La delicata questione del “Tempo di morte” - Cooperativa-Tre

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La delicata questione del “Tempo di morte” - Cooperativa-Tre
La delicata questione del “Tempo di morte” di Armando Palmegiani
Detective – Ottobre 2007
La delicata questione del “Tempo di morte”
di Armando Palmegiani
Dove si trovava al momento dell’omicidio?». Quante volte, leggendo un libro o vedendo un film, ci siamo
imbattuti in questa frase detta da un detective che sta verificando l’alibi di un indiziato?
Dietro a questa domanda si cela però il quesito fondamentale: come si determina il tempo trascorso da quando
la vittima ha cessato di vivere fino al momento del suo ritrovamento? A dire il vero a volte il “tempo di morte”
non è un dato fondamentale per le indagini. Ciò avviene quando, per esempio, il crimine è stato visto da più
testimoni oculari o qualora sia stato ripreso da una telecamera a circuito chiuso.
In altre circostanze invece non è così semplice determinare il “tempo di morte”. Ed è qui che entrano in gioco la
professionalità e le conoscenze specialistiche degli addetti ai lavori, a cominciare dal medico leale che, meglio
di altri, determina il “tempo di morte”.
Ad affiancare il suo responso ci possono essere però altri specialisti, altrettanto importanti, come il chimico e
l’entomologo forense ossia colui che studia la presenza di insetti e larve sul cadavere.
UN COMPITO DIFFICILE E DELICATO
Determinare il tempo trascorso dalla morte di un individuo non è mai così semplice, in quanto il corpo, a seguito
della cessazione delle sue attività vitali, inizia un percorso, più o meno lungo, di inevitabile trasformazione
biochimica. Tale percorso viene influenzato da una serie di variabili soggettive, legate allo stato corporeo della
vittima al momento del decesso, e oggettive, legate all’ambiente dove viene a trovarsi il corpo.
Uno dei primi elementi che si viene a determinare per calcolare il “tempo di morte” è la temperatura corporea.
Appena cessano le funzioni vitali infatti la temperatura corporea inizia a calare. Per le prime tre – quattro ore,
cala di circa mezzo grado, in seguito la temperatura scende di circa un grado l’ora fino a raggiungere la
temperatura ambiente. La temperatura corporea è da sempre uno degli elementi principali per la
determinazione dell’epoca della morte, a patto però che il “tempo di morte” non superi le dodici ore circa.
Ecco perché il medico legale e la Polizia Scientifica hanno sempre un termometro di precisione per determinare
la temperatura corporea e quella ambientale.
LE MACCHIE IPOSTATICHE
Dopo circa mezz’ora dalla morte compare un altro elemento importante per il nostro compito, le cosiddette
macchie ipostatiche.
Sono delle macchie cutanee di colore rosso causate dalla forza di gravità che, in seguito all’arresto del cuore e
quindi della circolazione sanguigna, fa defluire il sangue verso le parti basse del corpo. Ovviamente in un corpo
in posizione supina, ossia con le spalle poggiate a terra, le macchie ipostatiche, o ipostasi, si trovano sulla nuca,
sulle spalle, nei glutei e nella parte esterna degli arti.
Le ipostasi iniziano a formarsi lentamente quasi da subito e, dopo una prima fase dove un eventuale e successivo
spostamento del corpo fa variare la loro posizione (dovuto ovviamente al fatto che il sangue è ancora in forma
liquida), si giunge dopo circa quindici ore alla fissazione completa delle macchie.
A parte l’aiuto che forniscono per determinare la causa di morte, le macchie ipostatiche possono essere anche
d’aiuto alle indagini in generale, in quanto rinvenire un corpo con delle ipostasi posizionate in punti non
compatibili con la gravità, può far dedurre che il cadavere abbia subito uno spostamento dopo almeno quindici
ore dalla morte. Spesso queste stesse macchie possono essere d’aiuto anche per determinare la causa di morte.
Alcune tipologie di decesso infatti provocano nelle macchie ipostatiche variazioni di tonalità. Le ipostasi che si
formano per l’avvelenamento da anidride carbonica assumono per esempio una tonalità rosso “vivo” rispetto al
normale rosso “vinaccia”.
LA QUESTIONE DELLA RIGIDITÀ CADAVERICA
Nel determinare il “tempo di morte” non può di certo essere trascurato il fenomeno della “rigidità cadaverica”.
Non molti sanno che la “rigidità cadaverica” si propaga in un modo che può sembrare decisamente singolare:
dapprima interessa la mandibola, poi la nuca, in seguito si trasmette al corpo, interessando prima gli arti
superiori e poi quelli inferiori. La rigidità si completa in un tempo variabile dalle dodici alle ventiquattro ore,
mentre dopo circa due giorni inizia la fase inversa d’afflosciamento del corpo. Gli elementi appena descritti
sono fortemente legati a una serie di fattori legati alla struttura del corpo, che influenzano fortemente il
succedersi di questi fenomeni. Per esempio l’abbassamento della temperatura, secondo i parametri
precedentemente descritti, varia in maniera inversamente proporzionale alla massa corporea. Così persone
minute o bambini, a seguito della morte, tendono a disperdere più rapidamente il calore corporeo senza contare
che tale fenomeno può essere influenzato anche dai fattori esterni, come il luogo dove si trova il corpo (se è al
chiuso o all’aperto), la temperatura, il tasso d’umidità e così via. Ecco perché quando il medico legale misura la
temperatura del corpo e quella esterna dev’essere a conoscenza delle eventuali variazioni di temperatura che si
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sono succedute prima del rinvenimento del corpo. E’ già capitato che il medico legale, intervenuto a seguito del
ritrovamento di un cadavere all’interno di appartamento, avesse effettuato una stima dell’orario di morte che
risultava totalmente incongruente con tutta una serie di testimonianze. Solo in seguito fu scoperto che la
persona che aveva rinvenuto il corpo aveva aperto le finestre, modificando di molto la situazione ambientale, in
particolare la temperatura.
QUANDO LA MORTE SUPERA LE 48 ORE
Ma quando il “tempo di morte” supera le quarantotto ore, che cosa succede? Ebbene, qui iniziano i problemi.
Non dobbiamo dimenticare che dopo la morte inizia il fenomeno della putrefazione, causata da germi
normalmente presenti nell’intestino o da germi esterni. Questo stato si raggiunge già dopo circa uno o due
giorni, quando compare una macchia verde nel basso ventre che, in seguito, si propaga per tutto il corpo,
raggiungendo per ultime le estremità degli arti. Dopo circa tre-sei giorni il corpo passa da una tonalità verde ad
una bruna, la cosiddetta fase “negroide”, e inizia a gonfiarsi eccessivamente per la produzione di gas prodotti
dai germi. Dopo questa fase il corpo, come si dice in questi casi, collassa su se stesso e in un tempo variabile da
pochi mesi ad alcuni anni, a seconda delle condizioni climatiche e ambientali e dall’azione di germi e di insetti
esterni, completa la sua scheletrizzazione. Quest’ultimo fenomeno si compie di media in un tempo che varia dai
tre ai cinque anni. Lo stadio putrefattivo ci aiuta quindi ad individuare una fascia temporale entro la quale può
essere ricondotta la morte. Sul corpo è importante rilevare tutti gli elementi presenti, la comparsa di muffe di
solito non avviene prima che siano trascorsi quindici giorni dalla morte, il dato può quindi essere di notevole
aiuto nel nostro compito.
LA FIGURA DELL’ENTOMOLOGO FORENSE
Da quanto si è visto si può ben comprendere come con il passare dei giorni risulti sempre più difficile
determinare il “tempo di morte”. Ultimamente però si è affermata una disciplina che sta diventando sempre più
fondamentale per questo tipo di accertamenti, l’entomologia forense. A dire il vero, già da molto tempo si
sapeva che gli insetti possono aiutare gli investigatori a determinare il “tempo di morte”, come testimoniano
alcuni casi documentati in Inghilterra verso la metà del XIX secolo. Si ricorda inoltre un caso avvenuto nella
lontana Cina, esattamente nel XIII secolo.
L’investigatore Sung T’zu, autore di uno dei primi saggi di criminologia, scoprì quale arma era stata usata per
compiere un omicidio proprio grazie agli insetti. Dopo la scoperta del delitto, Sung T’zu fece deporre a terra,
nella piazza del villaggio, tutti i falcetti dei contadini del posto e vide su quale di essi si posarono le mosche,
che attirate dal sangue permisero di individuare nel proprietario dello strumento di lavoro l’autore
dell’omicidio.
Tornando alla determinazione del “tempo di morte”, l’odore di un corpo in putrefazione attira generalmente
due tipi di mosche: i mosconi verdi o Calliphoridae e le mosche Sarcophagidae, denominate anche, per la loro
predisposizione, “mosche della carne”. Le prime depongono le proprie uova negli orifizi naturali come il naso, le
orecchie e anche in eventuali ferite, mentre le seconde ve le depongono direttamente allo stadio larvale.
Ebbene, è proprio lo studio della grandezza delle larve rivenute che permette di determinare il tempo trascorso
dalla loro deposizione, che generalmente avviene abbastanza presto dopo la morte. Senza dimenticare che la
loro deposizione avviene solamente di giorno. Le larve in seguito crescono fino a trasformarsi in pupe all’interno
di un involucro, chiamato puparia, che abbandonano quando raggiungono lo stadio di mosche. L’analisi della
grandezza delle larve e delle pupe permette di stimare, con una buona precisione, i giorni trascorsi dalla loro
deposizione. Per esempio se su un cadavere vengono rinvenute delle puparie vuote, significa che sono trascorsi
almeno venti giorni dalla deposizione delle uova e quindi della morte. Quando il tempo trascorso è superiore ad
un ciclo larvale è possibile comunque accertare la data di morte effettuando una stima basata sui cicli
riproduttivi determinabili dalle larve presenti e dalle eventuali puparie vuote. Le mosche che nascono infatti
depongono nuovamente sul posto le loro uova, creando così una catena che è d’enorme aiuto per l’entomologo
forense. L’entomologo forense, oltre a prelevare numerosi campioni al momento del sopralluogo e ad annotare
una serie di elementi atmosferici e topografici, effettua anche una serie di campionature delle larve.
IL CASO DEL MOSTRO DI FIRENZE
Uno dei casi più importanti che ha coinvolto l’entomologia forense e la determinazione del tempo di morte è
senz’altro quello legato all’ultimo duplice omicidio del Mostro di Firenze. L’omicidio di San Casciano, dove
trovarono la morte i francesi Jean Michel Kiavechvilj di 25 anni e Nadine Mauriot di 36, fu scoperto intorno alle
ore 14 di lunedì 9 settembre 1985. Durante il sopralluogo, che fu effettuato nel pomeriggio della stessa giornata,
furono rinvenute alcune larve di mosca carnaia. L’esatta determinazione del “tempo di morte” fu
particolarmente delicato e fondamentale, in quanto se il duplice omicidio fosse avvenuto la sera di sabato 7,
l’imputato principale, il contadino Pietro Pacciani avrebbe avuto, anche se parzialmente, un alibi, ma se
l’omicidio fosse avvenuto la sera di domenica 8, non ne avrebbe avuti. Il medico legale che si occupò del caso, il
dottor Maurri, al quale spettò il compito dell’autopsia e della determinazione del tempo di morte, ritenne che la
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tenda all’interno della quale furono rinvenuti i cadaveri, avesse compiuto un vero e proprio effetto serra.
Questo fenomeno avrebbe permesso alle larve di svilupparsi in maniera più rapida, dopo circa diciassette ore,
rispetto alle venticinque che normalmente necessitano per raggiungere lo stadio larvale rinvenuto. Il momento
della morte dei due francesi, quindi, fu fissato alla mezzanotte del giorno 8 settembre. Come si vede la
determinazione del “tempo di morte” resta uno dei grandi problemi ma anche una delle grandi sfide delle
scienze criminalistiche. Visto che la maggior parte degli alibi forniti dagli indagati sono legati a variazioni di
alcune ore o addirittura di pochi minuti, appare fondamentale determinare sempre più accuratamente il “tempo
di morte”.
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