Le organizzazioni mafiose in provincia di Como (Anni 1980

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Le organizzazioni mafiose in provincia di Como (Anni 1980
CORSO DI LAUREA IN
SCIENZE INTERNAZIONALI E
ISTITUZIONI EUROPEE
LE ORGANIZZAZIONI MAFIOSE
IN PROVINCIA DI COMO
(ANNI 1980-2010)
Relatore: Prof. Fernando Dalla Chiesa
Elaborato finale di:
Marco Fortunato
Matricola n° 755925
Anno Accademico 2011/2012
INDICE
INTRODUZIONE …………………………………………………
pag. 1
CAPITOLO I
1.1 Come è arrivata la mafia a Como: perché ha potuto allargarsi
e radicarsi ………………………………………………. pag.
1.2 Geografia mafiosa in provincia ………………………..
3
pag. 10
1.3 Situazione nelle realtà limitrofe: un’occhiata a Varese,
Lecco e Brianza …………………………………….. … pag. 18
1.4 Perché Como? ………………………………………….
pag. 23
CAPITOLO II
2.1 Il caso Campione d’Italia ……………………………… pag. 32
2.2 “Pecunia non olet”: la vicenda Perego ………………… pag. 35
2.3 Perego e le ecomafie: il nuovo Ospedale Sant’Anna …. . pag. 40
2.4 Mandelli – Minasi, professionisti al servizio dei boss .... pag. 43
CAPITOLO III
3.1 Si toglie il velo all’invisibilità: Operazione “I fiori della
notte di San Vito” ……………………………………… pag. 49
3.2 Operazione “Infinito” ………………………………….. pag. 58
CAPITOLO IV
4.1 Le risposte della società civile: l’azione della Prefettura… pag. 67
4.2 L’azione di Confindustria, CGIL, CISL, UIL Lombardia.. pag. 69
4.3 Il Progetto San Francesco a Cermenate …………………. pag. 71
CONCLUSIONI …………………………………………….. pag. 75
APPENDICE ………………………………………………. pag. 79
BIBLIOGRAFIA…..……………………………………….. pag. 85
RINGRAZIAMENTI………………………………………. pag. 89
INTRODUZIONE
«Forse tutta l’Italia sta diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo
sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la
linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene
su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma...
Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l’ago
di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli
scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma...»1
La “linea della palma” di Sciascia è già arrivata a Como? E’ la domanda alla quale
si cercherà di dare una risposta esauriente in questa Tesi. Risposta già facilmente
prevedibile date le molte inchieste che hanno interessato le province circostanti e in
particolar modo Milano, quella che un tempo era la “capitale morale” d’Italia.
Si cercherà di analizzare le varie situazioni dando il più possibile un’impronta
sociologica, cercando quindi di comprendere le motivazioni delle scelte dei singoli,
i benefici che ne ricevono e lo stesso metodo verrà utilizzato nel descrivere le
organizzazioni mafiose. Si cercherà dunque di non fare una storia giudiziaria e per
questo motivo non saranno seguiti interamente gli esiti processuali, venendo solo
brevemente trattate le vicende giudiziarie dei personaggi coinvolti e cercando
invece di comprendere cosa emerge dall’impianto accusatorio.
L’analisi della situazione comasca verterà innanzitutto sui motivi per cui le
organizzazioni mafiose, delle quali si evidenzieranno brevemente i tratti
caratteristici, hanno scelto la città come meta per i loro traffici, illeciti e non, e di
come esse abbiano potuto estendere i propri “tentacoli” (per citare la metafora de
“La Piovra”), nella provincia lombarda.
E di come la popolazione, gli imprenditori, abbiano permesso per ignoranza o
connivenza che ciò accadesse.
1
L. Sciascia, Il giorno della civetta, Einaudi, 1961
1
Emergerà nella trattazione l’importanza che la Confederazione Elvetica, distante
pochi chilometri, ha avuto nello sviluppo delle organizzazioni di stampo mafioso,
ruolo svolto anche dalla ricchezza del territorio che ha permesso il processo di
“accumulazione originaria” che porterà la criminalità organizzata e la ‘Ndrangheta
in particolare ad entrare nel traffico di stupefacenti.
Non mancherà una breve relazione su quanto accade nelle province limitrofe a
Como, ossia quelle di Varese, Lecco, Milano e la Brianza in generale.
Si cercherà di comprendere quello che può essere considerato un “errore”
legislativo, ossia l’istituto del soggiorno obbligato del ’56, esteso agli indiziati per
mafia nel ’65, il quale ha favorito l’insediamento di personaggi legati alla
criminalità organizzata nell’Italia settentrionale: molti boss non sono emigrati dalla
propria terra d’origine solo per il confino, ma hanno anche sfruttato i flussi
d’emigrazione meridionale “mimetizzandosi” in essi.
Nel II capitolo si evidenzieranno i legami della cosiddetta “zona grigia” con le
organizzazioni mafiose, con un’analisi approfondita delle vicende di tre comaschi
che hanno stretto alleanza con la ‘Ndrangheta per ottenere benefici comuni: gli
imprenditori Perego e Mandelli e l’avvocato Minasi.
Verrà poi presa come “perno” dell’azione dell’antimafia sul territorio l’operazione
“I fiori della notte di San Vito” del giugno 1994, la quale verrà trattata soprattutto
attraverso le carte della Sentenza della Corte d’Appello, numero 1968/98, messe a
disposizione dalla Procura Generale del Tribunale di Milano.
Si parlerà approfonditamente anche dell’ultimo grande blitz contro la ‘Ndrangheta
in Lombardia, ovvero dell’operazione “Infinito” del luglio 2010, analizzando
l’ordinanza di custodia cautelare del GIP del Tribunale di Milano.
Infine la tesi tratterà delle risposte della società civile comasca all’azione mafiosa,
analizzate grazie a colloqui con il Prefetto di Como, dr. Michele Tortora, con un exdirigente di Confindustria Como, dr. Mario Giudici, e con il direttore del Progetto
San Francesco, dr. Alessandro De Lisi. Progetto che consiste nel creare un Centro
2
di Studi contro le mafie, il primo in Europa, scegliendo come sede una villa
confiscata alla mafia a Cermenate, un comune della provincia di Como.
CAPITOLO I
1.1 Come è arrivata la mafia a Como: perché ha potuto allargarsi e
radicarsi
Como è una città di circa 85’000 abitanti, posta su di un ramo dell’omonimo lago di
manzoniana memoria, ed è situata a circa 10 km dalla Svizzera, 50 km da Milano,
30 km da Varese e 30 km da Lecco.
Contando i vari comuni che attorniano la città, ben 163, gli abitanti complessivi
salgono a circa 595’000; inoltre ha una exclave nel territorio svizzero, rappresentata
dal Comune di Campione d’Italia.
Bisogna inoltre ricordare che fino al 1992 la quasi totalità dell’attuale Provincia di
Lecco apparteneva a quella comasca.
La città è situata in una posizione abbastanza centrale per lo sviluppo di tutti i
traffici, legali e non, che passano attraverso queste zone.
La sua vicinanza alla Confederazione Elvetica, raggiungibile sia per strada sia per
lago, la rende una meta privilegiata per il commercio con essa, e anche le varie
organizzazioni criminali di stampo mafioso se ne accorgono.
Di tali organizzazioni le principali in Italia sono tre: Camorra, ‘Ndrangheta e Cosa
Nostra; sono presenti anche Sacra Corona Unita e Stidda, ma esse hanno una
presenza marginale rispetto alle altre tre.
Queste organizzazioni mafiose sono differenti tra di loro: la prima nasce in un
contesto di degrado urbano, estendendosi dalla città, Napoli, fino alle campagne,
area vesuviana e casertana. Essa è un fenomeno popolare nato nella città che, come
3
ricorda Enzo Ciconte, «al momento dell’Unità d’Italia era la più grande metropoli
d’Italia»2. Dunque è anche vero che la Camorra, e le organizzazioni mafiose in
generale, abbia iniziato a prosperare sì in condizioni di decadenza, ma in un
ambiente dove poteva contare su un relativo sviluppo economico.
La Camorra come associazione nasce nel 1820, con un proprio Statuto, per
governare, e anche esercitare, la violenza che viene vista come un modo per riuscire
a sopravvivere al degrado urbano.
Essa, poi, si sviluppa e arricchisce con il contrabbando (soprattutto di sigarette
grazie alla chiusura del porto franco di Tangeri nel 1956) e a metà degli anni ‘70
ottiene i capitali necessari per entrare nel traffico degli stupefacenti. Infine dagli
anni ’90 circa ai suoi traffici aggiunge il riciclaggio di denaro.3
Cosa Nostra nasce invece dal latifondo siciliano descritto da Giuseppe Alongi nel
suo libro come «il concime da cui attinge con rigoglio la mala pianta della
maffia»4, e dalla violenza esercitata dai campieri sui contadini per conto dei
gabellotti, i quali sono alle dipendenze del proprietario terriero che vive in città.
Anche quella che, nel linguaggio comune, viene denominata “mafia” si sviluppa
grazie allo sviluppo economico, portato anche dalla nascita della Regione Sicilia e
dalla Cassa del Mezzogiorno che permettono a Cosa Nostra di avere capitali per
“inurbarsi” e per poi, intorno alla metà degli anni ’70, di fare il “salto di qualità”
entrando nel traffico di stupefacenti. Ulteriore evoluzione sarà poi il riciclaggio di
denaro5.
La ‘Ndrangheta è un’organizzazione criminale mafiosa più recente rispetto alle
altre due e ci è voluto molto tempo per considerarla una “mafia” differente dalle
altre: ciò è testimoniato anche dal fatto che l’art. 416-bis del Codice Penale, del
1982, non la nomina. Il testo dell’articolo recita infatti:
«Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre
associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi della forza
2
E. Ciconte, ‘Ndrangheta padana, Catanzaro, Rubbettino, 2010, pag. 35
Lezioni di Sociologia della criminalità organizzata, Professor F. Dalla Chiesa
4
G. Alongi, La maffia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni: studio sulle classi pericolose della
Sicilia, Bocca, Torino, 1886
5
Ibidem
3
4
intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli
delle associazioni di tipo mafioso»6. Solo nel 2010 verrà aggiunta al codice la
dicitura «alla ‘ndrangheta»7
Inizialmente essa è stata una criminalità gregaria rispetto alle altre, aiutando il
contrabbando di sigarette verso Napoli; grazie alle opere pubbliche ed ai sequestri
rapidamente colma il “gap” con Cosa Nostra e Camorra riuscendo ad entrare nel
traffico degli stupefacenti intorno ai primi anni ’80. Ma dagli anni ’90 essa diventa
la criminalità egemone, beneficiando dello scontro frontale tra Cosa Nostra e lo
Stato e grazie al proprio “patto federativo” del 1991.
Questo tipo di criminalità ha una maggiore propensione ad espandersi, tant’è che si
può definire “colonizzazione” quella che ha attuato e sta attuando nel Nord Italia e
nel resto del mondo (Germania, Australia, Canada, America Latina…)8
Tuttavia queste tre organizzazioni, hanno anche degli aspetti che le accomunano:
hanno il controllo del territorio in cui si sviluppano, creano dei rapporti di
dipendenza personali e rapporti organici con la politica, ed usano la violenza come
regolatrice dei conflitti. Questi sono i requisiti del modello mafioso e dovunque essi
si installino, impiantano questi elementi.9
Como è stata coinvolta dalla strategia di espansione delle organizzazioni mafiose,
in particolar modo di quella della ‘Ndrangheta.
Questa strategia è stata favorita dall’istituzione del soggiorno obbligato nel 1956
per le «persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità»10, estesa poi
nel 1965 «agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose»11; «tra il 1961 e il
1971, calcola la Commissione Antimafia, in Lombardia sono arrivate ben 372
persone sottoposte a sorveglianza speciale, soprattutto per indagini di mafia. Nella
provincia di Milano se ne contano 48, a Bergamo 61, a Brescia 51, a Como 44, a
Cremona 36, a Mantova 34, a Pavia 48, a Sondrio 21 e a Varese 29. Considerate le
6
URL= http://www.camera.it/_bicamerali/leg15/commbicantimafia/files/pdf/Art_416bis.pdf
D.L. 04 febbraio 2010, n.4, art. 6 comma 2
8
Lezioni di Sociologia della criminalità organizzata, Professor F. Dalla Chiesa
9
Cfr. F. Dalla Chiesa, La Convergenza, Melampo, Milano, 2010, pagg. 35-36
10
Legge 27 dicembre 1956, n. 1423
11
Legge 31 maggio 1965, n. 575
7
5
distanze assolutamente ridotte tra i nove capoluoghi di provincia lombardi (e
anche di molti centri di altre regioni limitrofe: 288 confinati sono infatti in
Piemonte, 246 in Emilia Romagna e 143 nel Veneto), appare chiaro quali e quanti
contatti, in un decennio, possano aver mantenuto tra loro i quasi quattrocento
personaggi in odor di mafia.»12
Quindi è vero che le organizzazioni mafiose hanno iniziato questa espansione in
una loro strategia di “colonizzazione”, ma è pur vero che le Autorità competenti
hanno dimostrato di non comprendere il fenomeno mafioso, non distinguendolo da
una semplice forma di criminalità seppur organizzata, e anzi favorendolo in questo
loro disegno criminoso.
Oltre a ciò anche le popolazioni autoctone hanno favorito l’insediamento di queste
associazioni, non esplicitamente ma, come succede nelle regioni a tradizionale
presenza mafiosa, implicitamente, con l’omertà.
Ciconte scrive: «Ma non avevano detto che a Milano la mafia non c’era? Che era
un problema dei terroni, di quelli lì del Meridione, violenti e un po’ selvaggi? Che
mai e poi mai i mafiosi avrebbero potuto vivere e radicarsi in Lombardia? Sì, lo
avevano detto in tutti i modi giornalisti della carta stampata e della televisione, e
un’infinità di uomini politici, altre persone importanti, imprenditori, bancari e
banchieri […]. Non siamo terroni, noi, dicevano. Sono loro che hanno la mafia,
non noi. Ci teniamo alla nostra immagine pulita, di lavoratori onesti. Se si parla di
mafia pensano che anche noi siamo mafiosi.»13
Questo è il “sentir comune” della persone del Nord: c’è il timore di rovinare il
proprio buon nome, il buon nome della propria terra, che si sente affiancato a quello
di una realtà diversa, che si vuol tener lontana.
E’ stato proprio questo atteggiamento che ha garantito un’invisibilità materiale alle
varie organizzazioni mafiose, e che ha permesso loro di penetrare e colonizzare il
territorio, senza che nessuno protestasse. A dire il vero le proteste ci sono state, i
sentori di questa presenza qualcuno li aveva avvertiti: ma le critiche non hanno
permesso di sentire le loro voci.
12
13
M. Portanova, G. Rossi, F. Stefanoni, Mafia a Milano, Milano, Melampo, 2011, pag. 53
E. Ciconte, op. cit., pag. 10
6
Inoltre è sempre valida la massima latina “pecunia non olet”, il denaro non ha
odore. Ciò è vero al Sud come al Nord: molti imprenditori non si sono preoccupati
della provenienza del denaro, della reputazione che avevano le persone che lo
offrivano, ma lo accettavano e in questo modo favorivano l’insediamento di
esponenti della criminalità organizzata nelle proprie imprese, nelle proprie città.
Si riesce ad ottenere così il controllo del territorio, che è il primo, e forse il
principale, requisito del modello mafioso.
Como è una provincia attorniata da circa 160 comuni nei quali, date le loro
relativamente piccole dimensioni, le organizzazioni criminali di stampo mafioso
hanno la possibilità di radicarsi con più facilità. Essa è una città produttiva dal
punto di vista industriale, come nel caso della lavorazione della seta che la rende
famosa in tutto il mondo, è “al centro” dei vari traffici commerciali tra le altre città
lombarde, e soprattutto con la Svizzera. e questi fattori la rendono una meta
“appetibile” per le varie organizzazioni criminali che qui possono ottenere profitti
grazie all’inserimento nell’economia legale.
Le organizzazioni mafiose hanno potuto contare su diversi fattori per potersi
espandere in regioni che non hanno una tradizionale presenza mafiosa:

legittimità: non ci sono denunce, né atti d’accusa e ci sono celebri frasi di
esponenti politici come quella di Vittorio Orlando «Mafioso mi dichiaro e
sono lieto di esserlo14»; nascendo questa legittimità porta al consenso di
massa

invisibilità materiale: è un fattore di forza in quanto se essa non esiste la
popolazione non si mobilità contro di essa

invisibilità
concettuale:
la
mafia
è
stata
a
lungo
studiata
approssimativamente, dunque non attraverso uno studio coerente che
permettesse di comprendere meglio il fenomeno e di organizzare una
risposta adeguata ad esso

14
espansività: hanno una naturale tendenza all’espansione nel mercato
Cit. in F. Dalla Chiesa, op. cit., pag. 31
7

impunità: se un mafioso non viene condannato continuerà l’obbedienza
della popolazione.15
Anche a Como la criminalità organizzata ha sfruttato questi fattori di forza,
riuscendo ad avere la complicità di settori dell’apparato politico-amministrativo e
degli industriali: ciò è esemplificato meglio dal fatto che alcuni imprenditori
taglieggiati, anziché denunciare i propri estorsori alle Autorità competenti, si
rivolgevano a personaggi di dubbia moralità, uno dei quali, spesso in accordo con
gli estorsori dell’imprenditore, intavolava una finta mediazione portando ad una
riduzione della somma richiesta. L’imprenditore si trovava dunque in una posizione
apparentemente più favorevole e ringraziava il mediatore, aumentando la legittimità
e il potere di quest’ultimo: inoltre l’imprenditore, così facendo, si trovava in debito
col mafioso, e al momento opportuno quest’ultimo lo farà valere.
Le organizzazioni mafiose si sono potute allargare in questa provincia anche a
causa di un disegno non unitario nelle attività di contrasto ad esse: le Autorità
competenti non hanno delineato un quadro attraverso cui svolgere la loro attività e
le operazioni antimafia sono state disparate, forse tese più alla repressione e
all’arresto dei colpevoli che alla comprensione del fenomeno che invece avrebbe
permesso un esito più favorevole nel contrasto.
Infine gli stessi quotidiani locali non hanno aiutato la popolazione a comprendere il
fenomeno: è vero che alcuni articoli su attentati, incendi ecc sono stati riportati alla
matrice mafiosa, ma non si può dire della maggior parte, e dunque i lettori non
hanno potuto, anche per questo, elaborare una coscienza critica al riguardo,
riconoscendo il fenomeno nelle sue manifestazioni e creando adeguati “anticorpi”.
La città lariana non è di certo la tranquilla meta turistica che si pensa: sono stati
molti gli episodi di intimidazione che hanno visto protagonisti negozianti,
imprenditori e cittadini. Solo tra il 2006 e il 2010, per restare in epoca recentissima,
sono stati ben trentasei gli atti che si pensa siano riconducibili alla criminalità
organizzata, disseminati in tutta la provincia, sia nella Cintura urbana, sia nella
15
Cfr. F. Dalla Chiesa, op. cit., pag 284
8
Brianza, sia nell’Olgiatese e nell’Erbese.16 Nel 2010, «in marzo a Erba, Brianza,
vengono fatte saltare per aria nella stessa notte due discoteche. Un messaggio
chiaro, che non è solo la pretesa del pizzo, ma pretesa di controllo sull’industria
del divertimento, sui luoghi dove si mescolano gli ambienti sociali e si fa amicizia
con i rampolli della buona borghesia, dove si smercia la “roba” senza rischi. I
carabinieri dicono: “E’ stato una lavoro da professionisti”. Gli amministratori
locali sono di diverso parere: “E’ stata una ragazzata”».17 E a settembre del 2011
una bomba carta esplode davanti ad una trattoria di Olgiate Comasco, la cui
deflagrazione si sente anche a ottocento metri di distanza: anche qui i proprietari
dicono frasi simili: «Non abbiamo subito nè avvertimenti, nè richieste di denaro».18
Auto e mezzi di lavoro incendiati, spari contro vetrine, auto e case, e anche un
omicidio: quello nell’agosto del 2008 di Franco Mancuso per un regolamento di
conti. Tanto che, nell’ottobre del 2011, il direttore di Confcommercio Como,
Graziano Monetti, si dice preoccupato per ciò che accade19.
Sembra dunque una situazione simile a quella che descriveva Franchetti, deputato
del Regno d’Italia, nel 1876, a conclusione del viaggio in Sicilia che produsse
un’inchiesta firmata dallo stesso Franchetti insieme a Sonnino, altro deputato che si
occuperà del secondo libro nato da questa inchiesta. Certo, le circostanze nel caso
di fattispecie sono molto diverse, ma vi sono delle affinità, soprattutto quando il
deputato afferma che «Il timore della sanzione contro chi fa una denunzia, porta
una testimonianza, o presenta una querela a danno di un prepotente di qualunque
grado, è più efficace che quello della sanzione penale contro chi rifiuti la sua
cooperazione alla giustizia in caso di delitto, o quello del danno materiale di chi
subisce un’ingiustizia senza respingerla colle difese fornite dalla legge»20
16
Cfr. “La Provincia”, 7 novembre 2011, pag. 9
F. Dalla Chiesa, op. cit., pagg. 238-239
18
Cfr. “La Provincia”, 19 settembre 2011
19
Cfr.“La Provincia”, 29 ottobre 2011, pag. 17
20
Cfr. L. Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Barbera, Firenze, 1877
17
9
1.2 Geografia mafiosa in provincia
Come è avvenuto in generale per la cosiddetta colonizzazione, le organizzazioni
criminali di stampo mafioso sono arrivate nel territorio comasco intorno agli anni
’60, attraverso il confino che portava i sospettati di appartenere alla criminalità
organizzata ad essere inviati nel Nord Italia.
Ma è a cavallo degli anni ’80 e ’90 che le organizzazioni criminali di stampo
mafioso, e la ‘Ndrangheta in particolare, arrivano a livelli tali da attirare
l’attenzione delle autorità pubbliche che effettuano operazioni contro di esse, come
nel caso delle operazioni “Leopardo” del 1992, “Nord- Sud” del 1993, “I fiori della
notte di San Vito” del 1994.
La “Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro incaricato di
svolgere accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni
di tipo mafioso in aree non tradizionali”, un sottogruppo della Commissione
Parlamentare Antimafia con relatore Carlo Smuraglia, nei riguardi della Lombardia
e della zona brianzola in particolare, afferma che «risulta la distribuzione della
criminalità mafiosa su tre fasce: una interna alla città, con particolare
concentrazione attorno alle periferie; una nell’hinterland più vicino alla città (con
particolare riferimento ad alcuni comuni, come Trezzano, Cesano Boscone,
Corsico, Buccinasco); ed infine una fascia più esterna, concentrata essenzialmente
nel triangolo Milano-Como e Lecco-Varese comprendente tutta la Brianza. […] Le
indagini più recenti hanno evidenziato, tra le organizzazioni mafiose operanti a
Milano e nel triangolo Milano-Como-Varese, una suddivisione di operatività non
tanto a livello territoriale, quanto a livello di settori di interesse.
La camorra si dedica soprattutto alle rapine ai danni dei TIR, ai furti, ai falsi
nummari ed al gioco clandestino.
10
La mafia e la ‘ndrangheta, invece, controllano il traffico internazionale di sostanze
stupefacenti e si dedicano al riciclaggio e alle attività imprenditoriali e
finanziarie.» 21
Questa firmata da Smuraglia è la prima Relazione organica sulla presenza delle
organizzazioni mafiose nelle aree non tradizionali, e nell’estratto citato viene
brevemente descritta tale presenza nella Brianza.
Nella realtà comasca si può affermare che sia la ‘Ndrangheta l’organizzazione
criminale di maggior peso, organizzazione che tra l’altro è la più abile delle tre
“mafie” a colonizzare il territorio e a svilupparsi.
Cosa Nostra ha avuto, e ha tuttora, perché non si può credere che sia sparita
completamente, una presenza sul territorio, ma negli anni ’90, tale presenza è
andata scemando, sia in seguito agli arresti susseguiti alle stragi del ’92-’93 che
hanno portato in carcere diversi esponenti riconducibili a tale criminalità
organizzata, sia perché è stata la ‘Ndrangheta a fare la scelta vincente, puntando
sulla cocaina e non sull’eroina come fece invece Cosa Nostra.
La ‘Ndrangheta ha potuto crescere in maniera esponenziale grazie ai cosiddetti
“coni d’ombra”22: il primo si è avuto con il terrorismo, creatosi allorché
l’attenzione pubblica e mediatica era tutta incentrata sulle Brigate Rosse e i
sequestri di persona passarono in secondo piano; il secondo si ebbe quando Cosa
Nostra sfidò frontalmente lo Stato attraverso le stragi (si parla di variabile politicomediatica); il terzo è dato dalla lotta ai clandestini, spesso usati nel lavoro in nero.
Terzo cono d’ombra diverso dagli altri due in quanto «nei primi due casi il cono
d’ombra è il prodotto contingente della storia, in questo terzo caso esso discende
da una libera scelta politica, diventa un regalo insperato da parte di chi può
decidere le sorti e le urgenze della regione.»23
La seconda variabile da analizzare quando si esamina la ‘Ndrangheta e le ragioni
che l’hanno portata al primato non solo nel comasco ma tra le varie organizzazioni
21
Cfr. Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere
accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di tipo mafioso in aree non
tradizionali, 1994, URL=http://legislature.camera.it/_dati/leg11/lavori/stampati/pdf/36356.pdf
22
Cfr. F. Dalla Chiesa, op. cit., pagg. 225-226
23
F. Dalla Chiesa, op. cit., pag. 228
11
mafiose è di tipo strategico-organizzativa: questa organizzazione è riuscita a
stipulare un proprio patto federativo nel 1991, che ha avuto come conseguenza il
controllo degli omicidi in modo tale da non far emergere tale realtà, e allo
spartimento dei profitti tra i clan senza faide intestine, come la seconda guerra di
mafia tra il 1985 e il 1991 e che portò a circa 700 morti (la prima fu nella metà
degli anni Settanta con oltre 200 morti). Una terza variabile, molto importante, è di
tipo culturale: la maggiore affidabilità della ‘Ndrangheta come organizzazione
criminale. La “leggenda” che gli ‘ndranghetisti non parlano, che non vi siano
“pentiti” (anche se ciò viene smentito dai fatti) portano la criminalità organizzata
calabrese a godere di maggiore fiducia, soprattutto da parte dei cartelli della droga
latino-americani che non si fidano più di Cosa Nostra e si affidano per i loro traffici
proprio alla ‘Ndrangheta.
La quarta variabile è demografica: corrisponde alla disseminazione territoriale della
‘Ndrangheta. Tale organizzazione cerca di espandersi dappertutto, sia nel Nord
Italia che all’estero (Australia, Germania...), sia seguendo che precedendo i flussi
migratori, mescolandosi dunque con i calabresi che si trasferiscono. Ultima
variabile da prendere in considerazione in questa analisi è di tipo internazionale: la
caduta del Muro di Berlino ha portato all’apertura di nuovi mercati nei Paesi excomunisti, come ad esempio lo smaltimento delle armi nel mercato nero e la
‘Ndrangheta è stata abile ad inserirsi in questo contesto sfruttando le nuove
opportunità creatisi. Inoltre la dissoluzione dell’Urss ha portato a molte guerre,
anche geograficamente vicine come è avvenuto nei Balcani: ciò ha permesso un
aumento della vendita di armi e anche di droga, facendo dunque aprire nuove aree
territoriali.24
Per quanto invece riguarda la Camorra, essa è la meno propensa delle tre a
colonizzare un territorio, soprattutto nel Nord, e ad espandersi, sia in quanto è un
fenomeno popolare che si sviluppa nel degrado ambientale, sia in quanto la
presenza ‘ndranghetista è già molto forte nel Settentrione.
Si è comunque registrata una presenza di questa organizzazione, come si evince ad
esempio dal sequestro avvenuto nell’ottobre 2010 di un fabbricato a Faggeto Lario,
24
Cfr. F. Dalla Chiesa, op. cit., pag. 251
12
sulle rive del Lago di Como, di proprietà dell’imprenditore Giuseppe Felaco.
Felaco è un esponente di spicco del clan Polverino che gestisce la zona di Marano,
un popoloso comune nella cerchia a nord di Napoli.
Secondo la Relazione annuale sulla criminalità organizzata dello Scico della
Guardia di Finanza, nella provincia comasca è anche presente il clan guidato da
Pasquale Puca, operante tra Bregnano e Cermenate.
Con l’operazione “Catfish” si è scoperto che anche la Sacra Corona Unita si è
espansa a Como, mettendo una base per i traffici di droga guidata dal boss
Germano Solito, arrestato poi nel corso di tale operazione.25
Una delle principali indagini sul fenomeno mafioso nella provincia comasca si apre
con l’arresto di Calogero Marcenò, all’epoca residente a Puginate in provincia di
Como, la sera del 16 aprile 1992: egli stava partendo per la Sicilia con delle armi
dirette a Leonardo Messina, capoclan di San Cataldo legato a Giuseppe Madonia,
che venne arrestato il 18 aprile.26
Il 30 giugno 1992 Leonardo Messina ha iniziato a collaborare con l’Autorità
Giudiziaria (precisamente con il Procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Borsellino,
e con il dr. Roberto Aliquò), affermando di aver fatto affari con Marcenò,
conosciuto da ragazzo in quanto suo concittadino di San Cataldo, e con Salvatore
Maimone, socio di questi nelle attività illegali.
Messina afferma che sia Marcenò che Maimone erano affiliati alla ‘Ndrangheta
calabrese, inseriti in una struttura regionale guidata da Giuseppe Mazzaferro, della
famiglia Mazzaferro di Marina di Gioiosa Ionica, trasferitosi in Lombardia a
seguito dell’applicazione del divieto di soggiorno in Calabria.
Messina dichiara di aver ripreso i contatti con Marcenò quando questi dal 1990 era
stato sottoposto alla misura di obbligo di soggiorno a Bulgarograsso, in provincia di
Como.
Da queste dichiarazioni scattò l’operazione “Leopardo”, che portò in carcere, oltre
al già citato Calogero Marcenò, anche Giuseppe Marcenò, Salvatore Maimone e
Giuseppe Mazzaferro.
25
26
Cfr. URL= http://www.omicronweb.it/wp-content/uploads/2008/01/omicron8.pdf
Colloquio con dott. Bodero Maccabeo, capo della Procura della Repubblica di Como
13
Dopo il loro arresto sia Calogero Marcenò sia Salvatore Maimone hanno iniziato la
loro collaborazione con la giustizia, dichiarando il primo di essere stato affiliato
alla Locale di Como nel 1984 dove aveva raggiunto la dote di “camorrista” e di
essere poi divenuto capo della Locale di Varese a partire dal 1990 con la dote di
“trequartino”. Maimone ha dichiarato di essere stato affiliato alla Locale di Como
da Marcenò e di aver fatto poi parte della Locale di Varese.
Per meglio comprendere il fenomeno ‘Ndrangheta è doveroso a questo punto fare
una specificazione sulla sua struttura: essa, come racconta tra gli altri Nicola
Gratteri, «si articola in “Locali”, “cosche” e “ ‘ndrine”. La cosca o ‘ndrina si
fonda in larghissima misura su una famiglia di sangue. Più cosche, legate tra di
loro, danno vita al Locale, che costituisce l’unità fondamentale di aggregazione
mafiosa su un determinato territorio, quasi sempre coincidente con un paese o con
il rione di una città.
Per la costituzione del Locale è necessaria la presenza di almeno 49 affiliati.»27
Afferma che vi è una divisione gerarchica della ‘Ndrangheta, tra la Società
Maggiore e la Società Minore, dove «la caratteristica dei vari gradi è la “dote”
che indica il valore di merito conferito ad un affiliato nel corso della sua carriera e
che aumenta progressivamente: più è pesante e più conta.»28
Per quanto riguarda i clan presenti in provincia, a Cermenate vi è la cosca
Paviglianiti-Latella; nel 1996 vengono arrestati i capi di questa Domenico
Paviglianiti e Giovanni Puntorieri nel corso dell’operazione “Europa”.
Altre ‘ndrine calabresi operanti nel territorio sono state quella dei Trovato, degli
Spinella-Ottinà e dei Mazzaferro: Franco Coco Trovato è stato per anni il boss
indiscusso del lecchese e che gestiva affari anche a Como e nella Brianza; i secondi
gestirono il traffico di stupefacenti tra Como, Fino Mornasco, Rovellasca e Saronno
dagli anni Ottanta al 1993, anno dell'esecuzione del loro capo Diego Spinella. Il
clan Mazzaferro invece è stato praticamente decimato da due operazioni delle forze
dell’ordine nei loro confronti: nel giugno 1994 l’operazione “Fiori della notte di
San Vito” portò all’arresto di circa 400 persone, compreso il boss Giuseppe
27
28
N. Gratteri, A. Nicaso, Fratelli di sangue, Mondatori, 2012, pagg. 65-66
Ibidem, pag. 70
14
Mazzaferro, mentre nel novembre 1996 scatta l’operazione “Fiori della notte di San
Vito 2” che porta all’emanazione di 97 provvedimenti di restrizione.
La trattazione delle vicende legate a questo clan verrà qui brevemente accennata, e
ripresa nel terzo capitolo quando verrà analizzata più specificatamente questa
operazione e verrà meglio delineata l’organizzazione facente capo a Giuseppe
Mazzaferro, impropriamente presentata come una scissione, in quanto la
‘Ndrangheta è una struttura unitaria e la “divisione” è solo a livello operativo, come
si vedrà più nei dettagli.
Quella legata ai Mazzaferro è una evoluzione della ‘Ndrangheta, una scissione di
quella del nord che non ha più sentito l’esigenza di recarsi alla riunione annuale di
Polsi in Aspromonte e che si è affrancata dalla Calabria per la propria
organizzazione e per il conferimento delle doti. Elemento di novità è anche il fatto
che le nuove Locali nel territorio perseguano gli interessi personali di Mazzaferro,
ossia il traffico di cocaina.
Nell’ “altra” ‘Ndrangheta c’era bisogno del consenso della Calabria per affiliare
nuovi personaggi al nord, mentre nelle Locali del clan Mazzaferro questo assenso
non era necessario.
Mazzaferro manteneva rapporti con la ‘Ndrangheta calabrese, infatti le persone che
appartenevano al suo clan pensavano di far parte di essa, ma non riconosceva altri
capi sopra di sé mentre sotto aveva un gran numero di Locali.
Come raccontato dal collaboratore di giustizia Raffaele Iaconis, le prime Locali al
Nord Italia sono state aperte negli anni Settanta, tra cui quella di Socco, frazione di
Fino Mornasco, fondata da Giuseppe Mazzaferro.
Nel 1976 c’è la decisione, da parte della ‘Ndrangheta calabrese, di creare una
“camera di passaggio”, ovvero una struttura per la presentazione delle nuove Locali
a Polsi, che serviva come metodo di controllo delle colonie lombarde.
Contemporaneamente Mazzaferro propose allo stesso Iaconis di federare le Locali
lombarde e la creazione di una propria “camera di controllo”, sovraordinata alle
stesse, per controllare il conferimento delle doti e l’apertura di nuove Locali.
15
Questa “camera di controllo” avrebbe dunque scavalcato la “camera di passaggio”
decisa dalla Calabria e ha rappresentato il secondo passo di allontanamento dalla
“madrepatria”, seguito alla decisione di non partecipare più alle riunioni al
santuario della Madonna di Polsi e di riunirsi lo stesso giorno, il 29 agosto, a Fino
Mornasco.
Il clan Mazzaferro viene anche descritto come una “mafia giovane”, anche perché
decide poi di entrare nel traffico degli stupefacenti, più redditizio del contrabbando
di sigarette; è dunque “giovane” in quanto gli esponenti della “vecchia”
‘Ndrangheta calabrese erano contrari all’inserimento in tale traffico.
Nell’operazione “Fiori della notte di San Vito” viene evidenziato che tale clan ha
costituito sedici Locali in Lombardia, tra cui Como, Fino Mornasco, Senna
Comasco, Appiano Gentile, Cermenate e Mariano Comense.29
Sempre per quanto riguarda la ‘Ndrangheta nella provincia, la Relazione al
Parlamento sull’attività delle forze di polizia del 2004 afferma che: «Un'importante
operazione di servizio ha, infatti, confermato sul territorio la leadership della
criminalità calabrese, sia per numero di affiliati, sia per qualificati collegamenti
con paritetiche organizzazioni presenti nella Lombardia. E' emersa l'operatività
delle cosche reggine "Maesano-Pangallo-Paviglianiti" e "Sergi-Marando", per il
tramite di soggetti residenti in Mariano Comense e Novedrate, nel settore del
traffico internazionale di stupefacenti, di armi e esplosivi. È stata anche segnalata
l'operatività di soggetti calabresi nel settore delle estorsioni, della ricettazione di
autovetture, del riciclaggio di proventi illeciti e dell'usura soprattutto a Campione
d'Italia, nel quadro dei complessi interessi che ruotano intorno al gioco d'azzardo.
Non è da sottacere l’importanza strategica rivestita dal valico autostradale di
Brogeda attraverso il quale transitano stupefacenti, capitali illeciti e prodotti
contraffatti.»30
La Relazione dell’anno successivo aggiunge inoltre la presenza di elementi
riconducibili ai clan Trovato, Mazzaferro e Mancuso.31
29
Cfr. Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98
Relazione al Parlamento sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza
pubblica e sulla criminalità organizzata, Anno 2004, pagg. 263-264
31
Relazione al Parlamento sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza
pubblica e sulla criminalità organizzata, Parte II, Anno 2005, pag. 258
30
16
Nel luglio 2010 scatta l’operazione “Infinito”, la quale dimostra che nella provincia
di Como sono state aperte tre Locali di ‘Ndrangheta.
Una a Mariano Comense, che come si evince anche dall’operazione “I fiori della
notte di San Vito” è capeggiata da Salvatore Muscatello, mentre altri membri
importanti sono Francesco e Rocco Cristello, cugini di Rocco Cristello della Locale
di Seregno: la connotazione della Locale di Mariano Comense è quella di un
piccolo sodalizio dedito prevalentemente a trattare gli stupefacenti.
La Locale di Mariano Comense è stata la più importante del territorio fino
all’omicidio di Carmelo Novella, poi vi è stato un declino di Muscatello a favore
della Locale di Erba.
Un’altra Locale che si trova nel Comasco è la Locale di Erba, la quale, sulla base
delle risultanze investigative, è di recente costituzione. E’ composta da affiliati per
lo più originari di Isola di Capo Rizzuto e per questo è forte il collegamento con
esponenti della cosca Arena – Nicoscia che è egemone ad Isola. Tra gli affiliati vi è
Michele Oppedisano, nipote di Domenico Oppedisano, attuale capo del Crimine
della ‘Ndrangheta. Ciò ha fatto sì che vi sia anche un forte legame tra la Locale di
Erba e le famiglie della Piana
Questa Locale è la più potente del territorio e i Varca e Crivaro sono gli eredi di
Franco Coco Trovato, boss del Lecchese. Sono attivi nel traffico di stupefacenti,
nell’usura e nel movimento terra. Il legame tra il clan Trovato e la Locale di Erba è
testimoniato dal fatto che un ristorante di Erba era di proprietà di Francesco
Crivaro, affiliato a questa Locale, nel quale si tenevano summit di ‘Ndrangheta: e il
nome di questo, “Coconut”, è un chiaro “omaggio” al boss del lecchese.
A capo di questa Locale vi è Pasquale Giovanni Varca, il quale impone la sua
presenza nel settore del movimento terra ed è referente in Lombardia di Domenico
Oppedisano; detiene inoltre armi occultate nel maneggio di Erba, sede della Locale.
La terza Locale descritta dall’operazione “Infinito” è quella di Canzo-Asso, a capo
della quale vi è Luigi Vona, la cui importanza è sancita dalla sua partecipazione al
17
summit di ‘Ndrangheta a Paderno Dugnano. Tra gli affiliati a questa Locale
troviamo Giuseppe Furci, il quale partecipa alla nomina del rappresentante generale
della Lombardia e accompagna Vona al maneggio di Erba in occasione di incontri
con esponenti della Locale di Erba.
Si può comunque affermare che in Como città e nei tanti piccoli comuni sulle
sponde del Lario non sia radicata la presenza mafiosa, cosa che invece non si può
dire del suo hinterland, anche più immediato: questa zona è infatti la più produttiva,
quella in cui si concentra la maggior parte delle industrie e le maggiori attività.
1.3 Situazione nelle realtà limitrofe: un’occhiata a Varese, Lecco e
Brianza
E’ importante analizzare l’espansione della criminalità organizzata nelle zone
limitrofe, sia per inquadrare meglio il fenomeno comasco in un contesto più ampio,
sia per evidenziare la pericolosità delle suddette organizzazioni
Nella provincia di Varese si è visto che la presenza delle organizzazioni mafiose si
è sviluppata con l’arrivo di Giacomo Zagari nel 1954, il quale riesce a riunire
attorno a sé una schiera di conterranei calabresi, tra cui i Pesce e i Bellocco, coi
quali inizierà a intraprendere attività delinquenziali.
Anche in questa zona, come nel resto del Nord, dopo il contrabbando le
organizzazioni mafiose sono passate ai sequestri di persona, al fine di proseguire
quel processo di accumulazione originaria che porterà poi ad avere i capitali
necessari ad entrare nel traffico degli stupefacenti. Gli ostaggi venivano poi spediti
in Aspromonte, e ciò dimostra che i rapporti tra le “colonie” e la “madrepatria”
erano molto stretti.
Potente boss del territorio divenne in seguito Antonio Zagari, figlio di Giacomo.
Egli, divenuto un collaboratore di giustizia, racconta di essere passato dal lavoro di
18
operaio a compiere rapine armate, sequestri di persona, estorsioni e omicidi.
Ottenne il consenso degli imprenditori intercedendo per loro nei taglieggiamenti
che subivano –molto spesso era un “trucco” messo in atto da mafiosi a lui fedeli- e
riuscendo ad ottenere un prezzo più basso rispetto a quello di partenza.
Oltre alla ‘Ndrangheta calabrese, si riscontra la presenza della Stidda, la mafia
catanese, in costante contrasto con Cosa Nostra, salita agli onori della cronaca dopo
l’omicidio di Francesco Viola avvenuto in provincia nel 1990, ucciso per la faida
tra clan in Sicilia.
Risulta inoltre presente nella provincia di Varese anche la Camorra, presenza
verificata in occasione, sempre nel 1990, dell’omicidio di Roberto Cutolo, figlio del
fondatore della Nuova Camorra Organizzata.32
Per quanto riguarda invece la provincia di Lecco, va sottolineato il fatto che essa si
è costituita nel 1992, diventando autonoma da quella di Como, ed è divenuta tale
scorporando 84 dei suoi 90 comuni da tale provincia, mentre gli altri 6 da quella di
Bergamo. Nella trattazione è stato scelto di parlarne solo in questo paragrafo,
nonostante l’importanza che la città, e i vari comuni che la costituiscono, ha avuto e
la forte presenza mafiosa nel territorio che è stata scoperta dall’Autorità Giudiziaria
nel corso di varie operazioni.
In questa provincia la figura preponderante è quella di Franco Coco Trovato, boss
indiscusso del lecchese e affiliato alla ‘Ndrangheta, il quale, insieme al suo alleato
Pepè Flachi, domina il mercato della droga tra le province di Milano, Como e
Lecco.
Questo è stato dimostrato anche dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia
Salvatore Annacondia, boss del clan Modeo di Taranto e affiliato alla Sacra Corona
Unita, a Cosa Nostra e alla ‘Ndrangheta, il quale «descrive prima le strategie
mafiose della Puglia, sua regione di provenienza, ma arriva subito a spiegare il
controllo su Milano, Como e Lecco dei boss della ‘ndrangheta Pepè Flachi e
Franco Coco Trovato.» 33
Trovato, nato in provincia di Catanzaro, arriva a Lecco nel 1967 come muratore,
ma decide subito di non perseguire la via della legalità: «infila una serie di rapine a
32
33
Cfr. Francesca Marantelli, Elaborato finale, “Le organizzazioni mafiose in provincia di Varese”
M. Portanova, G. Rossi, F. Stefanoni, op. cit., pag. 202
19
banche, supermercati e portavalori. Entra nel giro dei sequestri di persona (come
quelli ai danni di Cristina Mazzotti, Giovanni Stucchi e Pietro Fiocchi) e
soprattutto del traffico di stupefacenti. A Milano, a fine anni Settanta, stabilisce
“ottimi rapporti” con Angelo Epaminonda e Gimmi Miano […] Coco Trovato
accumula alcune condanne e conosce Flachi intorno alla metà degli anni Ottanta,
rendendosi conto che, insieme, i due rispettivi clan possono dominare il mercato
della droga e della malavita milanese, comasca e lecchese.»34
Anche Antonio Zagari, boss ‘ndranghetista di Varese divenuto poi collaboratore di
giustizia, parla di Franco Coco Trovato: «La sua attività diventò il traffico di
stupefacenti che gestiva insieme ad Antonino Pristeri. Era legato alla famiglia di
Paolo De Stefano di Reggio Calabria. Il De Stefano era alleato di Nitto Santapaola
e dei palermitani.»35
Tale legame era anche di sangue, in quanto la figlia di Trovato, Giuseppina, si era
sposata con Carmine De Stefano, figlio del boss Paolo.
I Trovato sono alleati non solo dei De Stefano, ma anche degli Arena, clan mafioso
di Crotone, e della famiglia di Farao-Marincola, attivi anch’essi in Lombardia.
Giuseppe di Bella, divenuto collaboratore di giustizia dopo aver fatto parte del clan
Trovato, racconta le vicende del boss del lecchese, affermando che «nel 1975
Franco Coco Trovato ha già un piccolo esercito a disposizione, ma non ha i gradi
né il potere da santista. Tutti e due i riconoscimenti arrivano solo all’inizio degli
anni Ottanta.»36
Ma per arrivare a tali riconoscimento servono soldi e una giusta reputazione:
dunque commette numerosi omicidi e decide di entrare nel giro dei sequestri di
persona per racimolare ingenti quantità di denaro in poco tempo. Il primo sequestro
da lui organizzato è datato 26 giugno 1976, perpetrato ai danni di Cristina Mazzotti,
una studentessa di Eupilio, in provincia di Como, figlia di Helios Mazzotti,
imprenditore cerealicolo: da questo sequestro ottiene un miliardo di lire, ma la
figlia non tornerà mai a casa. Uccisa prima ancora di ricevere i soldi del riscatto, e
il cui corpo verrà ritrovato solo dopo il pagamento.
34
Ibidem
Ibidem, pag. 208
36
Gianluigi Nuzzi, Claudio Antonelli, Metastasi, Chiarelettere, 2010, pag. 91
35
20
Tra i beni sequestrati alla cosca Trovato c’è un ristorante il “Wall Street”, che darà
il nome all’inchiesta condotta da Armando Spataro che porterà in carcere, e
all’ergastolo, il boss.
La situazione non è certo rosea nelle altre zone della Brianza; nella realtà limitrofa
a quella comasca troviamo le province di Monza-Brianza e di Milano.
Monza-Brianza è una provincia di recente costituzione, divenuta operativa nel
giugno 2009, situata tra le province di Como, Lecco, Varese, Bergamo e Milano.
I comuni che ne fanno parte non sono esenti da infiltrazioni mafiose: la giunta
comunale di Desio ha rassegnato le dimissioni, nel novembre 2010, per evitare che
questo fosse il primo comune lombardo ad essere sciolto per infiltrazioni mafiose e
potersi ripresentare alle elezioni successive. E’ Natale Iamonte a controllare questo
comune; egli nel 1988 arrivò qui attraverso il soggiorno obbligato, interessandosi
ed entrando nel business del mattone, senza disdegnare le relazioni con gli
esponenti politici.
«La Brianza è una delle zone a più alta densità mafiosa della Lombardia. Anche
qui le cosche calabresi hanno il monopolio di alcune attività edilizie, si legge nella
Relazione della Commissione Parlamentare antimafia del 2008. Le famiglie più
importanti, è scritto nella relazione, sono quelle vibonesi dei Mancuso e degli
Iamundo, e i Cristello di Mileto (Vibo Valentia), che controllano soprattutto i
comuni di Giussano, Seregno, Verano Brianza»37
Da questa citazione è facile intuire quanti interessi susciti la zona brianzola per le
organizzazioni mafiose, tanto che si arriva a sterminare il clan Miriadi per una
disputa sugli appalti edili: il tutto a Vimercate, non a Reggio Calabria. Si uccide
anche a Seregno, dove nel marzo 2008 sparano a Rocco Cristello, “contabile” della
Locale di questo comune.
«A Monza, continua la commissione antimafia, ci sono gli Arena e i Mazzaferro.
Tra Desio, Bovisio Masciago e Cesano Maderno, è presente “la famiglia IamonteMoscato, originaria di Melito di Porto Salvo»38
37
38
M. Portanova, G. Rossi, F. Stefanoni, op. cit., pag. 399
Ibidem
21
Milano è la capitale europea della cocaina, e questo traffico è gestito
principalmente dalla ‘Ndrangheta; le organizzazioni mafiose hanno così dei profitti
immensi, da reinvestire nelle attività legali. Tanto per dare un’idea dell’immensità
di questo traffico, Ciconte scrive «Il farmacologo Silvio Garattini, direttore
dell’Istituto di ricerca Famacologica Mario Negri, ha detto: “Dai nostri esami
sulle acque fognarie di Milano nel 2009 abbiamo scoperto che si consumano
almeno 10.000 dosi di cocaina ogni giorno, con un aumento del 50% nei weekend”».39 Da qui sono passati tutti o quasi i maggiori esponenti della criminalità
organizzata: Joe Adonis, Francis Turatello, Michele Sindona, Luciano Liggio, i
Sergi, i Barbaro, i Papalia, Nitto Santapaola, i Mazzaferro, Giuseppe Calderone,
Tommaso Buscetta, Gaetano Badalamenti, Michele Greco, Gerlando Alberti,
Salvatore Riina e molti altri. Qui hanno tenuto riunioni, intessuto legami, hanno
imposto la loro presenza nella città e nella provincia, in tutte le attività: dal
movimento terra all’edilizia, dal contrabbando e al traffico di stupefacenti, senza
dimenticare l’importanza rivestito dall’Ortomercato. Sono dunque tanto gli interessi
in gioco nella capitale industriale del Paese, tanto che, forse, si può dire che Milano
sia diventata una delle capitali della ‘Ndrangheta, le quali però sono solitamente
paesi piccoli, come Platì e San Luca.
Ma, se si vogliono fare affari, uno tra i maggiori crocevia europei è proprio la
metropoli lombarda, dove tra l’altro si terrà l’Expo 2015, molto ambito dagli
interessi mafiosi.
A Milano, come dappertutto, la criminalità organizzata cerca contatti, legami con
gli esponenti politici: uno tra i requisiti del modello mafioso è proprio questo, i
rapporti organici con la politica.
Politica che ovviamente nega qualsivoglia tipo di legame con essi: «Eppure “a
Milano la mafia non esiste”, hanno dichiarato finora il sindaco (fino al maggio
2011) Letizia Moratti, il Presidente della Regione Roberto Formigoni, il prefetto
Gian Valerio Lombardi. “Ci sono 13 politici lombardi che hanno ricevuto i voti
della ‘ndrangheta” rivela invece il magistrato calabrese Nicola Gratteri. “E sono
39
E. Ciconte, op. cit., pag. 18
22
ben 8 i consiglieri comunali di Milano che, secondo le indagini, hanno avuto
rapporti con i boss calabresi” aggiunge il sociologo Nando dalla Chiesa.» 40
Dunque “le mani della mafia” sono in tutta la Lombardia, la quale sta diventando
non solo la quinta regione di mafia, ma addirittura la quarta. E’ preoccupante
inoltre che in Lombardia la corruzione sia sempre più dilagante, tanto che negli
indici di corruzione ora, come Regione, è sotto la linea mediana.
La mafia non è più un fenomeno da “terroni”, ma è trasversale, taglia tutta l’Italia
da nord a sud, senza contare le ramificazioni in Europa e nel resto del mondo.
E tutta la Lombardia, da Milano a Como, da Varese a Lecco passando per la
Brianza, è infetta da questo cancro.
1. 4 Perché Como?
Como è una provincia attorniata da una numerosa miriade di comuni, 163, nei
quali, date le loro relativamente piccole dimensioni, le organizzazioni criminali di
stampo mafioso hanno la possibilità di radicarsi con più facilità. Essa è una città
produttiva dal punto di vista industriale, come nel caso della lavorazione della seta
che la rende famosa in tutto il mondo, è al centro dei vari traffici commerciali tra le
altre città lombarde, vicinissima alla Svizzera, e questi fattori la rendono una meta
“appetibile” per le varie organizzazioni criminali che qui possono ottenere profitti
grazie all’inserimento nell’economia legale.
Inserimento in cui le organizzazioni criminali investono il 57% del loro fatturato,
come riportato da Serena Uccello. Per dare un’idea del volume di denaro che viene
riciclato scrive che «nella classifica in cui vengono investiti i capitali illeciti l’Italia
figura al quarto posto dopo Stati Uniti, Isole Cayman e Russia. Il 3,7% del
riciclaggio mondiale cioè passa per il nostro Paese: 55'500 milioni di dollari
secondo una stima dell’FMI (Fondo Monetario Internazionale)».41 A proposito del
40
41
G. Barbacetto, D. Milosa, Le mani sulla città, Chiarelettere, 2011, pag. 13
N. Amadore, La zona grigia, La Zisa, Palermo, 2007, pag. 9
23
riciclaggio è utile a fini di completezza d’informazione, aprire una parentesi su
come esso si suddivida: «il processo di riciclaggio si articola in tre fasi
fondamentali: fase del collocamento (placement stage), attraverso la quale il
denaro proveniente direttamente dalle attività criminali viene tramutato in saldi
attivi di rapporti intrattenuti con intermediari finanziari (la cosiddetta moneta
scritturale); la fase del cosiddetto layering stage, in cui avviene il camuffamento
dell’origine e l’eliminazione delle tracce contabili del denaro sporco, soprattutto
attraverso ulteriori trasferimenti; la fase dell’integrazione (integration stage) in cui
avviene la completa integrazione del denaro proveniente da attività criminose nel
circuito legale, cioè il vero e proprio riciclaggio, e non si può più individuare la
matrice illecita.»42
Tornando sulla città lariana, essa è sede di grandi aziende, come l’impresa di
costruzioni Nessi&Malocchi S.p.A., le imprese tessili Mantero S.p.A., Ratti S.p.A.,
e Clerici Tessuto & C. S.p.A., l’azienda medica Artsana, la rete di ipermercati
Bennet e molte altre: tali nomi sono indice della ricchezza produttiva del contesto
comasco, che attrae chi è in cerca di profitto, non sempre in maniera legale; la
produttività comasca si concentra nel settore della seta, lavorazione che la rende
famosa in tutto il mondo.
Inoltre Como, e la Lombardia in generale, sono state il punto di arrivo per molti
meridionali, i quali si sono trasferiti nel nord industriale alla ricerca di lavoro:
dunque la criminalità organizzata è stata anche facilitata dal fenomeno di
emigrazione dal sud, in quanto molto spesso si sono creati nel territorio lombardo
“gruppi” di concittadini nei quali era forte il legame di appartenenza alla terra
d’origine, e tra i vari legami che si sono portati dietro c’è quello di sottomissione
alla mafia.
Molti sono stati gli esponenti delle organizzazione mafiose a trasferirsi in
Lombardia di loro spontanea volontà, e non solo a causa del soggiorno obbligato;
trovando molti loro conterranei hanno ricreato le stesse situazioni, gli stessi
sentimenti e i rapporti di forza che vigevano al sud.
42
N. Amadore, op. cit., pag. 45
24
Come già detto, però, questi hanno trovato terreno fertile anche nel nord, facilmente
assoggettato all’omertà, all’obbedienza creatasi attraverso l’intimidazione. Come
scrive ancora Ciconte: «Soprattutto in alcune aree del Nord l’immagine del mafioso
è strettamente legata a quella dell’uomo truce e violento, sanguinario, dal volto
lombrosianamente crudele. [...] L’equazione “mafioso=assassino” fu immediata, e
ad essa seguì la convinzione che se non c’è omicidio non c’è mafia, affermazione
che, come sanno tutti quelli che vivono in zone di mafia, non è assolutamente vera,
perchè si può controllare il territorio ed ottenere l’omertà della popolazione senza
bisogno di usare continuamente la forza bruta.»43 E le parole di Ciconte ricalcano
quelle dette molti anni prima, nel 1900, da Giuseppe De Felice Giuffrida, il quale
scriveva: «La maffia è dunque una società di sanguinari, di assassini o peggio?
Nemmeno ciò può sostenersi, senza correre il rischio di essere frequentemente
smentiti dai fatti.»44 Ed è evidente la similitudine tra le due vicende, e non nuoce
sottolineare la distinzione tra la realtà del Nord Italia riportata dal primo e quella
della Sicilia riportata dal secondo.
Oltre all’essere una città industriale molto produttiva, Como è stata “scelta” nel
processo di colonizzazione del territorio da parte della criminalità organizzata
anche per altri motivi: uno tra questi è la tranquillità della zona.
E’ questo un tema ricorrente nelle scelte di espansione poiché le organizzazioni
mafiose hanno bisogno di invisibilità per gestire i loro traffici illeciti; è anche più
facile riuscire a ottenere il controllo del territorio e imporre la loro presenza nei
piccoli comuni, nelle piccole città. Prima bisogna avere il controllo dei “pesci
piccoli”, delle piccole aziende, dei piccoli comuni per poi puntare più in alto.
Prendendo ad esempio un caso concreto che verrà trattato in seguito, non si può
immediatamente prendere contatti con aziende di grossa dimensione come la ditta
Perego Strade e chiedere il pizzo per farla lavorare: occorre prima avere un nome,
una reputazione di un certo tipo.
43
E. Ciconte, op. cit., pag. 34
Giuseppe De Felice Giuffrida, Maffia e delinquenza in Sicilia, Società editrice lombarda, Milano,
1900
44
25
Como è stata “investita” dall’espansione mafiosa anche per un altro motivo, forse
più importante dei precedenti: la vicinanza alla Svizzera.
La Confederazione Elvetica dista circa solo 10 km, e dunque risulta facile
immaginare l’attrattiva che Como ha avuto per i personaggi legati alla criminalità
organizzata. Essi hanno potuto sfruttare i canali già aperti per i traffici illegali con
la Svizzera: il traffico illegale principale che si è sviluppato nel territorio comasco è
stato il contrabbando di sigarette estere, importate attraverso auto per lo più rubate,
e poi portate nel resto del Paese. Tale traffico avveniva non solo attraverso auto, ma
anche attraverso natanti, e ciò dimostra che per attraversare il confine anche il lago
svolgeva un ruolo fondamentale. Oltre alle sigarette, un volume di contrabbando
molto rilevante è stato quello di valuta, sia italiana che estera, importata ed
esportata oltre confine; venivano inoltre contrabbandati molti beni quali zucchero e
soprattutto caffè tostato.
Il contrabbando, insieme ai sequestri, hanno costituito il processo di accumulazione
originaria dei capitali, risultato poi fondamentale quando, intorno al 1975, le
organizzazioni mafiose, e la ‘Ndrangheta in particolare, hanno compiuto il salto di
qualità entrando nella gestione del traffico di stupefacenti. Il fatto che Como sia
“investita” dal traffico di cocaina è confermato anche da un cablogramma
pubblicato da Wikileaks e partito dall’ambasciata americana di Roma: il 3
novembre 2009 il file inviato parla dell’operazione “Colline comasche”, iniziata nel
2006 e conclusa nel 2008 e che ha portato all’arresto di 49 persone, 159 denunciati
alla DDA e un sequestro complessivo di 25 kg di cocaina, 1 di eroina, 10 auto e
13000 euro di proventi del traffico. Ma la città non è viatico solo di droga: in un
altro cablogramma, del settembre 2004 e partito dall’ambasciata USA di Ankara, la
città viene nominata come punto di passaggio del traffico di esseri umani che
vengono camuffati da turisti e con falsi passaporti.
Entrando nel giro della droga le organizzazioni mafiose hanno potuto acquisire
enormi quantitativi di denaro, il quale è stato reinvestito nell’economia legale, sia
per aumentarlo che per “ripulirlo”. Con l’ingresso nel traffico di stupefacenti45 è
cambiato il rapporto tra le organizzazioni mafiose e lo Stato: i profitti principali non
45
F. Dalla Chiesa, op. cit., pagg. 42-43
26
vengono più da attività legali, come l’edilizia, condotte in maniera illecita, ma da
un’attività che è già illegale di suo, e dunque lo Stato non può più “tollerare” o far
finta di nulla, ma interviene. Facendo riferimento soprattutto a Cosa Nostra, ma in
un ragionamento che può essere esteso, con i necessari “distinguo”, all’intera
criminalità organizzata, con la droga “cambia” la mafia per diversi motivi. Il primo
è dato dalla maggiore forza a livello economico di cui ora dispone: «la Sicilia
diventa infatti la più grande raffineria del Mediterraneo. I canali criminali di Cosa
Nostra, gli stessi rapporti con l’America, consentono di sviluppare una rete di
affari incalcolabili.» Da questo volume di soldi deriva la necessità di darsi al
riciclaggio per “pulirli” e poterli investire nell’economia legale.
Hanno potuto dunque presentarsi agli imprenditori del territorio, sia delle regioni a
tradizionale presenza mafiosa che, soprattutto, quelle del Nord Italia concedendo
loro prestiti che però hanno portato i mafiosi, grazie ai tassi d’usura applicati, ad
assumere il controllo delle imprese stesse. Oltre a ciò entrano in nuovi settori,
soprattutto quello della sanità che rappresenta circa l’80% delle spesa di una
regione. Per avere tale settore si è anche disposti ad uccidere, come dimostra
l’assassinio di Francesco Fortugno, vice-Presidente del Consiglio della Regione
Calabria nonché medico; egli viene ucciso poiché la ‘Ndrangheta aveva puntato su
di un altro candidato, e con la sua eliminazione questo candidato sarebbe entrato in
Consiglio.
Il riciclaggio nel settore sanitario si ha soprattutto grazie all’apertura di nuove
cliniche e laboratori, le quali frutteranno alti profitti, grazie anche alle convenzioni
vantaggiose che vengono stipulate. Inoltre serviranno anche per uno dei requisiti
del sistema mafioso: le reti di dipendenza personali. Questo perché verranno dati
dei posti di lavoro, allargando dunque il consenso all’organizzazione mafiosa, e per
di più, lavorando nel settore della sanità, si acquisiranno delle benemerenze sociali
da parte dei cittadini ai quali verrà curata la salute.
Ciò comporta anche lo sviluppo delle reti di relazioni sociali, entrando a contatto
con primari, professionisti, assunti da loro, e anche attraverso i pazienti abbienti;
tali strutture sanitarie divengono anche dei bacini elettorali, in quanto il paziente
sviluppa un rapporto di fiducia e dipendenza col proprio medico e se questi gli dà
un consiglio elettorale, è molto probabile che il paziente segua tale consiglio.
27
La Sanità offre delle opportunità aggiuntive, come la possibilità di fare favori
legali, ad esempio operare in giornata, e illegali, come ospitare latitanti dando ad
essi un nome falso. Inoltre l’ospedale è un luogo tranquillo per gli incontri mafiosi:
lo dimostrano le intercettazioni effettuate al “Felice villa” di Mariano Comense
dove, nel luglio 2008 dopo l’omicidio di Carmelo Novella, si riuniscono alcuni boss
del calibro di Antonino Lamarmore, capo della locale di Limbiate e mastro generale
dei clan calabresi e Vincenzo Mandalari, della locale di Bollate. Sono lì per parlare
con Salvatore Muscatello, capo della Locale di Mariano e lì ricoverato, per fare il
punto sulla situazione della successione allo stesso Novella.46
Oltre agli immensi profitti, con l’ingresso nel “giro della droga” la mafia cerca una
propria autonomia politica, cercando di mettersi “sullo stesso piano” degli
esponenti politici e finanziando le loro campagne elettorali. Questa prospettiva di
arricchimento facile e veloce porta però a dinamiche anomiche con rottura delle
regole che creano un aumento della conflittualità interna all’organizzazione. Questa
corsa al profitto ha portato erroneamente a pensare che la mafia diventasse
“impresa”, ma non è così in quanto il requisito principale del fenomeno mafioso è il
controllo del territorio. La rottura delle regole spinge verso una gerarchizzazione
con la lotta per arrivare a tale vertice (es. prima guerra di mafia vinta dai
Corleonesi). Questo eccesso di violenza, sia interno sia contro lo Stato, porta però
alla perdita del suo status di “invisibilità” materiale, e ad una forte reazione da parte
della società civile, soprattutto da parte degli studenti. Dunque il prezzo da pagare è
la perdita di consenso della popolazione.
Tornando ad analizzare come coi capitali ottenuti grazie alla droga la criminalità
organizzata entra nell’economia legale, è da notare che i mafiosi non si comportano
sempre allo stesso modo con gli imprenditori, in quanto ne esistono varie tipologie
con cui rapportarsi in maniera differente, e Rocco Sciarrone è abile a tracciare una
distinzione fra di essi.47
Egli li divide in tre classi, a seconda del modo in cui essi usufruiscono della
protezione mafiosa di cui la loro attività è fatta oggetto:
46
47
Cfr. “La Provincia”, 15 luglio 2010
Cfr. R. Sciarrone, Mafie vecchie mafie nuove, Roma, Donzelli, 2009
28

imprenditori subordinati: ad essi è imposta una protezione passiva, sono
quelli che subiscono solo la forza intimidatrice mafiosa, senza trarne
alcun vantaggio

imprenditori collusi: è loro imposta una protezione, ma essa è attiva, in
quanto vi è un rapporto interattivo coi mafiosi che può essere fondato su
un fine comune

imprenditori mafiosi: sono imprenditori diversi da quelli schumpeteriani,
che invece sono pacifici; essi sono guerriglieri, hanno la volontà di far
parte della storia, immettono nel mercato dei servizi illegali
(categoria che, più che da Sciarrone, viene tratteggiata da Nando dalla Chiesa)
Nella provincia lariana si è potuta riscontrare l’esistenza della categoria degli
imprenditori mafiosi, ossia imprenditori che sfruttano la forza di intimidazione e i
capitali che vengono dati loro dalla criminalità organizzata per aggiudicarsi in
maniera illecita gli appalti e poter così ottenere benefici per sé e per
l’organizzazione. Esemplificativa è la vicenda, mostrata più avanti, di Ivano
Perego, il quale sfrutta il mafioso Strangio per intimidire i propri concorrenti.
Molti imprenditori comaschi, invece, risultano essere subordinati, ossia non
ottengono alcun beneficio dalla presenza mafiosa ed anzi ne risultano solo
danneggiati. Se non seguono i dettami della criminalità organizzata subiscono
incendi ai mezzi di lavoro o altri tipi di danni, e non denunciano tali atti per paura
di ritorsioni peggiori.
Nando dalla Chiesa traccia uno schema a proposito dei rapporti tra economia,
politica e criminalità:
29
I cerchi “esterni” rappresentano politica, imprenditoria e
criminalità, mentre le zone interne sono i rapporti creatisi tra queste tre forze48: gli
imprenditori mafiosi si inseriscono perfettamente in questo schema nello spazio
risultante dall’unione tra imprenditoria e criminalità.
Quello che è mancato a Como è stata la volontà di arginare il fenomeno mafioso,
evitando che si diffondesse anche in questa zona.
Ciò non è stato fatto dalla popolazione per diversi motivi che vanno dalla paura alla
volontà di essere complici, passando per l’invisibilità di cui la criminalità
organizzata ha goduto, ma anche dalle Autorità Giudiziarie, le quali non sono state
in grado di tracciare un quadro unitario dell’espansione mafiosa e di agire
all’interno di un progetto volto ad eliminarle sul nascere.
Senza contare che ammettere, in tempi non sospetti, che la mafia fosse a Como,
avrebbe nuociuto all’immagine del territorio e si è preferito far finta di nulla.
Ma questo “comune sentire” di non voler parlare di mafia nel territorio, ha portato
il capoluogo lariano ad essere il quarto comune in Lombardia per numero di beni
confiscati: ben 65 tra cui 10 aziende stando ai dati dell’ ANBSC (Agenzia
nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalità organizzata)49 e che hanno portato, secondo il “Mafia index (1983 2009)” che misura la presenza mafiosa nelle varie province combinando gli omicidi
di stampo mafioso, beni confiscati, comuni sciolti per infiltrazione e i dati sulle
associazioni mafiose, a fare di Como la seconda provincia della Lombardia per la
diffusione della criminalità organizzata.
48
Cfr. F. Dalla Chiesa, op. cit.
Dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e
confiscati alla criminalità organizzata del maggio 2012
49
30
Ed è un dato allarmante, che dovrebbe suscitare indignazione e far muovere chi di
dovere per avviare un’intensa attività di contrasto, sia sotto il profilo della
repressione che attraverso lo sviluppo di una cultura civica della legalità
«La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e
disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un
movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani
generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà
che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità
e quindi della complicità»
La citazione del giudice Paolo Borsellino è riferita alla Sicilia, ma è perfettamente
inseribile nel contesto del Nord, dove bisogna riuscire a rifiutare il “puzzo della
complicità”
31
CAPITOLO II
2.1 Il caso Campione d’Italia
Campione d’Italia rappresenta un’exclave italiana nel territorio del Canton Ticino,
ed è un comune fortemente integrato sia economicamente che amministrativamente
con la Svizzera, soggetto al regime doganale elvetico.
Il Casinò, uno dei quattro presenti in Italia, venne aperto nel 1917 per nascondere
un’attività di spionaggio: chiuso dopo due anni, riaprì nel marzo 1933. Nel 2007 è
stata inaugurata la nuova sede, che lo rende la casa di gioco più grande d’Europa.
Bisogna premettere che la costituzione di Casa da gioco avviene grazie ad una
deroga del codice penale, il quale vieta la pratica del gioco d’azzardo su tutto il
territorio nazionale, e dunque non vi è nessuna disposizione del codice che autorizzi
l’apertura di Casinò.50
L’attenzione dell’Autorità Giudiziaria sul Casinò di Campione d’Italia emerge nel
1983 quando, l’11 novembre, le forze dell’ordine fanno irruzione in questo e negli
altri tre casinò italiani: Venezia, Sanremo e Saint Vincent. «E’ il blitz di San
Martino, l’operazione destinata a togliere i veli alle presunte manovre illegali che
uniscono politici, affaristi di ogni genere e boss mafiosi»51. Si dice anche che con
questa operazione «viene tolto il coperchio a un pentolone in cui ribolle una delle
vicende più maleodoranti accadute in Italia negli ultimi anni, i cui protagonisti
sono politici, affaristi e faccendieri, scoperti a braccetto con alcuni dei più noti
capi mafiosi.»52
La classe politica sia di Sanremo che della Valle d’Aosta esce distrutta
dall’inchiesta, che porta al banco degli imputati noti boss di Cosa Nostra, i quali
considerano i Casinò utili non solo sotto il profilo dell’immagine, ma anche come
luogo per riciclare denaro e prestare soldi ad usura.
Il Casinò di Campione, in particolare, viene considerato un’enorme “lavatrice” per
il denaro sporco da parte delle organizzazioni mafiose, che lì piazzano dei loro
50
Cfr. Codice Penale, Libro Terzo, Capo II, Sezione I, artt. 718 e ss.
M. Portanova, G. Rossi, F. Stefanoni, op. cit., pag. 175
52
G. Barbacetto,E. Veltri, Milano degli scandali, Laterza, 1991, Pag. 7
51
32
uomini: Di Bella riferisce che c’era un uomo di Franco Coco Trovato, Angelo
Epaminonda racconta che Nitto Santapaola agiva attraverso Gaetano Corallo
all’interno della casa da gioco.
Il blitz di San Martino evita che le due cordate in corsa per aggiudicarsi la gestione
del Casinò di Sanremo, con i loro rispettivi rapporti di amicizia con politica e
criminalità organizzata, ottengano il risultato voluto.
Fu nel 1977 che i clan decisero di appropriarsi del Casinò comasco, e lo fecero
attraverso Bruno Masi, uomo di fiducia del conte Cotta che gestiva sia il Casinò di
Saint Vincent attraverso la Sitav, con Masi come amministratore unico, sia quello
di Campione attraverso la Getualte. In quell’anno Masi convinse Cotta a vendere la
Getualte a quello che risulterà essere un semplice prestanome: dietro di lui si
celavano infatti Ilario Legnaro e Gaetano Corallo, entrambi legati a Nitto
Santapaola. Grazie a tangenti elargite sia al sindaco di Campione, Felice De Baggis,
sia ad un esponente della minoranza in consiglio comunale ottennero nel 1978 che
la gestione del Casinò fosse concessa alla Getualte per altri cinque anni. E chi
cercava di fare il proprio lavoro onestamente non se la passava bene: un consigliere
comunale, Ferdinando Tanzi, venne percosso dopo aver denunciato gli illeciti dietro
alla gestione del casinò. E’ grazie ai soldi ottenuti illecitamente con questo Casinò
che sia Legnaro che Corallo acquistarono un Casinò nelle Antille, e poi tentarono la
scalata a quello di Sanremo.
Il processo di primo grado, apertosi il 10 ottobre 1989, conferma l’impianto
accusatorio dell’esistenza di un disegno mafioso che ha permesso dal 1977 al 1983
di impadronirsi del controllo del casinò; vengono condannati i politici di Campione
(e di Sanremo) e sarà assolto Nitto Santapaola per insufficienza di prove. Dopo
l’annullamento delle accuse per l’art. 416-bis da parte della Cassazione dopo la
sentenza di secondo grado, la Corte d’Appello di Milano riesce a confermare le
accuse di associazione mafiosa agli imputati.
C’è inoltre da aggiungere che periodicamente la Corte dei Conti condanna i vari
amministratori del Comune, per mala gestione, uso improprio dei fondi ecc, ma
sono voci che si perdono nel vuoto.
33
Non solo viene riciclato il denaro a Campione, ma vi è anche un’altissima
percentuale di usurai, i quali prestano soldi sia a chi perde ai tavoli, sia a chi ne ha
bisogno e non può andare in banca a chiederli. Come registra negli anni ’90 il
sostituto procuratore della Repubblica presso la Direzione Distrettuale Antimafia di
Torino, Teresa Benvenuto, sta scomparendo la figura «del singolo usuraio, più
esposto al rischio di denunce e meno attrezzato in caso di inadempienze da parte
degli usurati»53, mentre invece aumenta quello della criminalità organizzata nei
confronti di questa attività.
Attraverso l’usura, i clan mafiosi possono riuscire ad impadronirsi delle attività
legali delle loro vittime, le quali non riescono più a restituire il debito e l’unico
modo per pagare è appunto cedere la loro attività.
Ciconte afferma addirittura che «l’usura si sta così affiancando al traffico di
stupefacenti. Se una volta questa attività si poteva considerare residuale per il
mafioso, con il passare del tempo è diventata una delle sue attività principali.»54
Como dunque possiede anche questo fattore di attrazione per l’espansione mafiosa:
la presenza di un Casinò, che gode peraltro di privilegi fiscali derivanti dal fatto di
essere una zona extradoganale, il quale attira gli interessi della criminalità
organizzata che sfrutta i tavoli verdi per “pulire” il denaro sporco acquisito tramite
le proprie attività illegali, quali ad esempio il traffico di stupefacenti.
Ma non solo riciclaggio: all’interno del Casinò è facile incontrare e stabilire
connessioni e legami con industriali, esponenti della borghesia e politici con il vizio
del gioco. Ed è anche usato per infiltrarsi nell’economia locale.
Va segnalato che dopo il blitz di San Martino e vari commissariamenti per il
sospetto di infiltrazioni mafiose, non si sono più registrate tracce di scalate al
Casinò.
Il Casinò di Campione ora ha una gestione pubblica, alla quale partecipano la
Provincia di Como, la Provincia di Lecco, la Camera di Commercio, Industria,
Artigianato e Agricoltura di Como, e quella di Lecco, come deciso dalla legge n.
488 del 23.12.2008
53
54
E. Ciconte, op. cit., pag. 142
Ibidem, pag. 144
34
2.2 “Pecunia non olet”: la vicenda Perego
“Chi è Ivano Perego?”
“Ivano Perego è colui che ha distrutto il movimento terra: rubava materiale ed è a
causa sua che nel giro di due mesi mi sono stati bruciati e fatti sparire camion e
macchine, ed è da due anni che non faccio altro che pagare debiti.”55
Risponde così, alla domanda del pm Alessandra Dolci, Leonardo Rusconi ex
titolare dell’omonima azienda di autotrasporti, gestita oggi dai figli e sull’orlo del
collasso. L’uomo, in Tribunale, ha indicato in Perego il responsabile del fallimento
della propria impresa per la sua concorrenza “sleale”.
Ivano Perego, nato a Cantù in provincia di Como, sembra il classico imprenditore
brianzolo, laborioso, dedito agli affari, ed è il giovane figlio di una famiglia di
costruttori a cui veniva data in mano un’azienda conosciuta nel Nord della
Lombardia.
L’edilizia ha rappresentato storicamente uno dei settori trainanti dell’economia
lombarda, vivendo di fasi di espansione e di recessione. Si è infatti avuta una
grande espansione nel dopoguerra fino alla metà degli anni sessanta, seguita da una
recessione che ha portato ad un crollo del mercato delle costruzioni fino a circa il
1980. Nel decennio successivo si è registrata una ripresa, ma dopo di essa, a causa
del mancato finanziamento delle opere pubbliche conseguenti allo scandalo
“Tangentopoli”, si è avuto un nuovo calo. Dal ’96 sono comparsi i primi segnali
positivi, e dagli anni 2000 il settore ha costantemente mostrato un andamento
positivo e nel 2007 si sono registrati i volumi produttivi più elevati registrati dal
1970. A partire dal 2008 è iniziato un calo produttivo che ha interessato i vari
comparti dell’edilizia e da un’indagine dell’ANCE (Associazione Nazionale
Costruttori Edili) di Como presso le ditte associate è stato evidenziato l’insorgere di
grande difficoltà all’accesso a credito. Negli anni seguenti si è confermata la
situazione di grave difficoltà in cui operano le imprese edili. L’ANCE ha stimato
che nel quadriennio 2008-2011 vi è stata una perdita nel settore delle costruzioni
del 14,7%.
55
Cfr. Interrogatorio di Leonardo Rusconi, cit. in URL=
http://www.stampoantimafioso.it/2012/03/05/perego-strade-dietro-le-sbarre-la-resa-dei-conti-quasi/
35
Come mostra il grafico seguente, nel biennio 2006-2007 che precede la vicenda
Perego, su un totale di 246'000 lavoratori occupati, l’edilizia occupa l’8% di essi,
mentre la maggior parte è nel settore dei servizi.
Agricoltura
1%
Edilizia
8%
Servizi
Industria
Industria
35%
Servizi
56%
Edilizia
Agricoltura
E’ in questa situazione dell’economia lariana e in difficoltà finanziarie che nel 2008
l’azienda di Cassago Brianza costituisce la Perego General Contractor srl (PGC),
società che sembra solida ed affidabile, almeno in apparenza: partecipa a vari
appalti, come quello per la costruzione di una nuova struttura giudiziaria davanti al
Palazzo di Giustizia di Milano.
«A due mesi dalla costituzione ufficiale, la compagine della società cambia con
l’ingresso di società fiduciarie che hanno una funzione di schermo rispetto alla
proprietà sostanziale. Le indagini mettono a nudo questo schermo: la presenza di
Andrea Pavone e Salvatore Strangio nella società Carini non è casuale. Il 49%
delle azioni è loro.»56
Viene dunque tracciato un quadro di un certo rilievo: il gruppo Perego non è solo
una società a partecipazione mafiosa, ma una vera e propria società mafiosa.
In questa società troviamo due personaggi di rilievo, e non per le loro capacità
manageriali: sono due esponenti della criminalità organizzata che hanno un ruolo
importante in Perego.
56
E. Ciconte, op. cit., pag. 147
36
Il primo è Salvatore Strangio, originario di Natile di Careri, accusato da parte
dell’Autorità Giudiziaria di acquisire «per conto della ‘ndrangheta, in particolare
delle ‘ndrine di Platì e Natile di Careri, la gestione e comunque il controllo delle
attività economiche della Perego Strade SRL, poi divenuta Perego General
Contractor, una delle maggiori società operanti in Lombardia nel settore del
movimento terra, garantendo con la propria presenza la equa spartizione dei lavori
tra le ‘ndrine calabresi e le corrispondenti locali della Lombardia»57. Egli dunque
ha il compito di acquisire il controllo della società e di procurare vantaggi a terzi,
sempre legati alla ‘Ndrangheta.
Andrea Pavone, invece, nativo di Gioia del Colle e amministratore di fatto della
PGC, «favoriva l’ingresso in Perego General Contractor di Strangio Salvatore;
inoltre, quale suo diretto riferente, ne diveniva amministratore di fatto,
occupandosi direttamente della gestione delle operazioni finanziarie, poi non
andate a buon fine, della acquisizione
di partecipazioni societarie in altre
importanti aziende nel settore delle opere pubbliche»58. Egli si presenta come uomo
di fiducia delle cosche: viene definito come “creazione di Strangio” e rappresenta il
collegamento esterno tra Perego e quest’ultimo. Le indagini rivelano anche che
Pavone non era legato solo a Strangio, ma anche a Rocco Cristello della Locale di
Seregno.
Ma Strangio e Pavone non sono gli unici esponenti della criminalità organizzata in
contatto con Perego: pur essendo il presidente di una grande azienda lombarda, a
Corsico, Buccinasco e nelle zone circostanti deve lasciar lavorare Maurizio
Luraghi, accusato di associazione mafiosa nell’ambito del processo “Cerberus” e
complice del clan Barbaro-Papalia. Facendo sempre riferimento a quella che è stata
una delle prime e più complete opere contro la mafia siciliana, Franchetti descrive
due società «destinate all’esercizio della prepotenza e alla ricerca di guadagni
illeciti[...] dette, l’una dei Mulini, l’altra della Posa. [...]La società della Posa
57
Cfr. Tribunale civile e penale di Milano, Ordinanza di applicazione di misura cautelare personale,
N. 47816/08 R.G.N.R. mod. 21, N. 682/08 R.G.GIP, pag. 4, in URL=
http://www.genovaweb.org/Occ_op._Tenacia_Dda__Milano.pdf
58
Ibidem
37
[...]aveva per iscopo apparente il mutuo soccorso. [...]Ai soci era proibito farsi
vicendevolmente concorrenza. Il capo destinava chi doveva lavorare, e chi
rimanere ozioso.»59 La vicenda Perego si avvicina molto a quella descritta: vi è in
entrambi i casi una società che decide chi si aggiudica gli appalti e in quali zone,
senza controllare o verificare quale azienda possa fare meglio lo stesso lavoro. Ciò
di cui si parlava era però il contesto di Palermo, e nel 1876. Non si parlava di certo
della Lombardia e negli anni 2000.
Quando Strangio entra in Perego, nasce un problema per la spartizione dei lavori
conferiti dall’azienda: Perego si era accordato con i cugini Michele e Domenico
Oppedisano, ma con la morte di Pasquale Barbaro viene a mancare il trait d’union
degli affari delle varie cosche calabresi.
Perego aveva inoltre un forte legame con Cosimo Verterame, subordinato a
Pasquale Varca collegato con gli Arena di Isola; si delinea così una
contrapposizione tra due clan, da una parte gli Oppedisano e dall’altra i Varca.
Per dirimere la questione le due famiglie vanno in Calabria a chiedere il parere di
Giuseppe Pelle, indicato come capocrimine della ‘Ndrangheta: questo dimostra che
gli affari in Lombardia vengono decisi in Calabria.
Gli Oppedisano sono contrari alla presenza di Strangio nell’impresa lombarda, dal
momento che se ne vogliono impossessare; ma Pelle decide a favore di
quest’ultimo, al quale continuerà a spettare la gestione dei rapporti con Ivano
Perego.
«Strangio sa bene quale sia la funzione della Perego, e lo dice con chiarezza “è
quella di mantenere centocinquanta famiglie calabresi”»60. Si nota chiaramente
che qui non ci si trova nella situazione di un imprenditore subordinato o colluso con
l’organizzazione mafiosa: «con Strangio, la ‘ndrangheta è direttamente dentro
l’impresa: è quindi un rappresentante dell’organizzazione stessa a gestire in prima
persona i lavori. Con la compiacenza dell’imprenditore formale Perego – il quale
esplicitamente dismette tutti i suoi poteri di decisione in favore di Pavone e di
Strangio – la Perego diviene sostanzialmente una stazione appaltante a beneficio
della ‘ndrangheta.»61
59
Cfr. L. Franchetti, op. cit., pagg. 13-14
E. Ciconte, op. cit., pag. 152
61
Ibidem, pag. 158
60
38
Ma Perego, Strangio e Pavone non si limitano ad ottenere illegalmente appalti nel
territorio, vogliono fare le cose “in grande”: sognano la scalata alla Cosbau Spa,
società trentina che aveva ricevuto anche delle commesse per svariati milioni per la
ricostruzione in Abruzzo dopo il terremoto, ma che ora era esposta
finanziariamente. Come scrivono gli inquirenti «mettere le mani su Cosbau vuol
dire entrare alla grande nel giro degli appalti pubblici»62.
L’operazione non è per nulla semplice in quanto, oltre ai capitali che ad
un’organizzazione mafiosa non mancano di certo, bisogna ottenere le “carte in
regola”: cosa che viene fatta attraverso un sistema di “scatole cinesi” che permette a
Pavone di presentarsi come amministratore di una società “pulita”. Dall’ottobre
2009 Pavone riesce a diventare socio maggioritario della Cosbau: è riuscito a
ingannare esperti di Paesi diversi e le reticenze dei proprietari trentini.
Una volta che la Perego è entrata nel capitale sociale dell’impresa, Antonio
Oliverio, ex assessore della giunta Penati, viene messo come consigliere. Egli era
un consulente della stessa Perego, il cui compito era quello di avvicinare esponenti
politici ai quali chiedere dei “favori” e ottenere così dei vantaggi: è Ivano Perego
stesso a volere questo tipo di rapporto.
Ma a fine dicembre succede quello che nessuno si aspetta: Carlo Bonamini, al
vertice della Cosbau, dichiara che la documentazione relativa al deposito del titolo
di garanzia da parte della Royal Bank of Scotland è contraffatta.
Tutto l’impianto di scatole cinesi si svuota, Pavone e Oliverio vengono allontanati e
la Perego fallisce insieme a tutte le società che le gravitano attorno.
Oliverio non è l’unico politico con il quale Perego era in contatto: c’è stato un
incontro in un palazzo della Regione Lombardia con Massimo Ponzoni, assessore
alla qualità dell’ambiente della penultima giunta Formigoni. «Ponzoni – si legge
nell’ordinanza di cattura di Perego & soci – “fa parte del capitale sociale
dell’organizzazione” ed è il “salto di qualità” politico che attendeva
l’imprenditore brianzolo.»63
62
63
Cit. in E. Ciconte, op. cit., pag. 154
F. De Filippo, P. Moretti, Mafia Padana, Editori riuniti, 2011, pag. 150
39
Bisogna ora riprendere l’organigramma societario della Perego: “l’addetto alla
sicurezza dei cantieri”, Strangio, a metà del 2009 viene allontanato, sostituito nella
sua funzione da Rocco Cristello della Locale di Mariano, e ci si affida alla sua
importanza nelle gerarchie ‘ndranghetiste, anche per difendersi dallo stesso
Strangio. Questo accade in quanto si teme che egli venga indagato e l’azienda,
soprattutto nella fase della scalata alla Cosbau, non se lo può permettere. Ma, come
visto, a fine 2009 la PGC fallisce.
La mafia dunque, riprendendo le parole di Ciconte, non è una cosa da terroni: le
infiltrazioni, le connessioni sono ovunque, in ogni regione d’Italia. E un
imprenditore brianzolo, nato a Cantù, che mangia cassoeula può benissimo essere
classificato
come
“imprenditore
mafioso”,
essendo
una
parte
organica
dell’organizzazione mafiosa.
2.3 Perego e le ecomafie: il nuovo ospedale Sant’Anna
Ma Ivano Perego non si è occupato solo di vincere appalti in maniera illecita e di
far acquisire legittimità e profitti alle organizzazioni mafiose: viene accusato anche
di traffico illecito di rifiuti.
La mafia ha “fiuto” per gli affari, offre infatti ai vari imprenditori un servizio
innovativo, e lo fa ad ottimi prezzi: lo smaltimento dei rifiuti, soprattutto tossici.
Legambiente ha coniato un neologismo per definire il fenomeno: ecomafie.
I boss propongono alle aziende di smaltire i loro rifiuti tossici, che andrebbero
portati in apposite discariche e smaltiti con procedimenti speciali (e dunque alti
costi), a prezzi veramente vantaggiosi per gli impresari; essi dunque accettano
queste offerte, credendo (o meglio, volendo credere nel migliore dei casi) che essi
verranno trattati nel migliore dei modi, anche se il prezzo molto basso dell’offerta
dovrebbe far venire quantomeno dei dubbi al riguardo. Ovviamente la criminalità
40
organizzata non ha alcuna intenzione di preoccuparsi della tutela dell’ambiente: per
aumentare il profitto usano delle apposite buche nel terreno nelle quali vengono
gettati ogni sorta di rifiuti tossici e pericolosi. Buche che poi verranno riempite con
altra terra o con una colata di cemento e, molte volte, sopra di esse verranno
costruiti edifici.
Il movimento terra dunque è importantissimo per le organizzazioni mafiose in
quanto permette anche di smaltire i rifiuti delle imprese e di ottenere doppio
guadagno sullo stesso terreno: sia la costruzione di edifici o quant’altro, sia di
sotterrare amianto e ogni altro tipo di rifiuto velenoso.
E Ivano Perego sfrutta i propri dipendenti proprio per questo: ed essi eseguono
sotto la minaccia del licenziamento, come raccontano gli stessi dipendenti nei
verbali degli interrogatori: «Andrea Pavone […] ci intimava a non contattare più i
sindacati e per qualsiasi cosa a rivolgerci direttamente a lui. In caso contrario
avrebbe indagato e preso provvedimenti, anche di licenziamento». Certo, i
dipendenti avrebbero dovuto denunciare, ma perdere il proprio posto di lavoro,
soprattutto durante una recessione economica, non è un’alternativa facile da
scegliere.
«Un altro dipendente della Perego dice ai magistrati: “ricordo in particolare la
presenza di diverso materiale pericoloso, in particolare bentonite, che veniva
caricata sui camion e poi da me ricoperta con terra di scavo normale al fine di
occultarne la qualità”»64.
Ciconte, riportando le parole del giudice che si occupa della vicenda Perego, scrive
che Ivano Perego è un «personaggio veramente privo di scrupoli e che non ha
alcun problema a costruire sopra rifiuti pericolosi e costringere i camionisti a
gravi illeciti ambientali, pur di guadagnare.»65
Perego dunque utilizza i propri cantieri per seppellire materiali pericolosi, evitando
di sobbarcarsi costi alti per portarli in apposite discariche: la terra smossa per un
cantiere crea una buca adatta per depositare tali rifiuti che poi verrà ricoperta.
64
65
E. Ciconte, op. cit., pag. 161
Ibidem, pag. 167
41
Attraverso l’intimidazione e la corruzione impone la propria presenza in vari
cantieri, tra cui quello dal quale è sorto il nuovo Ospedale Sant’Anna di Como.
Molti dipendenti denunciano gli scarichi di rifiuti di materiali, tra cui amianto e
bentonite, e si parla addirittura di duemila tonnellate di materiali versati sotto il
nuovo ospedale.
Ma l’inchiesta, iniziata nel luglio 2010 e passato anche sui tavoli della DDA di
Milano, nell’agosto dello stesso anno ottiene un esito quantomeno “spiazzante”: i
carotaggi eseguiti dall’Arpa non evidenziano la presenza di amianto, con grande
soddisfazione del direttore dell’ospedale. Il trasferimento dello stesso ospedale
dalla sede di Camerlata a quella di San Fermo viene dunque confermato.
Questo non esclude la presenza di materiali tossici: viene asserito che i carotaggi
siano stati fatti nei luoghi sbagliati e a quote non abbastanza profonde. Luca
Gaffuri, all’epoca capogruppo del PD in Lombardia, chiese quali fossero i criteri
usati per stabilire la zona in cui effettuare i carotaggi, visto che la procura aveva
dato indicazioni generali, senza specificare alcun luogo.
Va inoltre sottolineato che i numerosi autisti che hanno testimoniato riportando date
e luoghi di versamento dei materiali tossici, presi anche dal colorificio Lechler di
Ponte Chiasso e dall’ex tinturificio Ticosa di Como, hanno fornito testimonianze
convergenti in questo senso. Veniva dunque dato loro il compito di svuotare i
camion della Perego nei vari cantieri, pena il licenziamento, soprattutto se si fossero
rivolti ai sindacati.
Anche l’allora consigliere comunale, nonché geologo, Mario Lucini chiese
chiarezza sulla vicenda Sant’Anna: ora è diventato sindaco, chissà se se ne
ricorderà.
42
2.4 Mandelli – Minasi, professionisti al servizio dei boss
Ivano Perego non è stato l’unico imprenditore mafioso che si è messo al servizio
dei boss: un’altra vicenda esplicativa del potere dei clan di entrare nell’economia
legale è quella legata ad Adolfo Mandelli, imprenditore lariano.
Questi è un imprenditore di Menaggio, in provincia di Como, proprietario tra le
altre cose del Birrificio Menaggio Srl e gestore dal 2009 del Lido Giardino situato
in quello stesso comune.
E’ stato arrestato nel 2010 nel corso di un’operazione contro il clan Lampada-Valle,
con l’accusa di associazione di stampo mafioso per «aver contribuito al
rafforzamento economico» del clan. Durante l’operazione sono scattate le manette
per 15 persone, tra cui i presunti capi, Francesco Valle e i figli Angela e Fortunato.
Il capofamiglia, Francesco Valle, è legato alla famiglia De Stefano, potente clan
che opera a Reggio Calabria, e si trasferì a Vigevano agli inizi degli anni ’80
quando scoppiò la sanguinosa faida con la cosca Geria-Rodà. Dunque in questo
caso non è stato il soggiorno obbligato a portare un boss al nord, ma motivazioni
intrinseche alla stessa realtà ‘ndranghetista calabrese.
Le nozze tra due famiglie mafiose non sono solo un momento di gioia, ma vengono
fatte per creare alleanze tra di esse, per stabilire dei forti legami e formare dei
sodalizi criminali.
E’ stato così anche nel caso del matrimonio tra Maria Valle, figlia di Fortunato e
dunque nipote del capofamiglia, con Francesco Lampada che si svolse il 15 luglio
2006. Un’unione di sangue tra due diverse ‘ndrine per aumentare il proprio potere
criminale e per spartire gli alti profitti che derivano dall’uso dell’associazione
mafiosa.
Il ricevimento del matrimonio si svolse proprio sulle rive del Lario, al Villa d’Este
di Cernobbio. Nominata, tra gli altri riconoscimenti acquisiti, nel 2009 dalla rivista
“Forbes” miglior hotel del mondo66, la Villa è molto famosa perché sempre sede di
66
Cfr. URL=http://www.villadeste.com/it/38/riconoscimenti.aspx
43
incontri tra ministri, banchieri, capi di Stato, come nel caso del “Forum Villa
d’Este”, organizzato da “The European House – Ambrosetti”, che si svolge a
settembre per fare il punto sui temi riguardanti l’economia globale67.
E’ proprio questa la località scelta dalla criminalità organizzata per suggellare il
loro legame, forse scelta non solo per lo sfarzo (circa 60000 euro spesi per il
banchetto), ma per dare un segnale: lì non va solo lo Stato, ma anche la
‘Ndrangheta.
Nel 2010 scatta dunque il blitz contro il clan Lampada-Valle e contro i vari
professionisti che gravitano attorno all’orbita della cosca; per la DDA di Milano,
che si è occupata dell’operazione, il clan Valle è particolarmente potente in quanto
tende a riproporre nella zona lo stesso controllo del territorio, l’intimidazione e
l’omertà presenti nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa.
Come detto, tra i vari professionisti che offrono le proprie prestazione e il proprio
know-how alla ‘Ndrangheta vi è Mandelli, il quale è accusato di non essere solo un
prestanome della famiglia Valle, con la quale ha rapporti attraverso la Seguro Srl
con sede a Rebbio, una frazione di Como, ma è anche un «imprenditore edile e
personaggio realmente in grado di gestire gli interessi della famiglia in modo
proficuo»68
In particolare secondo l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del
Tribunale di Milano, Giuseppe Gennari, l’imprenditore avrebbe fatto gli interessi
del clan «rendendosi intestatario fittizio» di alcune società in modo da permettere
agli affiliati di «eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione
patrimoniale»
69
Ciconte scrive che egli è «imprenditore amico e “prestanome dei
Valle, personaggio di estrema importanza per gli affari della famiglia”. E’ socio
dei Valle in due società, e sa che siccome i Valle non possono avere bene intestati a
loro nome, necessariamente devono avvalersi di prestanome. E’ lui che “organizza
67
Cfr. URL=http://www.ambrosetti.eu/it/workshop-e-forum/forum-villa-d-este
Cfr. Ordinanza di applicazione di misura cautelare personale e contestuale sequestro preventivo,
Tribunale Civile e Penale di Milano, N. 46229/08 R.G.N.R., N. 10464/08 R.G.GIP, in URL=
http://www.pudivi.it/ORDINANZA-VALLE.pdf
69
Ibidem
68
44
operazioni immobiliari di rilievo” insieme ai Valle ed è lo strumento “per accedere
a contesti imprenditoriali di notevole livello”.»70
Le accuse nei confronti del clan Valle sono quelle di praticare l’usura e di usare
l’intimidazione per “raccogliere” gli interessi sul capitale prestato loro dovuti, e di
infiltrarsi nell’economia legale con i capitali ottenuti in maniera illecita anche
attraverso dei prestanome.
Si pensa che siano molti gli imprenditori lombardi che hanno subito l’intimidazione
e l’usura della ‘ndrina Valle, anche se sono state poche quelle finora accertate.
La base operativa del clan era “La Masseria” di Cisliano, una villa bunker situata al
di sopra dell’omonimo ristorante. Lì avvenivano i pestaggi degli imprenditori
taglieggiati che non pagavano.
Gli interessi dei Valle si estendevano anche nei cantieri dell’Expo 2015, grazie
anche ad assessori comunali conniventi, come Davide Valia, assessore di Pero.
Questo si evince da una telefonata tra Fortunato Valle, figlio di Francesco, e
Mandelli stesso, nella quale si progettava la costruzione di un mini Casinò proprio a
Pero, licenza ottenuta nell’ambito delle iniziative legate all’Expo.
«Valle: “Allora siccome ti spiego Adolfo lì l’hanno fatta zona, come si dice, zona
essendoci l’Expo, la fiera.”
Mandelli: “Ah, sarà di espansione, di interesse e tutte quelle robe lì...”
Valle: “...dove praticamente hanno rilasciato quella licenza per mini casinò dove si
può fare praticamente ristorante...”
Mandelli: “Cazzarola, Nato, è una bella cosa quella”
Valle: “Allora ti spiego, mi hanno dato la licenza e c’è un anno di tempo per
identificare l’area dive dobbiamo dare il contratto d’affitto”
Mandelli: “minchia meglio di Davide che è a Pero..cosa dobbiamo avere.” »71
Questa intercettazione è esplicativa dei rapporti che si intrecciano tra mafia,
imprenditoria e politica: le tre “forze” uniscono i loro sforzi per raggiungere un
risultato comune e falsare appalti e il tessuto dell’economia legale: un imprenditore
onesto si trova così la strada chiusa e non può fare guadagni leciti, col risultato che
70
71
E. Ciconte, op. cit., pag. 63
Cfr. “La Provincia”, 04 luglio 2010
45
magari dovrà chiudere la sua impresa perché non riesce a fare profitti. Profitti che
di certo non mancano se alle spalle hai la criminalità organizzata.
Ma Mandelli non è stato l’unico professionista comasco a favorire il clan LampadaValle: più di recente, agli inizi del dicembre 2011, è stato oggetto di due ordinanze
di custodia cautelare, una da Milano e l’altra da Reggio Calabria, Vincenzo Minasi,
avvocato originario di Palmi con uno studio a Breccia (una frazione di Como), uno
a Lugano e villa a Fino Mornasco. Nel corso dell’operazione sono finiti in manette
anche Giulio Lampada, il fratello Francesco, la moglie di quest’ultimo Maria Valle
e il fratello di questa Leonardo, considerati affiliati alla ‘Ndrangheta, e addirittura
un magistrato del Tribunale di Reggio Calabria e un maresciallo della Guardia di
Finanza.
E’ questa, oltre ai membri del clan, la “zona grigia” che viene colpita: con accuse
che vanno dall’associazione mafiosa, al concorso esterno, alla corruzione fino
all’intestazione fittizia di beni. «L’arresto di un magistrato è sempre cosa grave,
ma altrettanto lo è quello di un architetto, di un ingegnere, di un avvocato, di un
medico. Perché i professionisti scelgono, nel momento in cui entrano a far parte
del rispettivo Ordine professionale, di stare dalla parte della collettività onesta e
non di una parte corrotta e criminale. Ma non sempre riescono a tenere fede al
loro giuramento. E il coinvolgimento dei professionisti, a mio modo di vedere,
rappresenta un pericolo grave per la tenuta sociale: gli Ordini professionali [...]
hanno competenze e funzioni che ne fanno pezzi importanti della vita
democratica.»72
Non è la prima volta che Minasi viene accusato di favorire un clan mafioso: nel
1994 era stato già arrestato nel corso dell’operazione “Tirrenia” per aver favorito la
cosca Molè di Gioia Tauro. Inoltre l’avvocato comasco è stato, fino al suo arresto,
l’avvocato di Massimo Sabatino, uno degli imputati al processo per l’omicidio della
collaboratrice di giustizia Lea Garofalo. Questa volta, invece, è stato accusato di
aver messo le sue competenze e la sua persona a disposizione del clan LampadaValle secondo l’ordinanza della DDA di Milano, e della cosca Gallico secondo la
72
N. Amadore, op. cit., pag. 35
46
DDA di Reggio Calabria, provvedimento che fa riferimento all’inchiesta “Cosa
mia” del giugno 2010. E’ quantomeno interessante notare che, come riporta sempre
Amadore, «Se un avvocato è indagato per associazione mafiosa o concorso esterno
in associazione mafiosa può continuare ad esercitare. La sanzione non arriva
nemmeno quando il legale è stato arrestato.»73
Secondo gli inquirenti, Minasi avrebbe «consapevolmente fornito un apporto» ai
componenti del clan, in modo tale da far loro avere informazioni segrete che egli
otteneva grazie alla sua professione (e dunque violando il segreto istruttorio);
svolgeva inoltre la funzione da prestanome per i Lampada-Valle e il suo studio era
sede di incontri nei quali venivano decise le strategie del clan.74
Dopo il suo arresto, Vincenzo Minasi ha iniziato a collaborare con il pm Ilda
Boccassini: anche grazie dalle sue dichiarazioni è scattata un’altra operazione
antimafia, che ha portato in carcere 5 nuove persone, tra cui un amico dello stesso
Minasi, un direttore d’hotel e tre uomini della Guardia di Finanza. Questi ultimi
sono finiti in manette con l’accusa di avere intascato tangenti per avvertire il clan
Lampada-Valle dei controlli sulla regolarità dei videopoker di loro possesso.
E Minasi chiama in causa anche uomini dei servizi segreti, come Nicolò Pollari, ex
direttore del Sismi, del quale dichiara che era in contatto con il consigliere
regionale calabrese PdL Francesco Morelli, arrestato nell’operazione scattata nel
2010 sempre contro i Lampada-Valle.
Tornando invece all’operazione del dicembre 2011, insieme a Minasi era stato
oggetto di un’ordinanza di custodia cautelare anche Daniele Borelli, notaio e
avvocato ticinese, il cui nome era proprio legato all’avvocato comasco. Accusato
dall’antimafia milanese di praticare un ruolo consapevole nel riciclaggio di denaro
oltre confine, pochi giorni dopo che l’ordinanza era stata spiccata contro di lui, e
precisamente il 5 dicembre, si è impiccato nella sua abitazione di Lugano. La sua
posizione, soprattutto in merito al suo ruolo “consapevole” nel riciclaggio di danaro
ipotizzato dai magistrati, non potrà essere dunque chiarita.
73
74
Ibidem, pag. 40
Cfr. “La Provincia”, 01 dicembre 2011
47
Secondo quanto detto da Minasi, il professionista elvetico «avrebbe permesso la
realizzazione di una serie di specchi che ha consentito al boss e all’amico giudice
di entrare, in gran segreto, in una srl intestata formalmente all’avvocato
comasco.»75
Ma la famiglia Lampada-Valle non si limita ad entrare in contatto e “usufruire” di
professionisti: cerca, come avviene in generale per la criminalità organizzata, i
rapporti organici con la politica.
Ciò si è potuto constatare grazie all’intercettazione della telefonata tra Giulio
Lampada e Antonio Oliverio, già accusato e poi assolto per la vicenda Perego,
avvenuta nel marzo 2008, durante la campagna elettorale per le elezioni Politiche.
«Lampada: “Senti, Antonio, ti volevo chiedere una cosa... mi telefona un amico di
Reggio Calabria per chiedermi se conosco un esponente dell’Udeur...Fidedius, una
cosa del genere”
Oliverio: “De Feudis, sì”
Lampada: “Cos’è, un consigliere? Un deputato?”
Oliverio: “No, no è l’ex segretario provinciale di Como”
Lampada: “Sei in buoni rapporti?”
Oliverio: “Molto.E’ il direttore della Colacop, il consorzio cooperative lombarde.
Fammi conoscere i motivi...
Lampada: “So soltanto che mi ha detto se riuscivo a conoscerlo..
Oliverio: “Non c’è problema»76
E’ evidente quindi la volontà della ‘ndrina calabrese di ottenere un altro appoggio
politico per i suoi traffici e avere quindi sia più impunità sia più legittimità.
De Feudis, comunque, smentisce di essere stato avvicinato da personaggi mafiosi o
a questi affini, ma comunque afferma che «il pericolo di essere avvicinato da
personaggi chiacchierati è concreto»77
75
Cfr. “La Provincia”, 01 aprile 2012
Cfr. “La Provincia”, 04 dicembre 2011
77
Ibidem
76
48
Dunque anche recentemente la forza dei clan mafiosi si manifesta in tutti i loro
aspetti, soprattutto nella loro abilità di coinvolgere la “zona grigia”. E sebbene,
soprattutto in campagna elettorale, si stringono le mani a persone che non si
conoscono, farlo con un esponente della criminalità organizzata permette a
quest’ultimo di vantare una forte legittimità.
CAPITOLO III
3.1 Si toglie il velo all’invisibilità: Operazione “I fiori della notte di
San Vito”
Il 15 giugno 1994 la ‘Ndrangheta subisce un duro colpo: 370 ordini di custodia
cautelare “decapitano” l’organizzazione nel Nord Italia. 117 di questi vengono
recapitati direttamente in carcere, ma soprattutto vengono arrestati due poliziotti, un
primario e un capo infermiere dell’ospedale di Rho e sono stati dati avvisi di
garanzia a carabinieri, finanzieri ed ad un giudice.
L’operazione delle forze dell’ordine viene chiamata “I fiori della notte di San
Vito”, poiché i “fiori” nel linguaggio della ‘Ndrangheta sono i gradi degli affiliati,
mentre San Vito è il giorno in cui è stato effettuato il blitz.
La Lombardia si sveglia dunque con un’enorme operazione che dimostra che la
criminalità organizzata fa affari, e da molto, nella terra “padana”. E non sono
coinvolti solo calabresi o comunque meridionali, ma molti “polentoni”; e la favola
che la mafia è solo del sud, si dissolve per l’ennesima volta.
Giuseppe Mazzaferro, capo dell’omonimo clan che, insieme ai colletti bianchi e ai
clan Paviglianiti e Ottinà, venne fatto oggetto dell’operazione, si insediò in
Lombardia a seguito dell’applicazione del soggiorno obbligato a Cornaredo, in
49
provincia di Milano; ancora una volta è una legge dello Stato che nella sua
realizzazione pratica favorisce le organizzazioni mafiose.
La ratio detta legge che nel 1956 istituì il soggiorno obbligato per le «persone
pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità»78 e che venne poi estesa nel
1965 «agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose»79 era quella di
eliminare i legami tra i boss mafiosi e gli altri affiliati, con la convinzione che nel
nord non si sarebbe potuto creare quel clima di omertà presente nelle regioni a
tradizionale presenza mafiosa e di «colpirlo nel prestigio locale, dimostrando che
lo Stato, pur incapace di mandarlo in carcere, aveva però l’autorità per infliggergli
una sanzione degradante.»80 Fu un errore clamoroso. Non fu il nord a trasformare
in persone “oneste” i boss, ma furono questi che si inserirono nel tessuto produttivo
delle regioni nelle quali si trasferirono e che ricrearono gli stessi vincoli associativi,
di intimidazione, di omertà anche dove si pensava fosse possibile; inoltre bisogna
sottolineare che i contatti con le regioni di provenienza erano tutt’altro che
complicati, grazie ad esempio al telefono, ed inoltre è vero che i boss non potevano
tornare, ma i loro parenti e amici potevano trasferirsi e ricreare gli stessi gruppi
presenti al sud.
Anche Leonardo Messina, boss di San Cataldo che operava nella zona di
Caltanissetta e membro della “Commissione provinciale di Cosa Nostra”, riuscì a
creare legami al nord, quando nel 1990 fu mandato, sempre per il soggiorno
obbligato, a Bulgarograsso, in provincia di Como. Qui riprese i contatti con un suo
conterraneo che conosceva sin da ragazzo, Calogero Marcenò, e conobbe il socio di
questi, Salvatore Maimone.
Marcenò fu arrestato nell’aprile del 1992 mentre trasportava un carico di armi
dirette in Sicilia proprio per lo stesso Messina, il quale fu tratto in arresto pochi
giorni dopo.
Quest’ultimo decise, nel giugno dello stesso anno, di divenire collaboratore di
giustizia, e dalle sue dichiarazioni scaturì a novembre l’operazione “Leopardo”, che
portò all’arresto di circa duecento persone, ma era un’operazione più incentrata su
78
Legge 27 dicembre 1956, n. 1423
Legge 31 maggio 1965, n. 575
80
F. Dalla Chiesa, op. cit., pag. 218
79
50
Cosa Nostra che sulla ‘Ndrangheta, come dimostra il fatto che la misura cautelare
conteneva come primi nomi quelli di Giuseppe Madonia e Salvatore Riina: tale
operazione portò all’iscrizione nel registro degli indagati Giuseppe Mazzaferro,
Calogero Marcenò, Giuseppe Marcenò e Salvatore Maimone.
Nel marzo 1993 sia Calogero Marcenò sia Salvatore Maimone iniziarono la loro
collaborazione con l’Autorità Giudiziaria, confermando innanzitutto di far parte
della ‘Ndrangheta e di essere affiliati il primo alla Locale di Como da metà degli
anni ’80 e di aver raggiunto la dote di “camorrista”, per poi divenire nel 1990 capo
della Locale di Varese con la dote di “trequartino”; il secondo, invece, alla Locale
di Como da Marcenò per poi seguire il suo “capo” nella Locale di Varese.
Dalle dichiarazioni di questi tre affiliati, oltre a quelle di Salvatore Morabito e
Antonio Zagari, prese vita l’operazione “I fiori della notte di San Vito”, la quale
portò in carcere 370 persone tra Milano, Como (ben 213 ordini di custodia
cautelare), Varese, Brescia, Pavia; nella sentenza della Corte d’Appello di Milano si
legge che gli imputati erano tali «per i reati di: associazione per delinquere di
stampo mafioso finalizzata al traffico di stupefacenti, traffico di armi, rapine,
estorsioni, ed altro; nonché spaccio di stupefacenti, detenzione porto illegali di
armi, rapina aggravata, detenzione e porto illegale di armi, rapina aggravata,
furto aggravato, favoreggiamento, ricettazione ed altro in concorso. Reati
commessi nelle province di Milano, Como, Varese, Brescia, Pavia ed altrove dal
1976 a tutto il 1994.»81
Tale blitz, oltre a mostrare i collegamenti tra criminalità organizzata e i cosiddetti
colletti bianchi, mise in luce l’organizzazione del clan Mazzaferro, operante in
Lombardia.
A capo di questa famiglia vi era Giuseppe Francesco Mazzaferro, nato nel maggio
1937 a Marina di Gioiosa Ionica, e quindi appartenente alla corrente della piana.
Come detto egli fu sottoposto alla misura del soggiorno obbligato a Cornaredo, in
81
Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98, pag. 15
51
provincia di Milano, ma ciò non gli impedì di riunire attorno alla sua figura un gran
numero di conterranei e di sviluppare traffici illeciti nella regione.
Sempre nella sentenza della Corte di Appello, gli si imputa di «aver diretto una
associazione ‘ndranghetistica che aveva preso, appunto, il nome da lui (cosiddetto
“Clan Mazzaferro”), strutturata in una fitta ed estesa rete di “cellule territoriali”,
definite “Locali”, dedite ad attività illecite di ogni genere, nelle provincie di
Milano, Como, Varese, Brescia, Pavia e Bergamo, dal settembre 1982 in poi» e di
«aver diretto ed organizzato una associazione finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti, nei luoghi sopra indicati, dal 1976 in poi».82
Il clan Mazzaferro e i suoi esponenti sono certamente riconducibili alla
‘Ndrangheta calabrese, ma vi sono delle differenze tra di essi. Innanzitutto la
collocazione geografica, in quanto vi è un distaccamento in Lombardia da parte di
un clan calabrese, anche se i legami e i contatti con la “madrepatria” rimangono
forti e numerosi; vi è poi una differenziazione per quanto riguarda gli affari, visto
che Mazzaferro è tra i primi a voler entrare nel traffico degli stupefacenti e il suo
clan è dedito proprio a questo; infine vi è la decisione di non partecipare più alla
riunione di Polsi, tradizionale summit di ‘Ndrangheta tenuto solitamente a fine
agosto/primi di settembre, ma di tenere un incontro similare negli stessi giorni ad
Andrate, una frazione di Fino Mornasco in provincia di Como, e nel quale
partecipavano molti esponenti provenienti da Giffone.
Leonardo Messina ritiene che quella dei Mazzaferro sia una “mafia giovane” e
questo spiega i motivi per cui erano relativamente pochi gli atti di violenza, i
tentativi di infiltrazione nell’amministrazione pubblica, nella politica e nel mondo
imprenditoriale perpetrati dal clan, al contrario invece di quanto accade in Calabria.
Col tempo, sostiene il boss di San Cataldo, sarebbero di certo aumentati.
Certo è che, sebbene relativamente pochi, tali atti di violenza e di intimidazione nei
confronti della popolazione ci sono stati, come nel caso di diversi titolari esercizi
commerciali che si sono trovati di fronte a uomini che puntavano armi contro di
loro; la pretesa di controllo del territorio c’era, eccome. Questi atti intimidatori
82
Cfr. Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98
52
hanno creato un clima di illegalità diffusa, che ha permesso alle persone legate alla
‘Ndrangheta di farsi da garanti dell’ordine pubblico in contrapposizione ad uno
Stato che invece non riusciva a risolvere il problema, e dunque ad ottenere la
fiducia della popolazione.
Il fatto che il clan Mazzaferro si servisse dell’intimidazione quando non riusciva a
raggiungere “amicizie” con esponenti politici, è mostrato dagli spari all’auto del
sindaco e dell’assessore di Fino Mornasco.
Ma non si cercavano solo “amicizie” con la politica: per quanto possibile venivano
inseriti degli amministratori conniventi nei comuni, come è emerso da
un’intercettazione della polizia dalla quale veniva alla luce che il sindaco di Senna
Comasco era di Giffone e amico personale di Vincenzo Majori, responsabile della
Locale presente in tale Comune.
Quello che risulta dalle indagini e dalle osservazioni della Corte, è che quella dei
Mazzaferro è una ‘Ndrangheta differente da quella “classica”. Ma pur essendo
“diversa” o “altra”, nei fatti risulta appartenere alla stessa “onorata società”: ciò è
dimostrato sia dall’assenso della famiglia Mazzaferro residente in Calabria alla
costituzione di una “camera di controllo” lombarda (come si è già detto e si
riprenderà meglio in seguito) e dunque da un bene placet generale della Calabria,
sia perché i portatori di istanze di completa autonomia rispetto alla “madrepatria”,
come nel caso di Carmelo Novella, sono stati uccisi da killer inviati loro dalla
Calabria.
Si può dunque dire che la differenziazione tra il clan Mazzaferro e la ‘Ndrangheta
sia solo “operativa”, con la spartizione dei profitti con la “madrepatria”, ed è in
questo senso che è stata e verrà intesa nella trattazione dell’argomento.
Il quadro del clan Mazzaferro viene fatto dal collaboratore di giustizia Raffaele
Iaconis, il quale fu affiliato sin dagli anni ’50 alla Locale di Giffoni, e racconta di
essersi trasferito a Como, dove era già operativa una Locale, intorno alla metà degli
anni ’70. Egli afferma di aver conosciuto Giuseppe Mazzaferro nel 1964-1965 e
che questi aveva già costituito la Locale di Socco (frazione di Fino Mornasco) a cui
53
capo c’era Salvatore Mercuri. Fino al 1978 questa Locale, a differenza di quella di
Como, non fu presentata a Polsi e dunque vi era un contrasto tra queste due Locali.
Iaconis riferisce che già all’epoca del suo arrivo a Como erano operative le Locali
di Calolziocorte, in provincia di Lecco a cui capo c’era lo stesso Iaconis, quella di
Como, guidata da Pasquale Sorbara, quella di Cermenate, con a capo Giuseppe
Costa, quella di Mariano Comense sotto il controllo di Pasquale Cugnetta, quella di
Monza con Gaetano Comandè e infine quella di Socco, guidata ancora da Iaconis.
Stando alle sue dichiarazioni, le istanze autonomistiche di Giuseppe Mazzaferro
presero forma con più vigore quando nel 1976 la ‘Ndrangheta calabrese decise di
creare una “camera di passaggio” sia per avere un controllo più diretto su quanto
facessero le sue colonie al nord sia anche per presentare le nuove Locali a Polsi (la
prima che usufruì di tale meccanismo per essere presentata fu quella di Milano). Fu
allora che Mazzaferro, all’epoca sottoposto al soggiorno obbligato a Riva Ligure,
propose la formazione di una “camera di controllo”, ossia di un organismo
sovraordinato alle varie Locali che sarebbe stato utilizzato per coordinarle, per
autorizzare la loro apertura e presentarle a Polsi in un momento successivo, e per
attribuire le doti superiori all’interno dell’organizzazione mafiosa.
Tale proposta fu votata e approvata in una riunione tenutasi nello stesso 1976 in un
ristorante a Laglio, in provincia di Como. E’ da sottolineare il fatto che «aderire a
tale iniziativa significava entrare nell’orbita della famiglia Mazzaferro e, infatti, i
primi locali ad aderirvi furono quelli di Como, Calolziocorte, Fino Mornasco,
Milano e Monza.» La Locale di Pavia, invece, decise di non farne parte. 83
Le dichiarazioni di Iaconis si fermano al 1980, e dopo questa data non vengono più
considerate attendibili: questo perché, essendo stato arrestato nel settembre dello
stesso anno per estorsione e avendo fatto rivelazioni contro un affiliato, perse le
cariche acquisite all’interno della ‘Ndrangheta e non fece più parte di essa,
trasferendosi tra l’altro per lungo tempo prima in Piemonte e poi in Veneto.
Dalle considerazioni del Tribunale, emerge che quella dei Mazzaferro è
un’evoluzione della ‘Ndrangheta, ossia una sorta di distaccamento di quella del
83
Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98, pag. 577
54
nord che non ha più sentito l’esigenza di recarsi al santuario della Madonna di Polsi
per il tradizionale summit e che si è “affrancata” dalla Calabria per l’apertura di
Locali e per il conferimento di cariche. Sono dunque motivi “operativi”, soprattutto
per la gestione del traffico di stupefacenti.
Risulta inoltre che solo in alcuni Locali vi era la figura del “responsabile della
Locale”, una sorta di presidente onorario che non svolgeva funzioni operative, ma
aveva la responsabilità di esso: Varese non lo aveva, Senna Comasco solo da un
certo periodo, mentre Como lo aveva dal 1992. Senna Comasco, inoltre, aveva una
‘ndrina che svolgeva le sue attività in Puglia, sempre dipendente dalla Locale di
origine.
Per comprendere l’evoluzione del clan Mazzaferro dopo il 1980, vengono in aiuto
dell’Autorità Giudiziaria altri affiliati a tale clan, come Domenico Foti e Gaetano
Comandè i quali, collaboratore il primo e imputato il secondo, hanno reso delle
dichiarazioni riguardo ad esso.
In particolare è Foti a far luce sulla “autonomia” delle Locali lombarde guidate da
Mazzaferro: come riporta la Sentenza della Corte d’Appello per autonomia si deve
intendere «la non necessità di presentarsi tutti gli anni a Polsi; la autonoma
decisione inerente la apertura di nuovi locali o il conferimento di cariche o doti,
non certamente il venir meno della comune appartenenza mafiosa, essendo esclusa
una eventuale “espulsione” di Mazzaferro dalla ‘ndrangheta.»84
Racconta Foti che fu Comandè a proporre a Mazzaferro di non presentare più le
Locali a Polsi, il quale accettò subito la proposta e, grazie al consenso del fratello
che risiedeva in Calabria, divenne il capo unico delle Locali lombarde tra loro
federate. Il requisito essenziale per concedere il permesso di aprirne altre era quello
di garantire il controllo del proprio territorio attraverso una continua attività
criminale e di intimidazione, e soprattutto di occuparsi del traffico di droga.
Risulta infatti che Giuseppe Mazzaferro trafficasse innumerevoli chili di cocaina e
che ogni Locale dovesse venderla.
84
Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98, pagg. 579-580
55
La proposta di Comandè si può collocare nel 1986, e dunque da quella data si può
dire che il clan Mazzaferro fosse “distaccato”, nel senso sopra specificato, dalla
‘Ndrangheta calabrese.
Dalle vicende delle Locali di Varese e Senna Comasco si può capire che quanto
affermano Foti, Iaconis e altri sul potere di Mazzaferro è reale.
Per quanto riguarda la Locale di Varese, la prima testimonianza arriva da Calogero
Marcenò, il quale afferma che agli inizi del 1990 Leonardo Messina gli aveva
proposto di aprire una “decina” di Cosa Nostra in quel comune; ciò in conseguenza
dello sfaldarsi della famiglia Zagari dopo il pentimento di Antonio, e che aveva
reso il territorio “libero”. Marcenò riferì della proposta ad altri affiliati i quali ne
parlarono con Mazzaferro, che propose di creare una Locale di ‘Ndrangheta,
proposta poi accettata da Marcenò che ne divenne capo. Lo stesso Messina ha
confermato la vicenda.
Nel settembre dello stesso anno venne battezzata la Locale, anche se vi erano stati
molti contrasti in merito all’apertura, poiché molti affiliati ad essa erano di origine
siciliana, e ai calabresi non stava bene. Circostanza confermata anche da Foti, il
quale aggiunge che fu Mazzaferro a “imporsi” per l’apertura dato che in quella
Locale sarebbe state gestite enormi quantità di droga.85
In relazione alla Locale di Senna Comasco, c’è da segnalare che si verifica il caso
contrario rispetto a quella di Varese: ossia è Mazzaferro a ritardare l’apertura di
essa.
Questo avviene, nonostante il parere favorevole di molti affiliati alla sua apertura,
perché Mazzaferro non ha ricevuto abbastanza garanzie da quello che sarebbe
diventato il capo della Locale, Vincenzo Majori, in merito al commercio della
droga.
Foti ricorda anche che al posto di Senna doveva aprirsi una Locale a Cantù, ma ciò
non si verificò poiché un affiliato al Locale di Cermenate, si rivolse a Mazzaferro
85
Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98, pag. 582
56
chiedendogli che tale comune restasse sotto l’influenza di Cermenate (altro segno
del ruolo che rivestiva Mazzaferro)
La Locale di Senna Comasco venne aperta solo nel febbraio 1991, dopo che venne
acquistata della droga dallo stesso Foti. Il fatto che Majori non avviasse intense
attività in relazione al traffico di stupefacenti venne punita negando le doti maggiori
all’interno di questa Locale a tutti gli affiliati.
Sempre a proposito del clan Mazzaferro, Nicola Gratteri scrive che «In Lombardia
vi erano ben 16 Locali: 3 a Milano,e uno per ognuno di queste altre città: Appiano
Gentile, Cermenate, Como, Fino Mornasco, Lentate sul Seveso, Lumezzane,
Mariano Comense, Monza, Pavia, Rho, Senna Comasco, Seregno, Varese.»86
Per quanto riguarda le Locali in provincia di Como, sono 6 quelle fondate da
Mazzaferro.
Dai risultati delle indagini e dalle considerazioni del Tribunale, emerge che:

la Locale di Appiano Gentile ha a capo Michelangelo Maci con responsabile
Antonino La Rosa ed è una Locale prettamente giffonese e dedita al traffico
di stupefacenti. E’ una colonia di quella di Fino, costituita per dare spazio
alle volontà di crescita degli stessi Maci e La Rosa; vi era inoltre un patto
tra queste due Locali per non “rubarsi” gli acquirenti della droga. Viene
considerata dagli inquirenti una di quelle a maggior tasso di pericolosità in
quanto impegnati in tutti i settori (droga, armi, falso nummario, ecc). Si sa
comunque poco della Locale di Appiano in quanto non si sono avuti
collaboratori di giustizia.

a Cermenate comandava sulla Locale Gaetano Costa, mentre responsabile di
essa era Giuseppe Scali; a differenza delle altre i capi e molti affiliati
provenivano da Grotteria, mentre per quanto riguarda i traffici erano dediti
al traffico di stupefacenti e a quello di armi. Per quanto riguarda la cocaina
il punto di riferimento era, ovviamente, Mazzaferro, ma per l’eroina veniva
sfruttato il legame di Costa con i Paviglianiti, residenti a Cermenate.
86
N. Gratteri, A. Nicaso, Fratelli di sangue, Mondatori, 2012, pag. 272
57

quella di Como era nel 1976, quando si decise la creazione della camera di
passaggio, una delle più importanti, tanto che si pensava che dovesse essere
proprio questa Locale a svolgere questa funzione, ma poi fu preferita
Milano. Como fu molto importante per il contrabbando di sigarette che
passava dal suo territorio grazie alla vicinanza con la Confederazione
Elvetica. Questa Locale ebbe un periodo di declino sul finire degli anni ’80
in quanto gli affiliati non volevano trafficare droga, ma agli inizi degli anni
’90 anche qui iniziò il traffico di stupefacenti. Anche questa era una Locale
giffonese, luogo da dove arrivavano la maggior parte dei suoi affiliati.

a capo della Locale di Fino Mornasco si trova Michelangelo Chindamo; è
una tra le Locali più “antiche” (sin dagli anni ’70 circa) ed è
prevalentemente dedito al traffico di stupefacenti.

per quanto riguarda la Locale di Mariano Comense, anche di essa si conosce
poco per l’assenza di collaboratori di giustizia: si sa solo che prima di essere
ucciso comandava Pasquale Cugnetta che gestiva il traffico di droga, mentre
capo attuale è Salvatore Muscatello che è contrario ad essa.

dell’apertura della Locale di Senna Comasco si è già parlato prima: qui è
doveroso riportare che Vincenzo Majori, responsabile della Locale, si sta
“scostando” e quindi i traffici di droga possono iniziare guidati da
Domenico Foti, che ne è invece il capo. Majori è stato importante in quanto
ha finanziato la cena elettorale del sindaco di Senna Comasco.
3.2 Operazione “Infinito”
Il 13 luglio del 2010 scatta un altro blitz contro la ‘Ndrangheta calabrese e le
colonie milanesi: è l’operazione “Crimine-Infinito”, che taglia trasversalmente
l’Italia, da Reggio Calabria a Milano.
58
E’ la prova che il lavoro in concerto tra due DDA porta al successo.
Si tratta infatti di due filoni di inchiesta: il primo, “Crimine”, eseguito dalla
Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e il cui dibattimento a
processo verrà condotto dal Procuratore aggiunto della Repubblica Nicola Gratteri,
dal Procuratore capo Giuseppe Pignatone e dal Procuratore aggiunto Michele
Prestipino; il filone milanese dell’inchiesta, “Infinito”, è stato invece dibattuto dal
Procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai sostituti Procuratori Alessandra Dolci,
Alessandra Cecchelli e Paolo Storari, e dal sostituto Procuratore di Monza
Salvatore Bellomo.
Per quanto riguarda il filone lombardo dell’inchiesta, esso ha portato a circa 118
condanne e, grazie alla collaborazione del “pentito” Antonino Belnome, a svelare
come si è riorganizzata la ‘Ndrangheta dopo le varie operazioni che l’hanno colpita
in tutto il territorio.
Il mito che “a Milano la mafia non c’è”, come ha sostenuto in tempi recenti
Pillitteri, ex sindaco di Milano («Il bello de La Piovra è che si tratta di una favola,
soltanto di una favola»)87 crolla definitivamente.
L’ordinanza di applicazione di misura coercitiva spiccata dal giudice per le indagini
preliminari del Tribunale ordinario di Milano
riprende ciò che emerse dalla
inchiesta “Nord-Sud”, ossia che vi è una struttura di coordinamento delle varie
Locali lombarde, denominata “La Lombardia”, a capo della quale. Anche
nell’operazione “I fiori della notte di San Vito” era emersa l’esistenza di questa
“camera di passaggio”, e l’idea della sua costituzione veniva dai collaboratori
datata 1976. Dalle intercettazioni effettuate nel 1998 emerge che all’epoca a capo di
questa struttura, che veniva utilizzata dalla Calabria per avere una sorta di controllo
sulle attività che avvenivano in Lombardia, vi era Carmelo Novella. “Compare
Nuzzo” dal 1999 al 2007 era stato lontano dalla regione e stabilì il proprio
domicilio a San Vittore Olona dopo la sua scarcerazione nell’agosto dello stesso
anno. Nel periodo sopra indicato risulta che a capo de “La Lombardia” ci fossero
Cosimo Barranca e Pasquale Barbaro.
87
Cfr. F. dalla Chiesa, op. cit., pag. 217
59
Novella aveva sviluppato un progetto completamente nuovo, che usciva dagli
schemi che la ‘Ndrangheta si era sempre data: quello di rendere autonoma “La
Lombardia” dalla madrepatria calabrese.
Quella calabrese è un’organizzazione unitaria, composta da diverse ‘ndrine a base
familiare e che, almeno fino alle scoperte derivanti da questa operazione e che
verranno riprese in seguito, non ha avuto un’organizzazione gerarchica. Le diverse
‘ndrine possono cercare di ottenere interessi personali, ma rimanendo sempre legate
a questa unica organizzazione di cui devono perseguire le finalità, e soprattutto
anche se decidono di colonizzare altri territori, sia in Italia che all’estero, devono
mantenere uno stretto rapporto con la “casamadre” calabrese. Le decisioni più
importanti si prendono sempre in Calabria, come avviene nel summit annuale di
‘Ndrangheta che si tiene al santuario della Madonna di Polsi.
Quindi la proposta di Novella era incompatibile con quello che è sempre stata la
‘Ndrangheta: non poteva dunque essere accettato dagli ‘ndranghetisti di lungo corso
il progetto di “staccare” le Locali lombarde da quelle calabresi, concedendo
completa autonomia ad esse e ponendole sotto il controllo della struttura da loro
stessi creati, la camera di passaggio, al cui vertice ci sarebbe stato lo stesso Novella.
Questi, per creare consenso attorno alla sua figura e favorire il proprio progetto,
iniziava ad elargire le varie “doti” agli affiliati a lui fedeli, e permetteva di aprire
Locali senza l’autorizzazione della Calabria. «Novella sta galoppando; corre
troppo, e qualche anziano del “locale” di Milano comincia a preoccuparsene
seriamente. Teme la creazione di un Nord contrapposto al Sud, con il conseguente
distaccamento della “Lombardia dalla originaria struttura di vertice calabrese.[...]
Novella va avanti per conto proprio, e non dà conto a nessuno del proprio agire.
Da Reggio cominciano a pensare che stia passando il segno. [...] Nel giugno 2008
sono in tanti a partecipare, a Marina di Gioiosa Jonica, ad un importante
matrimonio di una donna della famiglia degli Aquino. Arrivano in tanti, anche da
Milano, e persino due in rappresentanza della “Lombardia”. Manca solo lui,
Novella. E’ un fatto grave, perché “secondo le regole di ‘ndrangheta è obbligatorio
per le famiglie degli sposi includere tra gli invitati i rappresentanti delle ‘ndrine e
60
delle “locali” “amiche”, tanto da ritenere “rotta” l’alleanza qualora non arrivi
l’invito”»88
E “compare Nuzzo” pagherà con la vita le sue istanze di autonomia: il 14 luglio
2008 due killer a volto scoperto lo uccidono sparandogli in testa in un bar di San
Vittore Olona. A “licenziarlo”, come si dice nel gergo ‘ndranghetistico, sarà
Antonino Belnome che si autoaccuserà dell’omicidio una volta arrestato e divenuto
collaboratore di giustizia (20 settembre 2010): e le armi per il delitto provengono da
Como, più precisamente dal maneggio “La Masseria” di Bregnano, di proprietà di
Salvatore Di Noto, nome che ricomparirà più tardi nella trattazione.
Dopo l’omicidio nasce il problema della successione: la Calabria decide dunque di
riportare sotto il suo controllo la camera di passaggio e “traghettatore”, fino a
quando tutti gli affiliati tornino consci dell’unitarietà dell’organizzazione e fedeli ad
essa, ne diventa Pino Neri, già condannato nel corso dell’operazione “I fiori della
notte di San Vito” per essere il capo della Locale di Pavia.
Il 31 ottobre 2009 a Paderno Dugnano, al circolo Arci Falcone-Borsellino avviene
un fondamentale summit di ‘Ndrangheta, durante il quale viene deciso che le Locali
hanno sovranità nelle loro azioni, ma devono essere inserite ne “La Lombardia” e
rispondere ad essa e la sospensione dell’assegnazione di nuove doti sia in Calabria
che in Lombardia. Sarà lo stesso Pino Neri ad esporre queste decisioni al summit
perché, nelle parole di Vincenzo Mandalari, «ha parlato a qualche tavola giù e
adesso ci metterà a conoscenza»89 Inoltre viene deciso che Mastro Generale de “La
Lombardia” e incaricato di tenere i rapporti con la Calabria sarà Pasquale Zappia.
Sono comunque decisioni provvisorie poiché «E’ un esperimento, quello che si fa;
non c’è nulla di definitivo. Neri dice chiaramente: “Vediamo se dobbiamo
cambiare qualcosa... e fra un anno scendiamo in Calabria, ed ho appuntamento
con gli uomini della Calabria, ci vediamo e discutiamo per vedere il da farsi”. La
novità del discorso è compresa da tutti. E’ la restaurazione del potere, che torna ad
essere saldamente nelle mani degli ‘ndranghetisti rimasti in Calabria.»90
88
E. Ciconte, op. cit., pagg. 117-118
Cit. in E. Ciconte, op. cit., pag. 122
90
E. Ciconte, op. cit., pag. 123
89
61
Riunione che sarà interamente filmata dagli investigatori che hanno avuto così
l’occasione di vedere tutti i capi-Locale arrivati all’incontro organizzato da
Vincenzo Mandalari, capo della Locale di Bollate. Proprio in un circolo intitolato ai
due giudici che rappresentano l’azione contro l’antimafia e che hanno pagato con la
vita il loro impegno i boss si riuniscono, ovviamente senza che il proprietario della
sede Arci si chieda perché i calabresi abbiano prenotato una sala facendo disporre i
tavoli a ferro di cavallo e non volessero essere disturbati durante la cena, tanto da
far chiudere le porte della cucina perché dovevano parlare di cose importanti.
Dunque è a Milano che si verifica uno dei più importanti summit mafioso, nel quale
viene deciso come proseguirà “La Lombardia” dopo l’eresia di Novella e dopo il
“licenziamento” di questi.
Ed è piuttosto “paradossale” che il sindaco di Milano, Letizia Moratti, pochi mesi
prima della riunione di Paderno Dugnano, e precisamente il 25 maggio dello stesso
anno, durante una puntata di “Anno Zero” abbia dichiarato a proposito della mafia
che «da noi non può succedere. »
Semplice ignoranza o paura di rovinare il buon nome della città?
Nella realtà comasca con l’operazione “Infinito” sono state individuate tre Locali:
una a Mariano Comense (già emersa con l’operazione “I fiori della notte di San
Vito”), una ad Erba e una a Canzo-Asso, due comuni tra loro limitrofi.
Si nota dunque che non si hanno più notizie delle Locali emerse nel blitz
sopraccitato del giugno ’94, quali Appiano Gentile, Cermenate, Como, Fino
Mornasco e Senna Comasco; ciò però è bel lontano dal definire “pulite” ovvero
prive della presenza mafiosa tali aree, come dimostrano i beni confiscati in questi
comuni e i vari atti di intimidazione, estorsione che ivi si verificano.
Per quanto riguarda la Locale di Mariano Comense, essa risulta essere dedita al
traffico di stupefacenti e a capo di essa si trova Salvatore Muscatello, già
considerato tale nel ’94, il quale è uno dei più anziani esponenti della ‘Ndrangheta
in Lombardia.
62
Tra gli altri personaggi affiliati a questa Locale spiccano i fratelli Cristello, Rocco e
Francesco, cugini di Rocco Cristello ucciso nel marzo 2008 ed esponente
importante della Locale di Seregno.
Rocco Cristello di Mariano è già stato citato, in quanto garantiva protezione agli
amministratori del gruppo Perego che, come riporta l’ordinanza, è «una delle più
grosse aziende operanti nel settore movimento terra in Lombardia»91 dopo
l’estromissione dalla società di Salvatore Strangio.
Salvatore Muscatello è stato ripetutamente contattato in merito all’elezione del
nuovo reggente de “La Lombardia” e vota a favore di Pasquale Zappia.
Dalle indagini risulta che gli affiliati a questa Locale abbiano a loro disposizione
una ingente quantità di armi, sia fucili sia materiale esplosivo sia due bombe di
fabbricazione jugoslava, ritrovate all’interno del maneggio “La Masseria” di
Bregnano, di proprietà di Salvatore Di Noto. Tale maneggio è salito agli onori della
cronaca quando, grazie alle rivelazioni di Belnome, si è saputo che lì era stato
ucciso Antonio Tedesco, ammazzato nel 2009 con un colpo di pistola e finito a
picconate e il cui corpo è stato poi gettato nella calce per favorire la
decomposizione a Bernate Ticino, dove è stato ritrovato. La condanna a morte
sarebbe stata ordinata direttamente dalla Calabria per impedire che Belnome, capo
della Locale di Giussano, potesse vendicarsi personalmente: la motivazione era che
Tedesco si era vantato di essere andato a letto con la sorella del boss di Giussano.
Belnome avrebbe dovuto dunque ammazzarlo per “ripristinare” l’onore della
famiglia: se non lo avesse fatto avrebbe corso il rischio di essere ucciso anch’egli
perché queste sono le regole ferree della ‘Ndrangheta. E’ evidente dunque quanto la
‘Ndrangheta, e le organizzazioni mafiose in generale, siano composte da elementi
di modernità e di arretratezza: il primo elemento emerge nell’abilità di inserirsi nei
più disparati contesti, permettendo loro di rinnovarsi e di “fare innovazioni” come
ad esempio nello smaltimento di rifiuti, un servizio “nuovo” offerto dalla
criminalità organizzata. L’arretratezza esce fuori nell’osservanza di norme arcaiche,
nate con l’organizzazione stessa e rimaste immutate nonostante il passare del
tempo.
91
Cfr. Ordinanza di applicazione di misura coercitiva, Tribunale ordinario di Milano, N. 43733/06
R.G.N.R., N. 8265/06 R.G.G.I.P., in URL= http://www.stampoantimafioso.it/wpcontent/uploads/2011/07/operazione-infinito.pdf, foglio nr. 26
63
La Locale di Mariano Comense era considerata la più rilevante per l’importanza
nella gerarchia ‘ndranghetista dei suoi esponenti, ma ciò fino all’omicidio di
Carmelo Novella, a seguito del quale vi è stato un relativo declino di questa Locale
a vantaggio di quella di Erba.
Pasquale Giovanni Varca risulta essere dunque il capo della Locale di Erba, la
quale è di recente costituzione ed è il referente in Lombardia per Domenico
Oppedisano che è considerato l’attuale Capo del Crimine della ‘Ndrangheta.
E’ composta da affiliati per lo più originari di Isola di Capo Rizzuto e per questo è
forte il collegamento con esponenti della cosca Arena-Nicoscia che è egemone in
quella zona della Calabria. Questo legame emergerà in maniera forte quando verrà
dallo stesso Varca e dagli altri “isolitani” gestita la fase organizzativa del
trasferimento di due latitanti appartenenti a questa cosca. Vi è inoltre un forte
connessione con le famiglie della Piana, in quanto tra gli affiliati a questa Locale vi
è Michele Oppedisano, nipote di Domenico.
Varca e i suoi affiliati si impongono nel movimento terra con metodi di
intimidazione di stampo mafioso e inoltre secondo gli investigatori ha garantito ad
un’organizzazione albanese l’appoggio delle ‘ndrine che controllano il porto di
Gioia Tauro per far entrare nel Paese grossi carichi di cocaina.
Altro metodo utilizzato dagli affiliati per aumentare i profitti a loro disposizione è
quello di esportare in Tunisia dei mezzi da lavoro che vengono falsamente
denunciati come rubati dai proprietari.
Anche gli esponenti di questa Locale hanno a loro disposizione ingenti quantità di
armi che vengono nascoste nel maneggio di Erba, sede della Locale.
Un altro personaggio importante di questa Locale è Francesco Crivaro, considerato
il numero due: egli, oltre a collaborare all’usura, mette in contatto Varca con gli
esponenti dell’organizzazione albanese sopraccitata, e dà la disponibilità del suo
ristorante, il Coconut di Eupilio, per tenere riunioni di ‘Ndrangheta. Il ristorante è
molto frequentato da “vip” tra cui Lele Mora con il quale Crivaro ha una foto che
gli serve per aumentare la propria legittimità nei confronti della popolazione. Tra i
frequentatori del locale di Eupilio vi è anche Azouz Marzouk, divenuto “famoso”,
suo malgrado, in seguito alla strage di Erba che ha visto coinvolta la sua famiglia.
64
E riguardo a questa strage per la quale sono stati condannati due vicini di casa, ci
sono degli scenari diversi da quelli prefigurati dalle sentenze. Infatti Azouz ha
raccontato di aver avuto in carcere una lite con Maurizio Agrati e, sebbene il nome
di quest’ultimo poi non venga riportato nel fascicolo carcerario del tunisino, risulta
però che questi fu spostato due volte di cella e aggredito perché considerato un
“infame”. A seguito di quelle liti Raffaella fu oggetto di telefonate anonime e riferì
ad un’amica che un italiano l’aveva avvicinata in macchina dicendole di stare
attenta.
Agrati non è un carcerato qualunque, in quanto gli investigatori lo accusarono di
essere un’esponente di spicco della ‘Ndrangheta e legato a Coco Trovato, in carcere
in quel momento per il tentato omicidio di un uomo.
E’ stata inoltre ventilata l’ipotesi (non dalla magistratura né dagli inquirenti) che i
killer possano aver sbagliato obiettivo: obiettivo sarebbero stati i figli di Ruggero
Cantoni, condannato a 18 anni in primo grado per aver fatto parte di
un’associazione a delinquere che avrebbe taglieggiato per anni Erba, che vivevano
proprio nella Corte dove è avvenuta la strage.
Queste sopra elencate sono ipotesi scartate dagli inquirenti, ma utili per far capire
che personaggi sono coinvolti nella varie vicende della realtà Erbese.
Altra novità che emerge da questa Locale è quella riportata da Ciconte, il quale
scrive che: «Nel “locale” di Erba, invece, troviamo un milanese affiliato, o, come
dicono gli ‘ndranghetisti, “fatto uomo”. E’ una novità assoluta. Non era mai
successo nella storia della ‘ndrangheta.»92
Terza e ultima Locale che emerge dall’operazione “Infinito” è quella di CanzoAsso. A capo di essa vi è Luigi Vona, mentre altro personaggio importante affiliato
a questa Locale è Giuseppe Furci. Vona è stato elettore di Pasquale Zappia il 31
ottobre 2009 al circolo Arci di Paderno Dugnano: Furci ha accompagnato questi al
summit e anche alle varie riunioni che si sono tenute a Erba con gli esponenti di
quella Locale.
92
E. Ciconte, op. cit., pag. 109
65
In questa Locale si erogano prestiti di denaro ad usura a più persone dimoranti a
Canzo – Asso, e c’è il ricorso all’intimidazione ed alla minaccia per ottenere il
pagamento dei crediti acquisiti.
Vona era già stato segnalato dalle forze dell’ordine nel corso dell’operazione “I
fiori della notte di San Vito” in quanto appartenente al clan Mazzaferro, ma era
stato assolto dal reato associativo. In quell’occasione, però venivano ritrovati e
sequestrati i suoi appunti che contenevano frasi proprie dei vari rituali
‘ndranghetisti.
“Infinito è un’operazione fondamentale, non solo per il calibro degli arrestati ma
soprattutto per la chiarezza sulle organizzazioni mafiose e la ‘Ndrangheta, in
particolare, che permette di fare.
Come riportato da Nando dalla Chiesa93, con il blitz del luglio 2010 si scopre che la
‘Ndrangheta ha una struttura centralizzata e gerarchica, cosa inconcepibile fino a
pochi anni fa: al vertice vi è il capo-crimine (Domenico Oppedisano stando alle
indagini) a cui fanno capo tutte le Locali sparse nel mondo e dunque non ci sono
più le varie ‘ndrine che perseguono interessi personali, sempre sottostando alle
Locali, in condizioni di relativa autonomia. Si è inoltre scoperto che le colonie
lombarde hanno acquisito tanta forza da mettere in discussione la “suprema
autorità” calabrese, ma le loro istanze autonomistiche sono state prontamente
sedate, come si è visto nel caso di Novella. Viene confermato quanto si sapeva con
l’operazione “I fiori della notte di San Vito”, ossia che l’omertà sta diventando
dilagante in Lombardia: moltissimi lombardi o non denunciano le varie estorsioni o
atti intimidatori o, una volta chiamati a testimoniare, ritrattano le loro affermazioni.
Il primo caso si è verificato ad esempio con «Mimmo Maio, ferito a colpi di pistola
nel 1974, nel 1991 e nel 1993, che ha sempre detto di non sapere il perché e i
possibili autori di quei fatti»94; il secondo caso, invece, si è potuto riscontrare
durante il processo a Muscatello con la ritrattazione dei testi d’accusa.
Dunque, stante questa omertà e i numerosi atti di intimidazione ed estorsione, si è
visto quanto la colonizzazione della ‘Ndrangheta sia diventato preponderante,
anche attraverso intestatari fittizi che hanno permesso l’inserimento nell’economia
93
94
Cfr. F. dalla Chiesa, op. cit.
Sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1968/98, pag. 554
66
legale e l’appoggio politico che la criminalità organizzata è riuscita ad ottenere, non
più solo su scala comunale ma addirittura nazionale.
Infine emerge come dato preoccupante il fatto che la società civile del nord non si
preoccupi del fenomeno quanto si dovrebbe: sia nelle parole dei sindaci, sia nel
caso sopraccitato del summit a Paderno Dugnano dove si riuniscono sotto gli occhi
di tutti i boss mafiosi del territorio.
CAPITOLO IV
4.1 Le risposte della società civile: l’azione della Prefettura
Negli ultimi anni si sta sviluppando, sebbene con colpevole ritardo, la coscienza
che la presenza della criminalità organizzata è radicata sulle sponde del Lario.
Le ultime operazioni di polizia che hanno coinvolto personaggi lombardi e anche
comaschi hanno fatto sempre più vegliare sul fenomeno mafioso l’opinione
pubblica e soprattutto i giornali locali, tra cui “La Provincia” che segue le inchieste
dell’antimafia e pubblica molti articoli al riguardo.
Un’azione efficace (o almeno si spera) nei confronti delle organizzazioni criminali
di stampo mafioso è portata a compimento da parte della Prefettura di Como. Essa è
impegnata sul fronte della prevenzione, utilizzando per tale fine degli strumenti che
dovrebbero costituire degli sbarramenti al pericolo di infiltrazioni mafiose
nell’economia del territorio.
Il primo e principale strumento di tale tipo è costituito dalle informazioni antimafia
che vengono raccolte per le opere pubbliche sul territorio. Per interdire l’accesso ad
una ditta è sufficiente il pericolo di infiltrazione e dunque non vi è la necessità di
dimostrare una infiltrazione in atto, ma basta il semplice sospetto che ciò possa
avvenire, che può essere dato da elementi sintomatici come ad esempio la
67
partecipazione all’interno della ditta che lavora di soggetti collegati a clan mafiosi o
che hanno comunque avuto a che fare con personaggi di dubbia moralità. Il Prefetto
può dunque emanare conseguentemente dei provvedimenti interdittivi nei confronti
di queste ditte.
Il secondo strumento utilizzato è l’intervento del gruppo interforze istituito presso
la Prefettura e che vede la partecipazione della DIA, delle forze dell’ordine e degli
organismi pubblici che sono incaricati di tutelare il lavoro come l’Ispettorato del
Lavoro, INPS, INAIL ecc. Questo organismo si occupa di, a prescindere dalle
segnalazioni che vengono fatte che riguardano l’informativa antimafia, accedere ai
cantieri per verificare di fatto chi lavora e se chi lo fa è legittimato a farlo. Questo
organismo viene utilizzato soprattutto nelle grandi opere per scongiurare il rischio
che vi sia un’infiltrazione mafiosa nelle imprese che le costruiscono.
Oltre alla prevenzione, è seguito con molta attenzione da parte della Prefettura il
tema della sensibilizzazione della pubblica opinione in quanto vi è la
consapevolezza della necessità di creare consenso al lavoro delle forze dell’ordine e
creare una consapevolezza della popolazione che possa, in qualche modo, costituire
uno sbarramento alle infiltrazioni della mafia nell’economia sana. La Prefettura
sostiene infatti tutte le iniziative, che abbiano un minimo di credibilità e che vadano
in questa direzione, presenti nel territorio ad opera di ONLUS, amministrazioni
comunali ed in generale delle forme di mobilitazione pubblica sul rischio di
penetrazioni mafiose nell’economia.
Per quanto riguarda il tema dei beni confiscati è un tema seguito dalla Prefettura
anche se non sono direttamente coinvolti in quanto è l’ANBSC ad occuparsene. La
Prefettura ha comunque istituito un nucleo di supporto che si occupa di dare una
mano all’Agenzia per l’assegnazione dei beni sequestrati in provincia che sono
circa 65.
Il Prefetto, dr. Michele Tortora, crede che siano iniziative importanti in quanto
danno il segno di una presenza forte dello Stato che toglie il bene al mafioso e lo
mette in circolo per finalità di pubblico interesse, come previsto dalla Legge 109
del 7 marzo 1996.
68
Il Prefetto stesso sostiene che vi sia una più diffusa sensibilizzazione dell’esistenza
del fenomeno mafioso nella provincia e più in generale in Lombardia, anche grazie
alle risultanze del processo “Infinito” e delle più recenti indagini della Magistratura.
Sembra dunque che le istituzioni nella provincia non abbiano più paura di rovinare
il “buon nome” della città ma abbiano deciso di parlare chiaramente nei confronti
della popolazione civile.
4.2 L’azione di Confindustria, CGIL, CISL, UIL Lombardia
Confindustria Como si dice, nelle parole di un suo ex-dirigente ed ora consulente
della stessa, dr. Mario Giudici, assolutamente determinata a dare il suo contributo
affinché le Forze dell’Ordine, la Magistratura, ecc. facciano tutto il possibile per
stroncare questo fenomeno, in quanto esso è assolutamente negativo per la
maggioranza delle aziende presenti sul territorio poiché crea concorrenza sleale.
Questo avviene perché chi può contare sui soldi derivanti dalla criminalità
organizzata può entrare nel mercato e offrire servizi a prezzi molto bassi, mettendo
in difficoltà chi lavora onestamente. Stando alle sue parole, Confindustria Como si
batte da tanto tempo insieme ai sindacati affinché venga rivista la normativa sugli
appalti, in quanto gli appalti emanati dalla Pubblica Amministrazione sono al
massimo ribasso e questo facilita chi ha delle irregolarità alle spalle.
E’ importante evidenziare che il dr. Giudici non crede che l’apparato industriale di
Como sia interessato da fenomeni di estorsione, incendi, pizzo o altri atti
intimidatori: egli individua nelle imprese edili quelle più a rischio e sottolinea
l’alterità di Confindustria rispetto a queste vicende, come nel caso della vicenda
Perego che sottolinea essere un’impresa edile e non industriale. Ritiene che
comunque possano verificarsi eventuali infiltrazioni all’interno delle loro aziende
69
per il riciclaggio di denaro, anche se afferma che non sono mai giunte segnalazioni
di questo tipo.
A livello regionale, come Confindustria Lombardia, assieme a CGIL, CISL, e UIL
LOMBARDIA, l’11 aprile 2012, hanno sottoscritto un avviso comune per la
promozione di una cultura della legalità in chiave di contrasto della criminalità
organizzata.
L’avviso è strutturato in diversi punti che prevedono:

necessità di potenziare i presidi di governance della legalità: «Confindustria
Lombardia e CGIL CISL UIL Lombardia ritengono necessario individuare
le migliori e più efficaci forme di partecipazione e coinvolgimento di tutte le
componenti del sistema istituzionale e sociale per contrastare i rischi di
infiltrazioni criminali»

più trasparenza e controlli negli appalti: «Le parti promuovono
l’inserimento, nei bandi di gara tipo e nei capitolati di appalto, di adeguate
misure coerenti con la vigente legislazione in funzione di prevenzione
antimafia [...]. Nei bandi di gara si deve dare priorità al criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, valorizzando, con misure premiali, gli
elementi qualificanti dell’attività d’impresa [...]. Le parti, inoltre, auspicano
la piena ed effettiva applicazione degli obblighi di tracciabilità del flussi
finanziari»

realizzare una forte azione di formazione per la legalità nelle scuole anche
attraverso il sostegno della Regione, affinché conceda risorse a tal fine

assicurare la continuità alle attività produttive oggetto di provvedimenti
dell’Autorità Giudiziaria: è stata avanzata l’idea che l’Autorità Giudiziaria
sia messa in grado, quando viene sequestrata un’azienda per infiltrazione
mafiosa, di affidarne la gestione a soggetti professionalmente preparati per
gestirla, per evitare che un’azienda sequestrata alla mafia voglia dire
dipendenti licenziati, e si impegnano a promuovere azioni in tal senso.
70
4.3 Il Progetto San Francesco a Cermenate
Nel 2007 a Cermenate, in provincia di Como, in via Di Vittorio 10 è stata
confiscata una villa alla ‘Ndrangheta: la Polizia di Stato ha rinunciato a farne una
propria sede istituzionale e ha deciso di mettere l’immobile a disposizione
dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati
e confiscati alla criminalità organizzata, la quale a sua volta ha affidato il bene al
Comune.
Il Comune ha dunque deciso di collaborare con le altre realtà locali, sia economiche
che produttive, e con le associazioni esistenti per raggiungere la condivisione civile
della responsabilità di avere un centro antimafia nel proprio territorio.
Obiettivo ambizioso è quello di fare di tale villa il primo centro europeo per l’alta
formazione contro le mafie e per la promozione della cultura dei diritti umani. Il
“Centro studi sociali contro le mafia – Progetto San Francesco” è stato costituito il
2 maggio 2011 e inaugurato il 7 maggio ed è stato dedicato all’ “eroe borghese”
Giorgio Ambrosoli, il liquidatore della Banca Privata Italiana, ucciso l’11 luglio
1979 da un killer inviato da Michele Sindona, proprietario della Banca.
Il Centro studi è rivolto alle imprese, alle banche, ai sindacalisti e soprattutto alla
formazione dei giovani e “conducente” di esso è Padre Antonio Garau, presidente
di Jus Vitae onlus, che da anni lotta contro la mafia a Palermo, mentre direttore del
Centro è il dott. Alessandro De Lisi.
Nello Statuto si legge, all’art. 2.2, che «tra gli ambiti in cui intende progettare e
realizzare le proprie attività, l’Associazione individua prioritariamente la
formazione culturale e sociale a favore dei lavoratori, dei pensionati, della
cittadinanza, dei giovani, dei soggetti fragili (siano essi colpiti dal disagio
economico o fisico e psichico, o anche vittime di violenza domestica, criminale,
usuraia, del racket, delle guerre e delle migrazioni clandestine).»95
95
Cfr.
URL=http://www.progettosanfrancesco.it/images/sanfrancesco/pdf/PSF_DEFINITIVO_NUOVO
_STATUTO_APS_MARZO_2012.pdf
71
Di certo il percorso intrapreso non è facile: a marzo 2012 tutti i sette pannelli del
percorso antimafia del Parco Comunale Scalabrini di Cermenate, dove ha sede il
bene confiscato, sono stati danneggiati con scritte di vernice spray. L’intento è stato
quello di vandalizzare i volti di personaggi che rappresentano l’azione
dell’antimafia, come i giudici Falcone e Borsellino, Padre Puglisi, Piersanti
Mattarella, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e colui al quale il centro è
dedicato, Giorgio Ambrosoli.
Il sindaco ha sporto denuncia contro ignoti per dare segno di un’azione volta a
contrastare questo tipo di atti che, nella migliore delle ipotesi, trattasi di atto
vandalico, altrimenti può essere considerato come una forma di intimidazione.
Non è comunque la prima volta che accade un simile atto. Il 24 maggio 2010 era
stato piantato nel cortile dell’Istituto Caio Plinio di Como un “albero antimafia” in
memoria di tutti i caduti nella lotta contro le organizzazioni mafiose; ma nella notte
tra il 18 e il 19 giugno qualcuno era entrato nella scuola e aveva preso a calci
l’albero fino a quando si era spezzato. Restano però appese le scritte contro la mafia
fatte dai ragazzi. De Lisi ha affermato che: «Cernobbio è la capitale dell’economia.
Como deve diventare la capitale della lotta contro la mafia. Se dovesse essere
appurato che non si tratta di una ragazzata, ma di un atto intimidatorio di certo
non ci spaventeremo e saremo in grado di piantare una foresta contro la mafia. E
la nostra risposta sarà più dura perché come abbiamo confiscato i beni alla mafia
confischeremo alla mafia la forza di infiltrarsi negli appalti pubblici. Saremo
durissimi nelle reazioni insieme alle forze dell’ordine e alla magistratura. Il gesto
volgare di sradicare un albero in una scuola dimostra come sotto il colletto bianco
della mafia lombarda continuano a nascondersi uomini rozzi, privi di cultura e
vigliacchi.»96
E purtroppo non furono due episodi isolati: l’anno successivo, il 5 marzo, lo stesso
De Lisi e la sorella di Giovanni Falcone, Maria, piantarono sul lungolago un albero
in memoria del giudice con una targa a lui dedicata. Il 23 maggio 2011, proprio nel
giorno dell’anniversario della strage di Capaci in cui persero la vita insieme al
giudice a alla moglie gli agenti della scorta, tale lapide fu sfregiata ancora da
“vandali”. Giova inoltre ricordare che il 7 maggio venivano consegnate le chiavi
96
Cfr. “La Provincia”, 20 giugno 2010, pag. 12
72
della villa dove si avvierà la “scuola antimafia”. In merito allo sfregio il direttore
del Progetto San Francesco commenterà: «Un tempismo perfetto, tale da far
pensare che un collegamento con la nostra attività c’è eccome. Significa che stiamo
facendo bene, che la nostra azione è incisiva, che diamo fastidio»97
Ben tre episodi in pochi mesi, proprio quando l’attività di contrasto alle
organizzazioni mafiose si fa più evidente. Certo, al momento non si può escludere
la pista vandalica, ma i dubbi che ci si trovi di fronte solo a delle “bravate” sono
molti.
Il quadro inizia a farsi inquietante soprattutto quando vengono prese in esame le
vicende legate alle amministrazioni comunali di Fino Mornasco, piccolo comune
della provincia che, come si è visto, è stato interessato da indagini della
Magistratura sia nel caso dell’operazione “I fiori della notte di San Vito”, sia perché
proprio qui è stato arrestato l’avvocato del clan Lampada-Valle, Vincenzo Minasi.
Fermandoci solo agli ultimi anni, l’ex sindaco Paolo Mazzola è stato vittima di
minacce, e commenta drammaticamente affermando che «Non sono fatti nuovi,
purtroppo in paese sono cose che sistematicamente succedono. A me hanno spedito
per due volte proiettili a casa. La prima era uscita sui giornali, la seconda me l'ero
tenuta per me».98 Per quanto riguarda invece l’amministrazione in carica, invece,
nel 2012 è stata incendiata l’auto di Luca Cairoli, assessore al Commercio, mentre
dei proiettili sono stati sparati contro la concessionaria di proprietà della sua
famiglia. E il 18 maggio il sindaco in carica, Giuseppe Napoli, è stato destinatario
di un messaggio molto esplicito: una croce con la sua foto e una bomba, priva di
innesco, appesa con un cavo. Evento che si lega alle altre minacce ricevute dallo
stesso Napoli.
Ma non si è deciso di stare zitti: è stata organizzata per il 25 maggio una fiaccolata
per dire “no alle intimidazioni”. Anche se tutti non la pensano così. Il consigliere di
minoranza Massimo Tagliabue ha affermato che «l’iniziativa del 25 maggio e la
fiaccolata “sono una spettacolarizzazione”, e che se si continua così “il rischio è
97
98
Cfr. “Il Fatto Quotidiano”, 2 giugno 2011
Cfr. URL=http://www.lettera43.it/fatti/mafia-il-tentacolo-comasco_4367552053.htm
73
che alla fine ci scappi il morto”»99. Parole che fanno quantomeno riflettere. E’ da
segnalare che la minoranza ha poi deciso di non partecipare alla fiaccolata alla
quale erano presenti molti cittadini e anche il Prefetto.
La strada per il Progetto San Francesco non si presenta facile, anche alla luce di
questi avvenimenti: ma Benedetto Madonia, segretario regionale del Siulp
Lombardia, dichiara che: «Tutte le volte che qualcuno deturpa il ricordo noi
reagiamo con forza. Pianteremo mille alberi, faremo una targa più evidente»100. E
lo stesso De Lisi dichiara che «Io sono fatto così più provano a fermarmi e più
reagisco con il doppio della convinzione».101
99
Ibidem
Cfr. “Corriere di Como”, 24 maggio 2011
101
Cfr. “Il fatto quotidiano”, 2 giugno 2011
100
74
CONCLUSIONI
La “linea della palma” di Sciascia è dunque arrivata anche a Como: era abbastanza
ovvio che ciò succedesse, dati i numerosi fattori ed elementi che hanno fatto della
provincia lariana una meta appetibile per le organizzazioni mafiose.
Molti sono stati i fattori che hanno permesso l’espansione della criminalità
organizzata nella zona:
la ricchezza del territorio, la vicinanza alla Svizzera, la vicinanza a città quali
Milano, Lecco, Varese nelle quali tale presenza era già stata dimostrata da
numerose inchieste. Il capoluogo lombardo è un enorme centro finanziario, e per di
più è considerato la capitale europea della cocaina: è facile dunque immaginare il
volume di affari e di capitali circolanti nella città e l’attrattiva che essa suscita.
La criminalità organizzata si è potuta insediare prima nei piccoli comuni della
provincia comasca, dove poteva godere di maggiore invisibilità e dove era più
facile per un gruppo di conterranei coesi ottenere il controllo del territorio, per poi
espandersi in quelli più grandi e anche più ricchi grazie alla maggior dimensione
delle imprese.
Si è voluto tacere a lungo a proposito del fenomeno per salvaguardare il buon nome
della città, che è sempre stata un’importante località turistica e che costituisce da
sempre un’attrattiva a livello mondiale, come dimostrato anche dalle numerosi ville
di attori di Hollywood che si affacciano sul Lario. E’ stato questo forse il fattore più
importante nella strategia di espansione a Como, e nel Nord Italia in generale delle
organizzazioni criminali di stampo mafioso: poter contare sul relativo “silenzio” da
parte delle istituzioni, degli imprenditori taglieggiati, dei giornali, della popolazione
civile. «Perché il silenzio -come ha commentato Anna Canepa della Direzione
Nazionale Antimafia- è l’ossigeno che consente a questi poteri di riorganizzarsi e
rafforzarsi»
E’ la cosiddetta “zona grigia” quella da cui la mafia trae il suo potere: è l’insieme
dei colletti bianchi, degli imprenditori che preferiscono fare affari con essa piuttosto
che denunciarla, che preferiscono spartirsi gli elevatissimi profitti ottenuti in
75
maniera illecita piuttosto che agire in un’economia legale governata dal libero
mercato.
E la crisi finanziaria che l’economia sta vivendo rende più facili questi rapporti, con
la criminalità organizzata che porta capitali alle imprese, le quali li accettano ma in
questo modo perdono il controllo della propria azienda. Oggi, come riferito dal
dott. De Lisi e da Michele Prestipino, il nuovo business per le organizzazioni
mafiose è la gestione del debito delle imprese in difficoltà finanziarie.
Ma dopo il “sonno” delle istituzioni sia a livello regionale sia a livello provinciale
sulla presenza delle organizzazioni criminali di stampo mafioso sulla Lombardia e
su Como, sembra che ora le istituzioni, l’Autorità Giudiziaria, le amministrazioni
locali e i sindacati siano concordi e fermi nella loro posizione di lotta alla
criminalità organizzata.
L’azione di questi organi si può inquadrare in uno schema proposto da Dalla Chiesa
sull’azione dell’antimafia nel sistema delle influenze, dove nell’asse delle ordinate
troviamo i prerequisiti e i requisiti su quello delle ascisse:
LEGITTIMITA’
Economico
Sociale
ESPANSIVITA’
IMPUNITA’
“Addio pizzo”,
Etica imprese,
Associazioni
boicottaggio,
imprenditoria,
antiracket
cooperative
sindacati
Studenti
INVISIBILITA’
INVISIBILITA’
MATERIALE
CONCETTUALE
Associazioni
locali
Politico
Movimenti
Parlamento
politici
Istituzionale
Culturale
Scuola, libri,
Commissione
Sindaci,
Magistrati,
antimafia
amministratori,
forze
prefetti
dell’ordine
Giornalismo
teatro
Morale
“Ammazzateci
“Libera”,
Movimento
tutti”, parroci
movimenti
parti civili
vittime
76
Certo, non tutti i movimenti qui citati sono presenti nella provincia, ma come
dimostrato nella trattazione molti sono reperibili anche a Como; ciò si evince dai
documenti e dalle dichiarazioni che dimostrano un’attenzione sempre maggiore
negli ultimi anni da parte di associazioni sindacali come CGIL, CISL E UIL
COMO, di imprenditori sotto l’insegna di Confindustria Como, di molte
associazioni comasche che hanno aderito alla rete di associazioni “Libera” e dalla
presenza dell’associazione antiracket e usura S.O.S. Italia Libera.
Inoltre molti candidati sindaci alle ultime elezioni hanno parlato della criminalità
organizzata e si sono detti favorevoli ad un’azione di contrasto contro di essa.
Certo, sono “solo parole”, ma testimoniano comunque la scomparsa della volontà di
mantenere il buon nome della città non parlando del fenomeno mafioso.
Il Prefetto è in prima linea a combattere le organizzazioni mafiose nella provincia e
l’azione della Magistratura e delle Forze dell’Ordine si fa sempre più efficace. Il
Prefetto ha inoltre, secondo le direttive impartite dal Ministero dell’Interno, il
potere di esprimere un parere circa la sussistenza dei requisiti per l'accesso al Fondo
istituito per le vittime dei reati di tipo mafioso e trasmette tutta la documentazione
al Comitato di solidarietà per le vittime di tali reati.
Gli studenti sono consci dell’esistenza del fenomeno a livello nazionale e attuano
un’azione di contrasto, come ad esempio nel caso della manifestazione tenutasi il
26 maggio 2012 contro l’attentato alla scuola Morvillo-Falcone di Brindisi in
occasione della quale sono stati ricordati i giudici Paolo Borsellino e Giovanni
Falcone nel ventennale della loro morte.
Si è sviluppata sempre più l’attenzione giornalistica nei riguardi del fenomeno
mafioso che interessa Como e il suo hinterland, attraverso il quotidiano locale “La
Provincia” e la pubblicazione di diversi libri, come “Mafia Padana” di Paolo
Moretti e Francesco de Filippo e “La quinta mafia” di Marta Chiavari. Inoltre
l’attore e regista Giulio Cavalli ha tenuto alcuni spettacoli nella provincia lariana e
pertanto il pubblico ha potuto avere in questo modo una rappresentazione “visiva”
del fenomeno.
Per quanto riguarda la Commissione Antimafia, oltre alle relazioni che hanno
parlato del fenomeno mafioso a Como e che sono state citate in precedenza, si dà
rilievo al fatto che due senatori della Lega Nord hanno chiesto nel 2010 al
77
presidente Pisanu, in carica quell’anno, di tenere una seduta speciale su Como a
seguito dell’inchiesta sul presunto traffico di amianto e rifiuti proibiti depositati nel
cantiere del nuovo Ospedale Sant’Anna di Como.
Facendo riferimento al “sottosistema morale” è da segnalare che è iniziato da
qualche mese il percorso che porterà alla costituzione di un Coordinamento
provinciale comasco di “Libera”, e dunque soprattutto i giovani stanno mostrando
una forte volontà di lottare contro la criminalità organizzata in quanto c’è la
consapevolezza del suo radicamento anche sulle rive del Lario.
Sembrano dunque aprirsi ottime prospettive per la città, visto l’impegno promosso
da coloro che lottano contro la criminalità organizzata a Como. Prefetto, sindaci,
sindacati e le istituzioni in generale sembrano manifestare unità di intenti e
l’attenzione dell’opinione pubblica si fa sempre più vigile.
E’ importante che la linea adottata rimanga la stessa, costante nel tempo anche
quando le organizzazioni mafiose sembreranno “sparite”, ricordando che, come
disse Giovanni Falcone: «La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni
umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.». Anche
se di certo il fenomeno è ben lungi dallo sparire, e serviranno ancora molti anni
prima che ciò avvenga.
78
APPENDICE
79
Dislocazione episodi criminosi riconducibili alla ‘Ndrangheta
80
Ingrandimento zona sud-ovest
81
Ingrandimento zona sud-est
Elenco luoghi significativi in provincia di Como
Puginate
Bulgarograsso
Cermenate
Erba
Erba
Frazione del comune di Bregnano dove era
residente Calogero Marcenò.
Comune di residenza di Leonardo Messina nel
1990.
Al numero 10 di via Di Vittorio si trova il bene
confiscato alla 'Ndrangheta divenuto sede del
Progetto San Francesco.
Dai risultati dell'operazione "Infinito", emerge
che nel maneggio di Via Milano 1 è collocata la
sede della Locale di Erba.
Franco Crivaro, affiliato alla Locale di Erba,
metteva a disposizione il suo ristorante
“Coconut” per summit di 'Ndrangheta
82
Elenco episodi delittuosi suddivisi per anno
Anno 2006
Cabiate
Cassina Rizzardi
A settembre la vetrina di un'esposizione mobili viene colpita da
quattro pallottole nella notte
A febbraio, in via Monti, vengono incendiati alcuni serramenti di
quattro appartamenti in costruzione
Anno 2007
Carugo
A gennaio ignoti danno fuoco ad alcuni attrezzi e materiali
agricoli in un'azienda
A marzo viene data alle fiamme una Audi
Ad aprile vengono distrutti da un incendio doloso dei mezzi di
un'azienda
A maggio viene dato fuoco ad un container adibito ad ufficio.
A maggio viene sparato un colpo di pistola contro la vetrina di
un negozio.
Ad agosto, nel centro del paese, ignoti sparano contro
l'abitazione di un calabrese.
A novembre lo showroom di un mobilificio e di una
concessionaria d'auto vengono colpiti da proiettili.
Il 10 dicembre viene trovato un foro di proiettile sulla vetrina di
un'impresa specializzata in impiantistica.
Il 22 dicembre vengono trovati due fori di proiettile nella vetrata
Arosio
di un parrucchiere
Il 31 dicembre 2007 un bar viene colpito da proiettili.
Cermenate
Bregnano
Anzano del Parco
Bregnano
Fino Mornasco
Carugo
Mariano Comense
Casnate con Bernate
.
Anno 2008
Cadorago
Lomazzo
Mariano Comense
Casnate con Bernate
Fino Mornasco
Orsenigo
Bregnano
Bulgorello (frazione di
Cadorago)
Fino Mornasco
Cirimido
Mariano Comense
A inizio 2008, in via Verga, viene dato alle fiamme un camion.
A inizio 2008 viene trovato un foro di proiettile sulla vetrina di
una ditta di autotrasporti.
A febbraio vengono ritrovati fori di proiettili sulla vetrina di una
sala giochi.
Ad aprile cinque autocarri di due ditte di trasporti vengono
incendiati.
A maggio un uomo viene affiancato sulla Strada Statale dei
Giovi da due uomini in moto che sparano contro la sua vettura
A giugno vengono incendiati gli uffici di un'azienda.
A luglio vengono sparati proiettili contro una casa.
L'8 agosto viene ucciso, all'esterno del bar "Arcobaleno" in via
Monte Rosa, Franco Mancuso.
A settembre la vetrina di un centro benessere viene colpita da dei
proiettili.
A ottobre 2008 viene dato alle fiamme un capannone.
A dicembre 2008 colpi di pistola vengono sparati contro
un'abitazione privata.
83
Anno 2009
Oltrona San Mamette
Veniano
Mozzate
Lurago Marinone
Anzano del Parco
Cassina Rizzardi
Carugo
Fino Mornasco
Cadorago
A inizio 2009 vengono incendiate alcune auto parcheggiate in
una ditta di esportazione veicoli.
A marzo viene incendiata un'auto.
A maggio vengono sparati sette colpi di pistola contro la vetrina
di un negozio.
A giugno si spara contro un bar.
A luglio vengono sparati colpi di pistola contro l'abitazione di un
privato.
A settembre viene recapitata una lettera con un bozzolo.
Ad ottobre, in via Toti, si spara contro un bar.
Ad ottobre un'auto viene colpita da proiettili e un'altra viene
incendiata.
A novembre 2009 tre persone aggrediscono un quarantenne e poi
lo minacciano con una pistola.
Anno 2010
Mariano Comense
Il 15 gennaio nella cassetta delle lettere di una donna residente a
Perticato viene e recapitato un proiettile.
84
BIBLIOGRAFIA
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F. Dalla Chiesa, Contro la mafia, Einaudi, Torino, 2010
L. Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Barbera, Firenze,
1877
A. Zagari, Ammazzare stanca, Reggio Emilia, Aliberti, 2008
E. Ciconte, ‘Ndrangheta padana, Catanzaro, Rubbettino, 2010
G. Alongi, La maffia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni: studio sulle classi
pericolose della Sicilia, Bocca, Torino, 1886
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M. Portanova, G. Rossi, F. Stefanoni, Mafia a Milano, Milano, Melampo, 2011
N. Gratteri, A. Nicaso, Fratelli di sangue, Mondatori, 2012
N. Amadore, La zona grigia, La Zisa, Palermo, 2007
Gianluigi Nuzzi, Claudio Antonelli, Metastasi, Chiarelettere, 2010
Giuseppe De Felice Giuffrida, Maffia e delinquenza in Sicilia, Società editrice
lombarda, Milano, 1900
G. Barbacetto, D. Milosa, Le mani sulla città, Chiarelettere, 2011
R. Sciarrone, Mafie vecchie mafie nuove, Roma, Donzelli, 2009
G. Barbacetto, E. Veltri, Milano degli scandali, Laterza, 1991
F. De Filippo, P. Moretti, Mafia Padana, Editori riuniti, 2011
E. Ciconte, ‘Ndrangheta, Rubbettino, 2011
85
FONTI
Lezioni di Sociologia della criminalità organizzata, Professor F. Dalla Chiesa
Relazione sulle risultanze dell’attività del gruppo di lavoro incaricato di svolgere
accertamenti su insediamenti e infiltrazioni di soggetti ed organizzazioni di tipo
mafioso in aree non tradizionali del 1994
Relazione al Parlamento sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e
della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata, Anno 2004
Relazione al Parlamento sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e
della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata, Anno 2005
“Le organizzazioni mafiose in provincia di Varese”, Francesca Marantelli,
Università degli Studi di Milano, 2011, Tesi di Laurea
Dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata del maggio 2012
ATTI GIUDIZIARI
Operazione “I fiori della notte di San Vito”: Sentenza della Corte d’Appello di
Milano, n. 1968/98
Ordinanza di applicazione di misura coercitiva, Tribunale ordinario di Milano, N.
43733/06 R.G.N.R., N. 8265/06 R.G.G.I.P.
Paragrafi relativi alla vicenda Perego: Ordinanza di applicazione di misura
cautelare personale, Tribunale civile e penale di Milano, N. 47816/08 R.G.N.R.
mod. 21, N. 682/08 R.G.GIP
86
Nel Capitolo 2, paragrafo 2 : Interrogatorio di Leonardo Rusconi
Paragrafo relativo alla vicenda Mandelli: Ordinanza di applicazione di misura
cautelare personale e contestuale sequestro preventivo, Tribunale Civile e Penale di
Milano, N. 46229/08 R.G.N.R., N. 10464/08 R.G.GIP
SITOGRAFIA
http://www.camera.it/bicamerali/leg15/commbicantimafia/files/pdf/Art_416bis.pdf
http://legislature.camera.it/_dati/leg11/lavori/stampati/pdf/36356.pdf
http://www.omicronweb.it/wp-content/uploads/2008/01/omicron8.pdf
http://www.stampoantimafioso.it/2012/03/05/perego-strade-dietro-le-sbarre-la-resadei-conti-quasi/
http://www.genovaweb.org/Occ_op._Tenacia_Dda__Milano.pdf
http://www.villadeste.com/it/38/riconoscimenti.aspx
http://www.ambrosetti.eu/it/workshop-e-forum/forum-villa-d-este
http://www.pudivi.it/ORDINANZA-VALLE.pdf
http://www.stampoantimafioso.it/wp-content/uploads/2011/07/operazioneinfinito.pdf
http://www.progettosanfrancesco.it/images/sanfrancesco/pdf/PSF_DEFINITIVO_N
UOVO_STATUTO_APS_MARZO_2012.pdf
http://www.lettera43.it/fatti/mafia-il-tentacolo-comasco_4367552053.htm
87
PERIODICI
“La Provincia”, 20 giugno 2010
“La Provincia”, 04 luglio 2010
“La Provincia”, 15 luglio 2010
“La Provincia”, 19 settembre 2011
“La Provincia”, 29 ottobre 2011
“La Provincia”, 07 novembre 2011
“La Provincia”, 01 dicembre 2011
“La Provincia”, 04 dicembre 2011
“La Provincia”, 01 aprile 2012
“Il Fatto Quotidiano”, 02 giugno 2011
“Corriere di Como”, 24 maggio 2011
88
RINGRAZIAMENTI
Alla fine di questa Tesi di Laurea vorrei fare dei sentiti ringraziamenti a coloro che
mi hanno aiutato ad arrivare fino a qui e a chi mi ha aiutato nel lavoro.
Vorrei ringraziare in primis il Relatore di questa Tesi, Professore Nando dalla
Chiesa, per avermi aiutato nella ricerca del materiale, nella paziente opera di
correzione e per tutto il lavoro che c’è dietro a questa Tesi; lo ringrazio per la
disponibilità e cordialità sempre dimostrata e per gli insegnamenti che mi hanno
fatto aprire gli occhi davanti al fenomeno mafioso.
Sentiti ringraziamenti vanno anche a Paolo Moretti, giornalista de “La Provincia” di
Como per avermi aiutato nella ricerca del materiale, per le correzioni e per la
notevole quantità di informazioni datomi. Per gli stessi motivi ringrazio anche il Dr.
Alessandro De Lisi, direttore del Progetto San Francesco e anche per avermi fatto
scoprire la bella realtà di questo Progetto. Faccio a loro i miei personali
complimenti per l’impegno speso nel loro lavoro e per la passione che ci mettono.
Ringrazio anche il Capo della Procura della Repubblica di Como, Dr. Giacomo
Bodero Maccabeo, per le informazioni riguardo all’operazione “Leopardo” e sulle
vicende di Leonardo Messina; un grazie particolare va al Dr. Gian Luigi Fontana,
Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano e a Giuseppe
Favino, Cancelliere presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Como, per
avermi fornito le carte della Sentenza della Corte d’Appello riguardo all’operazione
“I fiori della notte di San Vito”.
Ringrazio inoltre il Prefetto di Como, Dr. Michele Tortora, e il Dr. Mario Giudici
della Confindustria di Como per avermi concesso un colloquio ed espresso la loro
opinione riguardo il fenomeno mafioso a Como.
Infine ci terrei a ringraziare i miei genitori e mio fratello per avermi appoggiato
nelle scelte da me fatte e per avermi supportato nei momenti di difficoltà.
89