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n° 367 - novembre 2014
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Direttore Responsabile Lorenzo Gualtieri - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Edificio L - Strada 6 - Centro Direzionale Milanofiori
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L’artista dopo le trincee
A cento anni dall’inizio della Prima guerra mondiale una riflessione sull’impatto,
comunque sconvolgente, che il conflitto ebbe sulle arti figurative del periodo
Le tracce della guerra non restano solo
nelle macerie delle città distrutte, ma
anche negli occhi e nelle anime di chi
in prima linea ha conosciuto la tragedia, come alcuni artisti che hanno
vissuto il grande orrore sulla propria
pelle e hanno cercato di trasmetterlo
attraverso le loro opere. È evidente
che neppure quando terrore e distruzione sembrano non lasciare spazio
ad altre sensazioni, l’arte può tacere. Da sempre l’uomo si esprime attraverso forme, colori e suoni, perfino
quando tutto sembra essere perduto
e mancano anche i beni di prima
necessità, quando non si vive, ma si
sopravvive. L’arte è una forma di comunicazione innata, è parlare attraverso colori, è espressione attraverso
forme, è evasione nell’astratto, è pace
nell’armonia, è porto sicuro nel caos.
La difficoltà di tradurre gli sconvolgenti orrori bellici in opere d’arte è
stata individuata come una delle caratteristiche fondamentali del rapporto degli artisti europei con gli
eventi accaduti in quegli anni. La
Prima Guerra Mondiale ha prodotto
tuttavia una grande quantità di materiale figurativo di natura eterogenea, come gli appunti grafici dei soldati al fronte, le cartoline e i manifesti murali, le illustrazioni sui giornali di trincea rivolti alle truppe come nel caso di Soffici su “La Ghirba”fino alle fotografie ufficiali intrise di
retorica e propaganda.
La Grande Guerra è stata Grande Crisi
non solo per l’uomo comune che si è
visto privare degli affetti più cari, in
un mondo che non riconosce più e che
non sa a cosa può arrivare, ma anche
Grande Crisi dell’artista, che da sempre si fa portavoce dell’epoca in cui
vive e che si trova spiazzato di fronte
ad una tragedia di una dimensione
inaudita e totalizzante.
Il conflitto non è altro che l’acme delle
Umberto Boccioni: Carica di lancieri - Milano, Museo del Novecento
grandi tensioni sociali che già avevano preso avvio negli anni precedenti all’attentato di Sarajevo, tragico evento che divenne pretesto per
lo scoppio della guerra.
Non c’è via di fuga dal dolore, nes-
Otto Dix: Il trittico della Guerra - Dresda, Gemaldegalerie Neue Meister
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suno è al riparo, non viene risparmiato
niente, si raggiungono livelli estremi
di sofferenza e distruzione, come mai
prima di allora era accaduto. Le operazioni belliche attuate fino a quel
momento non si erano mai neppure
lontanamente avvicinate alla portata
della prima Guerra Mondiale, le cui
stime sono di 8,5 milioni di morti e
20 milioni di feriti gravi, per non contare l’enorme distruzione di risorse
materiali, che a livello economico si
traduce in un aumento vertiginoso
del debito pubblico degli stati coinvolti.
Come sempre l’animo dell’artista è
più incline ad accorgersi dei cambiamenti e a metterli in risalto per portarli alla vista di tutti; infatti i primi
segni della crisi sono già evidenti con
la nascita delle cosiddette “Avanguardie artistiche” del Novecento, i cui
Manifesti iniziano a diffondersi in opposizione alla tradizione a partire dal
primo decennio del Ventesimo secolo,
per dar voce al clima di disagio che
anima più o meno apertamente tutta
l’Europa.
Il Futurismo è uno dei primi movimenti che testimoniano il malessere
sociale, e promuove una trasformazione ancora più radicale di quella già
in atto; Marinetti nel 1909 ne scrive
il Manifesto, in cui afferma: «Diamoci in pasto all’Ignoto, non già per
disperazione, ma soltanto per colmare
i profondi pozzi dell’Assurdo!» e ancora: «Non vi è più bellezza se non
nella lotta. Nessuna opera che non
abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. […] Noi vogliamo
glorificare la guerra - sola igiene del
mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari,
le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna». Inizialmente
la guerra è vista come un atto necessario per uscire dalla decadenza ed è
così che molti artisti prendono parte
direttamente alle azioni belliche. Otto
Dix è un pittore tedesco che entra fra
gli entusiasti volontari dell’esercito,
combatte sia sul Fronte Occidentale,
che sul Fronte Orientale; nel corso
della guerra è ferito e decorato più
volte, ma presto l’eccitazione lascia
il posto all’orrore, che si riversa nel
tagliente e stridente segno pittorico
dell’artista, che non permette fraintendimenti.
Dix, esponente della Nuova Oggettività, corrente che cerca una rappresentazione della realtà senza trucco,
osserva le cose concrete con amara
Ernst Ludwig Kirchner: Autoritratto da soldato
Oberlin, Allen Memorial Art Museum, Oberlin College
Otto Dix: Invalidi di guerra giocano a carte Berlino, Neue Nationalgalerie
Georg Grosz: Metropolis
Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza
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Mario Sironi: Soldati - Collezione privata
acutezza e con una rigidità descrittiva quasi glaciale, usando l’arte come
un’arma rivolta contro la corrotta e
malata società del dopoguerra. Le sue
opere più celebri sono incentrate su
temi forti come la battaglia e la morte
al fronte, i reduci storpi nelle città
del dopoguerra, le deformità, il rapporto tra eros e morte, oltre a numerosi ritratti e autoritratti che realizzerà con costanza per tutta la vita.
Le tele di Dix sono così crude che
creano grande scandalo e turbamento
e spesso vengono rimosse dai musei
per la dura realtà delle immagini. Le
sue opere parlano della vita di trincea, dello straniamento a cui vanno
incontro i soldati costretti a vivere
nel terrore, nell’ombra, perdendo ogni
briciolo di umanità; Suicidio in trincea del 1924 raffigura la tragicità della
morte volontariamente scelta da un
soldato, ormai ridotto ad un turpe
scheletro, con il fucile ancora rivolto
verso se stesso, incastrato crudelmente
nella bocca. Altra opera di Dix di forte
impatto è Invalidi di guerra giocano a
carte, nel quale la menomazione fisica
e il deturpamento dei corpi sono portati all’inverosimile. Le tre figure giocano a carte divertite, nonostante
rimanga loro ben poco delle umane
sembianze che avevano prima della
guerra, ormai privati di gambe, braccia, occhi, mascelle, tutti assurdamente sostituiti da improbabili pro-
Gaetano Previati: Gli orrori della guerra - Collezione privata
tesi in legno o ferro che li rendono
più simili a robot che a uomini; spesso
l’artista prende a modello veri mutilati di guerra e ciò intensifica l’orrore
e il coinvolgimento nell’opera stessa.
Ernest Ludwig Kirchner, è un altro
artista tedesco che si arruola volontariamente nell’esercito allo scoppio della prima guerra mondiale, e
allo stesso modo di Dix ne esce psicologicamente devastato; la visione
della morte e della mutilazione lo provano sino allo sfinimento, tanto che
già nel 1915 viene congedato in seguito ad un grave esaurimento nervoso, patologia molto diffusa fra i soldati costretti alla “non-vita” delle
trincee. Esemplificativo è Autoritratto
da soldato del 1915; lo straniamento
è ben percepibile nello sguardo perso,
angosciato dell’artista, consapevole
come ogni soldato che la morte giunge
inaspettata, come ricorda il moncone
ancora sanguinante. Autoritratto da
ammalato, del 1918, mostra Kirchner
scosso e ansioso, mentre sembra risvegliarsi da un incubo, i colori sono
espressione del trauma e del disagio,
sono accesi e sgargianti, feriscono gli
occhi, così come la stanza dà un senso
di claustrofobica prigionia, rimpicciolendosi intorno alla solitaria figura
dell’artista – con la pelle livida e verdognola – dalla quale trapela la preoccupazione per il domani incerto.
Anche la partecipazione alla Guerra
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di Georg Grosz è breve ma indelebile
e si conclude nel 1915 con un congedo
per malattia. La breve esperienza bellica lascerà l’indissolubile ricordo della
tremenda carneficina che si stava consumando su tutti i campi di battaglia
europei. Grosz esprime la sua arte nella
corrente del Dadaismo, il cui Manifesto, pubblicato da Tristan Tzara nel
1918, recita: «Così nacque DADA, da
un bisogno d’indipendenza, di diffidenza verso la comunità, coloro che sono
con noi conservano la loro libertà. Noi
non riconosciamo alcuna teoria. […] Il
nuovo pittore crea un mondo i cui elementi sono i suoi medesimi mezzi,
un’opera sobria e definita, senza soggetto. Il nuovo artista protesta: non dipinge più ma crea direttamente in pietra, legno, ferro, stagno, dei massi di
organismi mobili che possono essere
girati in tutti i sensi dal limpido vento
delle sensazioni immediate». Opere
come Metropolis del 1916 mostrano il
caos che domina il mondo dell’artista, un caos che vive fuori come all’interno del pittore stesso, il colore
cupo e tragico e il segno confuso, ma
allo stesso tempo forte e deciso, parlano
chiaramente del malessere e della crisi
dilagante nella società del suo tempo.
Non sono immuni dalla drammatica
esperienza artisti italiani come Sironi, Balla, Previati e Nomellini.
Allo scoppio della guerra Sironi si arruola nel battaglione volontari ciclisti,
di cui fanno parte anche Boccioni e Marinetti, insieme ai quali nel dicembre
1915 firma il Manifesto Futurista L’orgoglio italiano.
Sironi oltre a essere autore di vignette
satiriche contro gli austro-tedeschi, fra
il 1915 e il ‘18, realizza opere come Soldati, del 1916, in cui mostra l’incomunicabilità e la freddezza che sta nelle
stesse schiere di militi senza volto.
L’uomo sembra una macchina, non
c’è individualità, la morte non guarda
in faccia nessuno.
Gaetano Previati, esponente di spicco
del Divisionismo, rappresenta sulla tela
il suo dolore con Gli orrori della guerra
del 1917, in cui una massa di persone
cercano di fuggire pressate le une alle
altre senza speranza, tutte uguali nella
sofferenza, in un’onda confusa e irrefrenabile.
L’orrore della guerra ha portato a un
grande cambiamento nel mondo dell’arte, dove si incontrano testimoni lucidi, realisticamente crudi, che denunciano miserie e infamie attraverso tratti
violenti e forti, che lasciano una ferita
anche in chi guarda. Le novità e gli stravolgimenti portano però con sé la nostalgia di quella tradizione che non si
vuol credere perduta e perciò, dopo tanti
orrori si cerca il modo di recuperare le
antiche glorie passate, la placida armonia che è stata spazzata via dalla guerra,
dando vita al cosiddetto “Ritorno all’ordine”, con il quale, rifiutando gli
estremismi dell’Avanguardia che avevano dominato fino al 1918, si riaffermano canoni figurativi che guardano
alla tradizione classica. Gli stessi Futuristi, che prima e durante la guerra
avevano osannato la macchina, la velocità, la distruzione e la violenza, abbandonano i loro ideali bellici e rivoluzionari per tornare ai vecchi canoni associati al neoclassicismo e alla pittura realista, prendendo velocemente campo
in tutta l’Europa devastata dalla guerra
e segnata dalle rivoluzioni artistiche
che avevano caratterizzato la prima parte
del XX secolo.
Del “Ritorno all’ordine” fanno parte
correnti come il Realismo Magico,
associato al Postmodernismo e al Surrealismo, tutti movimenti che cercano
di astrarre dalla realtà, di esprimere,
indagare e capire ciò che va oltre, ciò
che è superiore al reale. C’è il comune
rifiuto degli eccessi vissuti negli anni
del conflitto in ogni sfera, e il bisogno intrinseco di porti sicuri in cui rifugiarsi dopo il naufragio. Il gruppo
che in Italia porta avanti questa operazione di recupero di armonie passate,
prende il nome di Novecento e ne fanno
parte lo stesso Sironi e Achille Funi,
che durante la guerra ne avevano sostenuto la necessità. Le atrocità della Grande
Guerra hanno avuto una portata così
devastante che anche chi era inizialmente convinto della sua necessità, non
ha potuto chiudere gli occhi di fronte
alla sua smisurata efferatezza; a distanza
di cento anni, resta la cicatrice di una
ferita così profonda da segnare anche le
coscienze di coloro che non l’hanno vissuta sulla propria pelle, ma ne percepiscono ancora la sconfinata drammaticità.
elena aiazzi