5 6 • rassegna n. 13 luglio 2002
Transcript
5 6 • rassegna n. 13 luglio 2002
56 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002 CUNEO, LA CITTÀ DOVE SI VUOLE TORNARE DI MARCO BOSONETTO “L’amore per una città può scattare proprio al momento del commiato. Allora ci assale un istante di angoscia e di disorientamento, ci stampiamo nella retina la città casa per casa, ci ripetiamo che sarà lì ad accoglierci in qualsiasi momento e capiamo di essercene innamorati all’ultimo sguardo”. Marco Bosonetto, giovane affermato scrittore, e Oliver Migliore sono autori, rispettivamente per i testi e le fotografie, del volume “Cuneo strade facce monumenti e cieli della città triangolare” (Blu Edizioni, 2001). Nessuno più di chi si è allontanato avverte il fascino di Cuneo e ne prova nostalgia. Rassegna ha chiesto a Marco Bosonetto di raccontare la “sua” città. 57 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002 Una delle tante intuizioni illuminanti di Charles Baudelaire sulla vita moderna è l’idea di “amore all’ultimo sguardo”. Il poeta francese si riferisce a fugaci scontri d’occhi tra particelle di folle metropolitane, quando l’ultimo sguardo spesso è anche il primo. Ma proviamo ad applicare questa suggestione all’incontro fra persone e città. Quando le città si chiamano Roma, Venezia, Firenze... il colpo di fulmine è pressoché la norma. Nel caso di centri più piccoli, con un patrimonio storico e artistico meno sontuoso, invece, l’amore può scattare proprio “all’ultimo sguardo”, al momento del commiato. Può scattare, per esempio, quando carichiamo in macchina le ultime suppellettili, qualche pianta delicata che abbiamo preferito non affidare al camion dei traslocatori, chiudiamo definitivamente una casa e lasciamo la città dove siamo nati per un’altra neanche troppo distante, ma sentendoci già un pochino emigranti. Se la città è Cuneo, imbocchiamo quasi sicuramente un ponte altissimo e, anche se non ci voltiamo, sappiamo a memoria il profilo che si staglia alle nostre spalle e all’improvviso ci viene il sospetto che i campanili che spuntano oltre i tetti, cui s’aggiunge l’incomprensibile faro piantato davanti alla stazione, siano in realtà alberi da veliero, che la città triangolare possa decidere mentre non ci siamo di issare le vele e abbandonare il suo ancoraggio tra Gesso e Stura, al riparo delle scogliere alpine della Bisalta, dell’Argentera, del Monviso, per navigare chissà dove. Allora ci assale un istante di angoscia e di disorientamento, fermiamo la macchina appena passato il ponte, ci stampiamo sulla retina la nostra città casa per casa, ci ripetiamo che sarà lì ad accoglierci in qualsiasi momento e capiamo di essercene innamorati “all’ultimo sguardo”. Dopodiché ripartiamo con l’impressione che persino le piante che abbiamo preferito non affidare al camion dei traslocatori ci rimproverino: “E aprire gli occhi prima?” A nostra discolpa va detto che Cuneo ama la dissimulazione, non si mette in mostra, si fa scoprire pian piano. Persino l’immensa piazza Galimberti sembra fatta più per accogliere il cielo e lasciar apparire le montagne a sudovest, per schiudere la città al paesaggio, che non per imporre la propria monumentalità. Pensare che il sindaco Carlo Brunet la voleva 58 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002 ancora più grande, dopo essere già riuscito a farla “sforare” rispetto al progetto originale approfittando della costruzione del tribunale (quinto fabbricato della piazza in ordine di tempo, inaugurato nel 1866), il quale crebbe “seppure in armonia coi palazzi precedenti, più lungo, e più elevato; tale da rendere inevitabile, per inesorabili leggi di simmetria, la costruzione sullo stesso lato di un terzo palazzo, per modo che quello di Giustizia risultasse non più d’angolo, ma centrale” (Camillo Fresia, Vecchia Cuneo. Miscellanea cronistorica, Bertello, Cuneo 1943). In piazza Galimberti si è nel cuore della città, circondati da eleganti arcate ottocentesche, eppure esposti al vento, al sole, all’aria salmastra che a volte sembra di sentir spirare dalla Costa Azzurra o a quella gelida delle creste innevate. Inoltre, ogni martedì, come se fosse sempre Carnevale, la piazza si traveste da bazar, si trasforma in tendopoli di commercianti, dilaga verso la punta del Cuneo tracimando in via Roma, antica sede del mercato prima che Napoleone facesse abbattere le mura consentendo alla città di espandersi verso sud. Ogni martedì gli austeri palazzi piemontesi si librano su una distesa di tendoni variopinti e sul viavai degli scambi, sui traffici di chi approda a Cuneo dalla campagna per vendere le patate dell’orto o dall’Asia per smerciare giocattoli di plastica made in China. In piazza Galimberti si è inoltre nel cuore della storia recente non solo cuneese, ma italiana. È dal balcone della casa di famiglia affacciata sull’allora piazza Vittorio Emanuele II che il 26 luglio 1943 Duccio Galimberti, figlio del senatore del regno Tancredi Galimberti, liberale convertito al fascismo, lanciò il primo appello pubblico all’insurrezione contro la dittatura e i suoi alleati tedeschi, anticipando di un mese e mezzo l’Armistizio con gli anglo-americani. L’appello di Galimberti segnò l’inizio di uno dei momenti più drammatici ma anche più esaltanti nella storia della città e delle sue vallate, culminato con la cacciata dei nazi-fascisti il 28 aprile 1945, dopo tre giorni di cruenta battaglia, e con la medaglia d’oro per la Resistenza. A lato: Cuneo, vedute del Municipio e di via Roma con il campanile di città. Sotto: James Basire, Cuneo, incisione su rame tratta da Atlas to Accompany Rapin’s History of England di Paul de Rapin-Thoyras, Londra 1784 (Cuneo, collezione privata). 59 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002 La piazza funge anche da spartiacque nella storia architettonica della città: semplificando, a sud il Novecento e a nord tutto il resto, dalla fondazione (1198) al 1801, anno in cui terminò l’abbattimento delle mura. Della città medievale sopravvivono il tracciato viario a scacchiera sghemba e monconi sparsi (torri, colonne, archetti, incisioni, capitelli...), oltre a vestigia imponenti come la chiesa conventuale di San Francesco, ora annessa al Museo Civico, mentre l’aspetto d’insieme dell’edilizia sia civile sia religiosa del centro storico è essenzialmente barocco. Via Roma collega piazza Galimberti con la punta del Cuneo e sembra la Main Street di un villaggio del West, con tutte le principali istituzioni cittadine allineate una dietro l’altra: il Duomo, il Municipio con l’antistante Torre Civica del 1317, il Vescovado e la Prefettura, senza dimenticare alcuni pregevoli restauri, come quelli della sede della Banca Regionale Europea e di Palazzo Lovera (trasformato in hotel), e un piccolo scempio come il centro commerciale Upim. I portici nani di via Roma richiamano, in mancanza della cinta muraria, l’epoca in cui Cuneo era una città-fortezza destinata ad attutire l’urto degli eserciti che scavalcavano le Alpi per invadere il Ducato di Savoia. Destino non troppo allegro, visto che alla carducciana “possente e paziente” toccò sopportare almeno nove assedi, durati alcuni pochi giorni e altri mesi interi: allora i portici diventavano camminamenti protetti e si riempivano di soldati e masserizie. La fama dell’imprendibilità della piazzaforte sabauda arrivava sotto forma leggendaria fino in Spagna, come sappiamo da Giuseppe Baretti, economo delle fortificazioni nel 1743-44, che, scrivendo ai fratelli da Talavera de la Reina il 1° ottobre 1760, racconta di aver incontrato un “bugiardo caporale, che pretendeva di essere stato all’assedio di Cuneo [...]. 60 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002 A sentir colui, la città di Cuneo nel tempo di quell’assedio [1744] non aveva quelle mura di fascinate che aveva, e non era una città come è di fatto, ma sibbene un castello con sette muri che l’intorniavano come sette cerchi, sicché, preso il primo, non s’era fatta che la settima parte della bisogna dagli assediatori spagnuoli. All’altre sei mura ti voglio! aquel maldito castillo es sin duda mas grande y mas fuerte del tan nombrado Castillo de Milan. Il buon caporale ebbe a far piangere i suoi camerati e me, descrivendo i gran patimenti che aveva sofferti in quell’assedio insieme coll’Infante don Filippo. Basta dire che le bombe cascavano nel campo spagnuolo del castillo, del exercito savoyano, y de muchas otras partes; y despues los pobres soldados no tenian que comer, si no la nieve de aquellas malditas sierras che llaman los Apeninos. Potete pensare, fratelli, con che gusto ascoltavo tutto quello strano avviluppamento di bugie fatto dalla pazza e veloce fantasia del señor Capo squadra, il quale mi credeva un Milorde ingles, e che non si sarebbe mai sognato di parlar con uno che passò due anni e più sulle fortificazioni di Cuneo. Non si può dire sino a qual segno vada l’attività d’un soldato quando comincia a snocciolar bugie! Trovai il carattere di colui così bello e così comico, che non giudicai a proposito di guastarlo, come avrei fatto se gli avessi anche leggermente accennata la conoscenza che ho di Cuneo, o datogli il menomo indizio d’incredulità, facendo qualche critico commento alle sue poetiche descrizioni” (Giuseppe Baretti, Scritti, a cura di Ettore Bonora, Einaudi, Torino 1976). Volendo trarre da queste righe un suggerimento sulla ragion d’essere dei cuneesi nel grande schema dell’universo (in realtà Giuseppe Baretti era torinese, ma pazienza), potremmo dire che la loro missione consiste nel ridimensionare i millantatori, seppure al prezzo di sminuire un po’ se stessi, di farlo con discrezione, stando attenti a non infierire, e di trovarsi dove il millantatore meno se lo aspetta, per esempio a Talavera de la Reina quando un caporale ha voglia di sbruffoneggiare sulle proprie imprese guerresche. Tra i miei amici delle superiori, c’è chi sta svolgendo questo importante incarico a New York, chi a Santo Domingo, chi a Bruxelles, chi a Kishinev (Moldavia), chi a Zhanjiang (Cina meridionale) e chi si è spinto addirittura fino a Piacenza, come il sottoscritto. Se a trascinarci altrove è stato anche il desiderio di evadere da una realtà per certi versi periferica che ci divertiamo a prendere in giro fra noi (via e-mail, viste le distanze), è altrettanto vero che preferiamo che gli estranei si astengano dal parlar male della nostra città. E lo preferiamo con la cocciutaggine del Bartleby melvilliano, capace di forgiare il suo “prefirirei di no” in corazza esistenziale. Se un newyorchese osa criticare gli alberi del viale degli Angeli (può sembrare improbabile, ma capita), proviamo l’impulso irresistibile a coprire di cemento il Central Park; se un parigino contesta l’ineleganza oltremodo fallica del faro della stazione, ci viene subito voglia di smontare la Tour Eiffel bullone per bullone; se dei torinesi si ostinano a chiamare il viadotto Soleri “Ponte dei suicidi”, immaginiamo immediatamente di trasformare la loro piazza Vittorio Veneto in un parcheggio (dimenticavo, l’hanno già fatto da soli). Quanto agli aneddoti sulla presunta dabbenaggine dei cuneesi, ormai non più così proverbiale come nel 1920, Sopra, dall’alto: la Chiesa di Sant’Ambrogio; il campanile del Duomo. A sinistra: il campanile di città 61 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002 quando trovava spazio addirittura su un vocabolario italiano-tedesco (Cuneo = Schilda, la supposta patria dei tontoloni germanici), alcuni dimostrano esattamente il contrario, vale a dire che la città triangolare ospita menti superiori. Dopo l’acquisizione da parte del Comune dell’ex collegio dei gesuiti, nel 1775, per farne la nuova sede del Municipio, la giunta si sarebbe accorta che tutte le finestre della facciata erano murate, forse per favorire lo studio e la meditazione; per sopperire alla mancanza di luce, il sindaco avrebbe ordinato ai suoi collaboratori di precipitarsi in strada a riempire di sole dei sacchi belli spessi, per correre subito dopo all’interno a liberare i raggi catturati squarciando le tenebre del palazzo. Se anche fosse vera, una storia del genere non farebbe che aumentare la mia ammirazione per gli illustri amministratori settecenteschi, capaci di superare d’un balzo gli ostacoli del senso comune e dell’ovvietà. 62 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002 Un altro aneddoto famoso, invece, dipinge le autorità cittadine come nient’affatto politicamente corrette. In occasione di una visita del re, infatti, il Comune avrebbe segregato nelle cantine di via Roma i gozzuti, a quanto pare piuttosto numerosi in città, sostituendoli con folle festanti di forestieri di bella presenza arruolati appositamente perché il sovrano si convincesse che i cuneesi erano tutti splendidi. Anche in questa occasione, tuttavia, i cuneesi autentici restarono fedeli alla loro missione anti-millanteria, strillando dal sottosuolo la loro protesta e rovinando così il progetto di eugenetica casereccia delle autorità. Un boicottaggio simile, volontario o casuale, sarebbe riuscito anche al coniatore della medaglia commemorativa della visita di Mussolini nel 1939: su una facciata c’era scritto “Il Duce ci guida” e sull’altra “La Madonna ci protegga”. È molto raro che un cuneese si vanti di qualcosa, se non delle nevicate della A sinistra: veduta di corso Nizza. Sotto: piazza Galimberti, il mercato del martedì. sua infanzia. È come fra pescatori, quando le trote catturate nel weekend crescono nel ricordo fino a diventare squali balena. Sarà la malinconia di qualche inverno con le montagne spelacchiate, ma quando i cuneesi s’incontrano in primavera e fanno il bilancio della stagione trascorsa, c’è sempre qualcuno che dice: “Quand’ero piccolo io nevicava così tanto che per tutto l’inverno la gente andava al lavoro con gli sci da fondo, anche sotto i portici”. Allora l’interlocutore ribatte: “Quand’ero piccolo io nevicava così tanto che i portici sparivano e si usciva di casa saltando giù dai balconi”. Poi un passante rilancia: “Quand’ero piccolo io nevicava così tanto che eravamo eschimesi e io mi chiamavo Girauduk, che vuol dire Colui-che-ha-gli-occhi-del-colore-delle-pelli-difoca-appena-conciate”. Infine un secondo intruso sbaraglia il campo: “Quand’ero piccolo io nevicava così tanto che andavamo tutti in letargo, ci mettevamo a letto il ventun settembre con una scorta di castagne sotto il cuscino e ci alzavamo il ventun marzo”. Esagerazioni a parte, è vero che nulla scatena la nostalgia dell’esule cuneese quanto una stitica nevicata di pianura, a 50 metri sul livello del mare, dove gli automobilisti si fanno prendere dal panico al primo fiocco, e i bambini sono costretti a radunare la neve di interi rioni per costruire un pupazzo alto come un paracarro e magro come una scultura di Giacometti. L’esule cuneese cammina per le strade imbiancate da una nevicata sottile come una spruzzata di zucchero a velo su una torta e rimpiange il tunnel candido del viale degli Angeli, il rombo ovattato degli spazzaneve, la cadenza letargica che acquista la vita della città triangolare innevata, le imprecazioni dei vicini costretti a un’ora di lavoro con la pala per liberare la macchina. La neve trasforma Cuneo in un angolo di Scandinavia, popolato di gente infagottata come Babbo Natale, che si lamenta per i disagi del traffico ma in realtà è contenta che la natura imponga un ritmo diverso 63 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002 64 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002 La Bisalta e il nuovo palazzo degli uffici finanziari; veduta del centro storico. all’esistenza almeno per qualche giorno. Sul selciato e sui ciottoli del centro storico i fiocchi si fermano subito, ed è sufficiente una serata di neve, e magari qualche bicchiere di vino buono, per trasformare il ritorno a casa dopo una festa tra amici in un’impresa degna di Reinhold Messner. Fare a palle di neve alla uscita del teatro è un divertimento da cui si astengono soltanto le signore più eleganti, ma si vede che vorrebbero gettarsi nella mischia pure loro. Visto che il mestiere di scribacchino mi permette di prendermi un giorno di libertà senza chiedere il permesso a nessuno, se non al mio conto in banca, non esito neppure un istante quando mia madre mi telefona per annunciarmi una nevicata: salgo sul primo treno e dopo sole tre ore e mezzo di viaggio (per 250 chilometri) sono a Cuneo (Scandinavia). Anche i monumenti visti mille volte, imbiancati, rivelano qualcosa di nuovo. Le betulle del chiostro di San Francesco si mimetizzano una volta tanto col giardino e con le lapidi provenienti dal vicino insediamento romano di Pedona (oggi Borgo San Dalmazzo) allineate lungo pareti del portico; i pinnacoli in laterizio della facciata sembrano paonazzi di freddo. Dal fusto dell’edera del cortile della Biblioteca Civica (ospite del secentesco Palazzo Audifreddi dal 1930) sbocciano migliaia di fiori di ghiaccio, e i libri rabbrividiscono sugli scaffali protetti dalle vetrate che chiudono le arcate del pianterreno. La fabbrica di Santa Croce, simile a una lumaca giallastra, fa pensare a qualche chiesa ortodossa russa ricolma delle salmodie dei popi. Il barocco discreto di Sant’Ambrogio ricorda una montagna di gelato al pistacchio ricoperta di panna. I caratteri ebraici del fregio della Sinagoga lasciano immaginare le leggende sugli inverni tiepidi di Giaffa che forse circolavano nel ghetto durante i mesi di gelo cuneese. Se la saudade dell’esule brasiliano si alimenta del ricordo di spiagge cocenti, di fanciulle discinte dalla pelle color cannella, di guardaroba in cui i pantaloni lunghi sono già un capo invernale, la saudade dell’esule cuneese, invece, è dominata da memorie di frescura, anche d’estate. Quando verso metà giugno l’aria della Pianura Padana comincia ad addensarsi come una scodella di gelatina, l’esule cuneese ripensa ai cieli tersi che si stendono come cupole cobalto sulle Alpi Marittime, ancora chiazzate sulle creste dall’ultima neve, ai sei chilometri di portici che consentono di percorrere la spina dorsale della città (via Roma, piazza Galimberti, corso Nizza e ritorno) al riparo dell’ombra. Nel 2001, il Consiglio Comunale ha approvato all’unanimità un curioso regolamento che prevede tra l’altro il divieto di pennicchella sui prati cittadini. Ma chi è in grado di resistere al richiamo della siesta quando la tarda primavera gonfia di foglie fruscianti gli alberi del Parco della Resistenza (per gli aborigeni “la Montagnola”) e la brezza della Valle Gesso s’insinua nei sogni di chi si appisola sdraiato su questo lembo dell’altopiano cuneese affacciato su un torrente dispettoso che a ogni piena rosicchia un pezzo di pista ciclabile o di green del golf club? Stento a credere che qualche vigile avrà mai il cuore di multare i dormienti della Montagnola. Il parco è dominato dai prismi metallici del Monumento alla Resistenza ideato dallo scultore Mastroianni, inaugurato nel 1969 e “spiegato” dall’allora Presidente della Camera dei Deputati Sandro Pertini come “un pezzo della Bisalta [...] fermato nel bronzo, la Bisalta [...] animata dalla volontà di lotta dei partigiani” (lettera a Remo Quaranta del 24 settembre 1969, conservata presso l’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo). Nel 1998, le celebrazioni dell’ottocentenario della fondazione del libero comune, nato per iniziativa di alcuni sudditi del Marchese di Saluzzo stanchi delle vessazioni feudali (secondo la leggenda a scatenare la rivolta sarebbe stata la pretesa di esercitare lo ius primae noctis da parte del signorotto di Caraglio), hanno offerto l’occasione per la scopertura di nuovi monumenti. Il più innocuo, presso la rotonda di piazza Torino, è la raffigurazione antropomorfica e neoclassica del torrente Gesso e del fiume Stura, le cui acque confluiscono a pochi chilometri dal vertice del Cuneo. Il più enigmatico è Il grande silenzio bianco, presso la spalla del viadotto Soleri, sulla sinistra idrografica dello Stura: un sigaro? un missile? un raviolo? appoggiato su un monticello di ciottoli. Il più bello, a mio sindacabile giudizio, è La curva di Peano di Dario Ghibaudo, un ellissoide di pietra inciso da una sorta di greca infinita che rappresenta una delle intuizioni del grande matematico cuneese Giuseppe Peano (nato nella frazione Spinetta nel 1858 e morto a Torino nel 1932). La pastiglia gigante di Ghibaudo è piantata di taglio nell’erba in cima alla salita delle Giuseppine, a pochi passi da rondò Garibaldi. Nel tratto del viale degli Angeli compreso fra il rondò e il Parco della Resistenza si concentrano gli esempi più illustri di architettura Liberty spuntati a Cuneo a cavallo fra XIX e XX secolo. Palazzine animate da forme curve, torrette e decorazioni floreali, 65 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002 testimonianze di una borghesia desiderosa di “goder meglio della civiltà, abbellendo con il profumo dell’arte”, come scriveva nel 1902 sulla “Sentinella delle Alpi” Marcello Soleri, uno dei protagonisti della stagione gloriosa del liberalismo italiano, quando la Provincia Granda offriva personale politico di prim’ordine al governo dello Stato, primo fra tutti il “Deputato di Dronero” Giovanni Giolitti. A proposito di personaggi che hanno dato lustro alla città, come dimenticare la scrittrice Carolina Invernizio, giunta a Cuneo assieme al marito nel 1914 per rimanervi fino alla morte avvenuta nel 1916. Nel 1914 Carolina Invernizio aveva già all’attivo un centinaio di volumi pubblicati. La sua sterminata produzione, che finì anche sul grande schermo (La sepolta viva fu un trionfo), si può sintetizzare in alcuni titoli: Il bacio di una morta, La vendetta di una pazza, Idillio tragico, Odio di donna, Pallida bruna, Peccatrice moderna, Romanzi del peccato, della perdizione e del delitto, I misteri delle cantine, I misteri delle soffitte, L’orfana del ghetto, L’orfanella di Collegno, Trovatella di Milano, La cieca di Vanchiglia. Di segno completamente opposto il marchio lasciato nella letteratura italiana contemporanea da Lalla Romano, nata in Valle Stura ed emigrata prima a Torino e poi a Milano, dopo avere trascorso la giovinezza a Cuneo, presente, in maniera consistente o di sfuggita, in molte della sue opere, capaci di trasfigurare elementi autobiografici in riflessioni universali, con una misura e una lucidità dolenti, senza sentimentalismi. Il Museo Civico ha ospitato una sua mostra di pittura nel 2000, inaugurata alla presenza della scrittrice ultranovantenne pochi mesi prima della scomparsa. Vive tuttora a Cuneo, invece, Nuto Revelli, autore che ha fatto della testimonianza civile e della memoria la cifra del suo impegno letterario. Dalla memoria della cultura contadina in via d’estinzione de Il mondo dei vinti o de L’anello forte (dedicato alla centralità della donna) a quella della campagna di Russia di Mai tardi o della Resistenza ne Il prete buono e altri. L’esempio di Nuto Revelli suona come un’ingiunzione alla responsabilità per qualsiasi aspirante intellettuale, un richiamo contro il narcisismo e l’evasività. La crescita progressiva del polo universitario cuneese forse consentirà in futuro a molti giovani di seguire l’esempio di Revelli e di rimanere nella città triangolare senza correre il rischio di innamorarsene soltanto “all’ultimo sguardo”. “Cuneo, strade facce monumenti e cieli della città triangolare”. 2001, € 35,12 Blu Edizioni 12016 Peveragno CN, via Vittorio Veneto 87 www.bluedizioni.it 66 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002 Sopra: veduta generale della città A destra: il viadotto Soleri, sullo sfondo delle Alpi Marittime. 67 • R A S S E G N A N. 1 3 LUGLIO 2002