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ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
DIECI ANNI DI “LAVORI”
10 anni: un’occasione per fare il punto intorno ad una storia organizzativa, un’occasione per fermarsi e riflettere, per riappropriarsi di quanto è
accaduto, delle strade prese, delle scelte anche faticose fatte in questi
anni per “restare a galla” dignitosamente.
Una riflessione - quella avviata negli ultimi mesi - che ha per noi l’obiettivo di dare un senso a ciò che è stato e di ritrovare nuove energie e
nuovi spunti di lavoro per il futuro.
Il titolo della giornata: “10 anni di occasioni x condividere riflessioni”,
rappresenta il nostro tentativo di leggere insieme questi ultimi 10 anni
di politiche sociali utilizzando la nostra storia un po’ come paradigma
delle diverse fasi vissute nel mondo delle politiche sociali, intrecciando
vicende organizzative con vicende legate al contesto in cui abbiamo
lavorato in questi anni, contesto analizzato dal nostro punto di vista. E’
un tentativo di lettura che non vuole essere né esaustivo né tantomeno
approfondito ma che rappresenta per grandi linee l’ottica di chi osserva, studia, sviluppa ipotesi di lavoro partendo da una lettura del contesto e da una interpretazione della realtà.
Ripensando a questi dieci anni è possibile intravedere tre fasi i cui confini sono molto labili ma in cui si ritrovano alcuni aspetti prevalenti.
Una prima fase, la genesi dello studio. Lo studio nasce intorno ad un
progetto di ricerca sui bilanci comunali e le politiche sociali che provava a parlare di politiche sociali con un approccio integrato tra la dimensione economica e quella sociale. Da qui è iniziato innanzitutto un
percorso interno di integrazione tra competenze, professionalità, saperi,
percorso ancora aperto, che non si è mai concluso perché rappresenta per noi un punto di forza sul quale investire parte del nostro tempo
lavorativo.
E’ a partire dall’ aver preso coscienza che questo era un approccio
innovativo e che il provare ad avere uno sguardo plurale, multiprospettico su scelte, politiche, progetti e servizi era un elemento di ricchezza,
che è nata l’idea dello Studio che, con grande entusiasmo, ha scelto
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da subito come “mission” quella di realizzare servizi di ricerca, formazione e consulenza per le organizzazioni pubbliche e del terzo settore,
posizionandosi in un settore che potremmo definire di “nicchia”, dove
c’era sicuramente poca offerta ma (ahimè!) dove anche la domanda
pagante scarseggiava pur essendoci un forte bisogno da parte delle
organizzazioni e degli operatori.
Gli anni iniziali infatti 1999-2002 coincidevano, nel settore delle politiche sociali, con un forte desiderio di professionalità, con le prime sperimentazioni nella programmazione e nella progettazione degli interventi
sociali sulla L.285/97, che prevedevano l’integrazione tra il terzo settore e
gli operatori pubblici, e con le prime esperienze formative più strutturate
su tali tematiche.
Dall’integrazione tra le nostre diverse competenze e approcci iniziamo
le prime attività formative e consulenziali legate ai temi della progettazione, della valutazione e della gestione di interventi sociali. Inoltre in
questa fase iniziale di definizione interna della nostra organizzazione c’è
stato l’incontro con lo Studio APS di Milano che rappresenterà negli anni
un punto di riferimento sia metodologico che formativo.
Una seconda fase tra il 2003 e il 2006 che dal punto di vista interno
potremmo definire di consolidamento delle competenze e del lavoro di
formazione e consulenza, coincide con un momento di grandi entusiasmi nel settore delle politiche sociali legati sostanzialmente a due eventi: da una parte l’applicazione in Campania della L.328/00 con le sue
novità in termini di programmazione delle politiche e di progettazione
degli interventi, dall’altra la programmazione europea 2000-2006 che
dava spazi a interventi di ricerca, di sostegno formativo e consulenziale
a organizzazioni pubbliche e private.
In questo contesto le nostre esperienze consulenziali sono su più fronti:
regionale con sostegni all’implementazione della L.328 prevalentemente in Campania, ma anche in Sicilia, nel Lazio, provinciale e comunale
con l’assistenza ad alcune province e ad alcuni Ambiti territoriali, e con
il terzo settore per quanto riguarda il lavoro formativo.
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E’ anche una fase in cui decidiamo di avvicinarci maggiormente al
terzo settore con un particolare posizionamento nel Consorzio Gesco
relativamente alle nostre competenze di formazione e consulenza organizzativa e con l’inizio di un percorso di integrazione con alcune cooperative che sentiamo più vicine per approccio e formazione, la cooperativa Dedalus in particolare (con la quale si è dato vita a un Gruppo
Paritetico Cooperativo), ma anche altre realtà (Eva, Etica,..)
Negli ultimi tempi di questa fase inizia a farsi sentire una certa stanchezza, un disorientamento legato ad una ambivalenza che viviamo
giorno per giorno: da una parte troviamo continue conferme al nostro
lavoro nelle persone che incontriamo, un riconoscimento della qualità
del nostro approccio, dall’altra facciamo i conti con un fatturato che
non cresce, con un mercato sempre più impenetrabile e quindi facciamo una grande fatica a sopravvivere come organizzazione. Sperimentiamo a nostre spese una enorme difficoltà a far decollare iniziative di
gruppo come il nostro studio, difficoltà legata ad una tipicità del mercato che, soprattutto qui al Sud, privilegia le grandi organizzazioni di
consulenza e formazione che ricorrono poi a singoli professionisti per la
realizzazione delle attività.
Anche nei contesti organizzativi che incrociamo percepiamo un certo
disagio.
Inizia anche a venir meno, in questi anni, la spinta entusiastica legata
alla L. 328/00, si prende progressivamente atto della lentezza e difficoltà
dei cambiamenti organizzativi e istituzionali, cambiamenti che, quando
non accompagnati da azioni di sostegno, generano una sovrapposizione tra vecchi e nuovi sistemi, con tutte le confl ittualità e le complessità
collegate.
“La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non
può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più
svariati” (A. Gramsci, Quaderni dal carcere 3, §34)
E’ proprio in questa fase che nasce l’idea di sostenere questo passaggio dal vecchio al nuovo all’interno, all’interno dei contesti istituzionali,
attraverso percorsi formativi e consulenziale di adattabilità delle com-
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petenze (progetto Equal Itinera e, successivamente, lo Sportello Terzo
Settore del Comune di Napoli)
L’ultima fase è quella degli ultimi tre anni in cui su più fronti e non solo
nel settore delle politiche sociali, sembrano prevalere spinte verso dismissioni, disinvestimenti, a vai livelli, da quello politico- istituzionale a
quello tecnico- gestionale.
Se da una parte, tuttavia, queste spinte producono consistenti fatiche
quotidiane, legate a mancati riconoscimenti del proprio lavoro e a contesti organizzativi sempre più confl ittuali, dall’altra stimolano energie
nuove, fanno circolare pensieri nuovi sul senso e sull’etica del lavoro,
sulla responsabilità, su prospettive diverse.
Ci stiamo confrontando nei contesti organizzativi che incontriamo,
nelle aule formative, negli enti locali con uno smarrimento del senso
del lavoro, con un disorientamento in cui con grande fatica si cerca di
ritrovare una strada.
Questo confronto ci ha portato a interrogarci su come la nostra organizzazione è potuta sopravvivere, su come oggi essa affronta un
momento di crisi che non è solo economica. Oggi proviamo a fare un
punto per condividerlo con voi e per costruire possibili risposte ad interrogativi ancora aperti.
Abbiamo provato a chiederci cosa ci ha tenuto insieme in questi dieci
anni, cosa ha dato un senso al nostro lavoro, cosa ha caratterizzato la
nostra appartenenza:
• Provando a schematizzare è possibile individuare alcuni elementi:
• L’appassionamento al nostro lavoro, che ci spinge a continuare ad
investire in questa organizzazione, pur dovendo mantenere impegni
esterni per sopravvivere economicamente.
• Un’attenzione continua all’elaborazione delle esperienze lavorative
per costruire un sapere collegato ai diversi contesti che incrociamo, in
un processo continuo di ricerca e di apprendimento collettivo.
• Un modello organizzativo in cui sperimentiamo una difficile ma produttiva democraticità delle decisioni ed una flessibilità dei ruoli orga-
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nizzativi che ci permette una crescita professionale orientata alla sperimentazione
• La cura dell’organizzazione, il cercare giorno per giorno di costruire
un luogo e degli spazi dove i problemi organizzativi sono nominati, affrontati, discussi, anche se ciò ha significato vivere momenti di grande
confl itto.
• Una attenzione costante alla dimensione economica e finanziaria
dell’organizzazione, attraverso un controllo continuo ispirato ad una sobrietà gestionale che ha garantito la sopravvivenza dell’impresa in un
mercato come quello sopra descritto.
Restano però le criticità e i punti interrogativi. Come si conciliano gli
elementi positivi appena descritti, con la missione di un’organizzazione
produttiva che non dovrebbe nascere solo in un’ottica di sopravvivenza, ma dovrebbe esistere per dare lavoro ai soci e creare condizioni più
favorevoli di lavoro? Come coniugare l’attenzione organizzativa e l’investimento continuo sulla qualità dei processi e dei prodotti con i disagi
dei singoli nell’affrontare una quotidianità fatta di incertezza e di spinte
necessarie verso l’esterno?
E’ a partire da queste domande e dalle risposte che riusciremo a trovare che ci vogliamo orientare per proseguire il lavoro nei prossimi anni.
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ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
Lo Studio ERRESSE nel 2009 ha compiuto 10 anni. In occasione di questa scadenza abbiamo pensato di condividere con i nostri interlocutori
(clienti, organizzazioni che hanno collaborato con noi, ma anche persone provenienti da realtà produttive, professionali e culturali diverse)
una riflessione sulla ricerca di senso nei contesti lavorativi. Messa così
sembra una proposta un po’ velleitaria e vaga, pertanto in queste poche pagine proveremo a precisare il nostro punto di osservazione.
Le nostre ipotesi scaturiscono sia da una riflessione sulla nostra organizzazione (lo Studio ERRESSE come impresa che offre servizi) sia dalle sollecitazioni che il lavoro di consulenza e formazione ci ha fornito in questi
dieci anni difficili e stimolanti. Nell’incontro con i clienti e con i partecipanti alle nostre attività ci sembrano ricorrere pensieri e stati d’animo
che rimandano alla difficoltà di progettare la propria vita lavorativa, a
vissuti di incertezza, alla perdita di senso, alla demotivazione crescente
(“Cosa ci sto a fare in questa organizzazione se nessuno valorizza e riconosce il mio lavoro?”... “La legge di riforma affermava principi validi, ma
qui la realtà va da un’altra parte, allora a che serve impegnarsi tanto?
... “Qui nessuno se ne frega della qualità del lavoro” … “Tutti dicono
che serve più condivisione e partecipazione, poi decidono sempre gli
stessi”… “Non so più di cosa mi sto occupando, mi sembra di non vedere
mai risultati”…).
Accanto a situazioni attraversate da ansie e disorientamenti diffusi,
abbiamo però incrociato, in questi anni, anche persone e organizzazioni ostinatamente interessate a costruire, a ricercare, a rintracciare nel
proprio lavoro piccoli o grandi frammenti di senso, ad attribuire nuovi
(o vecchi) significati alla propria attività, a riannodare i fi li della propria
identità lavorativa.
Le riflessioni emerse dal decennale lavoro di consulenza, formazione e
ricerca nel settore dei servizi sociali e socio-sanitari, sono state condivise
anche con chi - amici, colleghi, esperti - è impegnato in contesti lavora-
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tivi diversi, ad esempio nel modo delle aziende profit, nella scuola o nel
settore della cultura e della comunicazione: per noi è stimolante il confronto con una platea multi disciplinare e multi settoriale, che vada al
di là del nostro ambito di lavoro specifico. Occupandoci di consulenza
e formazione ci interessa molto verificare le nostre ipotesi, sia in termini
di approfondimento del problema, sia per costruire percorsi, prodotti,
possibili azioni orientate al “prendersi cura” della perdita di senso nei
contesi lavorativi.
Ovviamente la nostra analisi non pretende di individuare in maniera
esaustiva le cause che, nel loro complesso intrecciarsi, sembrano alimentare malesseri diffusi nei diversi luoghi di lavoro. Sarebbe un approfondimento complicato, richiederebbe uno sforzo che probabilmente
non siamo in grado di fare e che forse non ci interessa particolarmente.
Tra l’altro diverse discipline si sono cimentate nell’impresa e hanno prodotto analisi lucide ed interessanti (a cura di economisti, antropologi,
psicoanalisti, psico-sociologi, politologi, storici, ecc.)1. Tanto meno siamo interessati a riflettere in maniera organica sul “senso della vita”. Purtroppo, o per fortuna, non siamo fi losofi…
Quello che ci interessa in questa fase, a partire dalle riflessioni realizzate in questi dieci anni, è chiedersi, insieme ai nostri interlocutori, come
sia possibile “orientarsi nella crisi”, come prendersi cura della “perdita di
senso” nell’agire professionale e operativo dei singoli e delle organizzazioni. A tal fine abbiamo rintracciato tre piste di riflessione, tre sentieri di
ricerca che individuano livelli diversi su cui è possibile sviluppare approfondimenti: il livello del contesto sociale e istituzionale; il livello della vita
all’interno delle singole organizzazioni lavorative; il livello del rapporto
con il proprio oggetto di lavoro.
Alla elaborazione hanno contribuito alcuni compagni di strada che ci
hanno aiutato a precisare le ipotesi e a integrare la riflessione 2 .
1 Si veda la successiva mappa bibliografi ca
2 Il 22 ottobre 2009 è stato realizzato un focus group sul tema che ha previsto la
partecipazione di professionisti provenienti da diversi settori lavorativi
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1. Lavorare nella terra del Gattopardo
Nel nostro Paese, in particolare al Sud, le norme e le leggi che hanno
provato a introdurre profondi cambiamenti nei diversi settori produttivi,
hanno prodotto spesso risultati deludenti. Sembra prevalere una forte
tendenza ad esorcizzare reali e concrete trasformazioni, spesso assunte solo formalmente. Numerose leggi quadro di riforma, a partire dagli
anni ’70 (ad esempio nei servizi sociali e sanitari, nella scuola, nelle università, nel mercato del lavoro) risultano eccellenti sul piano della enunciazione dei principi ideali, ma in realtà hanno prodotto cambiamenti
formali debolmente accompagnati, che non hanno favorito concrete
evoluzioni organizzative e operative. È come se ci fosse una convergenza generalizzata (c’è chi ama dire“di sistema”…), tra il livello istituzionale,
quello organizzativo e quello operativo, convergenza che produce di
fatto cambiamenti lenti o spesso veri e propri trasformismi o immobilismi.
Lo Studio ERRESSE in questi 10 anni di vita si è imbattuto spesso in questo
processo (che potremmo definire “gattopardesco”: tutto cambi perché
nulla cambi…) un processo che, tra cambiamenti formalmente assunti e
pratiche operative impermeabili, rischia di determinare all’interno delle
organizzazioni, soprattutto in quei soggetti autenticamente interessati
e appassionati, perdita di senso, smarrimento, demotivazione e spesso
rinuncia ad investimenti autentici.
È interessante riflettere sui diversi effetti e le diverse scelte che un contesto vischioso e impermeabile produce nelle persone che per loro
natura sono spinte alla costruzione, agli appassionamenti, alla ricerca
di senso. Ci sembra di intravedere almeno tre orientamenti diversi, che
schematicamente segnaliamo:
• Ritiro: è l’orientamento di chi, probabilmente per stanchezza o delusione, “tira i remi in barca”, un sostanziale abbandono di investimenti e
aspirazioni costruttive riguardo al lavoro, un adattamento al corso delle
cose che rende l’attività lavorativa un adempimento dovuto, mentre la
passione, i riconoscimenti, il senso, sono ricercati e coltivati al di fuori del
lavoro (in famiglia, nel tempo libero, nella coltivazione di competenze
artistiche, ecc.)
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• Rifugio in un “cantuccio”: è l’orientamento di chi, disilluso circa la
possibilità di cambiamenti e sviluppi culturali ad ampio raggio, si concentra sulla cura del proprio oggetto di lavoro, si ritaglia uno spazio, più
o meno piccolo, in cui riversare i propri investimenti
• Ostinata costruzione: è l’orientamento di chi, vincendo la rabbia e la
frustrazione, non si sente vittima del contesto ma vede nelle difficoltà,
anche consistenti, occasioni di sfide nuove per costruire legami sociali,
per proporre e riproporre i propri obiettivi, i propri progetti, i propri valori,
anche prendendo in considerazioni quel minimo di compromessi accettabili , compromessi che non pregiudichino la propria ragion d’essere.
Al di là delle predisposizioni dei singoli e delle personali convinzioni, si
può affermare che tutti e tre questi orientamenti contengono elementi interessanti ai fini della nostra riflessione sul senso del lavoro: il primo
atteggiamento (ritiro) ci ricorda che il lavoro è soltanto una parte, per
quanto importante, della nostra esistenza e che è sempre utile e sano
tutelare i confini tra il tempo del lavoro e il tempo del non lavoro, anche nell’epoca della modernità “liquida”, che sembra diluire e sbiadire
tali confini; il secondo atteggiamento (rifugio in un cantuccio) segnala
l’importanza della cura da dedicare al proprio oggetto di lavoro, dei
“ritorni” di senso e di soddisfazione che fornisce la dedizione “artigianale” (su questo tema ci si soffermerà nel terzo paragrafo); l’ultimo orientamento (ostinata costruzione) ci parla di singoli e di organizzazioni che,
in un mercato drasticamente colpito dalla crisi e nello stesso tempo così
refrattario al cambiamento culturale, gestionale e organizzativo, non
rinunciano a promuovere sperimentazioni, a costruire percorsi “sensati”,
a immaginare cambiamenti possibili per ridurre le distanze tra le idealizzazioni dei principi sostenuti dalle norme e le prassi gestionali-operative.
2. L’organizzazione “tra palco e realtà”
Un secondo elemento che sembra generare nei singoli perdita di senso
nel proprio lavoro riguarda la vita delle singole organizzazioni: lo sguardo cioè si sposta dal macro-contesto istituzionale e sociale all’interno
dello specifico contesto di lavoro.
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Oggi è avvertita come sempre più ampia la distanza tra i valori e gli
ideali che i servizi pubblici, le aziende profit, gli organismi non profit dichiarano negli statuti o nei manuali della qualità e le concrete prassi
operative. Appare cioè crescente il divario tra il “codice etico” pubblicamente rappresentato, che disegna organizzazioni perfette, e la realtà quotidiana, caratterizzata da grovigli problematici.
E’ possibile segnalare alcune delle principali contraddizioni 3:
• Le organizzazioni lavorative richiedono ai singoli adesione ai propri
valori, senso di appartenenza, ma non sembrano in grado di offrire in
cambio, visto anche il contesto socio-economico attuale, sufficienti
certezze, opportunità di crescita, remunerazioni (non solo economiche)
soddisfacenti
• Da un lato le organizzazioni promuovono l’autonomia dei singoli, dinamismo, creatività, e richiedono persone flessibili, agili e mobili, capaci di stare dentro la complessità, dall’altro sembrano però mortificare
lo spirito critico e di fatto sembrano richiedere personale prevedibile
e controllabile, irrigidire i ruoli, standardizzare le decisioni, i processi, i
prodotti.
• Da un lato le organizzazioni si dichiarano “democratiche” (l’organizzazione siamo noi”; “la coop sei tu”), promuovono condivisione e cooperazione, dall’altro riproducono processi decisionali calati dall’alto,
basati su posizionamenti di ruolo ecc.
• Da un lato le organizzazioni (pubbliche, private profit, non profit) rappresentano se stesse come luoghi accoglienti, sensibili alle caratteristiche personali, disponibili alla condivisione, dall’altro mortificano la dimensione degli affetti, dell’ascolto, di quelle che un tempo gli psicologi
del lavoro chiamavano, con espressione un po’ ingenua, le “relazioni
umane”
Potremmo dire che la domanda di senso e di costruzione dell’identità
personale che i singoli rivolgono alla propria (o alle proprie) organizza3 Su tali aspetti si vedano anche i saggi di Achille Orsenigo citati in bibliografi a
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zioni lavorative, riceve sempre più spesso risposte spiazzanti, disarmanti,
depressive. Ciò produce crescenti arrabbiature, ritiro, isolamento, confl itti striscianti, frustrazione, oltre ad aumentare i vissuti di stress e stanchezza.
Oggi si parla tanto di qualità dei servizi e qualità dei prodotti e sono
molto diffusi percorsi di certificazione, manuali, procedure standardizzate, ma sempre più spesso si dimentica che c’è un rapporto strettissimo
tra la cura della dimensione organizzativa e la qualità dei prodotti.
Nella esperienza di questi dieci anni abbiamo incrociato spesso nelle
organizzazioni lavorative, specie in quelle di piccole e medie dimensioni
che lavorano con oggetti immateriali (servizi educativi, sociali, sanitari,
del settore cultura) una certa fatica dei singoli a rapportarsi con compiti
e funzioni diversi da quelli immediatamente produttivi, ritenuti spesso
gli unici in grado di “dare un senso”, perché più vicini ai destinatari, più
“concreti”. É come se i singoli dicessero che la “vera” soddisfazione professionale sta, ad esempio, nel fare l’operatore sociale e non il coordinatore del servizio, il medico e non il manager dell’ospedale, l’insegnante
e non il direttore didattico.
Questa riflessione è strettamente collegata alle considerazioni sugli
oggetti di lavoro presentate nel paragrafo successivo; infatti è come se
gli oggetti di lavoro riguardanti gli aspetti gestionali e il funzionamento
dell’organizzazione fossero sfuggenti, meno interessanti in termini di soddisfazione, di riconoscimento, di apprezzamento dei risultati, anche se
magari danno più prestigio in termini di ruolo e di remunerazione economica.
Per certi versi nelle aziende che non lavorano nella produzione di servizi alla persona, ma nella produzione di beni materiali più standardizzati,
in cui non è semplice riconoscere il contributo del singolo lavoratore
alla realizzazione del prodotto (un automobile, un software sofisticato,
ecc) si riescono forse a “vedere” meglio gli oggetti tipici delle funzioni di
coordinamento e gestione (aiutare gli altri a fare bene il proprio lavoro,
sostenere i gruppi di lavoro nel processo produttivo, assumere decisioni
significative).
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In ogni caso la riflessione fin qui elaborata consente di formulare alcune domande sulle quali interrogarsi e sperimentarsi in futuro: come
prendersi cura con più attenzione dell’organizzazione e delle sue contraddizioni, in particolare nella produzione di servizi alla persona? Come
ridefinire la domanda di senso dei singoli in termini più realistici? Come
sostenere i ruoli di responsabilità?
3. L’arte della manutenzione degli oggetti di lavoro
Un terzo elemento riguarda il rapporto tra il singolo e il suo “oggetto”
di lavoro. Sono ormai più di due secoli che l’uomo modernizzato non
ha più il controllo sugli esiti del proprio lavoro, sarebbe perciò ingenuo
e inutile un approccio nostalgico e orientato a una dimensione esclusivamente “artigianale” del lavoro. E sembra anche svanita l’utopia del
lavoro liberato dagli orari fissi, l’esaltazione della flessibilità come possibilità di costruire percorsi lavorativi più creativi e più vicini alle sensibilità
delle persone.
Resta il fatto che, nei contesti lavorativi, uno dei più potenti elementi
di disorientamento e di perdita di senso è proprio la non chiarezza sul
lavoro svolto e sugli obiettivi da raggiungere, la scissione tra mezzi e fini,
la difficoltà a rispecchiarsi nel proprio prodotto.
In alcuni casi, specie quando le organizzazioni sono troppo burocratizzate o al contrario sono precarie e frammentate, gli obiettivi lavorativi
rischiano di essere scissi o confusi, non consentono ai singoli di riconoscersi nei propri prodotti, producendo frustrazione o spaesamento. Il rischio è di scivolare in una mera esecuzione dei compiti, senza interrogarsi sull’impatto che il proprio operato avrà nella realtà e nei contesti.
In altri casi, viceversa, si registra un forte attaccamento delle persone
al proprio oggetto di lavoro e alla propria organizzazione di appartenenza: talvolta si tratta di legami ideologici, che creano dipendenza
da leader carismatici o si assiste a rappresentazioni idealizzate del proprio lavoro:. Spesso in questi casi si passa dal grande entusiasmo iniziale, dalle grandi aspettative di trasformazione della realtà, dalla fiducia
in un approccio di risoluzione immediato dei problemi, alla frustrazione
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dell’incontro/scontro con una complessità difficile da trattare, in cui gli
interventi che si erano pensati sono sovradimensionati o peggio, improduttivi.
In ogni caso, al di là dello specifico contesto organizzativo, la passione per il proprio oggetto di lavoro è senz’altro un grande produttore
di senso. Indipendentemente dai riconoscimenti economici, dall’apprezzamento dei colleghi o dei clienti, l’essere appassionati, motivati,
legati al proprio oggetto, è per molti un elemento essenziale del proprio
percorso lavorativo. Tuttavia se la passione viene scissa da altre dimensioni quali il dovere, la responsabilità, il sacrificio, la disciplina, si riduce
il potenziale di gratificazione e di senso: un musicista arriva a una esecuzione che lo soddisfi anche attraversando durissime sessioni di prove; un
neurochirurgo ottiene risultati brillanti e gratificanti dopo una lunga pratica fatta di studio, esperienza, aggiornamento, ecc; allo stesso modo
il responsabile di un gruppo di lavoro può ricevere gratificazioni consistenti se, alla passione per la cura delle relazioni, unisce competenze,
formazione permanente, rigore4 .
Passione e rigore sembrano dunque elementi chiave, che si infl uenzano reciprocamente; ma il rapporto tra queste due dimensioni va ulteriormente e approfondito. Più in generale è necessario sviluppare riflessioni
e sperimentazioni orientate a favorire ricomposizioni nei contesti lavorativi e a riscoprire una dimensione “artigianale”, che coniughi la passione
con la cura rigorosa e professionale dei propri oggetti di lavoro.
4 A tal proposito, come già accennato nel secondo paragrafo, la superfi cialità con la
quale, in alcuni casi, vengono assunti i ruoli di responsabilità corrisponde ad una tendenza a rappresentarsi le organizzazioni come contesti nei quali possano regnare armonia,
condivisione generalizzata, equilibrio nei rapporti tra le persone. Tale tendenza è, di fatto,
un tentativo più o meno consapevole, per sottrarsi al riconoscimento e alla gestione delle
fi siologiche criticità organizzative (frammentazioni, confl itti, concorrenze interne, esigenze
di maggiore visibilità di alcuni, fragilità di altri, ecc.)
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ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
UNA MAPPA PER ORIENTARSI NELLA CRISI
“… Io non leggo mai. Non leggo libri. Che comincio a leggere mo’ che
sono grande? Perché i libri sono milioni e milioni, non li raggiungo mai,
hai capito? Perché io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere…
Non li raggiungo mai…”.
Massimo Troisi, Le vie del Signore sono finite
“… Ogni lettore, quando legge, è il lettore di se stesso. L’opera è solo
una sorta di strumento ottico che lo scrittore offre al lettore per consentirgli di scoprire ciò che forse, senza il libro, non avrebbe mai visto in se
stesso...”.
Marcel Proust, Il tempo ritrovato
La seguente mappa bibliografica contiene riferimenti, spunti, segnali,
pietre miliari che, come detto un po’ enfaticamente nel titolo, consentono di orientarsi nella crisi culturale ed economica che stiamo attraversando: una crisi che – pur avendo radici antiche – sembra oggi percepita con più nitidezza dai singoli e dalle organizzazioni lavorative.
Qualcuno potrebbe obiettare che questa mappa, più che un aiuto a
orientarsi, è uno strumento per perdersi definitivamente. La proponiamo
lo stesso, perché ci piace pensare che qualcuno possa trovarci un appiglio utile alla propria riflessione o al proprio lavoro, come è capitato
a noi.
Ovviamente il tempo limitato delle nostre giornate non ha permesso
a ciascuno di noi la lettura sistematica e attenta di tutti questi libri (“Io
sono uno a leggere”, direbbe Troisi…), ma ciascuno si è arricchito attraverso la condivisione delle letture degli altri. Questa mappa rappresenta un fi lo rosso che integra gli eclettici e variegati percorsi dei singoli.
Infine, come tutte le mappe, è approssimativa, provvisoria, da perfezionare. Buon viaggio.
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ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
Pensieri sull’epoca …
BECK ULRICH, La società del rischio. Verso una seconda Modernità, Carocci, 2000
CALVINO ITALO, I nostri antenati, Mondadori, 2003
BENASAYAG MIGUEL - SCHMIT GERARD, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2004
BENASAYAG MIGUEL, Contro il niente, Feltrinelli, 2005
ATTALI JAQUES, Breve storia del futuro, Fazi 2007
ARENDT HANNAH, La banalità del male, Feltrinelli, 2001
ROSSI GUIDO - KEYNES JOHN MAYNARD, Possibilità economiche per i
nostri nipoti, Adelphi, 2009
CASSANO FRANCO, Il pensiero meridiano, Laterza, 2007
GALIMBERTI UMBERTO, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica,
Feltrinelli, 2002
SENNET RICHARD, La cultura del nuovo capitalismo, Il Mulino, 2006
SEN AMARTYA KUMAR, Scelta, benessere, equità, Il Mulino, 2006
BAUMAN ZYGMUNT, Modernità liquida, Laterza, 2002
BAUMAN ZYGMUNT, Dentro la globalizzazione, Laterza, 2000
Alla ricerca…
STEVENSON ROBERT LOUIS, L’isola del tesoro, Feltrinelli, 2001
CALVINO ITALO, Lezioni americane. Sei proposte per il nuovo millennio,
Mondadori, 2000
PROUST MARCEL, Alla ricerca del tempo perduto, Mondadori, 2005
PESSOA FERNANDO, Mare Portoghese, Via del Vento, 2007
OLIVETTI MANOUKIAN FRANCA, Presupposti ed esiti della ricerca-azione, in “Spunti” n.° 9, Studio APS, Milano, 2007
BUBER MARTIN, Il cammino dell’Uomo, Marietti, 2000
NAPOLEONI CLAUDIO, Cercate ancora, Editori Riuniti, 1991
Conoscere l’organizzazione…
GARGANI ALDO GIORGIO, L’organizzazione condivisa, Guerini e Associati, 1994.
LO STUDIO ERRESSE IN 10 ANNI 42
ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
BAUMAN ZYGMUNT, Modernità e olocausto, Il Mulino, 1992
CELLI PIER LUIGI, Nascita e morte di una azienda in 42 lettere, Feltrinelli, 2001
MARZANO MICHELA, Estensione del dominio della manipolazione,
Mondadori, 2009
ORSENIGO ACHILLE, Premesse teoriche e scelte operative per una
consulenza psicosociologica, in “Spunti” n.° 10, Studio APS, Milano, 2007
KANEKLIN CESARE-OLIVETTI MANOUKIAN FRANCA, Conoscere l’organizzazione, Carocci, 1990
WEIK KARL, Senso e significato nelle organizzazioni, Cortina, 1997
MINTZBERG HENRY, Management: mito e realtà, Garzanti, 1991
RICCIO ANGELO, Conflitto e identità nei gruppi di lavoro, in “Spunti” n.°
6, Studio APS, Milano, 2002
L’uomo flessibile…
ORSENIGO ACHILLE, La costruzione dell’identità lavorativa in un mondo sollecitato dalla flessibilità, in “Spunti” n.° 6, Studio APS, Milano, 2002
ENRIQUEZ EUGENE, Oltre l’aziendalizzazione della vita lavorativa, in
“Animazione Sociale” n. 1, Torino, 1996.
GALLINO LUCIANO, Il costo umano della flessibilità, Laterza, 2001
SENNET RICHARD, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, 2001
BECK ULRICH, I rischi della libertà, Il Mulino, 2001
L’oggetto di lavoro…
ENDRIZZI SANDRA, Pesci Piccoli, Bollati Boringhieri, 2001
PAVESE CESARE, Lavorare Stanca, Einaudi, 2001
PENNAC DANIEL, La lunga notte del dottor Galvan, Feltrinelli, 2005
PIRSIG ROBERT MAYNARD, Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, Adelphi, 1980
MELVILLE HERMANN, Bartleby lo scrivano, Feltrinelli, 2003
OLIVETTI MANOUKIAN FRANCA, Produrre servizi, Il Mulino, 1998
ORSENIGO ACHILLE, La costruzione dei problemi e gli oggetti di lavoro,
in “Spunti” n.° 2, Studio APS, Milano, 1999
LO STUDIO ERRESSE IN 10 ANNI 43
ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
ARENDT HANNAH, Lavoro, opera, azione. Le forme della vita attiva,
Ombre Corte, 1997
CAMBIARE, PROGETTARE, VALUTARE…
TOMASI DI LAMPEDUSA GIUSEPPE, Il Gattopardo, Feltrinelli, 1959
CASSANI GIORGIO, Le Barcellone perdute di Pepe Carvalho, Unicopli,
2000
AA.VV., La progettazione sociale, Quaderni di animazione sociale,
Gruppo Abele, 1999
LANZARA GIOVAN FRANCESCO, Capacità negativa. Competenza progettuale e modelli di intervento nelle organizzazioni, Il Mulino, 1993
LEONE LILIANA - PREZZA MIRETTA, Costruire e valutare i progetti nel sociale, Franco Angeli, 2000
BRUNOD MARCO, Complessità organizzativa: quali strategie di azione,
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BARUS-MICHEL JAQUELINE, ENRIQUEZ EUGENE, LÉVY ANDRÉ, Dizionario
di psicosociologia, Cortina, 2005
NORMAN RICHARD, La gestione strategica dei servizi, Etas Libri, 1992.
LO STUDIO ERRESSE IN 10 ANNI 44
ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
STRALCI. FRAMMENTI SCELTI A CASO DALLA MAPPA
Mastro Pietrochiodo, il falegname, aveva di molto perfezionato la sua
arte di costruire forche. Ormai erano dei veri capolavori di falegnameria e di meccanica, e non solo le forche, ma anche i cavalletti, gli argani
e gli altri strumenti di tortura con i quali il Visconte Medardo strappava le
confessioni agli accusati. Andavo spesso nella bottega di Pietrochiodo,
perché era molto bello vederlo lavorare con tanta abilità e passione.
Come faccio, pensava Pietrochiodo, a farmi dare da costruire qualcosa di altrettanto ben congegnato ma che abbia uno scopo diverso? E
quali potrebbero essere i nuovi meccanismi che io costruirei più volentieri? Ma non venendo a capo di questi interrogativi cercava di scacciarli dalla mente accanendosi a fare gli impianti più belli e ingegnosi
che poteva.
“Devi dimenticarti lo scopo al quale serviranno, mi diceva Pietrochiodo, guardali solo come meccanismi. Vedi quanto sono belli?”
“Ma come faccio”, dicevo io?
“E come faccio io, ragazzo? Come faccio?”.
Italo Calvino, Il Visconte Dimezzato
(In ospedale)…tutta quella bella gente faceva di tutto per sottrarsi al
lunedì mattina e io come sempre iniettavo, otturavo, cucivo, medicavo… I più ingenui vedevano in me un idealista… Due soldi al mese per
ottanta ore la settimana, a scapito della mia salute, della mia giovinezza, della mia vita privata. La mia famiglia mi trovava esemplare…”il
mago della medicina interna”… Lei mi dirà che è una ambizione più
che onorevole… Beh, si sbaglia, io sognavo una cosa sola. Sognavo il
mio futuro biglietto da visita. Sul serio! Una vera e propria ossessione! Era
questo in fondo il mio grande progetto…
In quella folle notte il paziente continuava a moltiplicare i sintomi come
se fosse indeciso tra tutte le morti possibili… Io non volevo che morisse… Mi sembrava che a vegliare il paziente l’avrei tenuto in vita… Ero
lo sguardo del bambino che crede di poter impedire alla candela di
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ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
spegnersi… Pensavo solo a questo, rimani vivo, rimani qui… Avevo reso
le armi, avevo strappato il mio biglietto da visita. In una notte ero diventato medico!
Daniel Pennac, La lunga notte del Dottor Galvan
Gli artigiani tengono al loro lavoro, hanno pazienza, mettono attenzione in ciò che fanno, ma soprattutto posseggono una sorta di pace
mentale interiore non indotta, ma derivata da una sorta di armonia con
il lavoro, in cui non c’è né chi dirige né chi esegue. Il materiale e i pensieri dell’artigiano cambiano in sintonia, in una progressione di mutamenti
fluidi e regolari e la mente riposa nel momento stesso in cui il materiale è
a posto… Un meccanico è coinvolto, e ciò che produce questo coinvolgimento è l’assenza di ogni percezione di separazione tra soggetto ed
oggetto, un senso di identificazione con quello che fa.
Robert Maynard Pirsig,
Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta
Se l’uomo perde l’idea del percorso perde tutto…
… Rifiutare lo sforzo significa evitare la vita…. L’intenzionalità di ogni essere vivente è di sviluppare la propria vita. Questa tendenza non implica
alcuna teleologia, è lo sforzo di ogni essere a continuare ad essere. La
vita vuole la vita…
La fatica è simmetrica alla felicità nel nostro mondo. Mi può piacere
essere felice ma se oriento la mia vita soltanto in funzione della mia felicità, trovo il suo contrario.
Miguel Benasayag, Contro il niente
... Si può dire che nelle società industriali è in corso una transizione da
un sistema uniforme di lavoro ad un sistema rischioso di sottoccupazione flessibile, pluralizzata, che tuttavia forse non conoscerà il problema
della disoccupazione (nel senso della mancanza di reddito)… Come nel
XIX secolo, anche questo sviluppo si presenta fondamentalmente come
Giano bifronte. Progresso ed immiserimento si compenetrano recipro-
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ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
camente in un nuovo modo. I lavoratori scambiano una parte di libertà
dal lavoro con nuovi tipi di costrizione ed insicurezza materiale. La disoccupazione scompare, ma poi riappare in nuove forme di sottoccupazione generalizzata e carica di rischi.
Ulrich Beck, La società del rischio
Dobbiamo tornare a porre i fini davanti ai mezzi, e ad anteporre il buono all’utile. Dobbiamo onorare chi può insegnarci a cogliere meglio
l’ora e il giorno, quelle deliziose persone capaci di apprezzare le cose
fino in fondo, i gigli del campo che non lavorano e non filano.
Ma attenzione, il tempo non è ancora venuto. Per almeno un centinaio
di anni dovremmo fingere con noi stessi che il bene è il male e il male è il
bene, perché il male è utile e il bene no. Per un altro po’, i nostri dei continueranno a essere gli stessi (il denaro e l’accumulazione di capitale) in
attesa di liberarci dalle necessità.
John Maynard Keynes, Possibilità economiche per i nostri nipoti
Il termine “abilità” è perlopiù impiegato in riferimento ai lavoratori manuali e indica la ricerca della qualità, ad esempio nel costruire un violino, un orologio, un vaso.
Esiste anche l’abilità intellettuale, ad esempio la capacità di scrivere in
modo chiaro; l’abilità sociale, ecc…
Una definizione esaustiva potrebbe essere questa: fare bene una cosa
per se stessa.
Intesa in questo senso l’abilità artigianale non si trova a suo agio nelle
istituzioni del capitalismo flessibile. (Infatti) le organizzazioni basate su
transazioni a breve termine e su compiti che cambiano costantemente,
non favoriscono affatto questo ethos del lavoro.
Possono addirittura temerlo.
Chi si radica in una attività per riuscire a svolgerla meglio, può sembrare agli altri “incagliato”, nel senso di fissato su una sola cosa…Ma occorre del tempo per consolidare le proprie capacità in qualsiasi ambito.
Il consolidamento delle capacità mediante la pratica è in contrasto
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ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
con gli obiettivi delle istituzioni, che dai loro dipendenti si attendono che
sappiano fare molte cose diverse in rapida successione…
Richard Sennet, La cultura del nuovo capitalismo
(Per conoscere un’organizzazione)…indubbiamente ha un peso importante la dimensione dell’architettura organizzativa, del disegno formale, sia dei processi produttivi che degli organigrammi. Questi però
non sono sufficienti a descrivere i reali processi lavorativi, l’intrecciarsi
delle relazioni, le comunicazioni, la dinamicità delle situazioni e la loro
ridotta prevedibilità.
… Pensare un contesto di lavoro senza le specifiche persone che lo
compongono è un’astrazione, così come il pensare a individui al lavoro senza organizzazione. Una scuola materna ha certo un suo disegno
formale, ma la scuola materna “Pinocchio” muta sostanzialmente se
mutano tutti gli individui che con essa hanno legami. È, quindi, la relazione individui/organizzazione un elemento cruciale d’attenzione per
comprendere l’organizzazione…
… Le organizzazioni sono sistemi che hanno anche a che fare con la
produzione di senso. Si tratta, in effetti, di luoghi che possono contribuire
a dare senso alle nostre azioni, ai nostri investimenti, alle priorità della
vita, addirittura alla vita stessa. Il rinunciare a stare davanti alla televisione, oppure a giocare con i figli, l’investire tempo, energie, passioni
sul lavoro, sono scelte che rimandano al senso che hanno o diamo a
queste azioni.
Achille Orsenigo, Spunti n.° 10
Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi
sono spiegato?
… Molte cose sarebbero avvenute, ma tutto sarebbe stato una commedia, una rumorosa, romantica commedia con qualche macchia di
sangue sulla veste buffonesca. Questo era il paese degli accomodamenti…
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo
LO STUDIO ERRESSE IN 10 ANNI 48
ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
… Ogni gruppo di lavoro si deve costantemente confrontare, nella sua
vita lavorativa, con due questioni: le relazioni in gruppo e l’oggetto di
lavoro. La compresenza di questi due poli è ineludibile, è un dato strutturale, in quanto i gruppi di lavoro si costruiscono e si sviluppano nell’ambito di un contesto organizzativo e sociale per la realizzazione di obiettivi
e di compiti lavorativi. Non è raro che in alcune équipes si verifichi il
prevalere di una delle due dimensioni sull’altra: l’esclusiva attenzione
e investimento sulle relazioni di gruppo e sulla sua coesione, a scapito
delle attività professionali e del progetto di lavoro, o viceversa.
Angelo Riccio, Confl itto e identità nei gruppi di lavoro
L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di
nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi.
Marcel Proust, All’ombra delle fanciulle in fiore
MARE PORTOGHESE
O mare salato, quanto del tuo sale
sono lacrime del Portogallo!
Per solcarti, quante madri piansero,
quanti figli invano pregarono!
Quante promesse spose restarono promesse,
perché tu fossi nostro, o mare!
Ne valse la pena? Tutto vale la pena
se l’anima non è piccina.
Chi vuole andare oltre Capo Bojador
deve passare oltre il dolore.
Dio diede al mare pericolo e abisso,
ma è nel mare che rispecchiò il cielo.
Fernando Pessoa, Mare del Portogallo
… Nel momento in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla
pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio.
Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale…
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ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
… Esiste una leggerezza della “pensosità”, così come esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la
frivolezza come pesante e opaca…
Quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte,
come un cimitero d’automobili arrugginite.
Italo Calvino, Lezioni Americane
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