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Arrêt de la Cour
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SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
16 novembre 2004 (1)
«Accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio – Artt. 2, n. 1, 16, n. 1, e 70
dell'accordo ADPIC (TRIPs) – Marchi – Portata del diritto esclusivo del titolare del marchio – Preteso
uso del segno come ditta»
Nel procedimento C-245/02,avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta
alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Korkein oikeus (Finlandia), con decisione 3 luglio 2002,
pervenuta in cancelleria il 5 luglio 2002, nella causa tra:
Anheuser-Busch Inc.
e
Budejovický Budvar, národní podnik,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans (relatore) e
A. Rosas e dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, presidenti di Sezione, dai sigg. C. Gulmann e
R. Schingten, dalla sig.ra N. Colneric e dai sigg. S. von Bahr, J.N. Cunha Rodrigues e K. Schiemann,
giudici,
avvocato generale: sig. A. Tizzano
cancelliere: sig.ra Múgica Arzamendi, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 27 aprile 2004,
viste le osservazioni scritte presentate:
–
per la Anheuser-Busch Inc., dal sig. R. Hilli, Asianajaja, e dai sigg. D. Ohlgart e B. Goebel,
Rechtsanwälte,
–
per la Budejovický Budvar, národní podnik, dai sigg. P. Backström e P. Eskola, Asianajajat,
–
per il governo finlandese, dalla sig.ra T. Pynnä, in qualità di agente,
–
per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. E. Paasivirta e R. Raith, in qualità di
agenti,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 29 giugno 2004,
ha pronunciato la seguente
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La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione degli artt. 2, n. 1, 16, n. 1, e 70
dell'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (in prosieguo:
l’«accordo ADPIC» - in inglese: il «TRIPs» -), che compare quale allegato I C dell’accordo che
istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (in prosieguo: l’«accordo OMC»), approvato a
nome della Comunità, per le materie di sua competenza, con decisione del Consiglio 22 dicembre
1994, 94/800/CE (GU L 336, pag. 1).
2
Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra la birreria Anheuser-Busch Inc.
(in prosieguo: la «Anheuser-Busch»), con sede in Saint Louis, Missouri (Stati Uniti), e la birreria
Budejovický Budvar, národn í podnik (in prosieguo: la «Budvar»), con sede nella città di Ceske
Budejovice (Repubblica ceca), in merito all'etichettatura con la quale quest'ultima distribuisce la sua
birra in Finlandia e che, secondo la Anheuser-Busch, costituisce una violazione dei marchi
Budweiser, Bud, Bud Light e Budweiser King of Beers, di cui quest'ultima è titolare nel detto Stato
membro.
Contesto normativo
Diritto internazionale
3
L’art. 8 della Convenzione di Parigi 20 marzo 1883 per la protezione della proprietà industriale,
modificata da ultimo a Stoccolma il 14 luglio 1967 (Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, vol. 828,
n. 11847, pag. 108; in prosieguo: la «Convenzione di Parigi»), dispone quanto segue:
«Il nome commerciale sarà protetto in tutti i paesi dell’Unione senza obbligo di deposito o di
registrazione, anche se non costituisce parte di un marchio di fabbrica o di commercio».
4
L’accordo OMC e l’accordo ADPIC, che ne fa parte integrante, sono entrati in vigore il 1° gennaio
1995. Tuttavia, ai sensi dell’art. 65, n. 1, dell’accordo ADPIC, i membri non erano obbligati ad
applicare le disposizioni di quest’ultimo prima della scadenza di un periodo generale di un anno,
ossia prima del 1° gennaio 1996 (in prosieguo: la «data d'applicazione»).
5
L’art. 1, n. 2, dell’accordo ADPIC, intitolato «Natura e ambito degli obblighi», così recita:
«Ai fini del presente accordo, l'espressione "proprietà intellettuale" comprende tutte le categorie di
proprietà intellettuale di cui alla parte II, sezioni da 1 a 7».
6
L’art. 2 del detto accordo, intitolato «Convenzioni in materia di proprietà intellettuale», stabilisce
quanto segue:
«1. In relazione alle parti II, III e IV del presente accordo, i membri si conformano agli articoli da
1 a 12 e all'articolo 19 della Convenzione di Parigi (1967).
2.
Nessuna disposizione delle parti da I a IV del presente accordo pregiudica gli eventuali
obblighi reciproci incombenti ai membri in forza della Convenzione di Parigi, della Convenzione di
Berna, della Convenzione di Roma e del Trattato sulla proprietà intellettuale in materia di
semiconduttori».
7
L’art. 15 dell’accordo ADPIC, intitolato «Oggetto della protezione» e che figura nella sezione 2 della
parte II di questo accordo, parte vertente sulle norme relative all’esistenza, all'ambito e all’esercizio
dei diritti di marchio, al suo n. 1 dispone che:
«Qualsiasi segno, o combinazione di segni, che consenta di contraddistinguere i prodotti o i servizi
di un'impresa da quelli di altre imprese, può costituire un marchio d'impresa. Tali segni, in
particolare parole, compresi i nomi di persone, lettere, cifre, elementi figurativi e combinazioni
cromatiche, nonché qualsiasi combinazione di tali segni, sono idonei ad essere registrati come
marchi d'impresa (…)».
8
L’art. 16, n. 1, del detto accordo, recante il titolo «Diritti conferiti», recita quanto segue:
«Il titolare di un marchio registrato ha il diritto esclusivo di vietare ai terzi, salvo proprio consenso,
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di usare nel commercio segni identici o simili per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali
il marchio è stato registrato, qualora tale uso possa comportare un rischio di confusione. In caso di
uso di un segno identico per prodotti o servizi identici si presume che vi sia un rischio di confusione.
I diritti di cui sopra non pregiudicano eventuali diritti anteriori, né compromettono la facolt à dei
membri di concedere diritti in base all'uso».
9
Ai sensi dell'art. 17 dell'accordo ADPIC, intitolato «Eccezioni»:
«I membri possono prevedere limitate eccezioni ai diritti conferiti da un marchio, come il leale uso di
termini descrittivi, purché tali eccezioni tengano conto dei legittimi interessi del titolare del marchio
e dei terzi».
10
L’art. 70 di tale accordo, recante il titolo «Protezione di oggetti esistenti», dispone quanto segue:
«1. Il presente accordo non crea obblighi in relazione ad atti che hanno avuto luogo prima della
data di applicazione dell'accordo per il membro in questione.
2.
Salvo disposizione contraria in esso contenuta, il presente accordo crea obblighi in relazione a
tutti gli oggetti esistenti alla data della sua applicazione per il membro in questione e che sono
protetti in detto membro a tale data o che sono o saranno successivamente conformi ai criteri di
protezione di cui al presente accordo (…).
(…)
4.
Per quanto riguarda atti relativi a specifici oggetti incorporanti elementi oggetto di protezione,
che diventino atti costituenti violazione in virtù di norme conformi al presente accordo e che siano
iniziati, o per i quali sia stato effettuato un investimento significativo, prima della data di
accettazione dell'accordo OMC da parte del membro in questione, qualsiasi membro pu ò prevedere
una limitazione dei rimedi dei quali pu ò avvalersi il titolare del diritto in ordine alla continuazione
degli atti in questione dopo la data di applicazione del presente accordo per il medesimo membro. In
tali casi, tuttavia, il membro prevede almeno il pagamento di un equo compenso.
(…)».
Diritto comunitario
11
La prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1) ha, secondo il suo primo
‘considerando’, lo scopo di ravvicinare le legislazioni nazionali sui marchi onde eliminare le disparità
esistenti idonee ad ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi e a
falsare le condizioni di concorrenza nel mercato comune.
12
Tuttavia, come emerge dal terzo ‘considerando’ di tale direttiva, essa non mira ad un
ravvicinamento completo delle legislazioni degli Stati membri in tema di marchi di impresa.
13
L’art. 5 della direttiva 89/104, volto essenzialmente a determinare la portata della tutela che deve
conferire il diritto dei marchi, ai nn. 1, 2, 3 e 5 stabilisce quanto segue:
«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto
di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:
a)
un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è
stato registrato;
b)
un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa
e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno,
possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di
associazione tra il segno e il marchio di impresa.
2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo
proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i
prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa
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gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca
pregiudizio agli stessi.
3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:
a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;
(…)
5. I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per la tutela
contro l’uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi,
quando l’uso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal
carattere distintivo o della notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi».
14
L'art. 6 della direttiva 89/104, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», al n. 1
recita quanto segue:
«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi
l’uso nel commercio:
a) del loro nome e indirizzo;
(…)
purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».
Diritto nazionale
Il diritto dei marchi
15
Ai sensi dell'art. 3, primo comma, della tavaramerkkilaki (legge relativa ai marchi) 10 gennaio 1964,
n. 7:
«Ognuno può utilizzare, nell'ambito delle proprie attività commerciali, il suo cognome, il suo
indirizzo o il suo nome commerciale [in prosieguo anche «ditta»] quale simbolo commerciale dei
suoi prodotti, a meno che l’uso di tale simbolo non sia idoneo a causare confusione con il marchio
tutelato di un terzo, o con un nome, una ditta o un indirizzo legalmente utilizzato da un terzo nelle
sue attività commerciali».
16
L’art. 4, primo comma, della tavaramerkkilaki, dispone quanto segue:
«Il diritto, previsto agli artt. 1-3 della presente legge, di apporre un segno distintivo sulle proprie
merci, implica che nessuna persona diversa dal titolare del segno possa, nel commercio, usare come
segno distintivo delle proprie merci un segno idoneo a dar luogo a confusione, apponendolo sul
prodotto o sulla sua confezione, utilizzandolo nella propria pubblicità o in documenti commerciali o
in altri modi, ivi compresa la menzione orale (…)».
17
L’art. 6, primo comma, della tavaramerkkilaki, stabilisce quanto segue:
«Ai sensi della presente legge i segni distintivi sono ritenuti confondibili l'uno con l'altro solo quando
si riferiscono a tipi di merci identici o simili».
18
A norma dell'art. 7 della tavaramerkkilaki, quando più soggetti invochino un diritto esclusivo di
apporre sulle proprie merci segni suscettibili di essere confusi, la prevalenza viene riconosciuta a chi
possa vantare il titolo anteriore, nei limiti in cui il diritto reclamato non sia venuto meno a causa, ad
esempio, dell'inerzia del suo titolare.
19
In virtù dell’art. 14, primo comma, punto 6, della tavaramerkkilaki, non è ammessa la registrazione
dei marchi idonei ad essere confusi con la ditta tutelata, il segno secondario o il marchio di un altro
operatore economico.
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Il giudice del rinvio rileva che il legislatore nazionale ha considerato la tavaramerkkilaki conforme
all’accordo ADPIC e quindi non passibile di modifiche per adeguarla ad esso. Analogamente, il
legislatore nazionale avrebbe ritenuto che le disposizioni della tavaramerkkilaki relative al rischio di
confusione dei marchi per tipi di merci identiche o simili siano compatibili con la direttiva 89/104
così da poter restare inalterate.
Il diritto in materia di ditte
21
Ai sensi dell'art. 2, n. 1, della toiminimilaki (legge sulle ditte) 2 febbraio 1979, n. 128, il diritto
esclusivo di utilizzare una ditta si acquisisce mediante registrazione, o in forza dell’uso.
22
L’art. 2, n. 3, della toiminimilaki, così dispone:
«Una ditta si considera sancita dall'uso quando è conosciuta in maniera generale nel campo di
attività dell'operatore economico che la utilizza».
23
Il giudice del rinvio osserva che, nella sua giurisprudenza, l’art. 8 della convenzione di Parigi è stato
interpretato nel senso che la detta disposizione tutela, oltre alle ditte registrate in Finlandia o ivi
consolidatesi in base all'uso, anche le ditte estere, che siano registrate in un altro Stato aderente
alla detta convenzione, così come i segni sussidiari inclusi in tali ditte. In virtù di tale
giurisprudenza, la tutela di siffatte ditte straniere sarebbe tuttavia subordinata alla condizione che
l'elemento caratterizzante della ditta straniera risulti noto in Finlandia, almeno in una certa misura,
agli operatori economici del settore.
Controversia oggetto della causa principale e questioni pregiudiziali
24
La Anheuser-Busch è titolare in Finlandia dei marchi di birra Budweiser, Bud, Bud Light e Budweiser
King of Beers, registrati tra il 5 giugno 1985 e il 5 agosto 1992. La prima domanda di registrazione
di tali marchi, nello specifico di quello della Budweiser, risale al 24 ottobre 1980.
25
Il 1 ° febbraio 1967, la Budvar ha iscritto la sua ditta nel registro di commercio cecoslovacco. Tale
registrazione è stata effettuata in lingua ceca («Budejovický Budvar n árodní podnik»), inglese
(«Budweiser Budvar, National Corporation») e francese («Budweiser Budvar, Entreprise nationale»).
La Budvar era peraltro titolare in Finlandia dei marchi Budvar e Budweiser Budvar, relativi a birre,
registrati rispettivamente il 21 maggio 1962 e il 13 novembre 1972, ma i giudici finlandesi l'hanno
dichiarata decaduta da tali diritti per mancato utilizzo.
26
Con ricorso proposto l'11 ottobre 1996 presso l'Helsingin käräjäoikeus (Tribunale di primo grado di
Helsinki) (Finlandia), l'Anheuser-Busch ha chiesto che fosse fatto divieto alla Budvar di mantenere o
di rinnovare l'uso in Finlandia dei marchi Budejovický Budvar, Budweiser Budvar, Budweiser,
Budweis, Budvar, Bud e Budweiser Budbraü quali segni per la commercializzazione e la vendita di
birra prodotta dalla Budvar. La Anheuser-Busch ha inoltre richiesto la soppressione di tutte le
denominazione incompatibili con tale divieto, nonché la condanna della Budvar al risarcimento dei
danni derivanti dalla violazione dei suoi diritti in materia di marchi.
27
Al riguardo, la Anheuser-Busch ha affermato che i segni utilizzati dalla Budvar possono essere
confusi, ai sensi della tavaramerkkilaki, con i suoi marchi, dato che i detti segni e marchi designano
tipi di merci identiche o simili.
28
Con lo stesso ricorso, la Anheuser-Busch ha inoltre chiesto che alla Budvar sia vietato, sotto pena di
ammenda in forza della tavaramerkkilaki, di usare in Finlandia le ditte «Bud ejovický Budvar, národni
podnik», «Budweiser Budvar», «Budweiser Budvar, Entreprise national» e «Budweiser Budvar,
national enterprise», in quanto essi rischierebbero di essere confusi con i suoi marchi registrati.
29
La Budvar ha affermato, a sua difesa, che i segni utilizzati in Finlandia per la commercializzazione
della sua birra non possono essere confusi con i marchi dell'Anheuser-Busch. La Budvar ha inoltre
fatto valere che, per quanto riguarda il segno «Budweiser Budvar », la registrazione della sua ditta
sia in ceco, sia in inglese e in francese, le conferirebbe, in conformità all'art. 8 della Convenzione di
Parigi, un diritto anteriore in Finlandia rispetto ai marchi dell’Anheuser-Busch e che tale diritto era
quindi tutelato in forza della detta disposizione.
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Nella sentenza 1 ° ottobre 1998, l'Helsingin käräjäoikeus ha concluso che le etichette delle bottiglie
di birra utilizzate dalla Budvar in Finlandia, e soprattutto il segno predominante «Budeejovický
Budvar» che vi compare, anche alla luce di una valutazione globale, erano talmente differenti dai
marchi registrati della Anheuser-Busch che i prodotti in questione non potevano essere confusi.
31
Esso ha inoltre statuito che il segno «BREWED AND BOTTLED BY THE BREWERY BUDWEISER
BUDVAR national enterprise», riportato sulle etichette sotto il detto segno predominante e in
caratteri notevolmente più piccoli, non era usato come marchio commerciale, ma semplicemente
come menzione della ditta della birreria. In proposito, esso ha considerato che la Budvar aveva il
diritto di utilizzare tale segno dato che si tratta della versione inglese della sua ditta, registrata
come tale, che era nota, come risulta dalle deposizioni di testimoni, almeno in una certa misura, agli
operatori del settore quando la Anheuser-Busch fece registrare i propri marchi commerciali, cosicché
esso è tutelato anche in Finlandia ai sensi dell'art. 8 della Convenzione di Parigi.
32
In sede d'appello, l'Helsingin hovioikeus (Corte d’appello di Helsinki) (Finlandia) ha statuito, con
sentenza 27 giugno 2000, che le deposizioni dei testimoni di cui sopra non erano sufficienti a
dimostrare che la versione inglese della ditta della Budvar fosse conosciuta, almeno in una certa
misura, nell'ambito degli operatori commerciali interessati in Finlandia prima della registrazione dei
marchi commerciali della Anheuser-Busch. Esso ha pertanto annullato la sentenza dell'Helsingin
käräjäoikeus nella parte in cui quest'ultimo ha dichiarato che la versione inglese della ditta Budvar
godeva in Finlandia della tutela prevista dall'art. 8 della Convenzione di Parigi.
33
La Anheuser-Busch e la Budvar hanno entrambe impugnato in cassazione la sentenza dell'Helsingin
hovioikeus dinanzi al Korkein oikeus (Corte suprema), fondandosi sostanzialmente sugli argomenti
già fatti valere in primo grado e in appello.
34
Nella decisione di rinvio, il Korkein oikeus ha dichiarato che, dal punto 35 della sentenza 14
dicembre 2000, cause riunite C-300/98 e C-392/98, Dior e a. (Racc. pag. I-11307) emerge che la
Corte è competente ad interpretare le disposizioni dell'accordo ADPIC che possono trovare
applicazione sia per situazioni che rientrano nel diritto nazionale sia per situazioni che rientrano nel
diritto comunitario, come avviene in materia di marchi.
35
Il giudice del rinvio ha aggiunto che, ai punti 47-49 della stessa sentenza, la Corte ha statuito che,
per quanto riguarda i settori cui si applica l'accordo ADPIC, si è in presenza di una situazione che
ricade sotto il diritto comunitario se si tratta di un settore nel quale la Comunità ha già legiferato,
ma così non è quando si tratta di un settore nel quale la Comunità non ha ancora legiferato e che
pertanto rientra nella competenza degli Stati membri.
36
Secondo il Korkein oikeus, le disposizioni dell'accordo ADPIC concernenti i marchi riguardano un
settore per il quale la Comunit à ha già legiferato e che ricade quindi nell'ambito del diritto
comunitario. La Comunit à non ha invece ancora adottato, per il momento, norme che disciplinino le
ditte.
37
Per quanto riguarda l’applicabilità ratione temporis dell'accordo ADPIC alla causa principale, il
giudice del rinvio osserva che dai punti 49 e 50 della sentenza 13 settembre 2001, causa C-89/99,
Schieving-Nijstad e.a. (Racc. pag. I-5851) risulta che l’accordo ADPIC, ai sensi del suo art. 70, n. 1,
si applica in quanto la violazione dei diritti di proprietà intellettuale continui oltre la data in cui le
disposizioni dell'accordo ADPIC sono divenute applicabili nei confronti della Comunità e degli Stati
membri.
38
Il giudice del rinvio constata inoltre che l’art. 70, n. 2, dell'accordo ADPIC dispone che, salvo
disposizione contraria in esso contenuta, il detto accordo crea obblighi in relazione a tutti gli oggetti
esistenti alla data della sua applicazione per il membro in questione e che sono protetti in detto
membro a tale data o che sono o saranno successivamente conformi ai criteri di protezione di cui al
suddetto accordo.
39
Ciò considerato, il Korkein oikeus ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte
le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)
Qualora il conflitto tra un marchio commerciale e un segno che si assume violare il suddetto
marchio avvenga in un momento anteriore all'entrata in vigore dell'accordo ADPIC, se le
disposizioni di tale accordo si applichino alla questione della priorit à del fondamento legale di
uno dei due diritti, quando si faccia valere che l'asserita violazione del marchio commerciale
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continua oltre la data in cui l'accordo ADPIC è entrato in vigore nella Comunità e nei suoi
Stati membri.
2)
In caso di soluzione affermativa della questione sub 1):
a)
Se la ditta di un'impresa possa essere anch'essa considerata come un segno distintivo
di beni o servizi ai sensi dell'art. 16, n. 1, prima frase, dell'accordo ADPIC.
b) In caso di soluzione affermativa della questione 2 a), a quali condizioni la ditta
possa essere considerata come un segno distintivo di beni o di servizi ai sensi
dell'art. 16, n. 1, prima frase, dell'accordo ADPIC.
3)
In caso di soluzione affermativa della questione sub 2 a):
a)
Come si debba interpretare il riferimento ai diritti anteriori che figura all'art. 16, n. 1,
terza frase, dell'accordo ADPIC. Se anche il diritto alla ditta possa essere considerato
come un diritto anteriore ai sensi dell'art. 16, n. 1, terza frase.
b)
Qualora la questione sub 3 a) vada risolta in senso affermativo, come vada
interpretato il detto riferimento ad un diritto anteriore, che figura all'art. 16, n. 1, terza
frase, dell'accordo ADPIC, quando si tratta di una ditta, non registrata né
tradizionalmente usata nello Stato in cui il marchio è stato registrato ed in cui viene
richiesta la sua tutela contro la ditta in questione, tenendo presenti l'obbligo, che
deriva dall'art. 8 della Convenzione di Parigi, di tutelare la ditta indipendentemente
dalla registrazione ed il fatto che, secondo l'organo d'appello dell'OMC, il riferimento
all'art. 8 della Convenzione di Parigi contenuto nell'art. 2, n. 1, dell'accordo ADPIC
significa che i membri dell'OMC hanno, ai sensi del detto accordo, un obbligo di
tutelare la ditta conformemente al predetto articolo. Nel valutare, in un caso di questo
genere, se la ditta abbia un fondamento giuridico prioritario rispetto a un marchio
commerciale ai sensi dell'art. 16, n. 1, terza frase, dell'accordo ADPIC, se sia
determinante:
i)
che la ditta fosse nota, almeno in una certa misura, agli ambienti commerciali
del settore nel paese in cui è stato registrato il marchio commerciale ed in cui si
chiede la sua tutela, prima del momento in cui nel suddetto Stato è stata
presentata domanda di registrazione del marchio;
oppure
ii)
che la ditta sia stata usata in operazioni commerciali dirette verso il paese nel
quale il marchio è stato registrato ed in cui si chiede la sua tutela, prima del
momento in cui nel suddetto Stato è stata chiesta la registrazione del marchio;
oppure
iii)
qualsiasi altra circostanza che consenta di determinare se la ditta vada
considerata come un diritto anteriore ai sensi dell'art. 16, n. 1, terza frase,
dell'accordo ADPIC».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
40
Secondo la Anheuser-Busch, la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile nella sua interezza,
in quanto l’accordo ADPIC non sarebbe applicabile alla causa principale né ratione temporis, né
ratione materiae. Pertanto, nel caso di specie, la Corte non sarebbe competente ad interpretare le
disposizioni in questione del detto accordo.
41
Dalla giurisprudenza della Corte emerge che essa è competente ad interpretare una disposizione
dell'accordo ADPIC al fine di rispondere alle esigenze delle autorità giudiziarie degli Stati membri
quando esse sono chiamate ad applicare le loro norme nazionali per disporre misure per la tutela di
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diritti derivanti da una normativa comunitaria che rientra nel campo d'applicazione di tale accordo
(v., in questo senso, sentenza Dior e a., cit., punti 35 e 40, e giurisprudenza citata).
42
Poiché la Comunità è parte contraente dell'accordo ADPIC, essa è in effetti tenuta ad interpretare la
sua legislazione sui marchi, nella misura del possibile, alla luce della lettera e della finalità di detto
accordo (v., per quanto riguarda una situazione che rientra contemporaneamente in una
disposizione dell'accordo ADPIC e della direttiva 89/104, sentenza 24 giugno 2004, causa C-49/02,
Heidelberger Bauchemie, Racc. pag. I-0000, punto 20).
43
La Corte è quindi competente ad interpretare l’art. 16, n. 1, dell'accordo ADPIC, disposizione che
forma oggetto della seconda e della terza questione pregiudiziale.
44
La questione della rilevanza dell’accordo ADPIC, e in particolare del suo art. 16, ai fini della
soluzione della controversia oggetto della causa principale, dipende dall'interpretazione di tale
disposizione, che è proprio l'oggetto della seconda e della terza questione pregiudiziale. Ne
consegue che la questione dell'applicabilità ratione materiae dell'accordo ADPIC è un tutt'uno con le
due ultime questioni pregiudiziali e sarà affrontata nel quadro della soluzione fornita a tali questioni.
45
La questione dell'applicabilit à ratione temporis è oggetto della prima questione pregiudiziale.
46
Ciò considerato, la domanda di pronuncia pregiudiziale dev'essere dichiarata ricevibile.
Sulla prima questione
47
Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’accordo ADPIC si applichi in
caso di conflitto tra un marchio ed un segno che si assume violare il suddetto marchio, quando il
detto conflitto abbia avuto inizio prima della data di applicazione dell'accordo ADPIC, ma sia poi
proseguito dopo tale data.
48
Ai punti 49 e 50 della citata sentenza Schieving-Nijstad e a., la Corte ha già statuito che se
l'asserita violazione di un marchio è iniziata prima della data di applicazione dell'accordo ADPIC per
quanto riguarda la Comunità e gli Stati membri - vale a dire prima del 1° gennaio 1996 - questo
non significa necessariamente che tali atti «abbiano avuto luogo», ai sensi dell'art. 70, n. 1,
dell'accordo ADPIC, prima di tale data. Essa ha precisato che se gli atti contestati al terzo sono
continuati fino alla data in cui il giudice si è pronunciato – ossia, nella causa che ha dato origine alla
detta sentenza, dopo la data di applicazione dell'accordo ADPIC - la disposizione in questione del
detto accordo era rilevante ratione temporis ai fini della soluzione della controversia oggetto della
causa principale.
49
L’art. 70, n. 1, dell'accordo ADPIC produce solo l'effetto che il detto accordo non impone obblighi in
relazione ad «atti che hanno avuto luogo» prima della sua data di applicazione, ma non esclude tali
obblighi per le situazioni che persistono dopo tale data. Per contro, l’art. 70, n. 2, del detto accordo
precisa che esso crea obblighi per quanto riguarda, in particolare, «tutti gli oggetti esistenti (…) e
che sono protetti» alla data della sua applicazione per un membro dell'Organizzazione mondiale del
commercio (in prosieguo: «l’OMC»), cosicché, a partire da tale data, tale membro è tenuto ad
adempiere a tutti gli obblighi risultanti dall'accordo ADPIC per quanto concerne gli oggetti esistenti
[v. anche, in tal senso, la relazione dell'organo d’appello istituito nell'ambito dell'OMC, resa il 18
settembre 2000, Canada – Durata della tutela conferita da un brevetto (AB-2000 -7),
WT/DS170/AB/R, punti 69, 70 e 71].
50
L’art. 70, n. 4, dell'accordo ADPIC riguarda inoltre gli atti relativi a specifici oggetti incorporanti
elementi oggetto di protezione, che diventino atti costituenti violazione in virtù di norme conformi al
presente accordo e che siano iniziati, o per i quali sia stato effettuato un investimento significativo,
prima della data di accettazione dell'accordo OMC. In una situazione del genere, la detta
disposizione consente ai membri di prevedere limitazioni per quanto attiene ai rimedi dei quali può
avvalersi il titolare del diritto in ordine alla continuazione di detti atti dopo la data di applicazione di
tale accordo per il membro dell'OMC in questione.
51
Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio si evince che gli atti addebitati alla Budvar in Finlandia
hanno sicuramente avuto inizio prima della data di applicazione dell'accordo ADPIC, ma anche che
essi sono proseguiti dopo tale data. Inoltre, è pacifico che il procedimento per violazione riguarda
segni tutelati come marchi in Finlandia alla data di applicazione dell'accordo ADPIC - vale a dire, per
quanto riguarda il detto Stato membro, il 1 ° gennaio 1996 - e che tale procedimento è stato avviato
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l'11 ottobre 1996, quindi dopo tale data.
52
Da quanto precede risulta che, in forza dei nn. 1 e 2 dell'art. 70 dell'accordo ADPIC, il detto accordo
va applicato ad una situazione di questo tipo.
53
Pertanto, la prima questione va risolta nel senso che l’accordo ADPIC si applica in caso di conflitto
tra un marchio ed un segno che si assume violare il suddetto marchio, quando il detto conflitto
abbia avuto inizio prima della data di applicazione dell'accordo ADPIC, ma sia poi proseguito dopo
tale data.
Sulla seconda e sulla terza questione
Osservazioni preliminari
54
La Corte ha già statuito che le disposizioni dell’accordo OMC, tenuto conto della loro natura e della
loro economia, non hanno effetto diretto. Esse non figurano, in linea di principio, tra le normative
alla luce delle quali la Corte controlla gli atti delle istituzioni comunitarie ai sensi dell'art. art. 230,
primo comma, CE, e non sono neppure idonee a creare in capo ai singoli diritti che questi possano
invocare direttamente dinanzi al giudice ai sensi del diritto comunitario (v., in questo senso,
sentenza Dior e a., cit., punti 42-45).
55
Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, ai sensi del diritto comunitario, quando i
giudici nazionali sono chiamati ad applicare le loro norme nazionali per disporre misure a tutela dei
diritti rientranti in un settore al quale si applica l'accordo ADPIC, e nel quale - come avviene nel
settore del marchio - la Comunità ha già legiferato, essi sono tenuti a farlo, nei limiti del possibile,
alla luce del testo e della finalità delle pertinenti disposizioni dell'accordo ADPIC (v., in questo senso,
in particolare, sentenza Dior e a., cit., punti 42-47).
56
Occorre inoltre ricordare che, ai sensi della detta giurisprudenza, le autorità competenti chiamate ad
applicare e interpretare il diritto nazionale rilevante sono ugualmente tenute a farlo, per quanto
possibile, alla luce del testo e dello scopo della direttiva 89/104, onde conseguire il risultato
perseguito da quest'ultima e conformarsi pertanto all'art. 249, terzo comma, CE (v., in particolare,
sentenze 12 febbraio 2004, causa C-218/01, Henkel, Racc. pag. I-0000, punto 60 e giurisprudenza
ivi citata).
57
Di conseguenza, nella fattispecie, le disposizioni rilevanti del diritto nazionale dei marchi vanno
applicate ed interpretate, per quanto possibile, alla luce del testo e dello scopo delle pertinenti
disposizioni sia della direttiva 89/104, sia dell'accordo ADPIC.
Sulla seconda questione
58
Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se, ed eventualmente a quali
condizioni, una ditta possa rappresentare un segno ai sensi dell'art. 16, n. 1, prima frase,
dell'accordo ADPIC cosicché, in forza di tale disposizione, il titolare di un marchio abbia il diritto
esclusivo di vietarne l'uso a terzi che agiscano senza il suo consenso.
59
In primo luogo, per quanto riguarda la direttiva 89/194, dalla giurisprudenza della Corte relativa alla
nozione di uso da parte di un terzo, di cui all' art. 5, n. 1, della direttiva, emerge che il diritto
esclusivo che il marchio comporta è stato concesso al fine di consentire al suo titolare di tutelare i
propri interessi specifici quale titolare del marchio, ossia garantire che quest'ultimo possa adempiere
le sue proprie funzioni e che, di conseguenza, l'esercizio di tale diritto deve essere riservato ai casi
in cui l'uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio e,
in particolare, la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto (v.
sentenza 12 novembre 2002, causa C-206/01, Arsenal Football Club, Racc. pag. I-10273, punti 51 e
54).
60
Ciò è vero, in particolare, quando l'uso del segno che si contesta al terzo è tale da rendere credibile
l'esistenza di un collegamento materiale nel commercio tra i prodotti del terzo e l'impresa di
provenienza di tali prodotti. Al riguardo, occorre verificare se i consumatori interessati, compresi
quelli ai quali i prodotti vengono presentati dopo che tali prodotti hanno lasciato il punto vendita del
terzo, possano interpretare il segno quale utilizzato dal terzo come indicante, o come tendente ad
indicare, l'impresa da cui provengono i prodotti del terzo (v., in questo senso, sentenza Arsenal
Football Club, cit., punti 56 e 57).
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61
Spetta al giudice del rinvio il compito di effettuare tale verifica, alla luce delle circostanze concrete
nelle quali viene usato il segno contestato al terzo nella causa principale, ossia, nel caso di specie,
alla luce dell'etichettatura utilizzata dalla Budvar in Finlandia.
62
Spetta parimenti al giudice del rinvio confermare se, nella fattispecie, l'uso avvenga effettivamente
«nel commercio» e sia fatto «per prodotti» ai sensi dell'art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 (v., in
particolare, sentenza Arsenal Football Club, cit., punti 40 e 41).
63
Qualora tali requisiti siano soddisfatti, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, in caso di
identità dei segni e dei marchi, nonché dei prodotti e dei servizi, la tutela conferita dall'art. 5, n. 1,
lett. a), della direttiva 89/104 è assoluta, mentre nell'ipotesi di cui al detto art. 5, n. 1, lett. b), per
la tutela del titolare è necessaria anche la prova dell'esistenza, presso il pubblico, di un rischio di
confusione dovuto all'identit à o alla somiglianza tra segni e marchi d'impresa e tra prodotti o servizi
designati (v., in questo senso, sentenze 9 gennaio 2003, causa C-292/00, Davidoff,
Racc. pag. I-389, punto 28, e 20 marzo 2003, causa C-291/00, LTJ Diffusion, Racc. pag. I-2799,
punti 48 e 49).
64
Tuttavia, se dalle verifiche che il giudice del rinvio deve svolgere, menzionate all'art. 60 di questa
sentenza, emerge che l'uso del segno di cui alla causa principale è stato fatto a fini diversi da quello
di contraddistinguere i prodotti in questione - in particolare come ditta o come denominazione
sociale - ci si deve riferire, in conformità all'art. 5, n. 5, della direttiva 89/104, all'ordinamento
giuridico dello Stato membro interessato per determinare la portata e, se del caso, il contenuto della
tutela concessa al titolare del marchio d’impresa che sostiene di aver subito un danno derivante
dall’uso di tale segno come ditta o denominazione sociale (v. sentenza 21 novembre 2002, causa
C-23/01, Robelco, Racc. pag. I-10913, punti 31 e 34).
65
In secondo luogo, per quanto riguarda l’accordo ADPIC, occorre ricordare che il suo obiettivo
primario è di rafforzare ed armonizzare la tutela della proprietà intellettuale su scala mondiale (v.,
sentenza Schieving-Nijstad, cit., punto 36, e giurisprudenza ivi citata).
66
Ai sensi del suo preambolo, l'accordo ADPIC ha lo scopo «di ridurre le distorsioni e gli impedimenti
nel commercio internazionale», «tenendo conto della necessità di promuovere una protezione
sufficiente ed efficace dei diritti di proprietà intellettuale», facendo in modo che «le misure e le
procedure intese a tutelare i diritti di proprietà intellettuale non diventino esse stesse ostacoli ai
legittimi scambi».
67
L’art. 16 dell'accordo ADPIC conferisce al titolare di un marchio registrato un livello minimo di diritti
esclusivi convenuto su scala internazionale e che tutti i membri dell'OMC devono garantire nelle loro
normative nazionali. Tali diritti esclusivi tutelano il titolare dai pregiudizi che terzi non autorizzati
potrebbero arrecare al marchio registrato [v. anche la relazione dell'organo d'appello dell'OMC, resa
il 2 gennaio 2002, Stati Uniti – art. 211 della legge generale del 1998 relativa all'apertura di crediti
(AB-2001 -7), WT/DS/176/AB/R, punto 186].
68
L’art. 15 dell'accordo ADPIC dispone, in particolare, che qualsiasi segno, o combinazione di segni,
che consenta di contraddistinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese, può
costituire un marchio d'impresa.
69
In questo modo, questa disposizione dell'accordo ADPIC consacra, come l'art. 2 della
direttiva 89/104, la garanzia della provenienza, che costituisce la funzione essenziale del marchio
(v., quanto a tale direttiva, segnatamente la sentenza Arsenal Football Club, cit., punto 49).
70
Da questi elementi si evince che l'interpretazione, per quanto possibile, delle disposizioni rilevanti
del diritto nazionale dei marchi alla luce del testo e dello scopo delle pertinenti disposizioni del
diritto comunitario, nella fattispecie la direttiva 89/104, non è rimessa in discussione da
un'interpretazione alla luce del testo e dello scopo delle disposizioni in questione dell'accordo ADPIC
(v. punto 57 della presente sentenza).
71
Le disposizioni rilevanti del diritto nazionale dei marchi vanno quindi applicate ed interpretate nel
senso che l’esercizio del diritto esclusivo conferito al titolare del marchio di vietare l'uso del segno
che tale marchio costituisce o di un segno simile ad esso deve essere riservato ai casi in cui l'uso del
segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio e, in particolare,
la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto.
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72
Siffatta interpretazione sarebbe peraltro confermata dallo scopo generale dell'accordo ADPIC,
ricordato al punto 66 della presente sentenza, che consiste nel garantire un equilibrio tra l'obiettivo
di ridurre le distorsioni e gli impedimenti nel commercio internazionale e quello di promuovere una
protezione sufficiente ed efficace dei diritti di proprietà intellettuale in modo che le misure e le
procedure intese a tutelare i diritti di proprietà intellettuale non diventino esse stesse ostacoli ai
legittimi scambi (v., in questo senso, sentenza Schieving-Nijstad e a., cit. punto 38). Tale
distinzione sembra adeguata anche alla luce dello specifico obiettivo dell'art. 16 dell'accordo ADPIC,
ricordato al punto 67 della presente sentenza, di garantire un livello minimo di diritti esclusivi
convenuto su scala internazionale.
73
Inoltre, i requisiti stabiliti dall’art. 16 dell'accordo ADPIC, in base ai quali, nelle versioni francese,
inglese e spagnola, facenti fede, l'uso deve essere fatto «nel commercio» [in francese «au cours
d'opérations commerciales»] («in the course of trade », «en el curso de operaciones comerciales») e
«per prodotti» [in francese «pour de produits»] («for goods», «para bienes») sembrano
corrispondere a quelli previsti dall’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104, secondo i quali l'uso deve
avere luogo «nel commercio» [in francese «dans la vie des affaires»] (nelle versioni inglese e
spagnola, rispettivamente, «in the course of trade» e «en el tráfico econ ómico») e «per
prodotti» [in francese «pour des produits»] (nelle dette versioni, rispettivamente, «in relation to
goods» e «para productos»).
74
Occorre aggiungere che, se dalle verifiche spettanti al giudice del rinvio emerge che, nel caso di
specie, il titolare del marchio può far valere i suoi diritti esclusivi di cui all’art. 16, n. 1, dell'accordo
ADPIC per vietare ai terzi l'uso contestato, il detto accordo contiene un'altra disposizione che
potrebbe rilevare per dirimere la controversia oggetto della causa principale.
75
Si deve ricordare, a questo proposito, che tocca alla Corte fornire al giudice nazionale tutti gli
elementi di interpretazione del diritto comunitario che possono essere utili per la soluzione della
causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o meno riferimento
nella formulazione delle sue questioni (v. sentenza 7 settembre 2004, causa C-456/02, Trojani, non
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 38, e giurisprudenza citata).
76
Nell'ambito della causa in esame, occorre in particolare valutare l'eventuale rilevanza dell'art. 17
dell'accordo ADPIC, il quale permette agli Stati membri dell'OMC di prevedere limitate eccezioni ai
diritti conferiti da un marchio, ad esempio per quanto riguarda il leale uso di termini descrittivi,
purché tali eccezioni tengano conto dei legittimi interessi del titolare del marchio e dei terzi. Tale
eccezione potrebbe includere un uso in buona fede del segno da parte di un terzo, segnatamente se
si tratta dell'indicazione del suo nome o del suo indirizzo.
77
Ora, per quanto concerne la Comunità, siffatta eccezione è prevista dall'art. 6, n. 1, lett. a), della
direttiva 89/104 che, in sostanza, consente ai terzi di usare il segno per indicare il loro nome o
indirizzo; purché tale uso sia conforme agli usi consueti di lealt à in campo industriale e
commerciale.
78
Certo, il Consiglio dell'Unione europea e la Commissione delle Comunit à europee hanno presentato
una dichiarazione congiunta, riportata nel verbale del Consiglio in occasione dell'adozione della
direttiva 89/104, secondo la quale tale disposizione copre solo i nomi delle persone fisiche.
79
Ciononostante, l'interpretazione data in una dichiarazione di tal genere non può essere presa in
considerazione quando il suo contenuto non trova alcun riscontro nel testo della disposizione di cui
trattasi e non possiede, pertanto, portata giuridica. Il Consiglio e la Commissione hanno d'altronde
espressamente riconosciuto tale limite nel preambolo della loro dichiarazione, a termini del quale «le
dichiarazioni del Consiglio e della Commissione riportate in prosieguo non costituiscono parte
integrante del testo legislativo, non pregiudicandone l'interpretazione da parte della Corte di
giustizia delle Comunità europee» (v. sentenza Heidelberger Bauchemie, cit., punto 17, e
giurisprudenza citata).
80
Orbene, la significativa limitazione alla nozione di «nome», come risulta dalla dichiarazione citata al
punto 78 di questa sentenza, non trova alcun riscontro nel dettato dell'art. 6, n. 1, lett. a), della
direttiva 89/104. Di conseguenza, detta dichiarazione non ha valore giuridico.
81
L’eccezione prevista dall'art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 può, in linea di principio, essere
fatta valere da un terzo per usare un segno identico o simile ad un marchio per designare la sua
ditta benché si tratti di un uso rientrante nell'art. 5, n. 1, della detta direttiva che il titolare del
marchio potrebbe, in generale, vietare in forza dei diritti esclusivi che tale disposizione gli
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conferisce.
82
È necessario poi che tale uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e
commerciale, unico criterio di valutazione indicato dall’art. 6, n. 1, della direttiva 89/104. La
condizione relativa agli «usi di lealtà» costituisce, in sostanza, l’espressione di un obbligo di lealtà
nei confronti dei legittimi interessi del titolare del marchio (v. sentenza 7 gennaio 2004, causa
C-100/02, Gerolsteiner Brunnen, Racc. pag. I-0000, punto 24, e giurisprudenza citata). Si tratta
quindi, in sostanza, della stessa condizione posta dall'art. 17 dell'accordo ADPIC.
83
In proposito, occorre far presente che l'osservanza della detta condizione relativa agli usi di lealtà va
valutata tenendo conto della misura in cui, da una parte, l'uso della ditta del terzo verrebbe inteso
dal pubblico interessato, o per lo meno da una parte significativa di esso, come sintomatico di un
collegamento tra i prodotti del terzo e il titolare del marchio o una persona autorizzata ad usare il
marchio, nonché, dall'altra, della misura in cui il terzo avrebbe dovuto esserne consapevole. Un
ulteriore elemento da considerare nel procedere a tale valutazione è rappresentato dal fatto che si
tratta di un marchio che gode di una certa notorietà nello Stato membro in cui è registrato ed in cui
è richiesta la sua tutela e dal quale il terzo potrebbe trarre vantaggio per la commercializzazione dei
suoi prodotti.
84
Spetta al giudice nazionale procedere ad una esame globale di tutte le circostanze pertinenti, tra le
quali figura, in particolare, l’etichettatura della bottiglia, al fine di valutare, più specificamente, se si
possa ritenere che il produttore della bevanda recante la ditta eserciti concorrenza sleale nei
confronti del titolare del marchio (v., in questo senso, sentenza Gerolsteiner Brunnen, cit., punti 25
e 26).
85
Occorre pertanto risolvere la seconda questione nei seguenti termini:
–
Una ditta pu ò rappresentare un segno ai sensi dell'art. 16, n. 1, prima frase, dell'accordo
ADPIC. Tale disposizione è diretta ad attribuire al titolare di un marchio il diritto esclusivo di
vietare che un terzo ne faccia uso se tale uso pregiudica o può pregiudicare le funzioni del
marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di garantire ai consumatori la
provenienza del prodotto;
–
Le eccezioni stabilite dall’art. 17 dell'accordo ADPIC sono dirette, in particolare, a consentire
ai terzi di usare un segno identico o simile ad un marchio per designare la loro ditta, purché
l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.
Sulla terza questione
86
Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, ed eventualmente a quali
condizioni, una ditta non registrata né tradizionalmente usata nello Stato membro in cui il marchio è
stato registrato ed in cui viene richiesta la sua tutela nei confronti della ditta in questione, possa
essere considerato un diritto anteriore ai sensi dell'art. 16, n. 1, terza frase, dell'accordo ADPIC, alla
luce, in particolare, degli obblighi di tutelare la ditta che incombono a tale Stato membro in forza
dell'art. 8 della Convenzione di Parigi e dell'art. 2, n. 1, dell'accordo ADPIC.
87
Se dalle verifiche che il giudice del rinvio deve svolgere, conformemente ai principi esposti al
punto 60 di questa sentenza in risposta al secondo quesito, emerge che l'uso di una ditta rientra
nell'art. 16, n. 1, prima frase, dell'accordo ADPIC, il titolare di un marchio ha il diritto esclusivo di
vietare siffatto uso, fatte salve le disposizioni dell'art. 17 del detto accordo.
88
L’art. 16, n. 1, terza frase, dell'accordo ADPIC dispone tuttavia che tale diritto esclusivo non
pregiudica alcun «eventual[e] diritt[o] anterior[e]».
89
Tale disposizione va intesa nel senso che se il titolare di una ditta dispone di un diritto rientrante
nell'ambito di applicazione dell'accordo ADPIC sorto prima di quello relativo al marchio con il quale si
afferma esso sia in conflitto e che gli consente di usare un segno identico o simile a tale marchio,
siffatto uso non può essere vietato in forza del diritto esclusivo che il marchio conferisce al suo
titolare ai sensi dell'art. 16, n. 1, prima frase, del detto accordo.
90
Se la si intende in questo senso, affinch é la detta disposizione si applichi è necessario innanzi tutto
che il terzo possa far valere un diritto rientrante nell'ambito di applicazione ratione materiae
dell'accordo ADPIC.
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In proposito, va ricordato che la ditta costituisce un diritto che rientra nell'espressione «proprietà
intellettuale» ai sensi dell'art. 1, n. 2, dell'accordo ADPIC. Inoltre, dall'art. 2, n. 1, di tale accordo
risulta che la tutela delle ditte, specificamente prescritta dall’art. 8 della Convenzione di Parigi, è
espressamente inclusa nel detto accordo. La tutela delle ditte è quindi imposta ai membri dell'OMC
in forza dell'accordo ADPIC (v. anche la relazione dell'organo d'appello istituito nell'ambito dell'OMC,
Stati Uniti – art. 211 della legge generale del 1998 relativa all'apertura di crediti, cit., punti 326 341).
92
Ne consegue che la ditta in esame, nei limiti in cui costituisce un oggetto esistente ai sensi
dell'art. 70, n. 2, dell'accordo ADPIC, come illustrato al punto 49 di questa sentenza, deve essere
tutelata in forza dell'accordo ADPIC.
93
Pertanto, la ditta costituisce un diritto che rientra nell'ambito di applicazione ratione materiae
dell'accordo ADPIC di modo che tale prima condizione posta dall'art. 16, n. 1, terza frase,
dell'accordo ADPIC risulta soddisfatta.
94
Deve trattarsi poi di un diritto esistente. L’espressione «esistente» significa che il diritto in questione
deve rientrare nell'ambito di applicazione ratione temporis dell'accordo ADPIC ed essere ancora
protetto nel momento in cui è fatto valere dal suo titolare per opporsi alle pretese avanzate dal
titolare del marchio con cui si ritiene che tale diritto sia confliggente.
95
Nella fattispecie, quindi, occorre capire se la ditta in esame, che pacificamente non è registrata né
tradizionalmente usata nello Stato membro in cui il marchio è registrato ed in cui viene richiesta la
sua tutela contro la detta ditta, soddisfi i criteri citati al punto precedente di questa sentenza.
96
In proposito, dall'art. 8 della Convenzione di Parigi - disposizione la cui osservanza è imposta in
forza dell'accordo ADPIC, come illustrato al punto 91 di questa sentenza - deriva che la tutela della
ditta deve essere garantita senza che la si possa subordinare ad alcuna condizione relativa alla
registrazione.
97
Quanto ad eventuali condizioni relative ad un uso minimo o ad una conoscenza minima della ditta,
alle quali, secondo il giudice del rinvio, sarebbe subordinata la sua esistenza in forza del diritto
finlandese, occorre rilevare che, in linea di principio, né l'art. 16, n. 1, dell'accordo ADPIC, né l'art. 8
della Convenzione di Parigi ostano a siffatte condizioni.
98
Infine, quanto alla nozione di anteriorità del diritto in causa ai sensi dell'art. 16, n. 1, terza frase,
dell'accordo ADPIC, essa significa che il fondamento del diritto in esame deve precedere nel tempo
l’ottenimento del marchio con il quale tale diritto è ritenuto confliggente. Come osservato
dall'avvocato generale al paragrafo 95 delle conclusioni, si tratta dell’espressione del principio della
prevalenza del titolo di esclusiva anteriore, che rappresenta uno dei fondamenti del diritto dei
marchi e, più in generale, dell’intero diritto della proprietà industriale.
99
A tale riguardo, occorre aggiungere che detto principio di anteriorità è contenuto anche nella
direttiva 89/104, in particolare negli artt. 4, n. 2, e 6, n. 2.
100
Alla luce di quanto precede, la terza questione va risolta nel senso che una ditta non registrata n é
tradizionalmente usata nello Stato membro in cui il marchio commerciale è stato registrato ed in cui
viene richiesta la sua tutela nei confronti della ditta in questione, può essere considerata un diritto
anteriore ai sensi dell'art. 16, n. 1, terza frase, dell'accordo ADPIC se il titolare della ditta dispone di
un diritto rientrante nell'ambito di applicazione ratione materiae e ratione temporis dell'accordo
ADPIC sorto prima di quello relativo al marchio con il quale si ritiene che tale diritto sia in conflitto e
che gli consente di usare un segno identico o simile a tale marchio.
Sulle spese
101
Le spese sostenute dal governo finlandese e dalla Commissione per presentare osservazioni alla
Corte non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente
procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi
statuire sulle spese.
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Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1)
L'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio
(accordo ADPIC), che figura all'allegato 1 C dell'accordo che istituisce
l’Organizzazione mondiale del commercio, approvato a nome della Comunità, per le
materie di sua competenza, con decisione del Consiglio 22 dicembre 1994,
94/800/CE, si applica in caso di conflitto tra un marchio ed un segno che si assume
violare il suddetto marchio, quando il detto conflitto abbia avuto inizio prima della
data di applicazione dell'accordo ADPIC, ma sia poi proseguito dopo tale data.
2)
Una ditta può rappresentare un segno ai sensi dell'art. 16, n. 1, prima frase,
dell'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio
(accordo ADPIC). Tale disposizione è diretta ad attribuire al titolare di un marchio il
diritto esclusivo di vietare che un terzo ne faccia uso se tale uso pregiudica o può
pregiudicare le funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di
garantire ai consumatori la provenienza del prodotto.
Le eccezioni stabilite dall’art. 17 dell'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà
intellettuale attinenti al commercio (accordo ADPIC) sono dirette, in particolare, a
consentire ai terzi di usare un segno identico o simile ad un marchio per designare la loro
ditta, purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e
commerciale.
3)
Una ditta non registrata n é tradizionalmente usata nello Stato membro in cui il
marchio commerciale è stato registrato ed in cui viene richiesta la sua tutela nei
confronti della ditta in questione, può essere considerata un diritto anteriore ai
sensi dell'art. 16, n. 1, terza frase, dell'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà
intellettuale attinenti al commercio (accordo ADPIC) se il titolare della ditta dispone
di un diritto rientrante nell'ambito di applicazione ratione materiae e ratione
temporis del detto accordo sorto prima di quello relativo al marchio con il quale si
ritiene che tale diritto sia in conflitto e che gli consente di usare un segno identico o
simile a tale marchio.
Firme
1–
Lingua processuale: il finlandese.
http://curia.eu.int/jurisp/cgi-bin/gettext.pl?lang=it&num=79958883C19020245&doc=... 16/11/2004