Il cortile di Babele - Campus

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Il cortile di Babele - Campus
Simona Bonariva
Il cortile di Babele
Bibliotechina Einaudi Scuola
La storia di un’amicizia speciale tra bambini di tutto il
mondo
Anna abita alla periferia di una grande città, in un palazzone alto e grigio, uguale a tanti
altri palazzoni vicini. Per fortuna che in quella monotonia di grigio e di cemento c’è un
bellissimo cortile nel quale i bambini delle case vicine si ritrovano a giocare: e sono
bambini che vengono un po’ da
tutto il mondo, in un’allegra baraonda di suoni e di colori. È bello giocare tutti insieme nel
cortile! Ma perché i due nuovi bambini della scala C non si fanno mai vedere? Anna sa che
vengono dal Marocco e non vede l’ora di conoscerli. Tenace com’è, a poco a poco riesce
ad avere la meglio sulla timidezza di Youssef e della piccola Aysha, che entrano a far parte
del Cortile di Babele.
Macedonia di frutta
Anna abitava ai margini della grande città, in periferia si dice, anche se a lei non sembrava
tanto, le sembrava in realtà di esserci in mezzo, alla città, proprio nel centro, dal momento
che ovunque
girasse gli occhi, affacciata alla finestra della sua camera, vedeva solo case dietro case,
tutte in fila,
allineate lungo strade dritte o serpeggianti, piene di macchine ferme o in movimento,
fumanti come piccoli camini sempre accesi.
Il palazzo in cui abitava Anna era alto altissimo, pieno di finestre e balconi tutti uguali, un
po’ grigi
e un po’ rossicci, qualche volta addolciti da vasi di fiori colorati.
E in tutto quel cemento e mattoni, di fiori c’era proprio un gran bisogno.
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Il suo appartamento era all’ottavo piano e da lassù a guardare giù venivano le formiche
nella pancia e, a proposito di formiche, parevano proprio formichine le persone che si
agitavano in fondo, nella strada e nel cortile, formichine indaffarate e brulicanti sempre a
correre di qua e di là in gran fretta, il perché non si sa.
brulicanti: che si muovevano confusamente in ogni direzione.
Anna stava spesso alla finestra a guardare, immaginandosi di essere un gigante che
dominava la
città, e che con un passo avrebbe potuto scavalcare tutte quelle case e andare verso i
prati e le
montagne che lontano, sullo sfondo, si disegnavano appena.
Guardava le macchinine, le personcine, tutta una frenesia che vista così, dall’alto, pareva
una scena come quella delle comiche dove non parlano, ma si sente solo una musichetta
allegra.
Per fortuna che in tutto questo gran movimento e gran cemento c’era il cortile
condominiale.
Era un po’ cortile e un po’ anche giardino, dal momento che al centro c’era un pratone che
non si poteva certo calpestare, per non sciuparlo, ma vedere almeno si poteva e faceva
piacere con quel bel verde e perfino qualche margherita che ci spuntava in mezzo.
E nel cortile, tutt’attorno al prato e solo negli orari consentiti, c’era un’allegra baraonda,
perché lì si ritrovavano i bambini del palazzo di Anna e degli altri palazzoni vicini affacciati
sul cortile. E di bambini per fortuna ce n’erano proprio tanti e giocavano a gruppi e
urlavano tutti insieme, perché
sulla necessità di urlare il più possibile, si sa, i bambini sono sempre d’accordo.
Anna, sprovvista com’era di fratelli, era sempre impaziente di scendere in cortile per
trovare i suoi
amici e appena tornata da scuola, dopo una merenda veloce, perché a quella non si
poteva rinunciare, correva giù per vedere un po’ chi c’era. E uno dopo l’altro arrivavano
tutti.
La prima a essere avvistata era Maddalena detta Maddi, una bambina della sua età che
abitava proprio di fronte a lei un piano più sotto. Riuscivano a comunicare a gesti da una
finestra all’altra e per questo si davano appuntamento per scendere e arrivavano giù quasi
insieme.
Poi veniva Bianca, la sua amica del cuore, che abitava due scale più in là ed era in classe
con lei.
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Subito dopo arrivava Samir con la sorellina Ajala, appassionata di salto con la corda ed
elastico, così si poteva subito cominciare a giocare.
Si aggiungeva dopo poco anche Jin, che portava sempre con sé strane cose da mangiare
tipo patatine al gusto di pesce o ciliegie della Cina, altrimenti dette litchi, o altri cibi del
genere. Anna, sempre curiosa e golosa, chiedeva di assaggiarli, ma poi spesso si pentiva
perché, cavoli, quanto era strana quella roba!
Con Jin c’era l’inseparabile Giacomo, che le stava appiccicato come il pesce pilota alla
balena e la seguiva dappertutto, affascinato dai suoi lunghi capelli scuri e lucenti, o forse
dalle patatine pescioline.
Ma il vero evento era l’arrivo di Teresa e Pablito, due fratelli peruviani che sapevano
inventare giochi sempre nuovi e scatenati. Con loro era tutta un’esplosione di corse e urla
e risate ed energia allo stato puro.
Cantavano e ballavano anche, senza vergognarsi, e questo era proprio da non credere,
perché tutti gli altri bambini invece a ballare si vergognavano un bel po’.
Poi ancora arrivavano altri bambini di ogni età e tipo, una specie di macedonia colorata e
piena di suoni bislacchi, mezzo italiani e mezzo chissà, visto che molti di questi bambini
si portavano dietro pezzi di paesi lontani ed esotici nel colore della pelle e dei capelli,
nella forma del naso o degli occhi, nelle parole, nel mangiare e nei vestiti.
frenesia: agitazione, fretta.
baraonda: confusione, caos.
pesce pilota: è un pesce che ha l’abitudine di seguire cetacei, pesci più grossi e tartarughe, nutrendosi degli
scarti del loro cibo. Questo pesce talvolta segue anche le navi.
bislacchi: strani, stravaganti.
esotici: paesi tanto diversi dal nostro e per questo affascinanti.
Quando però si trattava di giocare, facevano gli stessi giochi con lo stesso entusiasmo e la
stessa allegria e così non era più tanto facile distinguerli e nessuno se ne faceva un
problema.
Anna ci si trovava bene e anche se i bambini più numerosi erano pur sempre gli italiani,
l’insieme era un bel po’ variopinto, tanto che la nonna di Anna, Agata, chiamava quel
cortile il Cortile di Babele.
– Ma perché “di Babele”, nonna? – aveva domandato una volta Anna incuriosita.
– Babele – le aveva spiegato Agata sorridendo – era un posto famoso per la gran
confusione. Lì c’era gente che parlava e gridava e faceva un baccano indiavolato, proprio
come fate voi bambini quando giocate tutti insieme nel cortile!
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Nuovi acquisti
Un giorno di fine agosto, Anna era scesa in cortile prima del solito e bighellonava qua e là
senza un perché, aspettando che si facessero vivi gli altri.
Dove si era cacciata Maddalena? E sì che le aveva fatto cenno di scendere. Quanto la
faceva sempre lunga, era una ritardataria nata.
Finalmente Maddi arrivò.
– Ehi, la sai la novità? – disse ad Anna.
– Quale? – fece l’amica subito curiosa.
– è arrivata una nuova famiglia, alla scala C.
– Davvero? Hanno bambini?
– Sì, due!
– Grande! E li hai già visti?
– No, non si è ancora visto nessuno. Mia mamma ha notato che portavano dei mobili e la
signora Canzi, della scala C, le ha detto di questi nuovi vicini, perché stanno proprio sotto
di lei. Vengono dal Marocco, la mamma ha quel foulard, sai, quello che porta anche la
signora Bassir.
– Be’, potremmo andare a dare un’occhiata, magari i bambini sono scesi. Sono maschi o
femmine? E quanti anni hanno?
– Gli anni precisi non li so, ma sono un maschio più grande e una femmina piccolina.
Le ragazzine aggirarono tutto il pratone e arrivarono davanti alla scala C.
– Guarda il citofono, c’è il nome sul citofono? – domandò Anna.
– No, c’è ancora quello di prima.
– A che piano sono?
– Secondo.
Babele: nella Bibbia si racconta che a Babele gli uomini iniziarono a costruire una torre altissima, ma poiché
parlavano tutti lingue diverse e grande era la confusione, non poterono finirla.
bighellonava: girellava, vagava senza una meta precisa.
quel foulard: molte donne musulmane usano avvolgere il capo in un foulard, o velo.
Si sedettero sul muretto ad aspettare.
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– Ehi, ciao ragazze che fate?
Samir arrivò a illuminare tutto con il suo sorriso incredibilmente bianco, portandosi
appresso come al solito Ajala munita di corda ed elastico.
– Stiamo aspettando di vedere se scendono i nuovi bambini.
– Che nuovi bambini?
Maddalena dovette ripetere daccapo tutta la storia e non fu l’unica volta, perché quando
arrivarono anche Jin e Giacomo e poi Bianca e poi Teresa e Pablito dovette raccontarla
anche a loro e la notizia in un baleno si propagò a tutto il cortile, tanto che intorno alla
scala C si era formato un clima di attesa elettrico.
Ma nonostante questo e nonostante che avessero aspettato un bel po’, non si faceva
vedere nessuno.
– Sentite, io mi sono stufata di stare qui a fissare la porta, giochiamo a qualcosa? – se ne
uscì Jin.
– All’elastico! – gridò ovviamente Ajala e un paio di bambini se ne andarono via con lei.
– Sì, anche io mi sono stufato, – disse Pablito, che era stato fermo anche troppo –
andiamo a giocare a calcio – e si portò via un altro gruppetto.
Davanti alla scala C erano rimaste solo Anna, Maddalena, Bianca e Zoe, una bambina più
piccola di loro ma molto sveglia.
– Senti Anna, secondo me non viene nessuno, dovranno magari sistemare le loro cose,
andiamo a giocare un po’, li vedremo un’altra volta – disse alla fine Bianca e le altre furono
d’accordo con lei.
Ma anche il giorno seguente e il seguente ancora in tutto il cortile non si trovava traccia
nemmeno del passaggio dei due bambini nuovi, e questa cosa non dava pace ad Anna,
che moriva di curiosità.
Il quarto giorno non ne poté più.
– Senti Bianca, io dico di andare a chiamarli in casa.
– Ma perché? Se non scendono ci sarà un motivo.
Magari è la mamma che non li lascia, magari devono fare i compiti delle vacanze, magari
non sanno ancora l’italiano.
– E non hai voglia di scoprirlo? Cavoli, ma come puoi non essere curiosa?
– Non ci penso, ecco tutto, tanto qui ci sono un sacco di bambini per giocare.
Anna la guardò incredula: ma come faceva?
– Senti, se non vieni con me, allora andrò da sola.
Bianca sospirò, quando Anna si metteva in testa una cosa non c’era verso di farla
ragionare.
– Va bene, ti accompagno, ma parli tu.
Le ragazzine andarono verso la scala C, ma a mano a mano che si avvicinavano Anna
perdeva la sua baldanza.
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Cosa avrebbe detto? Chi avrebbe risposto? E se c’era in casa il papà? I papà, si sa, fan
sempre più paura.
Così, quando furono davanti al citofono, non era più tanto sicura di voler pigiare il bottone.
– Che c’è adesso, ci hai ripensato?
clima di attesa elettrico: i bambini erano molto agitati e aspettavano con ansia di veder comparire i nuovi
arrivati.
baldanza: coraggio, entusiasmo.
– No, è che…
Anna non riuscì a finire la frase perché la porta della scala si aprì con un leggero scatto e
subito comparvero due bambini seguiti da una donna col capo avvolto in un foulard.
La donna guardò le due ragazzine e sorrise, poi disse: – Salutate.
I due bambini che erano con lei dissero – Ciao – ma così piano che si fece fatica a sentirli.
Uno era un ragazzino alto un po’ più di Anna, con occhi scurissimi e sopracciglia folte,
l’altra era una bimba di quattro o cinque anni con lunghi capelli neri legati a trecce e il
sorriso con le fossette.
Anna e Bianca, colte alla sprovvista, dissero anche loro un ciao poco convinto e poi
restarono lì impalate a guardarli andare via.
– Ecco, ora li hai visti. Andiamo a giocare?
Bianca non era rimasta molto impressionata, ma ad Anna quei due bambini avevano fatto
subito simpatia, forse per via della loro timidezza o di quei magnifici occhi scuri.
– Sì, andiamo, andiamo – disse frettolosamente, intanto pensando a come avrebbe fatto la
prossima volta a farli scendere in cortile con loro.
Ma dovette aspettare ancora prima di trovare il coraggio di pigiare quel bottone.
Ci provò altre tre volte almeno, rinunciando sempre all’ultimo minuto e Bianca di questa
storia cominciava a non poterne più.
– Senti, se ci tieni tanto, chiamali una buona volta, non possiamo continuare così – le
disse un giorno spazientita.
Aveva ragione, il fatto è che quando era lì lì per farlo, chissà perché, le mancava il
coraggio: e se nessuno di quella famiglia parlava l’italiano? Non sarebbe stato
imbarazzante?
E poi quella signora pareva gentile, sì, ma anche molto riservata, non parlava con
nessuno e salutava soltanto, cosiì le aveva detto anche Zoe, cui l’aveva detto la mamma
che era amica della Canzi. La Canzi diceva che la nuova famiglia era silenziosissima, non
si sentivano mai, e che la signora, quando la incrociava, sorrideva, salutava ma andava
subito via.
Le cose continuarono così ancora un po’ finché un giorno, a sorpresa, Youssef comparve
in cortile, tenendo per mano la sorellina e nell’altra mano una palla. Appena uscirono dal
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portone vennero avvistati da Anna che teneva sempre d’occhio la scala C.
– Ehi, eccoli là, sono usciti! – Anna fece un gridolino acutissimo e corse da quella parte, e
Bianca e Maddalena dietro.
Youssef intanto si era ritirato in un angolo del cortile per giocare a palla con la sorella.
Anna si fermò a una certa distanza per studiare la strategia migliore, ma Bianca, che era
molto più sbrigativa, non stette tanto a pensarci su.
– Ciao, io sono Bianca, tu come ti chiami?
– Youssef – il ragazzino abbassò gli occhi e mancò la palla che la sorellina gli aveva tirato.
– Verrai nella nostra scuola?
– Non lo so.
– Vuoi giocare con noi?
– Va bene.
Certo non era facile cavargli le parole di bocca, questo era sicuro.
riservata: timida.
cavargli le parole di bocca: farlo parlare.
Bianca, Maddalena e Anna guidarono i due bambini verso uno spiazzo dove c’erano gli
altri e presentarono Youssef e la sorellina agli amici.
Subito le bambine furono intorno ad Aysha, questo il nome della piccola, e le fecero un
sacco di complimenti perché con quelle fossette pareva proprio una bambolina. Youssef
invece fu invitato a giocare a nascondino, ma pareva timidissimo, non parlava quasi per
niente e dopo non molto tempo disse che dovevano andare via.
Nei giorni seguenti Youssef e Aysha scesero ancora in cortile, ma mettendosi sempre in
disparte.
Gli altri bambini si erano stancati di invitarli a giocare, perché spesso rifiutavano, così
giocavano tra di loro.
Anna però, che non mollava mai, non si diede per vinta: in fin dei conti a tutti i bambini
piaceva giocare insieme e non c’era motivo perché Youssef dovesse essere diverso.
Così, dai e dai, lei e Bianca riuscirono a convincerlo e a coinvolgerlo in qualche gioco
sempre più spesso, finché non prese anche lui a scendere regolarmente in cortile con
gli altri e mescolarsi con loro.
Era un colore in più, un accento in più, un sapore in più e qualche nuovo racconto da un
altro paese ancora lontano, ancora diverso, ma pur sempre fatto di terra e cielo e piante e
sole e perfino mare. Non così diverso dunque, e affascinante, almeno per Anna che
ascoltava volentieri le storie di posti mai visti e dove le sarebbe tanto piaciuto andare
prima o poi.
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