La tutela della sicurezza del lavoratore in previsione dei disastri

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La tutela della sicurezza del lavoratore in previsione dei disastri
La tutela della sicurezza del lavoratore in previsione dei disastri naturali
di Enrico De Luca, Luciano Vella
17 Novembre 2016
SOMMARIO
Un’indagine parziale | Perché prevenire? | Il contributo dell’Europa sul versante prevenzionistico | Il recepimento in Italia della Direttiva | I soggetti “attivi”
nella prevenzione | La valutazione dei rischi e le calamità naturali | La prevenzione (solo) formalmente? | Guida all'approfondimento |
Un’indagine parziale
Il legislatore ha nel tempo posto in essere una serie di interventi tesi ad accentrare l’attenzione sulla complessa materia della “prevenzione”.
La responsabilizzazione della figura del datore di lavoro, quale soggetto apicale dell’organizzazione aziendale, ha ricevuto una netta valorizzazione
tanto da esser stata sovraccaricata di oneri aventi lo scopo di ridurre, per quanto possibile, la concretizzazione di eventi infausti.
Trattasi di un tema molto ampio e discusso che, non potendo essere affrontato nella sua interezza con il presente contributo, si analizzerà in parte. In
particolare, l’attenzione si focalizzerà su i rischi sottesi agli eventi calamitosi, soprattutto alla luce dei recenti fatti di cronaca, al fine di specificare quali
possano essere i meccanismi idonei ad arginare, per quanto possibile, le conseguenze disastrose derivanti da situazioni di tal portata.
Perché prevenire?
Lo sconcertante numero di vittime accertate in conseguenza dei disastri naturali potrebbe indurre a far pensare d’essere di fronte a un sistema
prevenzionistico inadeguato a realizzare lo scopo per il quale è stato predisposto: prevenire, appunto, i pericoli e i fattori di rischio nel loro insieme. Ciò
specie quando le vittime sono lavoratori, magari perché non preparati all’evento o magari perché operanti in strutture aziendali sprovviste di sistemi di
sicurezza effettivi.
Tuttavia, quando si tratta di disastri naturali o, in generale, di stati emergenziali tout court, non ci si può che arrendere dinanzi alla constatazione: trattasi
di situazioni imprevedibili che, in quanto tali determinano, nella maggioranza dei casi, l’insorgere di stati d’ansia, di agitazione e di paura che possono
spingere verso tragici epiloghi, poiché l’impreparazione determina panico (ci si riporta, a tal proposito, a quanto sostenuto dalla Protezione Civile della
Regione Emilia-Romagna nell’opuscolo “Cosa fare in caso di Terremoto”: “[…] A volte, il panico può causare più danni alle persone dello stesso
terremoto. Quando si ha paura non c’è il tempo per prendere le decisioni più corrette da adottare. Ecco perché è preferibile conoscere in anticipo come
comportarsi […]”).
Al fine di eliminare, o meglio, lenire il più possibile tali conseguenze, il sistema normativo italiano, spinto dagli impulsi positivi derivanti dall’Unione Europea,
ha gravato il datore di lavoro dell’onere di attuare all’interno della propria impresa una effettiva “struttura della sicurezza”.
Il contributo dell’Europa sul versante prevenzionistico
In campo europeo la normativa di riferimento è la Direttiva Comunitaria n. 93/391 CEE del 12 giugno 1989 che ha sensibilizzato appunto la Comunità
Europea verso la c.d. “cultura della sicurezza”.
Essa “[...] comprende principi generali relativi alla prevenzione dei rischi professionali e alla protezione della sicurezza e della salute, all’eliminazione dei
fattori di rischio e di incidente, all’informazione, alla consultazione […] alla formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti […]” art. 1, co. 2.
Entrando nel dettaglio, la Direttiva prevede una serie di obblighi sia in capo ai lavoratori che al datore di lavoro, pur con la precisazione che “gli obblighi dei
lavoratori (…) non intaccano il principio della responsabilità del datore di lavoro” (cfr. art. 5, co. 3).
Ed è proprio nel quadro delle sue responsabilità che il datore di lavoro deve adottare tutte le misure atte non solo ad “evitare i rischi” ma anche a “valutare i
rischi che non possono essere evitati” (cfr. art. 6, co. 2).
In sostanza il datore dovrebbe prodigarsi al fine di rendere immuni i singoli lavoratori dalle possibili conseguenze di un evento “pericoloso” preparandoli
(oseremmo dire soprattutto) all’evento, così da poter, nel miglior modo possibile, arginarne le conseguenze.
Il recepimento in Italia della Direttiva
La Direttiva Comunitaria è stata recepita in Italia con il D.Lgs. n. 626/1994, oggi nel D.Lgs. n. 81/2008 (cd. Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro) che ha
adottato un sistema prevenzionistico volto a gestire gli effetti derivanti dall’insorgenza di situazioni di pericolo in azienda, di qualunque tipo essi siano.
A tal fine, l’art. 18, riproponendo le indicazioni già previste dalla Direttiva Comunitaria, dispone che il datore di lavoro, debba:
• designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei
luoghi e di gestione delle emergenze in generale;
• adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza;
• adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi ed evacuazione dei luoghi di lavoro.
Non solo. Tutte le informazioni utili alla individuazione dei rischi nonché necessarie a garantire l’incolumità dei singoli lavoratori devono essere registrate
all’interno di appositi documenti, accessibili a tutti i soggetti presenti in azienda.
E l’art. 36, co. 4, dispone che il contenuto di tali informazioni “deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire
le relative conoscenze”, con l’ulteriore precisazione che ove esse siano rivolte a lavoratori immigrati, è necessaria per giunta la “previa verifica della
comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo”.
I soggetti “attivi” nella prevenzione
Il D.Lgs. n. 81/2008 individua altresì gli organi della prevenzione. La prima figura incaricata in tal senso è il datore di lavoro che appunto organizza il
servizio di prevenzione e protezione.
Nello specifico egli procede alla nomina, qualora non ricorrano le condizioni per esercitarne direttamente i compiti, del responsabile del servizio di
prevenzione e sicurezza (o dei responsabili del servizio di prevenzione e protezione). Questi, pur svolgendo un ruolo di consulenza, ha l’obbligo di
collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli (Cass. Pen. Sez. IV, 17 novembre 2014, n. 52455).
Inoltre il datore di lavoro deve designare, a norma dell’art. 43, i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di gestione delle emergenze. Essi
svolgono un ruolo di prevenzione atto a valutare che all’interno del luogo di lavoro siano rispettate tutte le norme di sicurezza e che effettivamente il luogo
di lavoro sia “sicuro”.
Il datore di lavoro ha, a tal proposito, l’obbligo penalmente rilevante di assicurarsi che si tratti di lavoratori formati ed informati, che siano in
numero sufficiente e che dispongano di attrezzature adeguate allo svolgimento dei loro compiti, tenendo conto della situazione aziendale di riferimento.
Tra gli oneri gravanti sul datore di lavoro vi è, altresì, quello di:
• informare tutti i lavoratori che possono essere esposti a un pericolo grave e immediato circa le misure predisposte e i comportamenti da adottare;
• programmare gli interventi, prendere i provvedimenti e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato che non può essere
evitato, possano cessare la loro attività, o mettersi al sicuro, abbandonando immediatamente il luogo di lavoro;
• adottare i provvedimenti necessari affinché qualsiasi lavoratore, in caso di pericolo grave ed immediato per la propria sicurezza o per quella di altre
persone e nell'impossibilità di contattare il superiore gerarchico, possa prendere le misure adeguate per evitare le conseguenze di tale pericolo, tenendo
conto delle sue conoscenze e dei mezzi tecnici disponibili.
Orbene, alla luce di quanto fin qui esposto, nonché avendo riguardo alla catastrofica risultanza degli eventi sismici che hanno interessato la nostra penisola
nell’ultima decade, i lavoratori devono considerarsi parti integranti del “sistema prevenzione”. Invero, la stessa CIGL nelle “Linee guida per la tutela
della sicurezza e salute dei lavoratori a seguito di Evento Sismico” ha dichiarato che “[…] visto che ora ormai terremoti importanti stanno interessando
anche zone nel passato dichiarate non pericolose, i lavoratori, anche tramite i propri Rappresentanti per La Sicurezza (RLS) devono richiedere
nell’immediato futuro al datore di lavoro di certificare l’idoneità dei luoghi di lavoro da un punto di vista strutturale […] e altrimenti devono pretendere che
essi vengano peritati da enti o professionisti abilitati e richiedere i risultati di perizia”.
La valutazione dei rischi e le calamità naturali
In questo contesto un ruolo essenziale è svolto dalla valutazione dei rischi, richiamata negli artt. 17, 28 e 29 D.Lgs. n. 81/2008, che è propedeutica alla
predisposizione del “documento di valutazione dei rischi” (c.d. DVR) nonché finalizzata a “individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione
e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza” (art. 2, lett. q).
La “valutazione dei rischi” è la valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori nell’ambito dell’organizzazione
aziendale in cui prestano servizio e, pertanto, deve includere il rischio sismico. Ma non solo: vi debbono essere ricompresi anche i rischi derivanti dagli
agenti fisici e biologici o addirittura derivanti da “stress”. (Lo stress è uno stato che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o
sociali e che consegue dal fatto che le persone non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti”).
Tale ultimo inciso è stato introdotto dal D.Lgs. n. 106/2009, correttivo del D.Lgs. n. 81/2008. Ciò significa che la valutazione dei rischi si estende anche ai
rischi “collegati allo stress-lavoro correlato” (Art. 28 D.Lgs. n. 81/2008). Ed in questi ultimi non vanno ricomprese solo le situazioni determinate da
mobbing ma anche quelle derivanti dalle disfunzioni psicofisiche causate da un evento sismico che potrebbero facilmente condurre a conseguenze infauste.
L’analisi preventiva di tali circostanze, imponendo una attenta e scrupolosa indagine sulle possibile nefandezze concretizzabile all’interno del luogo di lavoro,
unita ad una adeguata formazione/informazione impartita ai lavoratori, permetterebbe, così, al datore di lavoro di predeterminare le misure volte ad
arginarne le complicazioni (e relative conseguenze) che potrebbero derivare in presenza di un evento sismico.
La prevenzione (solo) formalmente?
Il legislatore ha previsto conseguenze di natura detentiva e di natura economica in capo ai soggetti preposti alla tutela della salute e della sicurezza
nei luoghi di lavoro, qualora non rispettino talune delle indicazioni previste nel D.Lgs. n. 81/2008. Conseguenze queste non irrilevanti, tese a far passare il
messaggio che in tema di sicurezza non si ammettono errori.
Tuttavia l’impianto prevenzionistico definito dal legislatore non sempre riesce ad arginare le situazioni di pericolo e di rischio ed i motivi possono essere i più
vari, quali ad es.:
• mancato aggiornamento del DVR;
• mancata circolazione delle informazioni tra lavoratori; e
• mancata conoscenza delle politiche aziendali di evacuazione.
A tal proposito, e con particolare riferimento al primo punto, si deve evidenziare come la giurisprudenza stessa, e da ultimo la Cassazione (Cass. Pen. - Sez.
IV, 16 marzo 2010, n. 10448), abbia posto l’accento sugli obblighi di parte datoriale, individuandone la responsabilità per “mancato, insufficiente o
inadeguato aggiornamento od adeguamento e l’omessa valutazione dell’individuazione degli specifici pericoli cui i lavoratori erano sottoposti in relazione alle
diverse mansioni svolte e la specificazione delle misure di prevenzione da adottarsi”.
In tal senso, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che l’analisi dei rischi all’interno dell’azienda deve avvenire con il massimo scrupolo, tenendo conto
di tutte le possibili concause atte a ledere, potenzialmente, un bene giuridico. Controllo che deve avvenire in via preventiva, al fine di meglio gestire le
eventuali situazioni di pericolo.
Allora, è solo nell’effettiva attuazione delle disposizioni oggetto di questo breve lavoro che si deve guardare al fine di costruire un sistema sicuro e
funzionale alla prevenzione, dovendosi, quindi, necessariamente portare in auge il principio di precauzione (anche nell’ottica di un evento sismico), che può
riassumersi nell’aforisma “prevenire è meglio che curare” .
Guida all'approfondimento
M. Corrias, Sicurezza e obblighi del lavoratore, Torino, 2008.
R. Guariniello, Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza, V ed., Milanofiori Assago.
P. R. Pais, La nuova normativa di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Roma, 2008.
M. Rinaldi, Sicurezza sul lavoro, guida pratica alla soluzione dei problemi. Montecatini Terme, 2010.
M. Tiraboschi - L. Fantini, Il testo unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (D.Lgs. n. 106/2009), Milano, Giuffrè, 2009.