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n° 367 - novembre 2014 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lorenzo Gualtieri - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Edificio L - Strada 6 - Centro Direzionale Milanofiori I-20089 Rozzano (Milan, Italy) www.fondazione-menarini.it L’artista dopo le trincee A cento anni dall’inizio della Prima guerra mondiale una riflessione sull’impatto, comunque sconvolgente, che il conflitto ebbe sulle arti figurative del periodo Le tracce della guerra non restano solo nelle macerie delle città distrutte, ma anche negli occhi e nelle anime di chi in prima linea ha conosciuto la tragedia, come alcuni artisti che hanno vissuto il grande orrore sulla propria pelle e hanno cercato di trasmetterlo attraverso le loro opere. È evidente che neppure quando terrore e distruzione sembrano non lasciare spazio ad altre sensazioni, l’arte può tacere. Da sempre l’uomo si esprime attraverso forme, colori e suoni, perfino quando tutto sembra essere perduto e mancano anche i beni di prima necessità, quando non si vive, ma si sopravvive. L’arte è una forma di comunicazione innata, è parlare attraverso colori, è espressione attraverso forme, è evasione nell’astratto, è pace nell’armonia, è porto sicuro nel caos. La difficoltà di tradurre gli sconvolgenti orrori bellici in opere d’arte è stata individuata come una delle caratteristiche fondamentali del rapporto degli artisti europei con gli eventi accaduti in quegli anni. La Prima Guerra Mondiale ha prodotto tuttavia una grande quantità di materiale figurativo di natura eterogenea, come gli appunti grafici dei soldati al fronte, le cartoline e i manifesti murali, le illustrazioni sui giornali di trincea rivolti alle truppe come nel caso di Soffici su “La Ghirba”fino alle fotografie ufficiali intrise di retorica e propaganda. La Grande Guerra è stata Grande Crisi non solo per l’uomo comune che si è visto privare degli affetti più cari, in un mondo che non riconosce più e che non sa a cosa può arrivare, ma anche Grande Crisi dell’artista, che da sempre si fa portavoce dell’epoca in cui vive e che si trova spiazzato di fronte ad una tragedia di una dimensione inaudita e totalizzante. Il conflitto non è altro che l’acme delle Umberto Boccioni: Carica di lancieri - Milano, Museo del Novecento grandi tensioni sociali che già avevano preso avvio negli anni precedenti all’attentato di Sarajevo, tragico evento che divenne pretesto per lo scoppio della guerra. Non c’è via di fuga dal dolore, nes- Otto Dix: Il trittico della Guerra - Dresda, Gemaldegalerie Neue Meister pag. 2 suno è al riparo, non viene risparmiato niente, si raggiungono livelli estremi di sofferenza e distruzione, come mai prima di allora era accaduto. Le operazioni belliche attuate fino a quel momento non si erano mai neppure lontanamente avvicinate alla portata della prima Guerra Mondiale, le cui stime sono di 8,5 milioni di morti e 20 milioni di feriti gravi, per non contare l’enorme distruzione di risorse materiali, che a livello economico si traduce in un aumento vertiginoso del debito pubblico degli stati coinvolti. Come sempre l’animo dell’artista è più incline ad accorgersi dei cambiamenti e a metterli in risalto per portarli alla vista di tutti; infatti i primi segni della crisi sono già evidenti con la nascita delle cosiddette “Avanguardie artistiche” del Novecento, i cui Manifesti iniziano a diffondersi in opposizione alla tradizione a partire dal primo decennio del Ventesimo secolo, per dar voce al clima di disagio che anima più o meno apertamente tutta l’Europa. Il Futurismo è uno dei primi movimenti che testimoniano il malessere sociale, e promuove una trasformazione ancora più radicale di quella già in atto; Marinetti nel 1909 ne scrive il Manifesto, in cui afferma: «Diamoci in pasto all’Ignoto, non già per disperazione, ma soltanto per colmare i profondi pozzi dell’Assurdo!» e ancora: «Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. […] Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna». Inizialmente la guerra è vista come un atto necessario per uscire dalla decadenza ed è così che molti artisti prendono parte direttamente alle azioni belliche. Otto Dix è un pittore tedesco che entra fra gli entusiasti volontari dell’esercito, combatte sia sul Fronte Occidentale, che sul Fronte Orientale; nel corso della guerra è ferito e decorato più volte, ma presto l’eccitazione lascia il posto all’orrore, che si riversa nel tagliente e stridente segno pittorico dell’artista, che non permette fraintendimenti. Dix, esponente della Nuova Oggettività, corrente che cerca una rappresentazione della realtà senza trucco, osserva le cose concrete con amara Ernst Ludwig Kirchner: Autoritratto da soldato Oberlin, Allen Memorial Art Museum, Oberlin College Otto Dix: Invalidi di guerra giocano a carte Berlino, Neue Nationalgalerie Georg Grosz: Metropolis Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza pag. 3 Mario Sironi: Soldati - Collezione privata acutezza e con una rigidità descrittiva quasi glaciale, usando l’arte come un’arma rivolta contro la corrotta e malata società del dopoguerra. Le sue opere più celebri sono incentrate su temi forti come la battaglia e la morte al fronte, i reduci storpi nelle città del dopoguerra, le deformità, il rapporto tra eros e morte, oltre a numerosi ritratti e autoritratti che realizzerà con costanza per tutta la vita. Le tele di Dix sono così crude che creano grande scandalo e turbamento e spesso vengono rimosse dai musei per la dura realtà delle immagini. Le sue opere parlano della vita di trincea, dello straniamento a cui vanno incontro i soldati costretti a vivere nel terrore, nell’ombra, perdendo ogni briciolo di umanità; Suicidio in trincea del 1924 raffigura la tragicità della morte volontariamente scelta da un soldato, ormai ridotto ad un turpe scheletro, con il fucile ancora rivolto verso se stesso, incastrato crudelmente nella bocca. Altra opera di Dix di forte impatto è Invalidi di guerra giocano a carte, nel quale la menomazione fisica e il deturpamento dei corpi sono portati all’inverosimile. Le tre figure giocano a carte divertite, nonostante rimanga loro ben poco delle umane sembianze che avevano prima della guerra, ormai privati di gambe, braccia, occhi, mascelle, tutti assurdamente sostituiti da improbabili pro- Gaetano Previati: Gli orrori della guerra - Collezione privata tesi in legno o ferro che li rendono più simili a robot che a uomini; spesso l’artista prende a modello veri mutilati di guerra e ciò intensifica l’orrore e il coinvolgimento nell’opera stessa. Ernest Ludwig Kirchner, è un altro artista tedesco che si arruola volontariamente nell’esercito allo scoppio della prima guerra mondiale, e allo stesso modo di Dix ne esce psicologicamente devastato; la visione della morte e della mutilazione lo provano sino allo sfinimento, tanto che già nel 1915 viene congedato in seguito ad un grave esaurimento nervoso, patologia molto diffusa fra i soldati costretti alla “non-vita” delle trincee. Esemplificativo è Autoritratto da soldato del 1915; lo straniamento è ben percepibile nello sguardo perso, angosciato dell’artista, consapevole come ogni soldato che la morte giunge inaspettata, come ricorda il moncone ancora sanguinante. Autoritratto da ammalato, del 1918, mostra Kirchner scosso e ansioso, mentre sembra risvegliarsi da un incubo, i colori sono espressione del trauma e del disagio, sono accesi e sgargianti, feriscono gli occhi, così come la stanza dà un senso di claustrofobica prigionia, rimpicciolendosi intorno alla solitaria figura dell’artista – con la pelle livida e verdognola – dalla quale trapela la preoccupazione per il domani incerto. Anche la partecipazione alla Guerra pag. 3 di Georg Grosz è breve ma indelebile e si conclude nel 1915 con un congedo per malattia. La breve esperienza bellica lascerà l’indissolubile ricordo della tremenda carneficina che si stava consumando su tutti i campi di battaglia europei. Grosz esprime la sua arte nella corrente del Dadaismo, il cui Manifesto, pubblicato da Tristan Tzara nel 1918, recita: «Così nacque DADA, da un bisogno d’indipendenza, di diffidenza verso la comunità, coloro che sono con noi conservano la loro libertà. Noi non riconosciamo alcuna teoria. […] Il nuovo pittore crea un mondo i cui elementi sono i suoi medesimi mezzi, un’opera sobria e definita, senza soggetto. Il nuovo artista protesta: non dipinge più ma crea direttamente in pietra, legno, ferro, stagno, dei massi di organismi mobili che possono essere girati in tutti i sensi dal limpido vento delle sensazioni immediate». Opere come Metropolis del 1916 mostrano il caos che domina il mondo dell’artista, un caos che vive fuori come all’interno del pittore stesso, il colore cupo e tragico e il segno confuso, ma allo stesso tempo forte e deciso, parlano chiaramente del malessere e della crisi dilagante nella società del suo tempo. Non sono immuni dalla drammatica esperienza artisti italiani come Sironi, Balla, Previati e Nomellini. Allo scoppio della guerra Sironi si arruola nel battaglione volontari ciclisti, di cui fanno parte anche Boccioni e Marinetti, insieme ai quali nel dicembre 1915 firma il Manifesto Futurista L’orgoglio italiano. Sironi oltre a essere autore di vignette satiriche contro gli austro-tedeschi, fra il 1915 e il ‘18, realizza opere come Soldati, del 1916, in cui mostra l’incomunicabilità e la freddezza che sta nelle stesse schiere di militi senza volto. L’uomo sembra una macchina, non c’è individualità, la morte non guarda in faccia nessuno. Gaetano Previati, esponente di spicco del Divisionismo, rappresenta sulla tela il suo dolore con Gli orrori della guerra del 1917, in cui una massa di persone cercano di fuggire pressate le une alle altre senza speranza, tutte uguali nella sofferenza, in un’onda confusa e irrefrenabile. L’orrore della guerra ha portato a un grande cambiamento nel mondo dell’arte, dove si incontrano testimoni lucidi, realisticamente crudi, che denunciano miserie e infamie attraverso tratti violenti e forti, che lasciano una ferita anche in chi guarda. Le novità e gli stravolgimenti portano però con sé la nostalgia di quella tradizione che non si vuol credere perduta e perciò, dopo tanti orrori si cerca il modo di recuperare le antiche glorie passate, la placida armonia che è stata spazzata via dalla guerra, dando vita al cosiddetto “Ritorno all’ordine”, con il quale, rifiutando gli estremismi dell’Avanguardia che avevano dominato fino al 1918, si riaffermano canoni figurativi che guardano alla tradizione classica. Gli stessi Futuristi, che prima e durante la guerra avevano osannato la macchina, la velocità, la distruzione e la violenza, abbandonano i loro ideali bellici e rivoluzionari per tornare ai vecchi canoni associati al neoclassicismo e alla pittura realista, prendendo velocemente campo in tutta l’Europa devastata dalla guerra e segnata dalle rivoluzioni artistiche che avevano caratterizzato la prima parte del XX secolo. Del “Ritorno all’ordine” fanno parte correnti come il Realismo Magico, associato al Postmodernismo e al Surrealismo, tutti movimenti che cercano di astrarre dalla realtà, di esprimere, indagare e capire ciò che va oltre, ciò che è superiore al reale. C’è il comune rifiuto degli eccessi vissuti negli anni del conflitto in ogni sfera, e il bisogno intrinseco di porti sicuri in cui rifugiarsi dopo il naufragio. Il gruppo che in Italia porta avanti questa operazione di recupero di armonie passate, prende il nome di Novecento e ne fanno parte lo stesso Sironi e Achille Funi, che durante la guerra ne avevano sostenuto la necessità. Le atrocità della Grande Guerra hanno avuto una portata così devastante che anche chi era inizialmente convinto della sua necessità, non ha potuto chiudere gli occhi di fronte alla sua smisurata efferatezza; a distanza di cento anni, resta la cicatrice di una ferita così profonda da segnare anche le coscienze di coloro che non l’hanno vissuta sulla propria pelle, ma ne percepiscono ancora la sconfinata drammaticità. elena aiazzi