a Porta ci sarebbe
stato come ospite il rappresentante
del partito Umanista. I parenti,
insospettiti, avvertirono prontamente
la polizia che giunse nel luogo
dell’accaduto in meno di quattro ore.
Per sbaglio arrestarono il pony che
fu condannato a tre anni con due
sole condizioni: nessuna
condizionale e nessun
condizionatore. Durante l’ora d’aria
Silvestro (questo era il nome
dell’animale) era solito gettare
oggetti vecchi dal balcone del
carcere. Una mattina colpì per
sbaglio il portiere della prigione. Nei
suoi guantoni furono ritrovate
le chiavi del cancello ed i detenuti
riuscirono a scappare verso la
libertà. Il giorno seguente era
prevista un’amnistia ma la donna
straniera non si presentò in orario
accettabile e venne rimborsato il
Pagina 14
biglietto ai presenti, accorsi da ogni
parte del mondo, tranne che da Tor
Pignattara e Spinaceto per traffico
insostenibile. Chi ne approfittò fu un
giovane e volenteroso bambino di
colore negro che, con acqua,
sapone e stoffa, iniziò a pulire vetri
di automobili. Gli affari andarono
così bene che il suo padrone poté
acquistare altri dodici schiavi ai quali
amputare dita o qualsiasi altra parte
visibile all’occhio nobile dei buoni di
cuore razionale. “Cosa hai chiesto a
Babbo Natale, oh figliolo?” ed il
pargolo cinese, ridendo come una
zanzara prima di iniettare veleno
nella pelle di un’ottantenne con le
vene varicose, rispose: “Voglio
Barby cannibale, la casa
d’appuntamenti di Barby, Ken
travestito ma la confezione con il
pneumatico da bruciare ed il palo
della luce, Barby dolce Flebo, poi
voglio Ken soldato in Iraq, Ken
carabiniere in missione in Irak ma la
confezione con la bara finta e la
bandierina italiana, poi voglio Big
Jim terrorista in modo da poter dare
la colpa a qualche anarchico
quando morirà Ken carabiniere, poi
voglio 33 pacchetti di figurine Panini
della serie “Ex terroristi divenuti
intellettuali” e l’ultimo libro di Angelo
Zabaglio”. Babbo Natale riuscì a
portare al bambino ogni cosa tranne
il Big Jim terrorista (era esaurito in
ogni negozio del globo). In
compenso gli portò il burattino di
Papa Luciano che però, in meno di
un mese, si ruppe gettandosi dalla
finestra di un commissariato e
l’uccisione di Ken carabiniere rimase
un mistero insoluto agli occhi
del bambino. Oggi quel fanciullo ha
46 anni, è sposato con
una donna molto intelligente, lavora
come grafico pubblicitario e nel
tempo libero prega in latino, affinché
suo figlio termini con successo
l’università e si trovi un lavoro
lontano dai suoi occhi verdi come
una bottiglia di birra nel mare
limpido delle 6 del mattino di
un’estate senza nuvole, ma con
numerosi gabbiani che, volendo,
possono spiccare il volo verso Sud,
senza preoccupazione di un ritardo
ferroviario, di un incidente
autostradale o di un proiettile di
qualche buon cacciatore cristiano
cattolico.
Angelo Zabaglio (ringrazio come
sempre il dadaista Andrea
Coffami per la revisione, i consigli
ed i massaggi ai piedi)
Orfeo—Lo sguardo
beffardo: lo specchio e la
sua immagine di Euridice
Non ho una donna da un secolo, oramai.
Al punto che mi si stanno
atrofizzando… i sensi.
Non ho MAI avuto fortuna con le
donne. Eppure non si può dire che io
non mi sia dato da fare. Ho sempre
architettato con cura le mie strategie, i
miei piani d’attacco. Io sono un tipo
previdente, che pensa a tutto. Profumo,
barba, profilattici, mutande maculate…
Non mi manca mai nulla. Sono sempre
armato per la battaglia…ma non ho mai
sparato nemmeno una cartuccia. O
meglio, se ho sparato, ho sempre sparato
a vuoto.
Per delle circostanze specifiche di cui vi
parlerò tra poco, ho coltivato con cura il
mio vocabolario in campo sessuale. Un
po’ grazie agli amici, che se non sanno
qualcosa, ricorrono comunque a una
buona dose d’inventiva, e un po’ grazie
al dizionario medico di mio padre. So
che stavate pensando anche a delle fonti
più “specialistiche”: ebbene, di quelle
ne faccio incetta da sempre. Ma in quei
casi alle parole non ho mai badato
troppo.
Fatto sta che da alcuni mesi ho scoperto
di essere un buon praticante di
onanismo. Se solo un anno fa me lo
avesse detto qualcuno, io l’avrei preso a
schiaffi, giuro!
Onanista a chi??? Te lo faccio vedere
io chi è l’onanista! Su, dai, calati i
calzoni, scemo! Vediamo chi è il vero
onanista tra noi due!…
Insomma, credo abbiate capito che per
me essere onanisti significava avercelo
piccolo.
‘O nanista… E nel mio caso…beh,
lasciamo stare, ché altrimenti mi
deprimo ulteriormente.
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
Vi stavo dicendo appunto che, pur non
avendo una donna da un’eternità, la mia
erudizione erotica ultimamente si è
affinata in modo sorprendente. Saprei
dirvi almeno due o tre sinonimi per ogni
termine “tecnico” di cui abbiate
conoscenza. Sì, la penso anch’io come
voi: a che vale sapere tutte queste cose
se poi alla teoria non si unisce un bel
tirocinio pratico??? Ok, siamo
d’accordo: il mio è un talento sprecato.
Ma certe conoscenze possono evitarvi
delle situazioni mooolto spiacevoli.
Parola mia. Non c’è da scherzarci,
ragazzi.
Ora, vi ho detto che non ho mai avuto
fortuna con le donne. Ma c’è stato un
giorno in cui, forse per qualche
straordinaria congiunzione astrale,
chissà, o per l’avvicinarsi del periodo
elettorale (in cui tutto ciò che sembra
impensabile diventa possibile, come per
opera di un intervento divino), la mia
condizione luttuosa sembrò dover
mutare le sue sembianze terrorifiche.
Vi parlo di una sera in cui, ispirato forse
da un film di Tinto Brass di cui avevo
scrupolosamente osservato la locandina
passeggiando per strada, mi decisi a
entrare in un locale, determinato a
mettere in gioco tutto il mio sex appeal.
Per incoraggiare la mia timida
mascolinità, decisi di sbottonarmi i
primi bottoni della camicia; osservai che
dal torace faceva capolino un ciuffo di
pelacci crespi. Mi umettai i palmi delle
mani con un po’ di saliva, e le passai su
quel ciuffetto ispido, nel tentativo di
addomesticarlo un poco.
Mi annusai. Dalle ascelle proveniva un
odore acre di sudore. Beh, poco male,
pensai: alluvionerò le donne con i miei
feromoni! Ero davvero disperato.
Entrai nel locale come fossi stato
Humphrey Bogart in Casablanca. Mi
accostai a una colonna, e mi ci
appoggiai, con tutta la disinvoltura che
avevo a disposizione. Ben poca, a dire il
vero. Palleggiavo tra le mani una
sigaretta accesa destinata a consumarsi
per autocombustione… L’avevo
sottratta dal pacchetto di mio padre,
furtivamente. Quella sigaretta avrebbe
dovuto segnare il mio tempo massimo
di conquista…
Sì, avete ragione: va bene l’ottimismo,
ma una sigaretta forse era un po’ troppo
Pagina 15
poco per tentare l’impresa… E infatti
alla fine avevo preso tutto il pacchetto.
qualche donna. Candy Candy, dove sei?
Stavo cercando la mia crocerossina…
Avevo scelto un locale che fosse il più
buio e fumoso possibile, per far passare
inosservata la sporgenza più grande del
mio corpo: un gigantesco brufolo che
proprio quella sera era spuntato a
dispetto sulla mia fronte lucida. Prima
di uscire, avevo cercato di camuffarlo
con il fondotinta di mia sorella, ma più
tentavo di coprirlo, più il brufolo si
arrossava finendo col dominare
incontrastato sul mio volto basito. Lo
lasciai vincere: pensai che quel residuo
pubere avrebbe potuto attrarre qualche
donna matura in cerca di giovani
“stalloni”. Ma io non mi sentivo né
giovane né tantomeno uno stallone...
piuttosto, potevo somigliare a un
porcospino.
Dovevo aver sfoderato uno sguardo
talmente disperato che quella donna
cominciò a fissarmi. Riassunsi la
postura bogartiana e riaccesi la
sigaretta, ingoiando pure un po’ di
fumo… cosa che mi fece tossire per un
quarto d’ora circa. Stavo quasi per
morire soffocato nel tentativo di non
tossire convulsamente e di mantenere
quel tono dignitoso che con tanta fatica
stavo cercando di ostentare quando
finalmente la donna si alzò e si diresse
verso di me. Gridai al miracolo. Si
avvicinò, senza dire nulla. Prese la mia
sigaretta, fece un tiro, e lentamente fece
uscire il fumo dalle sue labbra carnose.
Nel locale c’erano tantissime donne.
Una più bella dell’altra. Lanciavo
sguardi a tutte, con l’occhio truce da
“uomo bello e impossibile”. Cercai di
estrarre dalla memoria tutti i consigli di
quel corso sulla seduzione che anni fa
mia sorella aveva trovato in allegato a
Riza Psicosomatica, e che casualmente
mi era capitato di ascoltare cinque o sei
volte, quando in casa non c’era nessuno.
Cosa diceva il tizio della cassetta? Dai,
ricordati… Diceva che…
Con desolazione notai che il pacchetto
di sigarette si era quasi svuotato
completamente.
La spalla appoggiata sulla colonna di
finto marmo cominciava a dolermi. I
peli sul torace si erano tutti intirizziti, e
stavo attento a non avvicinarvi la
sigaretta per paura che potessero
incendiarsi.
Sentivo il brufolo pulsare sulla fronte…
Lo immaginavo fiammeggiante come
un faro che guida il sentiero dei
naviganti nella notte.
Maledissi Tinto Brass e tutte le sue
locandine lussuriose.
Una… due… Tre sigarette in tutto. La
speranza era quasi del tutto morta.
Lanciai l’ultimo implorante sguardo a
una donna seduta al bancone. La fissavo
come un cane bastonato. Se non aveva
funzionato la tattica del macho - pensaiforse quella della supplica poteva
muovere l’animo soccorrevole di
Ci mancava pure il fumo passivo! –
borbottai tra me e me mentre sempre più
inutilmente cercavo di trattenermi dal
tossire. Tentai comunque di
ricompormi. Deglutii, e le sorrisi come
un ebete.
“Io mi chiamo Chantal” disse lei. “ E
tu?”
“Io…io…mi chiamo Tinto”
Giuro che non lo dissi per mentire! E’
che mi sembrava di non ricordare più
niente, nemmeno il mio nome. L’unica
cosa che mi riusciva di ricordare era la
locandina del film di Tinto Brass, che
ora avevo ripreso a osannare con tutto
l’entusiasmo di cui è capace un povero
uomo miracolato.
“Senti, Tinto: a me non va di stare a
tergiversare. Mi piaci. E vorrei
trascorrere la notte con te.”
In quel momento, riacquistai tutta la
fede che col tempo mi sembrava di aver
smarrito…
“Esiste!... Sì, Dio esiste!” esultai dentro
di me.
Ci dirigemmo in auto verso casa sua.
Guidava lei. Io le ero seduto di fianco,
mentre tentavo di annusarmi l’alito. Sul
cruscotto c’era un foglio con un
disegno…
“Ti piace? L’ho disegnato io” disse
Chantal.
Io feci cenno di sì, mentre cercavo di
rinverdire quei tenui ricordi scolastici di
storia dell’arte… Chiedo solo un nome,
pietà! un nome di un pittore, di uno
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
scultore, di un qualcheduno che possa
venirmi in soccorso per poter
intrattenere una conversazione!…
ultima volta ( e Dio sapeva quanto ciò
fosse vero!) oppure doveva trattarsi di
un classico esemplare di
Avvicinandomi a lei inevitabilmente mi
cadde l’occhio sulla, o meglio, nella
scollatura…
Ma io avevo in mente tutt’altro, in quel
momento… E l’unico ricordo che stava
riemergendo prepotente dai miei anni di
scuola era una parola latina…
“ o nanista”, perché altrimenti la
“faccenda” non si spiegava.
Tette piccole ma sincere, mi dissi con
fare da intenditore.
Salimmo a casa sua. L’ansia stava
crescendo a dismisura, al punto che
dovetti andarmene in bagno.
Non so come, ma da un momento
all’altro mi ritrovai steso e ammanettato
alla spalliera del letto. Chantal mi
guardava come una gatta, seduta sopra
di me. Mi guardava, senza fare nulla.
Ridacchiai nervosamente.
Com’era?... Ah, sì: l’ “ARS AMANDI”!
A questo ricordo si aggiungeva quello
delle riviste che io e il Beppi ci
passavamo sottobanco… Va beh, ci
siamo capiti.
…
“Pino…no...Poncho…nemmeno…Peppe
…Sì, forse era Peppe! Mmmmhhh, no,
mi sa di no… PEDRO!!! Ecco come si
chiamava: Pedro!!! PEDRO
PICASSO!”
Così mi rassicurai, illudendomi che
finalmente avrei potuto sostenere
qualsiasi conversazione di arte… Si sa,
l’intellettuale esercita sempre un certo
fascino. Sette anni di liceo dovevano
pur servire a qualcosa!
Mentre io mi arrovellavo le meningi in
cerca di reminiscenze sedimentate come
le ere geologiche, Chantal aveva
iniziato a parlarmi del suo disegno.
“ Quello l’ho dipinto tre settimane fa.
Ho voluto rappresentare la forma e la
sostanza delle cose.
Illustrare l’apparenza e l’inganno,
perché ciò che sembra in un modo
spesso si rivela solo la superficie
visibile delle cose. Troppo spesso ci
soffermiamo alla prima impressione,
senza indagare oltre la forma manifesta
della realtà”
Ecco, ti pareva: avevo rimorchiato un
trans! Mi sembrava troppo bello per
essere vero! Accidenti a me, all’idea
bislacca che avevo avuto quella sera, a
Tinto Brass, ai suoi culi, a Pedro
Picasso e compagnia bella!
Intanto Chantal aveva fermato l’auto.
La guardai “un po’ più giù”, cercando di
notare se ci fosse qualche indizio capace
di rivelarmi la “forma manifesta della
realtà”…
Macché uomo e uomo! Gente, a me
quella sembrava una donna in tutti i
sensi! E se fosse stato un uomo, beh,
poteva voler dire solo due cose: o che
era trascorso troppo tempo dalla mia
Pagina 16
“E’ lì in fondo a sinistra”, mi disse
Chantal, che intanto aveva messo della
musica di sottofondo.
“Adesso calmati…ODDIO!... ODDIO,
NON CI POSSO CREDERE!... Suvvia,
calmati, che altrimenti rischi di fare
cilecca… E chissà quando ti ricapita
una situazione simile!”
Feci di tutto per calmarmi un po’.
“Piuttosto, pensa a quello che devi
fare… Allora, l’alito: com’è? Puzza?”
Dio, una vera fogna! Roba da non
credere! Mi guardai intorno in cerca del
dentifricio. Me ne misi un po’ sul dito
indice, e strofinai energicamente: denti,
lingua, palato, tonsille, faringe, laringe,
epiglottide… Per poco non vomitai.
“ E ora: le ascelle?” Per quelle c’era
davvero ben poco da fare.
“Va beh, l’uomo ha da puzzà!” , mi
dissi.
E i profilattici??? Merda! Dov’erano? li
avevo presi oppure erano rimasti dentro
il marsupio dell’uomo tigre???
Cosa aveva in mente?
Le braccia cominciavano a
formicolarmi. Tutt’a un tratto mi venne
in mente quel film dove lui viene legato
e seviziato da una donna… Sì, bravi,
proprio quello: Misery non deve morire.
Cominciai a temere di essere capitato
nelle mani di una pazza. Mi rassicurai
soltanto quando lei, sensualmente,
cominciò a baciarmi il torace… Sì, mi
baciò anche il fantomatico ciuffetto di
pelacci crespi che ben conoscete…
Però, non si punse. Credo.
Lentamente, continuando a baciarmi,
scese sempre più giù, fino ad arrivare
sotto l’ombelico.
“Oh, quando lo dico al Beppi creperà
d’invidia!!” pensai soddisfatto tra me e
me.
Mentre continuavo a ringalluzzirmi,
Chantal si bloccò e mi sussurrò:
“Cosa vorresti che ti facessi ora?”
“ah, eccoli qui! Tutti presenti
all’appello: extrasensibili, lubrificati.,
iperresistenti, ritardanti per lui
stimolanti per lei, piacere intenso,
colorati, verde smeraldo, rosso
carminio, nero…no, quello nero no,
perché snellisce… che si illuminano al
buoi, zebrati, a pois, lana fuori cotone
sulla pelle, gusto fragola, gusto
arancio, tuttifrutti, tropicale, gusto
lungo…
Oh, Beppi, Beppi, mi chiede cosa vorrei
che mi facesse? Ma tutto, baby, tutto!
Ah, no, quelle erano le Brooklin…
Ma non volevo azzardare troppo. Con
un po’ di indecisione, balbettai:
“Tinto, va tutto bene?”
“Sì, eccomi…arrivo”
Stavo sudando come un’idrovora!
Nonostante le mie più rosee speranze,
Chantal era ancora vestita. Mi avvicinai
verso di lei, gongolando come un idiota
e sfoderando un sorriso da vero
imbecille. Dovevo fare davvero pena.
Questo fu quello che pensai.
“Beh…insomma…fa tu” fu quello che
invece più codardamente le dissi.
“Dai, non esser timido: dimmi ciò che
desideri, e io esaudirò i tuoi sogni…”
W ALADINO, W LE LAMPADE E W I
GENI! – pensai esultante.
“se… se ti va…mi piacerebbe
che…che…”
Eddai, parla scemo!
“Che…mi piacerebbe che…che mi
baceresti…Ah, no, scusa: volevo dire
baciassi!”
Ci mancava pure la grammatica, cazzo!
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
Lei era un’artista, era una che
sicuramente conosceva Pedro Picasso, e
io che combinavo? Mi mettevo pure a
sbagliare i verbi?!?
Ma Chantal sembrò non
preoccuparsene. L’unica cosa che fece
fu di insistere con quella domanda:
Deglutii... Avevo capito a cosa si
riferiva. Non sono mica scemo. Solo
che non sapevo come si dicesse…
Quando a una donna si fa un…una …
insomma, quando le si bacia lì…come si
dice???
Il vuoto assoluto. Ero in preda al panico.
“TI PREGO COSA, EH? MA TI
VEDI??? DOV’E’ FINITA ORA LA
TUA SPAVALDERIA?”
Ma quale spavalderia??? Proprio io, la
cui audacia più grande si è sempre
risolta nel bagno di casa! Dio mio, mi
sembrava di trovarmi in un incubo.
Chantal intanto se n’era andata in
un’altra stanza. Ritornò con un paio di
forbici in mano.
“Sii più esplicito, dai: a cosa stai
pensando ora?”
Chantal intanto insisteva:
Ero un po’ confuso. Insomma, cosa
voleva? Una parola più ardita, forse? Sì
sì, era quello che voleva! Ah, avevo
davanti a me una vera linfatica…No,
non linfatica…linf…linfocita? No,
nemmeno… Ah, sì, ecco cos’era: una
linfomane!...
Vieni in mio soccorso, Beppi, ti prego!
Il Beppi era, per certi versi, l’
“intellettuale” del gruppo: chi meglio di
lui avrebbe saputo suggerirmi la
“parolina magica”?
Quando mi risvegliai, mi ritrovai steso
su una panchina del parco, con la gente
che passeggiava e che continuava a
guardarmi divertita.
Niente. Ancora il vuoto assoluto.
Ma cosa cazzo avete da ridere???
pensai irritato.
“Io starei pensando a un bocch…”
Mi sembrava che Chantal si stesse
innervosendo.
Mi fulminò con lo sguardo.
“No, non volevo dire quello. Scusami,
Chantal, scusami!...”
Non ci stavo capendo più nulla.
“Tinto, continua: cosa stavi dicendo?
che ti piacerebbe cosa?”
“Allora, cosa dovrei chiederti, io?”
“E allora, non sai dirmelo?”
“No…è che io…io…Guarda, ce l’ho
sulla punta della lingua, giuro!”
EUREKA! Ecco come si dice!
“Slinguazzo!” le dissi trionfante.
Ma cosa diavolo voleva sentirsi dire,
insomma??? Più chiaro di come ero
stato non potevo essere… O no?
Improvvisamente mi illuminai! Lei era
un’artista, no? Sicuramente stava
cercando un uomo colto, dalla
terminologia ricercata… Mica le solite
corbellerie! Ah, che donna sublime era!
Si eccitava con i termine eruditi,
forbiti… E io ne conoscevo uno, un
tempo… Un termine latino, uno dei
pochi che avevo imparato da ragazzo.
Quale occasione migliore di quella per
sfoggiare la mia cultura umanitaria?
…cioè, volevo dire, umanistica?
A Chantal si iniettarono gli occhi di
sangue.
“ Mi piacerebbe una…fellatio!”
“SIETE DEI LURIDI MASCHILISTI
CHE PENSANO CHE IL MONDO
RUOTI INTORNO A LORO! DEI
DEMENTI CHE CREDONO CHE LE
DONNE ESISTANO SOLO PER
SODDISFARE I LORO VIZI!”
Bravo, bravo, ti meriti un bacio
ragazzo: te lo sei ricordato! Lo vedi?
Dimmi, lo vedi che tu sei sempre stato
portato per le lingue straniere, eh?
Erano i professori che non hanno mai
saputo comprenderti!
Avrei potuto continuare così per ore,
autocongratulandomi e compiacendomi
per quell’ impareggiabile vocabolario
che avevo saputo sfoggiare fino a quel
momento.
“E se io ti chiedessi di fare altrettanto
con me, eh? Cosa dovrei chiederti di
farmi?”
Pagina 17
“COSA HAI DETTO??? RIPETILO,
SE HAI IL CORAGGIO!!!”
“Niente, io non volevo dire quello…è
che… è che…”
“Lo sai cosa siete voi uomini, eh? LO
SAI? SIETE DEI FALLOCRATI!
ECCO COSA SIETE!”
“Fachè?” balbettai.
Ma lei non mi considerò. Comunque
non doveva essere un complimento…
Ero paralizzato, dal terrore, dalle
manette e dal fatto che mentre parlava
Chantal mi strizzava i “gioielli di
famiglia”, e più si arrabbiava più me li
strizzava. Per poco non mi fece
diventare un soprano…
Con le lacrime agli occhi cominciai a
implorarla:
“Ti prego, Chantal, ti prego!”
Mi sentivo tutto intorpidito. Non era
come nei film, in cui uno si risveglia e
non si ricorda più cosa gli sia successo.
No. Io mi ricordavo tutto. E ringraziavo
il cielo di essere ancora vivo. Solo, non
riuscivo a capire come ci fossi finito, lì,
in quel parco. Pensai che dovevo essere
svenuto.
Oddio, le forbici!!! Terrorizzato,
indirizzai lo sguardo verso il basso.
COSA???
Non ci potevo credere!
(finale “democratico”: scegliete voi
come far terminare il racconto.
Suggerirei di impiegare il forum del sito
www.anonimascrittori.it per inviare i
vostri finali)
(Ringrazio Fabietto per avermi
suggerito alcuni miglioramenti e tutti i
miei amici uomini per avermi fornito
degli ottimi pretesti di ispirazione: che
Dio vi benedica!)
SOUNDTRACK. OVERTURE.
Universi paralleli di
Emiliano Vitelli
Esistono momenti (secondi, giorni,
anni) in cui si percepisce una sensazione
strana. Una sensazione interiore ed
intima di vuoto: qualcosa che non
funziona nella propria esistenza.
Senti la necessità di ascoltare un suono
che sia in sintonia con il tuo stato
d'animo, una musica martellante, forse
un rumore. Quella vibrazione che riesce
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
a raccontare i tuoi incubi e che riesce a
disegnare i tuoi pensieri più intimi.
I nervi sono tesi e così anche l'animo.
Apri gli occhi ed inizi la giornata con
quella tensione che per un istante
percepisti un millisecondo prima che
cominciasse il nuovo millennio.
Un inizio, una foto, il telefono suonare.
Devo rispondere? E' una faccenda seria,
come un cancro terminale. E sta
giungendo la fase finale Comincia a
crescere ed io comincio a fantasticare.."
ISPETTORE PALOMA . UN
FINALE.
<<Non lo so, non lo so, non so
niente!>>.
Era stato sempre un elemento a suo
favore, pensava. D'altra parte il
crescente nervosismo dell'emerito
Prof.Cherokee Abdullah Silkh non
dipendeva solamente dalla situazione in
cui si era cacciato. Oltre la sua arguzia
(ah! come gli piaceva definirsi arguta ed
usare quel termine mentre parlava)
inevitabilmente la sua carta vincente era
stata sempre il suo aspetto fisico.
Carmen Paloma era definita da tutti una
donnuccia flaccida, fisicamente irritante
e decisamente sovrappeso, ma portava
con sè uno sguardo, quello sguardo!,
inquisitore, pungente e camaleontico.
Uno sguardo che, semplicemente,
insinuava. Gli uomini non potevano
resitergli quando decideva di farsene
uno ed i criminali entravano in un
tunnel di nervosismo nevrotico che li
poneva in inevitabile soggezione.
Forse il mondo l'avrebbe trattata da
donna insignificante se non fosse stato
per quello sguardo che insinuava:
offensivo ed imbarazzante.
<<Non lo so, non lo so, non so
niente!>>.
L'ispettore Paloma sentendo per la
decima volta la frase urlata in tono di
sfida, si mosse verso la fonte di quel
rumore.
Evitava sempre di chiamare, nominare,
scrivere (salvo che negli atti ufficiali
che doveva compilare al Dipartimento
di Polizia) o anche accusare, una
persona per nome e cognome: per lei era
"il soggetto".
Riteneva che comportandosi in tal modo
distruggeva qualsiasi filo di contatto,
per quanto fiebile fosse, che per pura
casualità potesse sorgere tra lei ed il
perseguito. Oltretutto, non poteva
nascondere a se stessa che di fatto
Pagina 18
adorava utilizzare nei suoi discorsi una
terminologia astratta e asessuata, cosa
che la riusciva a far sentire superiore
anche a Dio, anzi al "Soggetto che
starebbe lì su".
Aspetto fisico, sguardo ed uso dei
termini astratti: una combinazione
devastante. Imbarazzante per chi ne era
oggetto...per la vittima. <<Meglio della
macchina della verità!! anzi no, meglio
della tortura!!>> sghignazzava sempre
tra sè, sopratutto quando era a lavoro.
<<Agente arresti il soggetto prevenuto e
lo traduca in carcere. Arguto!!!>>
ordinò.
<<...e butti via argutamente la chiave>>
mormorò, sicura, nella sua testa.
P R O C U R A
D E L L A
REPUBBLICARAPPORTO
DELL'ISPETTORE C. PALOMA AL
PUBBLICO MINISTERO
PROCEDENTE
Criminale: Prof.Cherokee Abdullah
Silkh
Giudizio: colpevole
Prove: 1) Avvocato Stanislao Kesser Da
Silva trovato morto;
2)
A t t e ggi a m e n t o n e r vo s o e n on
conciliante del fermato. Provvedimento
Arresto e traduzione presso la più vicina
casa circondariale dello Stato; sentenza
di colpe volez za; pro c esso per
direttissima da celebrarsi quando
possibile; condanna da determinarsi in
quella sede a cura del Pubblico
Ministero procedente.
ISPETTORE
Carmen Paloma
NOBEL.
<<Ormai la mia scelta l'ho fatta>>
Non poteva fare a meno di sorridere a
quell'affermazione. Come poteva, lui,
considerare che fosse realmente
possibile pronunciare una frase di quella
portata?
Da giovane, anzi da giovanissimo gli
avevano dato il nobel per la fisica. Il
giorno della premiazione era stato
introdotto ai presenti come il "Profeta
della nuova fisica".
Ancora ventitreenne, sulla base di
precisi calcoli e percorsi logici
inequivoci aveva trovato la conferma
scientificamente provata dell'esistenza
di universi paralleli. Ora, la teoria,
elaborata da Hugh Everett III e
successivamente ripresa e ampliata da
Bryce De Witt, non era più un'audace
costruzione del mondo quantico.
Tuttavia il nobel gli era stato
consegnato anche per un'altro motivo.
Con la sua teoria veniva destrutturato
definitivamente il principio di causaeffetto. Questo poteva essere ristretto
all'attività di accadimenti concreti
riferentisi ai mondi newtoniani, tale
principio però saltava completamente
nel momento in cui si affrontava la
natura sul piano subatomico e su quello
universale cosmologico.
Le fluttuazioni quantiche,
confermavano i suoi studi, si pongono
come un rumore di fondo che disturba il
lavoro del nostro cervello. Le azioni dei
neuroni a livello celebrale non sono
determinate nè da noi stessi nè da
qualcos'altro, esse semplicemente non
sono deteriminate: non c'è causa-effetto,
ma solo casualità.
Il principio di indeterminazione di
Heisenberg escludendo la possibilità di
calcolare contemporaneamente
posizione e velocità di una particella ha
come conseguenza che il neurone, allo
stato naturale, non ha oggettivamente nè
posizione nè velocità. Esso può mettersi
in moto o no, quello che la mente fa è
cercare di determinare un evento (il
moto) e non un'altro (il non moto).
Non esiste allora nessuna scelta.
L'evento si verifica se noi lo osserviamo
e ciò in quanto noi diveniamo parte
dell'universo a cui appartiene quella
casualità. Quell'istante è quello in cui si
formano le infinite casualità e quindi gli
infiniti universi.
Grazie per il Nobel!!!!!
<<Ha ancora senso parlare di scelte che
determinano la propria vita? La vita di
chi?>>
Non c'è presente, nè passato e nè futuro,
essi esistono in un tutto inseparabile.
DISPERAZIONE.
<<Sto malissimo!!!>>
Non poteva urlare...non ne aveva la
forza; non poteva muoversi...non ne
aveva la forza; non poteva ragionare e
razionalizzare...non ne aveva la forza.
Avrebbe voluto fermare il suo cervello,
quel maledetto coso non la smetteva di
bombardarlo di stimoli elettrici. In
questi momenti si sentiva una cavia in
balia della sua stessa mente che andava
completamente alla deriva...almeno
avesse potuto sapere quale...
Quel nero...quello spaventoso nero
cresceva.
<<BASTARDA!!!>>
Arrivava senza avvertire, rimaneva
quanto voleva e poi da un momento
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
all'altro spariva, senza lasciare traccia e
per fortuna, fino ad oggi, senza fare
vittime.
<<Bastarda!! almeno avvertimi quando
decidi di colpire!!>>
Era anche questo che lo mandava ai
matti: non potersi preparare, non potersi
organizzare per tempo. Avrebbe potuto
non fissare appuntamenti con i clienti,
cancellare quelli già presi; poteva non
andare in tribunale e farsi sostituire. Ma
così, di punto in bianco, si sentiva
incatenato. Dalla realtà esterna che lo
costringeva ad agire, a prendere delle
decisione, a fare delle scelte; dal suo
intimo che gli impediva il controllo del
più insignificante neurone, quasi si
attivassero senza una causa.
Certo che la sua fama di imbattibile e
spietato avvocato non poco lo metteva
in imbarazzo quando, solo, si guardava
allo specchio e vedeva il nulla. Il vuoto.
Era imbarazzante sopratutto ora che
difendeva due fra le personalità più
odiate al mondo, i due potenti che per
decenni avevano governato a suon di
guerre preventive.
Lui, l'avvocato Stanislao Kesser Da
Silva, anche questa volta era stato
troppo bravo. Ormai era sicuro, come lo
erano tutti, che i giudici del Tribunale
Penale Internazionale gli avrebbero dato
ragione e avrebbero mandato assolti i
suoi assistiti.
Ma ora era stanco, vuoto e solo.
Ore 11:38 PM.
Lo studio è vuoto.
L'avvocato Stanislao Kesser Da Silva
esce chiudendosi la porta alle spalle.
Guarda con difficoltà le scale che dovrà
scendere.
<<Perchè mi deve far fatica anche il
solo pensare si arrivare a quelle
scale!!>> si chiese.
<<Perchè mi deve far fatica anche il
solo pensare si arrivare a quelle
scale!!>> si chiese.
<<Perchè mi deve far fatica anche il
solo pensare si arrivare a quelle
scale!!>> si chiese.
<<Perchè mi deve far fatica anche il
solo pensare si arrivare a quelle
scale!!>> si chiese.
Occhi rossi, lacrime.
Buio e silenzio.
Un passo, un'altro passo.
Nero, passi, silenzio, silenzio, silenzio...
SCELTE.
Per Cherokee Abdullah Silkh la ricerca
Pagina 19
scientifica aveva una sua ragion d'essere
solo se i suoi obiettivi venivano
costantemente relazionati alla realtà
politica e sociale: non aveva senso
pensare universi paralleli senza pensare
simultaneamente a realtà politiche e
sociali parallelle.
Tracciare queste relazioni biunivoche
era divenuta ben presto una necessità e
pertanto, un giorno, decise che come
portava avanti i suoi studi per
rivoluzionare il mondo scientifico, così
doveva agire per rivoluzionare il mondo
sociale. Una scelta che lo aveva
avvicinato agli ambienti eversivi (o di
lotta rivoluzionaria, dipende dai punti di
vista) fino a divenire un dirigente
d'azione della Comunità Dormiente.
In ogni caso, pensava, a qualunque
universo lui, o meglio il suo Ioosservatore, appartenesse doveva tener
fede agli accordi presi con la Comunità.
Quel lurido infame doveva scomparire
da questa terra e doveva essere la mano
di Cherokee Abdullah Silkh a portare a
termine l'operazione: qualunque cosa
fosse successa, qualsiasi ispettore di
polizia lo avesse ricercato, chiunque
non si fosse fermato davanti alla fama di
cui godeva l'emerito Prof. Cherokee
Abdullah Silkh.
<<Se quegli imbecilli conservatori che
mi hanno dato il nobel sapessero che
sono un dirigente d'azione, un sicario,
della Comunità chissà come ci
rimarrebbero. Come spiegargli che mi
sono stancato da tempo di fare solo
ricerca scientifica; che mi sono chiesto
quale aiuto ho dato agli esclusi con la
mia teoria ed i miei studi>>.
La scelta ormai era stata fatta.
L'universo in cui viveva, aveva deciso,
era l'unico vivibile, l'unico osservabile.
"La Scelta", una volta osservata, aveva
istantaneamente cancellato ogni ansia
ed ogni incubo.
Era lì nel buio in attesa che qualcosa si
muovesse, che l'obiettivo, il bastardo,
uscisse dalla porta del suo fottuto
studio. Sapeva che aveva di fronte un
uomo senza scrupoli, freddo, vigile e
senza esitazioni. Lui invece era stato
sempre un emotivo, solo "La Scelta" lo
aveva trasformato. La imponente
consapevolezza di quell'atto di
autodeterminazione era stata come una
rinascita, sapeva che la realtà è caso,
che il mondo è tale in quanto in tal
modo viene osservato. Si era convinto
che quello in cui viveva era l'unico
mondo possibile. Niente universi
paralleli, niente salti spazio temporali,
niente singolarità casuali da
attraversare.
Le infinite combinazioni di ogni singolo
universo, consideravano sempre un
elevato numero di persone sfruttate e
allora inutile pensare al resto:
combattiamo ora e subito!
Cigolii.
Buio e silenzio.
Un passo, un'altro passo.
Nero.
Passi, silenzio, silenzio, silenzio...
ISPETTORE PALOMA . UN
ALTRO FINALE.
<<Non lo so, non lo so, non so
niente!>>.
Era stato sempre un elemento a suo
favore, pensava. D'altra parte il
crescente nervosismo dell'emerito
Prof.Cherokee Abdullah Silkh non
dipendeva solamente dalla situazione in
cui si era cacciato. Oltre la sua arguzia
(ah! come gli piaceva definirsi arguta ed
usare quel termine mentre parlava)
inevitabilmente la sua carta vincente era
stata sempre il suo aspetto fisico.
Carmen Paloma era definita da tutti una
donnuccia flaccida, fisicamente irritante
e decisamente sovrappeso, ma portava
con sè uno sguardo, quello sguardo!,
inquisitore, pungente e camaleontico.
Uno sguardo che, semplicemente,
insinuava. Gli uomini non potevano
resitergli quando decideva di farsene
uno ed i criminali entravano in un
tunnel di nervosismo nevrotico che li
poneva in inevitabile soggezione.
Forse il mondo l'avrebbe trattata da
donna insignificante se non fosse stato
per quello sguardo che insinuava:
offensivo ed imbarazzante.
<<Non lo so, non lo so, non so
niente!>>.
L'ispettore Paloma sentendo per la
decima volta la frase urlata in tono di
sfida, si mosse verso la fonte di quel
rumore.
Evitava sempre di chiamare, nominare,
scrivere (salvo che negli atti ufficiali
che doveva compilare al Dipartimento
di Polizia) o anche accusare, una
persona per nome e cognome: per lei era
"il soggetto".
Riteneva che comportandosi in tal modo
distruggeva qualsiasi filo di contatto,
per quanto fiebile fosse, che per pura
casualità potesse sorgere tra lei ed il
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
perseguito. Oltretutto, non poteva
nascondere a se stessa che di fatto
adorava utilizzare nei suoi discorsi una
terminologia astratta e asessuata, cosa
che la riusciva a far sentire superiore
anche a Dio, anzi al "Soggetto che
starebbe lì su".
Aspetto fisico, sguardo ed uso dei
termini astratti: una combinazione
devastante. Imbarazzante per chi ne era
oggetto...per la vittima. <<Meglio della
macchina della verità!! anzi no, meglio
della tortura!!>> sghignazzava sempre
tra sè, sopratutto quando era a lavoro.
Ore 5:27 AM.
Questa volta però era in difficoltà.
E' vero il soggetto-avvocato era sparito
da ore. L'ultimo soggetto che lo aveva
visto era stato il collaboratore che se ne
era tornato a casa verso le 10:00 PM e
lo aveva lasciato solo a studio . Diceva
che spesso l'avvocato rimaneva a
meditare per un po' da solo, ma quella
notte si era persa ogni traccia.
E' vero, avevano fermato un soggetto a
100 metri dallo studio, che era stato
identificato come quella specie di genio
un po' indiano, un po'arabo ed un po'
nativo americano che veniva chiamato
Profeta della nuova fisica!
<<Agente, lo lasci andare..ne ho
abbastanza di sentire argutamente quella
voce così sgradevole!>>
SOUNDTRACK, CHIUSURA.
Sai che non esiste un rimedio, devi
resitere.
Il mondo dei tuoi pensieri è colorato di
blu e nero. Questa sensazione non è
tristezza è la tensione che senti per
l'impotenza e l'impossibilità di
controllare il tuo destino, di scegliere la
tua esistenza.
Desideri cercare un senso, però per
trovarlo non basta avere un obiettivo
perchè è necessario conoscere la strada
per raggiungerlo e devi avere la forza
per percorrerlo quel sentiero.
Il tempo trascorre, continui a cercare
una musica che sia in sintonia con il tuo
stato d'animo. I tuoi pensieri sono
ancora blu e neri. Incontri personaggi
che non puoi evitare, che devi
affrontare. Vorresti fuggire anche se tu
sai che la polizia karmica non ti può
prendere perchè desidera solo metterti
paura...e tu hai paura: Questo è quello
che otterrai quando avrai a che fare con
noi. Per un minuto mi perdo in me
stesso...."
Pagina 20
Sei a casa, sei sotto le coperte e
finalmente puoi chiudere gli occhi.
Varchi la soglia della tua mente, un'altro
mondo, un'altro universo. I pensieri
corrono, i suoni si accavallano, suoni
come pennelli: rosso, verde, bianco,
azzurro, viola, marrone...Di più, di più,
ce ne sono sempre di più.
Calma, tranquillizzati. Ora riposa,
perchè non sai in quale universo ti
sveglierai domani.
Onanismi lessicali di
Fernando Bassoli
Muschioso rappreso sbrullato
rancoroso rancido malessere
blando. Bip. Parole immote
aggrovigliate percotendo elusive
sviando annebulate e flaccide
esitabonde tremolanti castrazioni
sperdendo sibilando fibrillanti roride
intorpidite dipanando orlate ronzanti
sussulti frusciando quasi folate di
venticiattolone sfollanti cumuli
lanuginosi di nubi farfuglianti nel
chiarore livido sfumante tra la
penombra azzurrata degradazioni di
luci untose sbrilluccicanti rischiarano
oscillazioni labili filiformi e volubili
incerate trepidanti ma in fondo chete
scemanti nei vicolacei circoletti a
raggiera vagando mollicci melliflui
sussulti. Blop. Blando malessere
r an c ido ra nc or os o s br u l la to
rappreso muschioso. Miciattolando
fioche folli fiammelle nell’aere
illividito addensandosi cupe
pendule. Ops.
Mosaico di un aspirante
alcolista di Fabio Mazza
“”Come ti puzza il culo!!!!” disse la
vacca al mulo: “Sarà la tua puzza di
cacca!!!!”
rispose il mulo alla
vacca…Oh me misero…me
tapino…quanto è grossa la mia
sequoia…trallallero trallallà…figaro
qua…figaro là…”.
È così che conobbi Strego.
All’interno del parco “Mussolini”
barcollava da un albero all’altro
intonando frasi senza senso con una
sigaretta in bocca, una bottiglia in una
mano e il pisello nell’altra. Cercava di
pisciare nella direzione giusta, ma era
talmente sbronzo che riusciva solo a
centrarsi le scarpe. In quella torrida
serata di luglio non avevo proprio nulla
da fare: i miei amici musicisti non
suonavano, il portafoglio era semivuoto,
e quanto alle donne…beh, lasciamo
perdere…
La mia storia con Dorotea era finita da
tre settimane. Per sempre. Nessun’altra
donna. Nessun altro uomo.
Semplicemente l’amore che una mattina
si sveglia e delira così, senza una
ragione. L’amore che non dura.
L’amore che muore perché non è eterno.
Eppure lei, il mio Angelo dai lunghi
capelli rossi, io l’avevo amata
davvero…
Trascorsi le prime settimane ad
ubriacarmi tutte le sere. A vomitare. Ad
ascoltare vecchie canzoni di Nick
Drake. A rileggere le sue lettere. A
rivedere le nostre foto. A piangere. A
masturbarmi…
La classica routine di un uomo
abbandonato.
Dopo 20 giorni decisi di uscire.
Eravamo io ed un insano desiderio di
morte. Una coppia perfetta!!
Ero lucido. E la lucidità della mia mente
mi permise di elaborare tra i miei
pensieri una tristissima e quanto mai
contorta danza di numeri.
Erano 4 ore che non mi tiravo una sega.
8 che non parlavo con nessuno. 16 che
non dormivo. 20 che non bevevo alcool.
Quasi 48 che non toccavo cibo. Quasi
100 che non guidavo. Quasi 150 che
non lavoravo. Quasi 500 che non
parlavo con Dorotea. Quasi 600 che non
la vedevo. Quasi 700 che non sorridevo.
Quasi 800 che non tenevo una donna tra
le braccia…
Sì…800 ore non sono poi molte, sono
più o meno 34 giorni. Come dimenticare
quel momento? Immagini che si
ripetevano nella mente centinaia di volte
al giorno, come un film che si conosce a
memoria.
Avevamo appena finito di fare
l’amore, quella notte. Poi lei raccolse le
ginocchia al mento. Sembrava una
bambina in cerca di protezione. Di
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
tenerezza…
L’abbracciai con la dolcezza di sempre,
la dolcezza che in quei momenti spesso
mi dimostrava lei per prima…ma
appena sfiorai la sua pelle, mi accorsi
immediatamente che c’era qualcosa che
non andava.
“Cos’hai?” le chiesi.
Non mi rispose.
La osservavo sotto la sola luce di una
candela…Dio, quant’era bella con
quello sguardo triste!
Era magnificamente bella!
Accarezzai il suo viso, e con una ciocca
dei suoi capelli le asciugai gli occhi
imbevuti di pianto. Tenevo le mani tra i
suoi capelli e con la mia fronte toccavo
la sua. Vedevo le lacrime nascere dai
suoi occhi e morire tra le labbra. E’ lì
che la baciavo…
Baciavo le sue lacrime e non
dimenticherò mai quel sapore così
amaro. Era veleno!
800 ore prima…
Quel “film” ormai mi tormentava da 34
giorni. In ogni istante della giornata.
Dall’alba al tramonto.
Stavo male. E in quei casi si cerca
sempre un pretesto per stare peggio.
Le probabilità che un bolide grande
quanto il Texas si schiantasse contro la
mia città causando l’estinzione umana
in pochi mesi erano praticamente nulle.
Dovevo accontentarmi di molto meno.
O semplicemente dovevo essere meno
egoista. Così aspirai ad una fine più
“individuale”.
Speravo in un brutto incontro: un
teppista, una banda di nazi armati di
catene, un balordo con la pistola, un
qualsiasi rappresentante della feccia
umana, felice di massacrarmi di botte e
di farmi sputare sangue…
Era l’01:35 circa… ancora un po’
troppo presto per quel tipo d’incontri.
Accesi il televisore per uno “zapping”.
Immagini altamente culturali:
pornocasalinga vista davanti, il
kamasutra in videocassetta alla
“fantastica” offerta di 73.00 €, Selen
vista da dietro, Maurizia Paradiso che
consigliava “Mandingo” per delle
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erezioni mai viste, il culo di Selen
(primo piano), poppe astronomiche
(roba da far vomitare anche il
masturbatore più incallito!), sesso,
sesso, sesso e ancora sesso… Continuai
a giocare con il telecomando fino a
quando qualcosa di veramente
interessante non catturò la mia
attenzione.
MTV: Chris Cornell dei Soundgarden
stava cantando a squarciagola “Jesus
Christ pose”; sembrava un moderno
Messia avvelenato con il mondo, con
tutto e con tutti. Proprio come me.
Nell’ordine su una grande croce si
alternavano un fantoccio woodoo, una
bella ragazza dagli occhi bendati e lo
scheletro di una mezza specie di
“Terminator”. Un concentrato di suoni
condito da immagini subliminali e
provocatorie. Un efficace strumento di
tortura per cardinali fascisti e borghesi
benpensanti. A quel punto spensi il
televisore: ero pronto per la mia
impresa.
Uscii di casa a piedi. Direzione: il parco
“Mussolini”.
Erano anni che non lo vedevo di notte,
forse dai tempi dell’Arcadia. Quando
“chiudevamo” quel locale, le serate
finivano quasi sempre ai giardini di
fronte, davanti ad una bottiglia di vino,
ad una canna, ad una chitarra o ad un
jambè…e se poi c’era Foffo nelle
vicinanze, allora si andava a casa di
qualcuno a cucinare il suo bel guanciale
che teneva costantemente custodito in
macchina…. e se fuori c’erano 33°, beh
questo era solo un dettaglio.
Iniziai a girovagare per il parco
ricordando i vecchi tempi: l’Arcadia,
Foffo, il Vicolo Cieco, i Senzabenza, i
goal di Robby Baggio ai mondiali del
’94, i Traffic Jam, il “Demone Blu”, le
Teste di Legno, il Miro’s Pub, Caterina
e il suo violino, la “Pantera” del ‘90, il
Marsigliese, Nicoletti, San Masseo e
tutto il resto. Dorotea. Tutto il resto.
Dorotea. Tutto…
I giardini erano quasi deserti. Qualche
extracomunitario ubriaco forse, ma
nessuno corrispondeva al soggetto che
stavo cercando. Deluso, mi sedetti su
una panchina ed accesi la trentaseiesima
sigaretta della giornata.
È a quel punto che incontrai
quell’uomo.
Dopo aver finito di pisciarsi sulle
scarpe, mi venne incontro chiedendo
una sigaretta.
“Ma come? Non vedi che ne hai una
accesa in bocca???” avrei dovuto dirgli.
Non lo feci. Anzi gli diedi tutto il
pacchetto.
“Tieni!” gli dissi “ne sono rimaste solo
4, ma puoi tenerle…credo di aver
fumato abbastanza per oggi…”. Le
prese soddisfatto.
Il lampione più vicino era ad una
ventina di metri. La sua luce mi permise
di riconoscere un uomo di 45-50 anni,
di corporatura robusta ma non molto
alto, dai capelli grigi di media
lunghezza e la barba incolta.
“Posso sedermi qui?” mi chiese
umilmente: “Perdonami….ma non ce la
faccio proprio ad arrivare all’altra
panchina…”. Rimasi colpito dalla sua
gentilezza. Insomma: era pur sempre un
“barbone” o una cosa del genere. Avevo
già avuto incontri di quel tipo e ormai
avevo capito che quella vita, la loro vita,
non poteva permettersi la gentilezza.
Era un lusso troppo grande.
Quell’uomo non si reggeva in piedi. Lo
aiutai a sedersi su quella panchina.
Puzzava da fare schifo: una ripugnante
miscela di vomito, alcool, piscio,
sudore, merda…
“Ti ringrazio…Posso sapere il tuo
nome?” mi disse.
“Micky…” gli risposi.
“Sei un guerriero, Micky! si vede dai
tuoi occhi…sei vero…proprio come
Attila…”.
Attila…che cazzo centrava Attila?!?!
Capii immediatamente che avevo a che
fare con un povero pazzo.
Un pazzo innocuo: i suoi occhi
esprimevano tutto tranne la violenza o
l’odio…
Non era proprio quello che stavo
cercando, non era come incontrare
“Gianluchino”, Leo lo zingaro, il Negro
o gli altri delinquenti che in quel
periodo bazzicavano la mia città, ma
forse l’incontro con un vagabondo
sarebbe stato altrettanto violento per la
mia anima.
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
Forse mi avrebbe fatto ugualmente
male.
Decisi di parlare con lui: “Tu invece,
come ti chiami?”.
“Puoi chiamarmi Strego…” mi rispose.
Strego (e chissà qual era il suo vero
nome) doveva avere sicuramente
qualche rotella fuori posto…molto
probabilmente un acido gli aveva
spappolato parte del cervello durante la
fase lisergica degli anni ’70, quando era
leader dei METEORA, gruppo
progressive rimasto conosciuto soltanto
nella scena musicale bolognese. A
quanto pare quel nome non gli portò
molta fortuna…
In realtà la nostra conversazione non
durò molto. Mi disse che il giorno
seguente avrebbe fatto qualcosa di
“veramente strepitoso” e che se ne
avevo voglia me ne avrebbe parlato la
sera stessa al bar della stazione, magari
davanti a qualche birra… Mi disse che
negli ultimi mesi viveva tra Latina e
Latina Scalo e che in primavera aveva
fatto la comparsa per un documentario
sul medioevo che stavano girando a
Sermoneta.
“Dovevi vedermi…” mi disse “ero
bellissimo, col mio arco e le mie frecce.
Ero un arciere!”.
Alla fine di quella frase il vino gli risalì
tutto in una volta e cominciò a vomitarsi
addosso.
Quando finì lo aiutai a coricarsi sulla
panchina. Dopo pochi minuti si
addormentò piangendo.
Nel sonno ripeteva continuamente una
specie di mantra: “avrei ricoperto il tuo
corpo con petali di rose…avrei
ricoperto il tuo corpo con petali di
rose…avrei ricoperto il tuo corpo con
petali di rose… “.
Decisi di tornare a casa.
Dormii ininterrottamente per 13 ore,
disertando il lavoro ancora una volta.
Sicuramente cercarono di contattarmi
un’infinità di volte, ma il mio cellulare
era disperso da tempo immemorabile, e
quanto al telefono di casa, era stato
distrutto durante una mia fase di
isterismo alcolico.
Forse mi avevano già licenziato…
Feci colazione alle 6.30 del pomeriggio
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con una spremuta di arancia, una vodka
gelata, una brioche, ed una vodka
gelata. Qualche ora dopo mangiai uno
squallido piatto di pasta in bianco.
Infine decisi di andare alla stazione a
trovare Strego. Prelevai 100 € dal
Bancomat: se qualche giorno prima il
mio conto era vicino allo zero, adesso
stava veramente franando.
“Vai, Strego!” pensai dentro di me:
“stasera offro io…”.
Dopo una settimana risalii a bordo della
mia Alfa 33 grigio ardesia del ’91.
“Una vera macchina da coatto!!!” mi
diceva sempre Foffo, anche quando era
quasi nuova…Io l’ho sempre adorata.
Arrivai alla stazione poco prima di
mezzanotte e al bar ordinai la terza
vodka della giornata.
Chiesi informazioni al ragazzo che
serviva dietro al bancone.
<<Ma chi, Strego?! Certo che lo
conosco!!>> mi disse: <<Spesso
trascorre le notti qui alla stazione, in
sala d’attesa…ma non credo che si farà
vedere per un bel po’…ho appena
saputo che oggi l’ha combinata davvero
bella! Del resto si vedeva che quello era
proprio scemo…>>.
Il cameriere mi raccontò “quella cosa
strepitosa” di cui la sera prima Strego
fece solo un vago accenno. Per me
Strego non era più un pazzo. Era un
poeta, forse l’unico che abbia mai
incontato…
Chiesi al cameriere una bottiglia di
Martini Bianco, bella fredda. Risalii in
macchina e cominciai a correre senza
meta con una mano al volante e l’altra
al Martini. Poi mi diressi a Roma. Sulla
Pontina sfiorai diverse volte i 190 km
orari. Poco prima dell’EUR la bottiglia
era finita…
Girai per il quartiere delle puttane:
alcune erano africane, molte
dell’est…non so perché ero arrivato lì,
non avevo mai pagato per scopare e non
avevo alcuna intenzione di farlo quella
sera.
Una ragazza mi costrinse a fermarmi.
<<Ehi, bello! Ti va di stare un po’ con
Irina?>>.
Avrà avuto 20 anni, forse meno… era
bellissima, dal corpo esile e i capelli
lunghi e neri. Indossava
una
microgonna di pelle nera, dalla quale si
intravedeva un perizoma rosso, gli
stivali alti fino al ginocchio dello stesso
colore ed una magliettina aderente corta
fino all’ombellico…
La feci salire in macchina. <<Devi
pagarmi subito.>> mi disse: <<sono 60
€…>>.
Glieli diedi e le chiesi dove dovevo
andare. <<Non possiamo allontanarci
troppo, altrimenti “lui” s’incazza e mi fa
storie…>>. Mi fece fermare ad una
traversa di via dell’Umanesimo.
<<Ecco. Puoi parcheggiare qui…>>.
“Qui” era tra un bidone della spazzatura
ed una campana per la raccolta
differenziata.
Cominciò a spogliarsi mettendo in
mostra i suoi seni, piccoli ma ben fatti.
L’abbracciai e tentai di baciarla come
fino a poco tempo prima facevo con
un’altra.
<<….e no bello!! Questo non lo puoi
proprio fare…E’ la prima volta con una
di noi, vero? Guarda: si fa così…>>.
Mi sbottonò la camicia e poi i pantaloni.
Iniziò ad accarezzarmi il torace e a
leccarmi. Poi scese sempre più giù:
cominciò a manipolarlo con le mani e
con la lingua. Me lo prese in bocca…
Rimasi inerme.
<<C’è qualche problema?>> mi chiese.
<<Credo proprio di sì…>> le risposi
con un infinito imbarazzo.
<<Scusami…non so neppure io perché
ti ho fatto salire in macchina…>>.
<<Ok, magari sarà per un’altra volta,
d’accordo?>>.
Aprì lo sportello e se ne andò via,
lasciandomi così: vicino ad un bidone
della spazzatura, con 60 € in meno ed
un cazzo morto in mezzo alle gambe.
Mi sembrava di nuotare in un oceano di
merda…
Continuai a girare per le vie di Roma
finchè la macchina mi lasciò a piedi,
senza benzina.
Era quasi l’alba. Entrai in un bar. Il
primo che trovai aperto. Ordinai una
vodka gelata. Doppia.
Avevo due strade di fronte a me.
ANONIMA SCRITTORI
Rorschach 2004 / Marzo
Berla tutta in un sorso e poi ordinarne
un’altra e dopo un’altra ancora…
Oppure lasciare il bicchiere lì intatto.
Pagare ed andarmene…
EPILOGO
La mattina precedente, Strego si era
alzato da quella panchina. Dopo due ore
di elemosina riuscì a comprarsi due
cartoni di Tavernello. Nel primo
pomeriggio li aveva già finiti.
Successivamente andò in un
nascondiglio che conosceva solo lui.
Indossò un costume medievale, quel
costume che forse in un modo o
nell’altro era riuscito a far sparire dal
set, a Sermoneta, qualche mese prima.
Con sé teneva pure l’arco. Gli
mancavano solo le frecce. Vagò per il
centro della città così, vestito da arciere
medievale e con un elmo in testa.
Fuori il termometro toccava i 37°.
Si fermò a Piazza del popolo, di fronte
alla torre dell’orologio. A pochi metri
dalla fontana iniziò a far scoccare l’arco
contro il quadrante dell’orologio. Senza
frecce. Tendeva l’arco e lasciava la
presa. Non fece in tempo a lanciare la
nona delle sue frecce immaginarie che
in lontananza già si sentiva il suono di
una sirena.
Due portantini scesero dall’ambulanza e
gli misero la camicia di forza, un terzo
gli fece un’iniezione. Strego non oppose
alcun tipo di resistenza.
Da allora in città non lo vide più
nessuno.
Dedicato a tutti quelli che sono ancora
fermi di fronte a “quel” bicchiere.
Ora Basta! di Francois De
Gerard
Si avvisano i lettori
che questa storia
contiene elementi
violenti, pornografici
e blasfemi. Se hai meno
di 18 anni clicca EXIT
e levati dal cazzo.
LOCATION: studio medico
dott. Solli
Pagina 23
ORE: 16:00 del 4 marzo 2004
Mi ha detto che le macchie
di Roscharch sono una
stronzata. Certo, tu me le
mostri per “vedere” meglio
dentro di me, ma quando ne
ho parlato con lui mi ha
raccontato una strana
storia.
Ti va di parlarne?
Certo, sono qui per
questo.
Lui racconta che Roscharch
si era fatto di erba e
assenzio e beveva il caffè
con degli amici in un bar.
Era il 1921. La base sporca
della tazza aveva disegnato
cerchi di caffè su un
tovagliolo*. Lui li guardò
a lungo e poi disse:
“cazzo, ci vedo le
olimpiadi!”.
Ma torniamo alla macchia
che ti ho dato: cosa ci hai
visto? Hai avuto 3 giorni
per pensarci.Ci vedo una
rosa, una rosa piegata in
giù come se volesse
raccogliere qualcosa o
raggiungere l’acqua. Ma è
fresca, non appassita,
potrebbe essere piegata dal
vento forte.
E l’hai mostrata a lui?
Sì…
Ti va di dirmi cosa ha
detto?
Ci ha visto il mostro di
Loch Ness che nuota in
fondo al lago di notte come
se una telecamera lo
riprendesse dal basso.
Devi smettere di vederlo,
credimi, per il tuo bene.
Tu credi a questa storia o
pensi che se la sia
inventata?
Non so, ha molta fantasia,
ma potrebbe essere vero, sa
un sacco di cose.
Non è che magari lo ami
troppo e quindi attribuisci
un valore eccessivo a
quello che dice?
Anche questo forse è vero.
Sai, sono confusa anche sui
suoi sentimenti nei miei
confronti.
Cosa ti ha spinto a questa
osservazione? E’ la prima
volta che lo dici.
Ieri eravamo al telefono
ed io ero giù. Avevamo
discusso parecchio e stavo
piangendo. Quando lui ha
sentito i miei singhiozzi
ha detto: “non chiedermi il
perché, ma mi è venuta
voglia di farmi una sega
micidiale ”
La fine del racconto di
Francois de Gerard e tutti gli
altri contributi relativi alla
macchia di marzo su:
www.anonimascrittori.it
Questo tizio è
psicopatico. No, davvero,
non scherzo. Dovresti
cominciare seriamente a
pensare che è un pericolo o
può comunque diventarlo.
ANONIMA SCRITTORI