Piano Terra Sradicati da ri-appassionare. Tra gli studenti universitari

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Piano Terra Sradicati da ri-appassionare. Tra gli studenti universitari
Piano Terra
Sradicati da ri-appassionare. Tra gli studenti
universitari sono sempre meno quelli che hanno
un nonno contadino, che conoscono e sanno
riconoscere l’importanza del suolo. Che ci nutre
di Paolo Pileri
“Quanti di voi hanno un nonno contadino?” chiedo ai miei studenti a inizio corso. Quest’anno hanno alzato la mano in tre
su quaranta: ogni volta, sono di meno, ed è sempre più vicino il pericoloso break point, il momento in cui nella memoria
dei nostri ragazzi non vi sarà il ricordo di qualcuno, un nonno o una zia, che ha passato loro quel misto di bello e sacro
che è il senso della terra.
La narrazione sul suolo sta uscendo dal perimetro familiare, e i giovani crescono con disinvoltura senza esperienza di
terra e a colpi di centri commerciali destagionalizzati. Molti
di loro faticheranno sempre più a riconoscere nei contadini che resistono delle figure positive, né si faranno cogliere
dal dubbio davanti alla proposta dell’ennesima tangenziale
che spalma asfalto sui campi. Per qualcuno questo divenire
delle cose potrà sembrare eccessivo o catastrofico, invece io
dico che è una minaccia attuale a cui dobbiamo pensare. La
generazione precedente, quella che conquistò il “benessere”
abitando sempre più le pianure -tra gli anni ’60 e ’70- si affrancò dalla fatica della terra, ma la terra l’aveva conosciuta:
un certo numero tra loro è lì ancora a difenderla. La generazione attuale, e ancor più quella in arrivo, sono invece culturalmente più sradicate dalla terra, non avendo inciampato
in una narrazione che abbia mobilitato in loro passione culturale. C’è il rischio che fra pochi anni tecnici, politici, insegnanti e cittadini, chiamati a partecipare alla vita delle loro
comunità, vuoi per votare o per esprimersi sulle scelte di un
piano o per accettare un progetto, saranno meno sensibili
e meno capaci di opporre argomenti “salva-suolo”, perché
semplicemente non se li porranno o non li avranno o, se li
avranno, saranno deboli e discutibili. Già ora i nostri candidati romani e milanesi non hanno l’ossessione del suolo
e del paesaggio e i giovani non gli chiedono di averla. Che
fare? L’antidoto più a portata di mano per opporsi a questo
smarrimento culturale è la scuola, luogo di resistenza etico
per eccellenza (Massimo Recalcati), dove si entra bambini e
si esce cittadini (Piero Calamandrei). La scuola deve intuire
che questa sfida l’attende e prepararsi. Oggi il suolo è solo
una piccola parentesi del programma di scienze, sempre
che rimanga tempo dopo il Tyrannosaurus rex. Raramente la
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Altreconomia
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Questa è la stima del numero di cittadini a cui, ogni anno, i
suoli agrari italiani non sono potenzialmente più in grado di
dare cibo, a causa della loro cementificazione. È una città
come Pescara che sparisce ogni anno. Se siamo meno capaci
di produrre cibo, dobbiamo sottrarlo ad altri, generalmente
più poveri e disagiati, affamandoli. E questo non genera più
pace nel mondo.
narrazione scolastica buca la barriera dell’anaffettiva descrizione per diventare qualcosa che mobilita e appassiona gli
studenti a diventare cultori della cura dei suoli per il domani.
Anche nelle università si spiega poco o nulla cosa è il suolo:
per ingegneri, architetti, urbanisti, giuristi ed economisti il
suolo è più o meno una superficie su cui appoggiare un edificio o una strada, o una merce da vendere e mettere a bilancio, o un comma di legge o un bene da testamento. Invece il
suolo ha bisogno di cittadinanza nelle nostre scuole. Mi appello allora a maestri e professori: generate percorsi narrativi, belli, che producano non solo conoscenza, ma consapevolezza e coscienza; affascinate e mobilitate i nostri ragazzi
a riconoscere la terra come risorsa bella, viva, non rinnovabile, scarsa e non esclusiva; fate capire che quel che vedono,
il loro Paese, affonda le radici nel suolo. Prendersene cura
deve diventare “cool”. Deve radicarsi in ognuno l’idea che
“noi poggiamo i piedi sul suolo, non sulla Terra” (Ivan Illich):
degradarlo e consumarlo deve divenire un tabù. Una pedagogia del suolo è il miglior antidoto culturale per generare
cittadini e società migliori, più giuste e resilienti. Agli insegnanti consiglio, per iniziare, www.soils4teachers.org.
Paolo Pileri è professore associato di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è
“Che cosa c’è sotto” (Altreconomia, 2016)