libro del Levitico
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LEVITICO Vai a: Navigazione, cerca Il Levitico (ebraico ויקראwayqrà' , "e chiamò", dall'incipit; greco Λευιτικόν, levitikòn; latino Leviticus) è il terzo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana. È scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. È composto da 27 capitoli contenenti unicamente leggi religiose e sociali, ad uso dei sacerdoti e dei leviti, che Mosè avrebbe dato agli Ebrei durante il soggiorno nel deserto del Sinai (circa 1200 a.C.). Indice 1 Introduzione 2 Formazione 3 Contenuto 4 Aspetti religiosi 5 Collegamenti Introduzione Il libro del Levitico è inserito al centro della parte relativa al Sinai, che inizia con Esodo 19 e finisce con Numeri 10. Il nome gli deriva dal contenuto eminentemente legislativo, proprio dei Leviti, i membri della tribù di Levi, ai quali era affidato il compito di sorvegliare il tabernacolo e il tempio. Il libro è infatti incentrato sulle leggi e le norme culturali-ritualistiche relative ai sacrifici, al sacerdozio, alla consacrazione dell'altare ed alle feste. Questo ne fa una delle fonti principali per il diritto ebraico. Formazione Secondo l'opinione tradizionale ebraica e poi cristiana il libro del Levitico sarebbe stato scritto da Mosè in persona. Questa opinione è mantenuta da quei gruppi religiosi che rifiutano il metodo storico critico nello studio della bibbia. La maggioranza degli esegeti moderni ritiene che tutto il Pentateuco sia in realtà una raccolta tarda di scritti di epoche diverse. Il libro del Levitico è costituito per gran parte da testi scritti in epoca esilica e postesilica, e quindi di matrice sostanzialmente sacerdotale, anche se è indubbio che molte delle leggi ivi contenute riflettano pratiche rituali arcaiche. Contenuto Il libro è costituito da due grandi sezioni, contenenti molte delle formule tipiche delle mitzvot ebraiche. La prima parte, corrispondente ai capitoli 1-16 descrive in modo dettagliato i rituali del culto, suddivisi in: leggi relative alla regolamentazione dei differenti tipi di sacrificio e delle offerte 1-7 applicazione pratica delle leggi sacrificali, con un inserto narrativo sulla consacrazione di Aronne e dei suoi figli 8-10 leggi sulla purificazione rituale 11-15 giorno dell'espiazione o Yom Kippur 16 La seconda parte 17-26, nota come Codice di Santità, è incentrata sulla legge di santità. In questa sezione vi sono: leggi sull'idolatria, il sacrificio animale e sulla proibizione di mangiare il sangue 17 leggi sulla condotta sessuale, sulla magia ed il malocchio 18-20 leggi sulla condotta dei sacerdoti 21-22 leggi sull'osservanza delle feste 23 leggi concernenti l'altare e la pena di morte 24 leggi sul sabato ed il giubileo 25 pene previste per l'inosservanza dei precetti 26. Chiude il libro una piccola sezione 27 relativa ai voti. Aspetti religiosi Nonostante il Levitico sia un'opera a carattere fondamentalmente legislativo, i molti precetti contenuti fanno riferimento a concetti teologici di primaria importanza nel panorama religioso ebraico e cristiano. Alcune tematiche legate ai riti liturgici presenti nel libro, quali il sacrificio, il peccato, la purità e la santità fanno del Levitico un'opera centrale per la comprensione delle dinamiche etico-sociali della cultura ebraica delle origini. Le istruzioni contenute sono il viatico per la santificazione dei fedeli, che mediante i riti sacrificali e purificatori e le offerte rendono grazie a Dio ed entrano in comunione con la divinità. Nell'etica e nella religione, si parla di peccato come di un atto moralmente illecito, una condotta considerata riprovevole, in contrasto con la coscienza e con i principi e le norme morali riconosciute dalla persona e nell'ambito della società in cui vive. Alcuni psicologi però riducono il peccato al disagio psico-fisico di chi va contro un'abitudine: il costume. Da cui il senso di colpa, quale appetizione non appagata nel soddisfacimento d'uno schema abituale. In alcune religioni l'atto peccaminoso consiste generalmente nel superare, anche involontariamente, i limiti posti dalla sfera delle cose sacre e quella delle cose profane. In tale caso più che riprovevole moralmente, il peccato è considerato pericoloso perché può attirare sul peccatore e su tutta la comunità la maledizione della divinità offesa e perciò richiede una qualche sorta di espiazione affinché l'equilibrio turbato sia ristabilito. In altre religioni il peccato attiene alla sfera morale e alla volontà ed è strettamente individuale, sebbene possa avere anche delle ripercussioni sociali. Il concetto di peccato è strettamente collegato a quello della Legge di Dio, legge definita rivelata e conservata nelle Sacre Scritture di cui esso rappresenta la trasgressione. Per trasgressione si intende non solo ciò che si commette (commissione) ma anche ciò che si omette (omissione) di fare. È quindi un atto consapevole e responsabile, compiuto volontariamente dalla creatura umana, anche se non è assente il concetto di colpa involontaria. Esso non viene perciò definito come un solo atto singolo peccaminoso, a differenza di quanto spesso si crede, ma è inteso come un atteggiamento di disubbidienza e di rivolta verso Dio che ha la sua origine nel cuore stesso dell'essere umano. Non si tratta dunque di una semplice trasgressione dei comandamenti, ma di una negazione di riconoscenza, misconoscimento dei benefici della divinità, si rifiuta di avere fede in essa, e alla volontà di Dio si sostituisce la propria volontà umana. Alienazione da Dio. Dunque nella Bibbia il peccato non è solo una trasgressione di un ordinamento morale, ma una condizione di alienazione da Dio. Per i grandi profeti dell'Antico Testamento il peccato è molto di più che una violazione di un tabù o la trasgressione di un comandamento. Esso significa l'interruzione di un rapporto personale con il divino, un tradimento della fiducia che esso ha riposto in noi. È proprio quando ci mettiamo a confronto con la santità di Dio che diventiamo particolarmente consapevoli della nostra peccaminosità (cfr. Isaia 6:5; Salmo 51:1-9; Luca 5:8). La corruzione del cuore. Gli atti peccaminosi derivano essenzialmente dalla corruzione morale del nostro cuore (Genesi 6:5; Isaia 29:13; Geremia 17:). Per l'apostolo Paolo, il peccato (`αμαρτία) non è tanto una consapevole trasgressione della legge di Dio, ma una costante e debilitante condizione di inimicizia con Dio. Nella teologia di Paolo il peccato viene quasi personalizzato. Può essere inteso come una potenza maligna e personale che tiene in pugno l'umanità. Universalità del peccato. La testimonianza biblica pure afferma l'universalità del peccato. Paolo afferma: "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio" (Romani 3:23). "Non c'è sulla terra nessun uomo giusto che faccia il bene e non pecchi mai" (Ecclesiastico 7:20); "Chi può dire: «Ho purificato il mio cuore, sono puro dal mio peccato?»" (Proverbi 20:9); "Tutti si sono sviati, tutti sono corrotti, non c'è nessuno che faccia il bene, neppure uno" (Salmo 14:3). L'incredulità. Al cuore del peccato sta l'incredulità. Esempi di questo ricorrono per tutta la Bibbia. In Genesi 3, Adamo ed Eva credono alla parola del tentatore più di quanto credano a quella di Dio; nei vangeli Gesù è respinto dai capi di Israele; in Atti 7, Stefano è lapidato da una folla turbolenta; in Giovanni 20:24,25 Tommaso rifiuta di credere, per fede, alla risurrezione di Gesù. La durezza di cuore. Anche la "durezza di cuore", strettamente legata all'incredulità (Marco 16:14; Romani 2:5) appartiene all'essenza del peccato. Significa rifiutare di ravvedersi e di credere alle promesse di Dio (Salmo 95:8; Ebrei 3:8-15: 4:7). Esso caratterizza l'ostinata indisponibilità ad aprirsi all'amore di Dio (2 Cronache 36:13; Efesini 4:18) ed il suo corollario – insensibilità ai bisogni del prossimo (Deuteronomio 15:7; Efesini 4:19). Manifestazioni del peccato. Laddove l'essenza del peccato è l'incredulità o la durezza di cuore, manifestazioni principali del peccato sono orgoglio, sensualità e paura. Altri aspetti significativi del peccato sono l'autocommiserazione, l'egoismo, la gelosia e l'avidità. Effetti del peccato. Gli effetti del peccato sono asservimento morale e spirituale, senso di colpa, morte e inferno. Giacomo lo spiega così: "Ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce. Poi la concupiscenza, quando ha concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quando è compiuto, produce la morte" (1:14,15). Nella prospettiva di Paolo: "il salario del peccato è la morte" (Romani 6:23; cfr. 1 Corinzi 15:56). L'origine del peccato. L'origine del peccato viene definita un mistero ed è legata al problema del male. Il racconto su Adamo ed Eva infatti non ci fornisce una risposta razionalmente soddisfacente del peccato o del male (né pare possa esserne l'intenzione), ma si limita a fornire un'interpretazione della condizione umana. Secondo il racconto, prima del peccato umano vi era il peccato demonico, il quale fornisce l'occasione per la trasgressione umana. La teologia ortodossa, sia cattolica che protestante, parla di una caduta di angeli precedente alla caduta dell'uomo e viene attribuita all'abuso fatto del dono divino della libertà. È consenso generale fra i teologi ortodossi che il male morale (il peccato) mette le basi stesse del male fisico (i disastri naturali), ma come esattamente l'uno causi l'altro rimane oggetto di speculazioni. La dottrina cattolica distingue tra peccato personale e peccato originale. I peccati personali possono essere mortali o veniali. I peccati mortali sono i peccati più gravi, in cui il peccatore è pienamente consapevole che l'atto (od omissione) è un peccato, ma lo compie (od omette) comunque, con un pieno consenso deliberato. Un peccato mortale taglia fuori il peccatore dalla grazia di Dio, ed è di per sé un rifiuto di Dio. Se non riconciliati i peccati mortali condannano al castigo eterno dell'inferno. I peccati veniali sono peccati non così gravi come quelli mortali. Tuttavia, i peccati veniali guastano il rapporto tra Dio ed il peccatore, che in quanto tale, deve essere riconciliato con Dio, attraverso il sacramento della riconciliazione o quello dell'Eucaristia. La riconciliazione è un atto della misericordia di Dio, e affronta la colpa e la pena eterna per il peccato. Il Catechismo Maggiore di Papa Pio X elenca: I sei peccati contro lo Spirito Santo Disperazione della salvezza Presunzione di salvarsi senza merito Impugnare la verità conosciuta Invidia della grazia altrui Ostinazione nei peccati Impenitenza finale I quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio Omicidio volontario Peccato impuro contro natura Oppressione dei poveri Defraudare la giusta mercede a chi lavora I sette vizi o peccati capitali I vizi capitali compaiono in Aristotele che li definisce "gli abiti del male". Al pari delle virtù, i vizi derivano dalla ripetizione di azioni che formano nel soggetto che le compie una sorta di "abito" che lo inclina in una certa direzione. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, viene elencata una lista di sette vizi (o peccati) capitali da cui ogni buon cattolico dovrebbe guardarsi. Sono stati introdotti ufficialmente da Tommaso d'Aquino nel XIII secolo ma l'elencazione originaria di Giovanni Cassiano prevedeva un peccato in più (Tristitia-tristezza). Superbia Avarizia Lussuria Ira Gola Invidia Accidia I sette vizi capitali hanno anche ispirato varie opere artistiche Giubileo Universale è una festività religiosa della Chiesa cattolica. È anche detto Anno Santo. Il Giubileo, che riprende il nome da quello ebraico, è l'anno della remissione dei peccati, della riconciliazione, della conversione e della penitenza sacramentale. L'anno giubilare è soprattutto l'anno di Cristo, portatore di vita e di grazia all'umanità. Nel Nuovo Testamento Gesù si presenta come Colui che porta a compimento l'antico Giubileo, essendo venuto a "predicare l'anno di grazia del Signore" (Isaia). Il Giubileo, comunemente, viene detto "Anno Santo", non solo perché si inizia, si svolge e si conclude con solenni riti sacri, ma anche perché è destinato a promuovere la santità di vita. Il Giubileo può essere: ordinario, se legato a scadenze prestabilite; straordinario, se viene indetto per qualche avvenimento di particolare importanza. Indice 1 Storia 2 Riti del Giubileo 3 Eventi particolari di singoli giubilei 4 Voci correlate 5 Collegamenti esterni 6 Note Storia Un evento che precorse per certi versi il Giubileo fu la Perdonanza istituita da papa Celestino V: il 29 settembre 1294 con la Bolla del Perdono egli stabilì che recandosi nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio nella città dell'Aquila, tra il 28 ed il 29 agosto, veniva concessa l'indulgenza plenaria a tutti i confessati e pentiti. La Perdonanza, che si ripete tuttora, ha in comune con il Giubileo l'indulgenza in cambio del pellegrinaggio. Lo stesso Papa (abruzzese d'adozione, ma di origini molisane), promulgò l'Indulgenza Plenaria anche per la città di Atri (purtroppo la bolla è andata perduta): il primo portale del lato destro della Cattedrale è una Porta Santa che viene aperta il 14 Agosto e chiusa 8 giorni dopo. Anche questa Indulgenza, la più lunga del mondo dopo quella di Roma, ha le stesse caratteristiche della Perdonanza aquilana [1]. Pochi anni dopo il successore di Celestino, papa Bonifacio VIII, istituì il primo Giubileo con la Bolla Antiquorum habet fidem emanata il 22 febbraio 1300. Con questa bolla si concedeva l'indulgenza plenaria a tutti coloro che avessero fatto visita alle Basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura, per tutta la durata dell'anno 1300; questo Anno Santo si sarebbe dovuto ripetere in futuro ogni cento anni. Dante riferisce nella Divina Commedia che l'afflusso di pellegrini a Roma fu tale che divenne necessario regolamentare il senso di marcia dei pedoni sul ponte di fronte a Castel Sant'Angelo: Nel 1350 Papa Clemente VI, per parificare l'intervallo a quello del Giubileo ebraico, decise di accorciare la cadenza a 50 anni. In seguito l'intervallo fu abbassato a 33 anni da Urbano VI, periodo inteso come durata della vita terrena di Gesù, e ulteriormente ridotto a 25 anni da Paolo II, dal 1470. Alcuni Pontefici hanno anche proclamato degli Anni Santi straordinari, al di fuori di questa scadenza. Ad esempio, Pio XI l'8 aprile del 1933 concesse il 24° Giubileo in occasione della ricorrenza centenaria della Redenzione. Nella sua bolla Quod nuper si bandisce l'anno santo, esaltando la pace. Giovanni Paolo II indisse un Anno Santo straordinario nel 1983 in occasione del 1950o anniversario della Morte e Risurrezione di Cristo. Papa Benedetto XVI ha anche proclamato l'Anno Paolino, uno speciale anno giubilare dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009, dedicato all'apostolo Paolo di Tarso, in occasione del bimillenario della nascita del santo (collocata dagli storici tra il 7 e il 10 d.C.). L'ultimo Anno Santo celebrato è stato il Grande Giubileo del 2000, mentre il prossimo ordinario sarà nel 2025. Anche le condizioni per lucrare l'indulgenza sono variate nel tempo. Ad esempio, per il Grande Giubileo del 2000 era possibile lucrarla anche con il pellegrinaggio in un santuario della propria Diocesi (indicato dal Vescovo), oppure offrendo assistenza ad ammalati o carcerati. Riti del Giubileo La Porta Santa della basilica di San Pietro. Esattamente il Giubileo dura un anno più alcuni giorni, infatti inizia con il Natale precedente (25 dicembre) e termina con l'Epifania successiva (6 gennaio). Il rito più conosciuto del Giubileo è l'apertura della porta santa: si tratta di una porta che viene aperta solo durante l'Anno santo, mentre negli altri anni rimane murata. Hanno una porta santa le quattro basiliche maggiori di Roma: San Pietro, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura e Santa Maria Maggiore. Il rito della porta santa esprime simbolicamente il concetto che, durante il Giubileo, è offerto ai fedeli un "percorso straordinario" verso la salvezza. L'inizio ufficiale del Giubileo avviene con l'apertura della porta santa della basilica di San Pietro. Le porte sante delle altre basiliche vengono aperte nei giorni successivi. In passato la porta veniva smurata parzialmente prima della celebrazione, lasciando un diaframma che il Papa rompeva con un martelletto; quindi gli operai completavano la demolizione. In occasione del Giubileo del 2000, invece, il papa Giovanni Paolo II ha introdotto un rito più semplice e immediato: il muro è stato rimosso in anticipo lasciando solo la porta chiusa, che il papa ha aperto spingendo i battenti. Le porte sante rimangono aperte (a parte la normale chiusura notturna) fino al termine dell'Anno santo, quindi vengono murate di nuovo. Eventi particolari di singoli giubilei Giubileo del 1390 - Per conseguire l'indulgenza era necessario recarsi in visita alle quattro grandi Basiliche di Roma; Giubileo del 1625 - Fu decretato che i religiosi di clausura, gli infermi e i prigionieri potessero acquistare l'indulgenza senza recarsi a Roma; Giubileo del 1700 - Il papa Innocenzo XII morì durante il Giubileo; Giubileo del 1800 - Il previsto Giubileo non venne celebrato in quanto Roma era occupata dalle truppe francesi. Giubileo del 1900 - Papa Leone XIII chiese che venissero innalzati monumenti a Gesù Redentore in tutte le regioni d'Italia, uno per ogni secolo di redenzione del mondo (all'epoca le regioni erano 19), vennero erette 16 statue di cui tre nel Lazio.