1 FILANGIERI E IL DIRITTO DELL`UOMO ALLA RICERCA DELLA

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1 FILANGIERI E IL DIRITTO DELL`UOMO ALLA RICERCA DELLA
FILANGIERI E IL DIRITTO DELL'UOMO ALLA RICERCA DELLA FELICITA'
(in occasione del convegno a Cava dei Tirreni, 15-17 maggio 2008)
Un incontro dedicato a Gaetano Filangieri e al diritto alla ricerca della felicità è certamente
l’iniziativa più indovinata e opportuna in questo momento storico e culturale. Per varie ragioni:
anzitutto perché la figura di Filangieri è tornata al centro, negli ultimi anni, di una serie di studi e di
ricerche hanno portato a realizzare libri importanti, destinati a rimanere nel tempo: mi riferisco
all’opera di Vincenzo Ferrone su La società giusta ed e equa. Repubblicanesimo e diritti dell’uomo
in Gaetano Filangieri (Roma-Bari 2003), alla biografia di Francesco Berti intitolata La ragione
prudente. Gaetano Filangieri e la religione delle riforme (Firenze 2003), al volume da me curato su
Diritti e costituzione. L’opera di Gaetano Filangieri e la sua fortuna europea (Bologna 2005), fino
al più recente saggio di Gaetano Pecora su Il pensiero politico di Gaetano Filangieri. Una analisi
critica (Soveria Monnelli, 2008), senza dimenticare l’edizione critica in sette volumi della Scienza
della legislazione apparsa a Venezia nel 2003-2004.
La figura di Gaetano Filangieri si staglia così in maniera nitida e decisa nel panorama
italiano e internazionale, rivaleggiando con quelle di un Beccaria e di un Verri ma anche con quelle
di un Benjamin Franklin o di un Goethe, che peraltro – come molti sanno – furono suoi ammiratori
entusiasti. Possiamo anzi affermare, senza timori ed esitazioni, che si è aperta una nuova stagione di
ricerche e di riflessioni sul significato europeo e internazionale del pensiero filangieriano: se ne
ricercano le tracce e gli esiti in Spagna come in Germania, in Russia e in Inghilterra. Filangieri è
stato scoperto, anzi ri-scoperto, nell’America latina, un continente che è costantemente alla ricerca
delle sue origini e identità culturali. La Scienza della legislazione è stata tradotta e pubblicata pochi
anni or sono dal Parlamento del Messico, come contributo alle discussioni sulla riforma
costituzionale; Filangieri è stato poi individuato come uno dei maestri ed ispiratori di un
personaggio quale Simon Bolivar e molti convegni su questi aspetti si sono svolti a Parigi, a Buenos
Aires e nella regione del Rio de la Plata.
Sull’altro versante si pone il tema della ricerca della felicità e delle sue relazioni con i diritti
dell’uomo. La questione del diritto alla felicità è estremamente attuale, come sa chiunque presta
orecchio ai mezzi di comunicazione, ai sentimenti dell’opinione pubblica, alle istanze del mondo
economico. Il sito internet della European School of Economics si apre con la frase «Soltanto un
uomo felice può cambiare l’economia» e non a caso cita poi, al suo interno anche Franklin e
Filangieri. E non si riferisce solo alle scienze economiche in senso stretto, ma anche a problemi di
carattere più generale come quello della partecipazione dei cittadini alla politica, del miglioramento
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del vivere sociale, della possibilità di vivere bene e più a lungo, come molte scoperte mediche ci
promettono. Molti sostengono, oggi come nel passato, che il vero scopo della politica deve essere il
piacere e la soddisfazione degli uomini, garantito proprio da una società giusta ed equa, come quella
profetizzata da Filangieri, che deve impegnarsi a trattare in modo imparziale ogni persona nelle
questioni che riguardano la sua felicità.
Manca ancora, invece, una riflessione sul rapporto tra Filangieri e il diritto alla felicità, e
qui sta il merito dell’incontro organizzato a Cava dei Tirreni. Proprio recentemente, pubblicando
per l’Editore Laterza un mio saggio su Il diritto alla felicità. Storia di un’idea (Roma-Bari 2008)
ero costretto a rendermene conto. In tutte le storie della felicità, vista come un processo di
emancipazione dell’uomo, come la creazione di uno spazio di libertà che è anche di pensiero e di
riflessione, il nome di Filangieri rimane assente. Eppure Filangieri, come ho scritto nel saggio
appena citato, fu uno degli ingegni più precoci a riflettere, nel contesto italiano e meridionale sul
rapporto tra felicità, morale ed emancipazione dell’uomo. Nella Napoli di Antonio Genovesi,
questo giovane scrittore che si sta affacciando alla vita pubblica, cadetto di un’antica e nobile
famiglia, che aveva per zio il vescovo di Palermo, viveva tuttavia con profonda insofferenza il
clima feudale che lo circondava, dove la libertà veniva oppressa e trionfavano i privilegi. Non
ancora ventenne Filangieri era stato preso sotto l’ala protettiva di Isidoro Bianchi, letterato ed
editore di fama, autore di alcune Meditazioni su vari punti di felicità pubblica e privata, che lo
incoraggiò a scrivere nel 1779 le sue prime riflessioni sul tema della felicità, in un saggio che
Filangieri volle intitolare La morale pubblica. Il testo è perduto ma ce ne rimangono le linee
essenziali: «siccome lo scopo della morale è la felicità – sono le parole di Filangieri - quello della
morale pubblica sarà la pubblica felicità. In ogni Nazione bisogna cercare i mezzi per ottenerla,
così nell’interno, come nell’esterno di essa. […] L’interna felicità di una Nazione non può essere
che l’effetto di una buona legislazione. Io darò dunque nella prima parte tutte le regole per formare
una legislazione adattabile ai nostri tempi e perfetta in tutte le sue parti». Un anno dopo, nel 1780,
Filangieri pubblicava il primo volume della sua più importante e ultima opera, rimasta interrotta
dalla sua prematura morte: la Scienza della legislazione. Felicità, uguaglianza, libertà,
repubblicanesimo e diritti dell’uomo venivano riletti attraverso l’entusiasmo per l’esperimento
politico che si stava realizzando nel continente americano: «In un angolo dell’America, presso un
popolo libero e commerciante, figlio dell’Europa, ma che l’oppressione ha reso inimico della sua
madre; presso questo popolo, io dico, s’innalza una voce che ci dice: “Europei, se per servirvi noi
siamo venuti nel Nuovo Mondo, sappiate che oggi le nostre ricchezze, e la cognizione di quelle
che possiamo acquistare, non soffrono più una servitù oltraggiosa, che può essere permutata con
una specie di libertà che non tarderà molto a metterci nello stato di darvi la legge e che vi farà un
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giorno pentire di essere stati gli artefici delle vostre catene”». Il giovane autore riusciva così a
sottrarre definitivamente il discorso sulla felicità dagli antichi condizionamenti etici e filosofici e
per inserirlo, con straordinario vigore, all’interno di un ragionamento tutto politico che consolidava
la costruzione della modernità: «La scena si è mutata» - scriveva infatti - «ed i prìncipi han
cominciato a conoscere che la vita e la tranquillità degli uomini merita maggior rispetto; che c’è un
altro mezzo, indipendente dalla forza e dalle armi, per giungere alla grandezza; che le buone leggi
sono l’unico sostegno della felicità nazionale; che la bontà delle leggi è inseparabile
dall’uniformità; e che questa uniformità non si può ritrovare in una legislazione fatta tra lo spazio
di ventidue secoli».
Bisognava quindi eliminare le vestigia del feudalesimo, avviare un progetto di emancipazione
dell’uomo e della società con lo stesso coraggio dimostrato dagli americani, eliminando quanto di
antico ancora si opponeva alla rigenerazione dell’individuo: «tolti adunque tutti questi ostacoli,
altro non ci resta che intraprendere la riforma della legislazione. Pare che questa sia l’ultima mano
che resta a dare per compiere l’opera della felicità degli uomini; e pare che la situazione stessa
delle cose l’abbia preparata. […] L’Europa divenuta per undici secoli il teatro della guerra e della
discordia, l’Europa schiacciata […] dalle dispute religiose che hanno alterata la morale e
perpetuata l’ignoranza; oppressa finalmente dalla tirannia di tanti piccioli despoti, coperta di
fanatici e di guerrieri ed accesa in ogni parte dal fuoco distruttore de’ partiti, oggi è divenuta la
sede della tranquillità e della ragione».
Le leggi, e non altro, devono condurre gli uomini alla felicità, spiegava Filangieri, e le leggi
sono fatte dagli uomini e per gli uomini. Occorre dunque formare il legislatore, preparare buone
leggi ed educare il cittadino a riconoscerle e a rispettarle; solo così potremo capire cosa significano
parole come democrazia, uguaglianza, sovranità del popolo e solo in questo modo possiamo
costruire la vera felicità. «Un istante felice, una vittoria d’un giorno» - osservava Filangieri - «può
compensare le sconfitte di più anni, ma un errore politico, un errore di legislazione può produrre
l’infelicità d’un secolo e può preparare quella de’ secoli avvenire».
Parole che suonano quasi profetiche, e che mostrano in maniera chiara come il diritto alla
ricerca della felicità da questo momento della cultura europea è più un oggetto provvidenzialmente
sottratto alla disponibilità della persona, né la mèta immaginaria di un’affannosa corsa senza fine.
La ricerca felicità, intesa come la possibilità di costruire un mondo migliore, è diventata invece un
diritto dell’uomo, inserita a pieno titolo nella vicenda del costituzionalismo moderno.
Antonio Trampus
Università Ca’ Foscari di Venezia
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