La determinazione dei componenti positivi e negativi nel reddito di

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La determinazione dei componenti positivi e negativi nel reddito di
La determinazione dei componenti
negativi nel reddito di impresa
positivi
e
di Paolo Parisi
Docente di diritto tributario “Scuola Nazionale dell’Amministrazione - Presidenza
del Consiglio dei Ministri” Esperto fiscale e societario - Parisi Tax Firm & Partners”
Due sono i principi generali che presiedono la determinazione del reddito
di impresa:
• il principio di competenza (art. 109, co. 1 e 2), in base al quale i
proventi e gli oneri concorrono alla determinazione del reddito
d’impresa nell’esercizio in cui vengono conseguiti o sostenuti,
indipendentemente dalla loro manifestazione numeraria;
• il principio di inerenza (art. 109, co. 5 e 8), inteso come
correlazione fra onere sostenuto e attività produttiva di reddito
imponibile.
Il legislatore fiscale non fornisce una definizione di competenza. In linea
generale, può essere denominato di competenza l’esercizio in cui si
verificano le operazioni e gli eventi che originano i componenti reddituali,
indipendentemente da quello in cui si concretizzano i relativi incassi e
pagamenti.
1. Competenza
Il principio di competenza si pone in antitesi rispetto al principio di cassa.
Secondo il principio di competenza, infatti, sono irrilevanti le
movimentazioni finanziarie relative ai componenti positivi e negativi del
reddito, mentre assumono rilevanza gli effetti giuridici delle relative
operazioni.
Oltre al principio di competenza, i ricavi, le spese e gli altri componenti
concorrono a formare il reddito se sono rispettati altri due requisiti:
• la correlazione costi-ricavi;
• i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità.
1.1 Correlazione costi-ricavi
Il principio di competenza va interpretato nel senso che i costi devono
seguire i ricavi e non viceversa (si veda da ultimo ris. Agenzia delle
Entrate 22.8.2007 n. 232). Infatti, in assenza di ricavi, non può parlarsi
di produzione di reddito: ne consegue che sono i costi a dover essere
correlati ai ricavi.
Laddove il principio di competenza sia applicato in modo erroneo con
riferimento ai ricavi, i costi correlati non possono seguire i ricavi e sono
quindi deducibili secondo il principio generale di competenza. La
conclusione di tale ragionamento non cambia anche nell’ipotesi in cui non
vi sia stato un danno per l’Erario, in quanto nessuna interpretazione della
disciplina in tema di imputazione delle voci reddituali richiede un giudizio
sull’esistenza o meno di un danno erariale (Cass. 24.1.2013 n. 1648).
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1.2 Certezza e oggettiva determinabilità
Concorrono a formare il reddito di esercizio i componenti positivi e
negativi che, nell’esercizio di competenza, possiedono i requisiti della
certezza e determinabilità oggettiva. In assenza di tali requisiti, essi
concorrono a formare il reddito dell’esercizio successivo in cui tali
condizioni si verificano (art. 109 co. 1, secondo periodo, del TUIR).
In altre parole, il principio di competenza viene disatteso se non sono
soddisfatti anche i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità.
Tali requisiti:
• costituiscono gli elementi distintivi tra competenza civilistica e
competenza fiscale: in altre parole, l’imputazione di taluni
elementi reddituali al Conto economico di un determinato esercizio,
effettuata secondo i criteri civilistici, non ha rilevanza fiscale
allorquando difettano i requisiti previsti dalle norme tributarie;
• non hanno rilevanza autonoma, ma operano in seconda battuta, una
volta esperita la ricerca del periodo di competenza del componente
reddituale.
Così, un costo deve essere obbligatoriamente dedotto nell’esercizio
di competenza, intendendosi per tale quello in cui esso diviene certo e
oggettivamente determinabile: deve quindi escludersi la deducibilità di un
determinato componente reddituale in esercizi precedenti o successivi a
quello di competenza, al fine di impedire al contribuente di operare una
scelta arbitrale del periodo di imposta in cui dichiarare i propri componenti
di reddito, poiché ciò potrebbe comportare manovre volte a ridurre il
carico impositivo (Cass. 28.7.2006 n. 17195, Cass. 30.7.2007 n. 16819,
Cass. 18.12.2009 n. 26664, Cass. 29.10.2010 n. 22135 e Cass. 31.1.2011
n. 2213).
Sotto il profilo probatorio, spetta al contribuente dimostrare che la
certezza e l’obiettiva determinabilità si verificano in un periodo d’imposta
diverso da quello di competenza civilistica (Cass. 14.5.2007 n. 10988,
Cass. 22.11.2009 n. 24526 e Cass. 9.11.2011 n. 23328).
Attenzione
La correlazione costi e ricavi e i requisiti di certezza e oggettiva
determinabilità sono richiesti anche ai fini di dedurre spese e oneri che,
pur specificamente afferenti ricavi e altri proventi, non risultino imputati al
Conto economico. Tali componenti negativi, infatti, concorrono a formare il
reddito se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi (art.
109 co. 4 lett. b), ultimo periodo, del TUIR). È il caso, ad esempio, dei
costi correlati ai maggiori ricavi emersi a seguito di accertamento analitico
(ex art. 39 co. 1 del DPR 600/73), sulla base di scritture contabili che il
contribuente ha esibito e che vengono rettificate (Cass. 14.12.1998 n.
13068).
1.3 Nozione di certezza
La certezza concerne l’esistenza del provento o dell’onere. In
generale, l’esistenza del componente reddituale viene considerata certa
quando lo è dal punto di vista giuridico, vale a dire nel momento in cui
esiste un vincolo avente origine:
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in un contratto (nota ministeriale 21.3.81 n. 9/167; e nota
ministeriale 22.10.81 n. 9/2940)
• in un fatto illecito;
• in un atto della P.A.;
• direttamente dalla norma.
Attenzione
Secondo la Cass. 4.9.2012 n. 14798, qualora i requisiti di certezza e
oggettiva determinabilità dei componenti di reddito siano condizionati
dall’espletamento di procedure amministrative (come avviene nel caso di
contributi regionali erogati per assunzioni a tempo indeterminato), gli
stessi si intendono acquisiti, ai fini dell’imputazione del reddito
dell’impresa, solo attraverso il procedimento amministrativo che ne
verifica i presupposti e ne liquida l’ammontare.
•
1.4 Nozione di oggettiva determinabilità
L’oggettiva determinabilità attiene all’ammontare dell’elemento reddituale.
In particolare, l’ammontare del provento o dell’onere risulta determinabile
quando la valutazione estimativa del medesimo si basa su criteri non
soggettivi, bensì suffragati da elementi oggettivi (nota ministeriale
11.3.1981 n. 9/375). In altri termini, la funzione del requisito in esame
appare quella di sottrarre al computo del reddito d’impresa componenti
quantificati in base a mere congetture soggettive oppure a calcoli
probabilistici.
Così, la determinabilità va riguardata come reale possibilità di tradurre gli
accadimenti aziendali in espressioni numerarie (nota ministeriale
22.10.1981 n. 9/2940).
L’obiettiva determinabilità non è collegata all’intervenuto accordo tra le
parti (rectius manifestazione di volontà) sul costo, altrimenti sarebbe ad
esse demandata la scelta di stabilire a quale esercizio imputare la relativa
componente del reddito d’impresa. Il costo, infatti, può essere
determinato in modo obiettivo già prima dell’accordo, attraverso strumenti
quali la parametrazione ad altre operazioni simili, il valore di mercato dei
beni utilizzati in rapporto al numero delle ore di utilizzo dei medesimi, ecc.
(Cass. 14.5.2007 n. 10988 e Cass. 22.11.2009 n. 24526).
1.5 Ambito temporale
La certezza e l’oggettiva determinabilità devono manifestarsi entro la
chiusura dell’esercizio e non già entro il momento di redazione del relativo
bilancio o di presentazione della relativa dichiarazione dei redditi. Così,
ipotizzando esercizi coincidenti con l’anno solare, le condizioni di certezza
e oggettiva determinabilità devono sussistere al 31 dicembre, pur potendo
le stesse essere conosciute successivamente.
Con la nota ministeriale 21.3.1981 n. 9/167, il Ministero delle Finanze ha
ritenuto di competenza (fiscale) dell’esercizio solare 1981 gli oneri (es.
competenze arretrate e adeguamento fondi quiescenza e previdenza)
derivanti dal rinnovo del contratto (intervenuto il 14.1.81) che regolava il
trattamento economico dei dipendenti di un’impresa, oneri relativi al
periodo luglio-dicembre 1980. Ad avviso del Ministero, infatti, nel caso del
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diritto del personale dipendente di godere un diverso trattamento
economico, il requisito della certezza si sostanzia nel momento in cui le
parti in causa raggiungono il definitivo accordo e di conseguenza
sottoscrivono un nuovo contratto che regola il trattamento economico del
personale.
Peraltro, la Corte di Cassazione, con le sentenze 27.2.2002 n. 2892 e
19.12.2011 n. 27536, ha affermato che i proventi e gli oneri possono
essere imputati al relativo periodo d’imposta fino al momento “della
redazione e presentazione della dichiarazione” dei redditi, purché entro
tale termine si siano manifestati i requisiti della certezza e dell’oggettiva
determinabilità richiesti dalla norma. Ad avviso della Suprema Corte,
depone in tal senso, tra l’altro, il disposto di cui all’art. 14 co. 4 del DPR
600/73, in base al quale le società e gli enti, il cui bilancio o rendiconto è
soggetto per legge o per statuto alla approvazione dell’assemblea o di altri
organi, possono effettuare nelle scritture contabili gli aggiornamenti
conseguenziali all’approvazione stessa fino al termine stabilito per la
presentazione della dichiarazione. Tale orientamento tuttavia non pare
condivisibile: la stessa Amministrazione finanziaria, infatti, con la citata
nota ministeriale 21.3.1981 n. 9/167, ha rilevato che la disposizione
contenuta nell’art. 14 co. 4 del DPR 600/73 consente ai soggetti tenuti per
legge o per statuto all’approvazione del bilancio o del rendiconto a
introdurre, fino al termine stabilito per la presentazione della
dichiarazione, gli aggiornamenti consequenziali all’approvazione stessa. In
altre parole, la disposizione sarebbe applicabile soltanto per le scritture di
assestamento contabile relative a fatti gestionali già costituitisi nel corso
dell’esercizio cui si riferisce l’approvazione assembleare.
2. Inerenza
L’inerenza va intesa come correlazione fra onere sostenuto e attività
produttiva di reddito imponibile.
In pratica, occorre valutare se tra spesa e attività o beni da cui derivano
ricavi sussiste una relazione immediata e diretta: in caso affermativo,
l’onere risulta interamente deducibile (parere Comitato consultivo norme
antielusive 19.2.2001 n. 1).
2.1 Orientamento giurisprudenziale
Nel senso sopra riportato si è espressa anche la giurisprudenza di
legittimità, secondo la quale il concetto di inerenza deve essere
interpretato in modo ampio, quale collegamento dei costi e degli oneri con
l’attività dell’impresa e non con i ricavi (Cass. 13.2.2009 n. 3583).
In proposito, è stato sottolineato che, affinché un costo sostenuto sia
fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa, non è necessario che sia
stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente
attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso
ampio all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di
svolgere un’attività potenzialmente idonea a produrre utili (Cass.
30.7.2007 n. 16826 e 21.1.2009 n. 1465).
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Le spese per acquisti di beni rientrano nella nozione di inerenza anche
se prodromiche all’espletamento di nuove attività consentite dall’oggetto
sociale Cass. 21.3.2008 n. 7808).
La Suprema Corte ha, inoltre, affermato la deducibilità dei costi anche se
non direttamente ricollegabili a ricavi o ad un fine di immediata redditività,
nell’ambito di strategie di gruppo (Cass. 1.8.2000 n. 10062 e Cass.
26.1.2001 n. 1133). L’attività d’impresa non può, infatti, essere ricollegata
ad un’esigenza di immediata realizzazione di profitto, soprattutto quando
la stessa opera in contesti più ampi di quelli del singolo operatore.
Allo stesso modo, l'inerenza di un costo deve essere riferita non tanto alla
connessione dello stesso con una specifica componente positiva di reddito,
ma più in generale alla generale connessione con un'attività atta a
produrre profitto (Cass. civ. Sez. VI - 5 Ordinanza, 26-10-2015, n.
21743).
Con riferimento alle spese di rappresentanza o di pubblicità, al fine di
appurarne la deducibilità dal reddito d'impresa è necessario verificare la
loro inerenza e, dunque, l'effettiva finalità dei costi sostenuti e la loro
imputabilità all'esercizio d'impresa (Cass. civ. Sez. V, 24-09-2015, n.
18936).
2.2 Onere della prova
In caso di contestazione, da parte dei soggetti verificatori, della
deducibilità di un costo per difetto di inerenza, la prova di quest’ultima
spetta al contribuente (Cass. 7.9.2001 n. 11514, 8.10.2001 n. 12330,
30.7.2002 n. 11240, 24.2.2006 n. 4218, 9.8.2006 n. 18000, 22.9.2006 n.
20521, 10.11.2006 n. 24075, 29.12.2006 n. 27619, 11.2.2009 n. 3305,
25.2.2010 n. 4554, 13.9.2010 n. 19489, 30.12.2010 n. 26480 e 4.4.2012
n. 5374).
Peraltro, l’onere della prova ricade sul contribuente nei soli casi di dubbio
collegamento del componente reddituale negativo con l’impresa.
Viceversa, laddove si tratti delle spese strettamente necessarie alla
produzione del reddito, o comunque fisiologicamente riconducibili alla
sfera imprenditoriale (es. costi per l’acquisto di materie prime, macchinari
o strumenti indispensabili a produrre certi beni o di manufatti necessari
per la loro custodia), che, in quanto tali, possano ritenersi intrinsecamente
inerenti all’attività di impresa, sarà l’Amministrazione finanziaria a dover
provare l’inesistenza, nel caso specifico, del predetto nesso di inerenza
(Cass. 27.4.2012 n. 6548).
L’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha
ad oggetto anche la congruità dei medesimi (Cass. 25.2.2010 n. 4554,
30.12.2010 n. 26480 e 4.4.2012 n. 5374).
Con specifico riferimento ai costi di sponsorizzazione, essi sono deducibili
solo se producono maggiori ricavi, ovvero un ritorno commerciale. Il
contribuente dovrà dimostrare l'inerenza di tali costi, e la circostanza che
l'opera-zione produca effettivamente benefici e ritorni economici.
L'Amministrazione finanziaria potrà vagliare la congruità di tali costi,
poiché, in caso contra-rio, diventerebbe possibile qualsiasi arbitrio
(Commiss. Trib. Reg. Lombardia Milano Sez. XXX, 12-11-2015).
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ESCLUSIONI
1. Deroghe al principio di competenza
In deroga al principio di competenza, concorrono alla determinazione del
reddito d’impresa nell’esercizio in cui sono incassati/pagati i seguenti
componenti reddituali:
• i contributi in conto capitale e le altre liberalità di cui all’art. 88 co. 3
lett. b) del TUIR;
• gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti ad
IRES, limitatamente alla quota imponibile dei medesimi (artt. 59 e
89 co. 2 del TUIR);
• i compensi spettanti agli amministratori di società (art. 95 co. 5 del
TUIR);
• le imposte deducibili dal reddito (art. 99 co. 1 del TUIR);
• i contributi ad associazioni sindacali e di categoria (art. 99 co. 3 del
TUIR);
• gli interessi di mora (art. 109 co. 7 del TUIR).
2. Deroghe al principio dell’inerenza
Il requisito dell’inerenza non è richiesto per (art. 109 co. 5 del TUIR):
• gli oneri fiscali;
• gli oneri contributivi;
• gli oneri di utilità sociale.
Salvo diversa disposizione, tali oneri sono quindi deducibili per il solo fatto
di essere imputati a Conto economico.
2.1 Interessi passivi
L’art. 109 co. 5 del TUIR prevede che la disposizione in esso contenuta
trovi applicazione con riferimento alle spese e agli altri componenti
negativi diversi dagli interessi passivi.
Tale locuzione consentiva di escludere tali oneri dal vaglio dell’inerenza,
esclusione avallata dalla stessa prassi ministeriale.
Tali interessi rappresentano costi la cui deducibilità è soggetta alle
disposizioni contenute nell’art. 96 del TUIR, indipendentemente dal loro
“collegamento” ad attività produttive di ricavi o proventi imponibili (ris.
Agenzia delle Entrate 9.11.2001 n. 178).
Anche la giurisprudenza prevalente ha accolto il principio della deroga al
criterio dell’inerenza per gli interessi, come emerge in più sentenze della
Corte di Cassazione (si vedano, tra le ultime, Cass. 21.11.2001 n. 14702,
13.2.2009 n. 3583, 29.5.2003 n. 8611, 2.2.2005 n. 2114, 13.10.2006 n.
22034, 21.4.2009 n. 9380, 3.2.2010 n. 2440 e 19.5.2010 n. 12246),
anche se si possono riscontrare orientamenti difformi (si vedano, infatti,
C.T. Reg. Firenze 19.3.2003 n. 8/1/03 e Cass. 29.3.2006 n. 7292).
Ciò posto, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso
al 31.12.2007 (2008, per i soggetti “solari”), l’art. 1 co. 33 lett. b) della L.
n. 244/2007 ha modificato l’art. 61 del TUIR, prevedendo che gli interessi
passivi dei soggetti IRPEF imprenditori sono deducibili, tra l’altro, se
inerenti all’esercizio dell’impresa.
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Un’analoga precisazione non è stata inserita nell’art. 96 del TUIR per i
soggetti IRES. Pertanto, la verifica del requisito dell’inerenza
sembrerebbe richiesta per i soli soggetti IRPEF.
Tuttavia, la circ. Agenzia delle Entrate 14.4.2009 n. 16 (§ 1) ha, peraltro,
precisato, in merito alla deduzione dell’IRAP relativa alle spese per il
personale ovvero agli interessi passivi dall’IRPEF/IRES, che “il
sostenimento dei costi relativi al personale dipendente o agli interessi
passivi deve rispondere a criteri di inerenza, ragionevolezza ed
economicità e risultare coerente con gli obiettivi di politica aziendale
perseguiti”. Inoltre, in relazione ad operazioni che abbiano dato luogo ad
interessi passivi, “saranno attivati opportuni controlli al fine di verificarne
le valide ragioni economiche e l’inerenza all’attività esercitata”. Non è
stata, quindi, operata alcuna distinzione tra soggetti IRPEF e IRES, nei cui
riguardi trova indifferentemente applicazione la deduzione in argomento.
Ovviamente, una volta stabilita l’inerenza degli interessi passivi, i
medesimi sono ammessi in deduzione entro i limiti previsti dagli artt. 61 e
96 del TUIR.
2.2 Oneri correlati a proventi esclusi
I costi connessi a proventi (parzialmente) esclusi dalla formazione del
reddito d’impresa (in pratica, i dividendi e gli utili da partecipazione) sono
integralmente deducibili (art. 109 co. 5 del TUIR).
In altri termini, “le spese sostenute in relazione alla gestione di
partecipazioni qualificate per l’esclusione si considerano inerenti alla
determinazione del reddito d’impresa anche se gli utili da esse derivanti
sono [parzialmente, n.d.r.] esclusi dalla formazione del reddito imponibile
(...)” (circ. Agenzia delle Entrate 16.6.2004 n. 26, § 3.6). In buona
sostanza, simmetricamente all’imponibilità parziale degli utili, è
riconosciuta la piena deducibilità dei costi connessi alla gestione
della partecipazione.
Diritto di usufrutto su partecipazioni
In deroga a quanto testé riportato, non è deducibile il costo sostenuto per
l’acquisto del diritto d’usufrutto o di altro diritto analogo su partecipazioni
societarie (art. 109 co. 8 del TUIR).
Tale limitazione alla deducibilità non è, tuttavia, applicabile nell’ipotesi in
cui la cessione dei predetti diritti “non comporti anche il trasferimento
della titolarità dei dividendi agli effetti fiscali” (circ. Agenzia delle Entrate
26/2004, § 3.6).
2.3 Oneri correlati a proventi esenti
I costi connessi a proventi che non concorrono alla formazione del reddito
d’impresa in quanto esenti sono indeducibili. Tali costi non vengono,
infatti, espressamente nominati dal primo periodo dell’art. 109 co. 5 del
TUIR, che dispone esclusivamente la deducibilità degli oneri relativi a
proventi esclusi dalla formazione del reddito d’impresa.
Rientrano nella categoria in esame gli oneri connessi alla cessione di
partecipazioni esenti ex art. 87 del TUIR, quali:
• le spese notarili a carico del cedente;
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le spese per perizie tecniche ed estimative sostenute dal cedente;
le provvigioni dovute agli eventuali intermediari dal cedente;
altri eventuali oneri che siano specificamente (e non solo
indistintamente) collegati al realizzo della partecipazione.
La quota dei costi inerenti alla cessione delle partecipazioni che deve
essere ripresa a tassazione non è determinata in misura pari al 100% dei
costi, bensì in misura corrispondente alla percentuale di esenzione della
plusvalenza.
•
•
•
2.4 Oneri correlati sia a proventi imponibili sia a proventi esenti
Qualora gli oneri si riferiscano indistintamente ad attività o beni produttivi
di proventi computabili nella determinazione del reddito e ad attività o
beni produttivi di proventi non computabili, in quanto esenti (c.d. “spese
generali”), per determinare la quota parte di costi deducibile è previsto il
calcolo di un pro rata di deducibilità. Esse sono deducibili per la parte
corrispondente al rapporto tra (art. 109 co. 5 del TUIR):
• l’ammontare dei ricavi e proventi che concorrono alla formazione
del reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi (es. dividendi);
e
• l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi.
Attenzione
Le plusvalenze derivanti dal realizzo di partecipazioni esenti non rilevano
ai fini del calcolo del pro rata di deducibilità delle spese generali (art. 109
co. 5 del TUIR).
Dette plusvalenze sono, quindi, escluse sia dal numeratore che dal
denominatore del rapporto (circ. Agenzia delle Entrate 2.11.2005 n. 46, §
3.2).
PROCEDURA
1. Criteri per l’individuazione dell’esercizio di competenza
L’art. 109 co. 2 contiene specifici criteri per l’individuazione dell’esercizio
di competenza, a seconda che si tratti di:
• cessione di beni;
• prestazione di servizi;
• emissione di prestiti obbligazionari.
Ai fini dell’individuazione del periodo d’imposta di competenza, in nessun
caso può assumere rilievo l’esercizio in cui viene emessa la fattura (C.T.C.
28.11.89 n. 7109, Cass. 8.8.2005 n. 16698 e Cass. 17.11.2006 n. 24474)
ovvero viene acquisito o esibito altro documento giustificativo del costo
(Cass. 12.4.2006 n. 8577 e Cass. 7.6.2011 n. 12331).
Individuato l’esercizio di competenza sulla base dei criteri in esame,
occorre verificare che, in detto esercizio, il componente reddituale sia
certo e oggettivamente determinabile, secondo quanto riportato in
precedenza. In caso contrario, ai fini dell’imponibilità (deducibilità),
occorre attendere il periodo d’imposta in cui entrambe le condizioni si
verificheranno (ris. Agenzia delle Entrate 23.6.2008 n. 258).
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1.1 Cessione di beni
Con riferimento ai corrispettivi derivanti dalla cessione di beni (o alle
spese di acquisizione dei medesimi), l’esercizio di competenza coincide
(art. 109 co. 2 lett. a) del TUIR):
• con la data della consegna o spedizione (beni mobili) o della
stipulazione dell’atto (beni immobili);
• ovvero, se diversa e successiva, con la data in cui si verifica l’effetto
traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale.
L’individuazione dell’esercizio di competenza deve, quindi, articolarsi
secondo il seguente processo logico:
• 1° momento → identificazione della data di consegna o spedizione
(beni mobili) o stipulazione dell’atto (beni immobili);
• 2° momento → identificazione della data in cui la proprietà si
costituisce o trasferisce.
Supponiamo che i due momenti intervengano in due periodi d’imposta
differenti:
• se il primo momento è anteriore al secondo, l’esercizio di
competenza coincide in ogni caso con quello in cui si trasferisce la
proprietà;
• se il primo momento è posteriore al secondo, l’esercizio di
competenza coincide in ogni caso con quello in cui si verifica la
consegna o la spedizione (beni mobili) o la stipulazione dell’atto
(beni immobili).
Contratto preliminare
La Corte di Cassazione, con la sentenza 4.10.2000 n. 13174, ha affermato
che l’esercizio di competenza dell’acquisto di un immobile va fatto risalire
alla data del contratto preliminare, stipulato nell’anno n, e non a quella del
rogito notarile, stipulato l’anno successivo (n+1), indicando, a fondamento
della propria decisione, le seguenti circostanze di fatto:
• l’esistenza di una clausola, nell’ambito del contratto preliminare, che
fissava una data compresa nell’anno n, anteriore a quella dell’atto
notarile (anno n+1), per il decorso del “possesso giuridico” e del
“materiale godimento dell’immobile”;
• il contenuto di altra clausola tra le medesime parti, in relazione alla
quale, a seguito del contratto preliminare ma ancora nelle more
dell’atto notarile, l’acquirente aveva citato il venditore “ai fini
dell’esecuzione del contratto”.
La pronuncia della Suprema Corte appare opinabile, dal momento che in
dottrina si tende ad escludere che un compromesso possa esplicare effetti
traslativi (circ. Assonime 27.4.88 n. 60).
Individuazione della data di spedizione
Per data di spedizione si intende quella in cui la merce esce dal
magazzino, momento, questo, in cui sorge l’obbligo di emissione della
fattura e della contabilizzazione del ricavo (nota ministeriale 29.12.77 n.
9/2171-76).
Trasporto effettuato tramite vettori o spedizionieri
Ai fini dell’individuazione della data di spedizione, la Corte di Cassazione,
con la sentenza 22.1.99 n. 578, ha precisato che, nel caso in cui il
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trasporto sia stato affidato a terzi (vettori o spedizionieri), occorre
avere riguardo alla data di spedizione indicata nei documenti che
ordinariamente accompagnano la merce, nonché alle condizioni generali
del contratto di trasporto concluso tra le parti.
Dall’esame di tali condizioni potrà emergere l’eventuale non coincidenza
della data di spedizione con l’effettivo trasferimento della disponibilità
giuridica della merce (sempre, tuttavia, prescindendo dalla sua effettiva e
materiale consegna all’acquirente).
Acquisto di merce con clausola FOB (Free on Board)
Nel caso di acquisto di merce con clausola FOB (Free on Board), la
proprietà si intende trasferita al momento dell’imbarco, comprovato dalla
polizza di carico (nota ministeriale 1.10.77 n. 9/1197). È quindi a tale
momento che occorre fare riferimento per la determinazione dell’esercizio
di competenza.
Cessione o locazione con clausola di riserva della proprietà
Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, non si tiene conto
delle clausole di riserva della proprietà (art. 109 co. 2 lett. a) del TUIR).
Infatti, in presenza di un contratto di vendita con riserva della proprietà o
di un contratto di locazione con clausola di trasferimento della proprietà
(che è assimilata alla vendita con riserva di proprietà dall’art. 109 co. 2
lett. a) del TUIR) vincolante per ambedue le parti, il verificarsi dell’effetto
traslativo, differito a mero scopo di garanzia, è voluto da entrambi i
contraenti già al momento della conclusione del negozio.
Pertanto, è alla data di stipulazione del contratto di vendita o locazione (e
non al momento del successivo trasferimento formale della proprietà) che
occorre fare riferimento per individuare il momento in cui, ai fini fiscali,
rileva il trasferimento del bene, con la conseguente emersione, per il
cedente, del ricavo oppure della componente straordinaria (plusvalenza
o minusvalenza), a seconda della natura del bene (ris. Agenzia delle
Entrate 1.8.2008 n. 338 e 9.1.2009 n. 11).
Cessione di diritti d’uso o superficie
I corrispettivi derivanti dalla cessione di diritti d’uso o superficie (non
rappresentando questa una prestazione di servizi, bensì una cessione di
beni) concorrono alla formazione del reddito d’impresa:
• nell’esercizio in cui viene rogato l’atto notarile;
• ovvero, se diverso e successivo, in quello in cui si verificano gli
effetti traslativi.
Pertanto, tali proventi non vanno suddivisi durante gli anni di durata della
concessione del diritto, come se si trattasse di prestazioni di servizi
dipendenti da contratti da cui derivano corrispettivi periodici (ris. Agenzia
delle Entrate 7.8.2002 n. 272 e 8.7.2003 n. 149).
Cessione di crediti
In caso di cessione di crediti, per la determinazione dell’esercizio di
competenza, occorre avere riguardo al criterio formalistico della stipula del
contratto di cessione, mediante il quale si trasferisce la titolarità del diritto
di credito (ris. Agenzia delle Entrate 16.5.2007 n. 100).
10
1.2 Prestazione di servizi
I corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti (e le
spese di acquisizione dei medesimi si considerano sostenute):
• alla data in cui le prestazioni sono ultimate;
• ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo,
assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici,
alla data di maturazione dei corrispettivi.
La data di ultimazione della prestazione coincide con il momento in cui il
processo produttivo del servizio si è completato. L’individuazione di tale
momento può non rivelarsi sempre agevole.
Prestazioni del Collegio sindacale
In generale, le attività compiute dal Collegio sindacale si articolano in
momenti diversi, ciascuno autonomamente individuabile ed indipendente
(circ. Agenzia delle Entrate 19.6.2002 n. 54, § 4):
• le verifiche trimestrali;
• la partecipazione alle riunioni degli organi societari;
• il controllo sul bilancio d’esercizio e la redazione della relazione dei
sindaci.
Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, gli emolumenti per la partecipazione
alle riunioni del Consiglio di amministrazione e dell’Assemblea, nonché per
l’effettuazione delle verifiche trimestrali, vanno considerati singolarmente
e dedotti nell’esercizio in cui le relative prestazioni sono espletate.
Relativamente, invece, all’attività di controllo sul bilancio e alla redazione
della relativa relazione, essa è di competenza dell’esercizio successivo a
quello al quale si riferisce, dal momento che è eseguita successivamente
alla data di chiusura dell’esercizio. (circ. Agenzia delle Entrate n. 54/2002,
§ 4).
Trattamento degli oneri relativi al Collegio sindacale
Provvigioni attive
La prestazione di agenzia si deve considerare ultimata alla data in cui si
conclude il contratto tra il preponente ed il terzo, atteso che l’obbligo
dell’agente è, come recita l’art. 1742 c.c., quello di “promuovere ... la
conclusione di contratti” (Ris. Agenzia delle Entrate 8.8.2005 n. 115).
In tale momento, si devono ritenere soddisfatti anche i requisiti di
certezza e oggettiva determinabilità richiesti dall’art. 109 co. 1 del TUIR.
Conseguentemente, in tale periodo d’imposta, l’agente è tenuto ad
assoggettare a tassazione i proventi, anche se le parti hanno derogato al
principio generale previsto dall’art. 1748 co. 1 c.c., concordando la
11
spettanza delle provvigioni in un momento successivo, che non può
comunque eccedere il pagamento del corrispettivo da parte del terzo.
Tale impostazione è stata confermata dalla ris. Agenzia delle Entrate
12.7.2006 n. 91, secondo cui, a seguito delle modifiche apportate dal
DLgs. n. 65/99 all’art. 1748 c.c., il diritto alla provvigione da parte
dell’agente scatta nel momento in cui il preponente e il terzo concludono il
contratto, dal momento che tale diritto non dipende dal buon fine
dell’operazione.
Attenzione
In dottrina, esiste peraltro un orientamento - contrario a quello testé
esaminato - secondo cui, laddove il contratto di agenzia individui un
momento di spettanza delle provvigioni successivo alla conclusione del
contratto tra preponente e terzo (es. consegna dei beni da parte del
preponente o pagamento del corrispettivo da parte del terzo), è in tale
momento che l’agente deve assoggettare a tassazione le provvigioni.
Si supponga che il contratto tra il preponente P e il cliente C venga
stipulato nel corso del 2014, mentre l’invio della merce da parte del
preponente (o l’esecuzione del servizio) avvenga nel 2015.
Se il contratto prevede la spettanza delle provvigioni per l’agente A
all’avvenuta esecuzione del contratto da parte di P:
• l’adesione al criterio indicato nell’Agenzia delle Entrate imporrebbe
di assoggettare a tassazione le provvigioni dell’agente A già nel
2014 (con un possibile contrasto con i corretti principi di redazione
del bilancio, che prevedono l’iscrizione dei soli ricavi certi);
• l’adesione al criterio alternativo sopra menzionato, invece,
imporrebbe ad A di tassare le provvigioni nel solo 2015.
Provvigioni passive
Per individuare l’esercizio di competenza fiscale delle provvigioni passive,
occorre tenere conto del principio di correlazione tra costi e ricavi,
intrinseco a quello di competenza (nota Agenzia delle Entrate 22.6.2006
n. 954-87316 e ris. Agenzia delle Entrate 12.7.2006 n. 91).
Una volta verificata la corretta correlazione civilistico-contabile, che
impone al preponente di iscrivere in bilancio le provvigioni passive nel
medesimo esercizio in cui sono imputati i ricavi derivanti dalla cessione di
beni o dalla prestazione di servizi, il costo relativo alle provvigioni passive
avrà il medesimo trattamento anche dal punto di vista fiscale.
Il contribuente potrà, quindi, dedurre fiscalmente il costo delle provvigioni
passive nel periodo d’imposta di iscrizione dei ricavi “procurati”
dall’agente, sempre che, ovviamente, in tale esercizio siano rispettati i
requisiti di certezza e determinabilità oggettiva.
In senso conforme, si vedano circ. Assonime 3.3.2006 n. 10; norma di
comportamento ADC 1.4.1997 n. 132 (seppur con riferimento alla
precedente versione dell’art. 1748 c.c.); Cass. 29.4.2011 n. 9539. In
giurisprudenza esistono, tuttavia, orientamenti difformi.
Appalti
Ai fini delle imposte dirette, il contratto di appalto (art. 1655 e ss. c.c.) è
considerato una prestazione di servizi. Da tale inquadramento discende
l’applicabilità dell’art. 109 co. 2 lett. b) del TUIR.
12
Con specifico riferimento al contratto di appalto, i costi si considerano
sostenuti dal committente e i ricavi si considerano conseguiti
dall’appaltatore alla data di accettazione, senza riserve, dell’opera
compiuta, ovvero, in caso di stati di avanzamento lavori (SAL), alla data di
accettazione definitiva degli stessi (ris. Agenzia delle Entrate 22.10.2009
n. 260, circ. Agenzia delle Entrate 27.10.2009 n. 44 e ris. Agenzia delle
Entrate 29.4.2009 n. 117).
Nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità (Cass.
29.3.1996 n. 2928, Cass. 18.12.2009 n. 26664), secondo la quale
concorrono a formare il reddito imponibile di un determinato esercizio i
ricavi per corrispettivi di appalti ultimati nel periodo stesso e non
anche quelli degli appalti già in corso ma non ancora ultimati. L’appalto
può considerarsi ultimato solo a partire dal giorno in cui è intervenuta (o si
considera intervenuta) l’accettazione dell’opera da parte del committente,
perché è quello il momento in cui si perfeziona il diritto dell’appaltatore al
corrispettivo, ai sensi dell’art. 1665 c.c. Inoltre, qualora l’opera sia
eseguita per partite (art. 1666 c.c.), la data di ultimazione del servizio si
identifica con la data di ultimazione della singola partita in cui l’appalto è
suddiviso e, quindi, con il momento nel quale interviene l’approvazione del
relativo stato di avanzamento.
L’accettazione può intervenire anche per fatti concludenti, quando il
committente compie un atto che presuppone la volontà di accettare o è
incompatibile con quella di non accettare. In ogni caso, l’accertamento
dell’avvenuta accettazione è compito del giudice di merito (Cass.
18.12.2009 n. 26664).
Nell’ipotesi in cui sia intervenuta l’accettazione dell’opera realizzata con il
contratto di appalto, e il committente intenda apportare modifiche o
aggiunte al progetto originario, le nuove pattuizioni intercorse tra
committente ed appaltatore determinano l’insorgere di un nuovo contratto
di appalto che, in quanto tale, sarà assoggettato ad autonoma disciplina
fiscale (CM 17.5.2000 n. 98/E, § 1.5.2).
Negli appalti di opere pubbliche, l’opera si considera ultimata al
momento in cui risulta avvenuta la sua “consegna” al committente, vale a
dire alla conclusione del procedimento relativo all’emissione del certificato
di collaudo provvisorio disciplinato dal DPR 554/99 (ris. Agenzia delle
Entrate 26.9.2005 n. 133).
Prestazioni di servizi verso un Ente pubblico
Il corrispettivo conseguito in relazione ad una prestazione di servizi (nel
caso di specie, organizzazione ed esecuzione di corsi di formazione
professionale) verso un Ente pubblico deve essere attribuito, ai fini fiscali,
al periodo d’imposta in cui si compie definitivamente l’iter procedimentale
di verifica delle prestazioni, a seguito del quale l’Amministrazione
riconosce il diritto al pagamento delle prestazioni eseguite (Cass.
17.9.2010 n. 19739).
È, invece, irrilevante la determinabilità dei costi delle prestazioni già al
momento della loro effettuazione, così come la corrispondenza fra costi e
ammontare del corrispettivo liquidabile dall’Amministrazione.
Contratti a corrispettivi periodici
13
Come accennato, nel caso di contratti a corrispettivi periodici (es.
locazione, mutuo, assicurazione), l’esercizio di competenza coincide con
quello di maturazione dei corrispettivi.
Maxicanone di leasing
Il c.d. “maxicanone” di leasing non può essere dedotto integralmente nel
primo esercizio di durata del contratto di locazione finanziaria, ma deve
essere frazionato lungo tutta la sua durata mediante la tecnica dei risconti
attivi (Cass. 5.6.2002 n. 8139, Cass. 2.8.2000 n. 10147 e Cass. 5.8.1997
n. 7209).
1.3 Emissione di prestiti obbligazionari
Nell’ipotesi di emissione di obbligazioni o titoli similari, in ogni periodo
d’imposta è deducibile, per una quota determinata in conformità al piano
di ammortamento del prestito, la differenza tra (art. 109 co. 2 lett. c) del
TUIR):
• le somme dovute alla scadenza;
• le somme ricevute in dipendenza dell’emissione.
Si considerano similari alle obbligazioni (art. 44 co. 2 lett. c) del TUIR):
• i buoni fruttiferi emessi da società esercenti la vendita a rate di
autoveicoli;
• i titoli di massa che contengono l’obbligazione incondizionata di
pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi
indicata e che non attribuiscono ai possessori alcun diritto di
partecipazione alla gestione dell’emittente o dell’affare in relazione
al quale sono stati emessi, né di controllo sulla gestione stessa.
La disposizione è rivolta ai soggetti che hanno emesso obbligazioni o titoli
similari, che possono essere:
• società di capitali, cooperative e mutue assicuratrici residenti nel
territorio dello Stato;
• enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio
dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio
di attività commerciale.
2. Limiti alla deducibilità delle spese alberghiere e di ristorazione
Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti
e bevande, diverse dalle spese sostenute per le trasferte effettuate al di
fuori del territorio comunale dai lavoratori dipendenti e dati titolari di
rapporti di collaborazione continuata e continuativa, sono deducibili nella
misura del 75 per cento.
Tuttavia, è prevista la detraibilità dell’IVA assolta sulle somministrazioni di
alimenti e bevande e sulle prestazioni alberghiere (art. 19-bis1 co. 1 lett.
e) del DPR 633/72).
L’incipit della norma (“fermo restando quanto previsto dai periodi
precedenti”) sta a significare che la riduzione al 75% si applica solo a
quelle spese che si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o
altri proventi che concorrono a formare il reddito, vale a dire ai costi
inerenti. La norma, cioè, non vale a considerare sempre parzialmente
deducibili tutte le spese relative a prestazioni alberghiere e a
somministrazioni di alimenti, ma si limita ad affermare che le predette
14
spese, un tempo integralmente deducibili, ora lo sono solo in misura
parziale.
Resta inteso che, laddove la spesa alberghiera o di somministrazione
sia di natura strettamente personale (ad esempio, un pranzo di famiglia),
l’art. 109 co. 5 del TUIR impone di considerarla integralmente
indeducibile, in quanto non inerente.
In altre parole, il limite del 75% non deroga agli ordinari criteri di inerenza
che presiedono alla determinazione del reddito d’impresa, ma rappresenta
il limite massimo di deducibilità delle spese in esame (circ. Agenzia delle
Entrate 5.9.2008 n. 53).
2.1 Spese relative a trasferte
La limitazione della deducibilità del costo al 75% non opera, per espressa
previsione normativa, con riferimento alle spese di vitto e alloggio
sostenute dalle imprese per le trasferte effettuate fuori dal territorio
comunale dai lavoratori dipendenti e dai titolari di rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa (art. 109 co. 5 del TUIR).
Attenzione
Quanto sopra vale anche per le trasferte effettuate dagli amministratori
titolari di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (circ.
Agenzia delle Entrate n. 6/2009, § 3).
Tali spese sono ammesse in deduzione per un ammontare giornaliero non
superiore a (art. 95 co. 3 del TUIR):
• euro 180,76, per le trasferte in Italia;
• euro 258,23, per le trasferte all’estero.
Il limite alla deducibilità di cui all’art. 109 co. 5 del TUIR trova, invece,
applicazione con riferimento alle spese di vitto e alloggio sostenute:
• in occasione delle trasferte effettuate da dipendenti e
collaboratori nell’ambito del territorio comunale circ. Agenzia delle
Entrate n. 6/2009, § 5);
• per le trasferte effettuate dai soci di società di persone (circ.
Agenzia delle Entrate n. 6/2009, § 4).
2.2 Spese per servizi mensa
Non sono soggette al limite di deducibilità del 75%:
• le spese sostenute dall’impresa per la gestione diretta del servizio di
mensa aziendale;
• le spese sostenute a fronte del servizio mensa gestito da terzi;
• le spese relative alla fornitura di un servizio di mensa esterna in
seguito alla stipula di apposita convenzione con un pubblico
esercizio;
• le spese per l’acquisto di ticket restaurant (circ. Agenzia delle
Entrate n. 6/2009 (§ 6, 7 e 8)).
Nelle ultime tre ipotesi, infatti, il costo è sostenuto per l’acquisizione di un
servizio complesso, non riconducibile alla semplice somministrazione di
alimenti e bevande.
15
2.3 Spese sostenute da imprese distributrici di ticket restaurant e
tour operator
La circ. Agenzia delle Entrate n. 6/2009 (§ 9 e 10) ha riconosciuto
l’integrale deducibilità delle spese di vitto e alloggio sostenute da:
• imprese distributrici di ticket restaurant;
• tour operator e agenzie viaggi.
In entrambi i casi, infatti, la fornitura di servizi alberghieri e/o di
ristorazione costituisce l’oggetto dell’attività propria dell’impresa (i servizi
concorrono in maniera diretta alla produzione dei ricavi).
Secondo l’Agenzia delle Entrate, un’interpretazione logico-sistematica
della disposizione introdotta dall’art. 109 co. 5 del TUIR porta a ritenere
che la limitazione della deducibilità operi esclusivamente con riferimento
alle spese per l’acquisizione di servizi che, alla luce dell’oggetto
dell’attività imprenditoriale, concorrono soltanto in maniera indiretta alla
produzione dei ricavi.
2.4 Spese sostenute da operatori congressuali
L’organizzatore congressuale che acquista prestazioni alberghiere e di
ristorazione per rivenderle ai propri clienti nell’ambito di un “pacchetto” di
servizi può beneficiare della piena deducibilità del costo sostenuto. Infatti,
la rivendita di dette prestazioni costituisce l’oggetto dell’attività d’impresa
e, dunque, i relativi costi non sono soggetti al limite del 75% (ris. Agenzia
delle Entrate 28.5.2010 n. 47).
Nella fattura emessa nei confronti del cliente, devono essere indicati
distintamente i servizi alberghieri e di ristorazione ed il relativo
corrispettivo (assoggettato ad IVA con aliquota ridotta del 10%), in modo
da consentire al cliente medesimo di operare la deduzione delle spese
relative all’acquisto dei servizi in esame nel limite del 75%.
Laddove l’operatore congressuale non possa fatturare nel dettaglio le
prestazioni rese (come nel caso in cui l’organizzazione di un congresso sia
affidata mediante la stipula di un contratto di appalto e venga pattuito un
corrispettivo forfetariamente determinato):
• il corrispettivo unitario richiesto dall’operatore stesso è soggetto
ad aliquota IVA ordinaria;
• spetta al committente richiedere, ai fini della deduzione delle spese
di vitto e alloggio nel limite del 75%, una documentazione recante il
dettaglio delle spese relative ai singoli servizi forniti (può trattarsi,
ad esempio, di un prospetto dettagliato dei costi del servizio
congressuale).
2.5 Spese di rappresentanza
La limitazione di cui all’art. 109 co. 5 del TUIR opera anche in relazione
alle spese di vitto e alloggio che ricadono nell’alveo delle spese di
rappresentanza, sempreché le stesse siano deducibili, secondo quanto
previsto dall’art. 108 co. 2 del TUIR (circ. Agenzia delle Entrate 5.9.2008
n. 53).
In altri termini, le spese di vitto e alloggio qualificabili come “spese di
rappresentanza” devono essere assoggettate:
16
in via preliminare, al limite del 75% di cui all’art. 109 co. 5 del
TUIR;
• successivamente, ai limiti di congruità di cui all’art. 108 co. 2 del
TUIR e di cui al DM 19.11.2008.
Spese sostenute per l’ospitalità dei clienti
La ris. Agenzia delle Entrate 18.8.2009 n. 225 ha analizzato il caso di una
società che, nell’esercizio della propria attività, sostiene spese di ospitalità
alberghiera e per somministrazione di alimenti e bevande nei confronti dei
clienti e dei loro accompagnatori.
Tali spese rappresentano un componente fondamentale del costo di
produzione del servizio offerto, attestandosi attorno al 10% del valore
della produzione realizzato.
Secondo l’Agenzia, le considerazioni sopra esposte con riferimento alle
imprese distributrici di ticket restaurant e ai tour operator non possono
trovare applicazione nel caso di specie, in quanto:
• il servizio gratuito di ospitalità nei confronti dei clienti e dei loro
accompagnatori non costituisce un componente imprescindibile
rispetto al tipo di attività svolta (esso rappresenta solo un elemento
addizionale al servizio offerto);
• le spese di ospitalità concorrono indirettamente alla produzione
dei ricavi.
Le spese in questione devono, quindi, essere assoggettate al limite di
deducibilità del 75% previsto dall’art. 109 co. 5 del TUIR, fermo restando
che le medesime rientrano nell’ambito di applicazione del DM 19.11.2008
relativo alle spese di rappresentanza.
•
2.6 Spese rifatturate al cliente
Oltre che per i professionisti, anche con riferimento agli imprenditori
individuali e ai soggetti societari può presentarsi il caso in cui vengano
rifatturate al cliente le spese di vitto e alloggio sostenute direttamente
dall’imprenditore ovvero da altri soggetti che non siano dipendenti o
collaboratori.
Si pensi, a titolo esemplificativo, ad un installatore che si reca in trasferta
per conto del cliente ed allo stesso rifattura le spese di vitto e alloggio.
Attenzione
Con riferimento ai soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo, per i
quali l’art. 54 co. 5 del TUIR prevede la deducibilità delle spese relative a
prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande per un
importo complessivamente non superiore al 2% dei compensi percepiti nel
periodo d’imposta. In tale ambito, l’Agenzia delle Entrate (circ. 18.6.2008
n. 47, risposta 3.3 e circ. 16.2.2007 n. 11, risposta 7.3) ha ritenuto
operante il limite del 2% anche con riferimento alle spese rifatturate al
cliente.
Non è chiaro se tale impostazione sia valida anche con riguardo ai soggetti
titolari di reddito d’impresa. Se così fosse, a fronte di un ricavo
integralmente tassato (la rifatturazione delle spese di vitto e alloggio), si
avrebbe un costo parzialmente deducibile.
Si tratta di una conclusione irrazionale e pertanto non accettabile.
17
Attenzione
Potrebbe soccorrere al riguardo la ris. Agenzia delle Entrate 24.7.2008 n.
320, nella quale si è affermato che, quando, relativamente ad un
determinato costo, non sussiste la possibilità di utilizzo differente da
quello imprenditoriale, dovrebbe prevalere il principio generale di
inerenza.
2.7 Deducibilità dell’IVA non detratta
Le condizioni al ricorrere delle quali l’IVA non detratta sulle prestazioni
alberghiere e sulle somministrazioni di alimenti e bevande è deducibile dal
reddito d’impresa (e di lavoro autonomo) sono state illustrate dalla circ.
Agenzia delle Entrate 19.5.2010 n. 25.
Tale documento rettifica (parzialmente) l’orientamento espresso nella circ.
3.3.2009 n. 6 (§ 1) e nella ris. 31.3.2009 n. 84, le quali avevano
sostenuto che l’IVA non detratta in questione non poteva essere dedotta:
• né nel caso in cui il contribuente disponesse della fattura relativa al
bene o al servizio ricevuto e scegliesse di non detrarre l’imposta;
• né nel caso in cui il contribuente decidesse di non richiedere
all’albergatore o al ristoratore l’emissione della fattura e ricevesse,
quindi, dal prestatore del servizio un documento diverso dalla
fattura (scontrino o ricevuta fiscale), non recante specifica
indicazione dell’IVA gravante sul corrispettivo pagato per la
prestazione medesima.
L’impostazione in esame è stata criticata da Assonime (circ. 9.4.2009 n.
16, nota 40), dal CNDCEC (circ. 27.4.2009 n. 9/IR, § 6) e dalla dottrina
pressoché unanime.
In particolare, in assenza di fattura, le prestazioni alberghiere e le
somministrazioni di alimenti e bevande sono documentate mediante
scontrino o ricevuta fiscale, vale a dire mediante documenti che non
consentono l’esercizio della detrazione, in quanto privi dell’evidenziazione
dell’IVA relativa a dette prestazioni.
Si ricorda, infatti, che, ai sensi dell’art. 22 del DPR n. 633/72, gli
imprenditori non sono tenuti a richiedere la fattura per le suddette
operazioni; detto obbligo sussiste soltanto per gli acquisti effettuati presso
commercianti al minuto in relazione a beni che formano oggetto
dell’attività propria dell’impresa.
Pertanto, qualora l’imprenditore (o il professionista) decida di non
richiedere l’emissione della fattura (e, quindi, di non detrarre l’IVA assolta
sulle suddette prestazioni), perché i costi da sostenere per eseguire gli
adempimenti IVA connessi alle fatture sono superiori al vantaggio
economico costituito dall’importo dell’IVA detraibile, all’IVA non detratta
può essere riconosciuta la natura di costo inerente all’attività esercitata,
con la conseguente deducibilità ai fini delle imposte sui redditi.
L’Amministrazione finanziaria richiama il contenuto della precedente RM
6.9.1980 n. 9/517, nella quale è stata riconosciuta la deducibilità delle
perdite conseguenti alla rinuncia a crediti, qualora la rinuncia stessa
si ponga “in una scelta di convenienza per l’imprenditore ovverosia
18
quando il fine perseguito è pur sempre quello di pervenire al maggior
risultato economico”.
In questo caso, il limite di deducibilità del 75% deve essere riferito al
costo delle prestazioni maggiorato dell’IVA non detratta.
Sull’argomento si veda anche il parere CNDCEC 15.9.2011.
Diversamente, non può costituire un costo inerente all’attività esercitata e,
conseguentemente, non è deducibile dal reddito d’impresa (e di lavoro
autonomo) l’IVA documentata mediante fattura e rimasta a carico
dell’impresa a causa del mancato esercizio del diritto alla detrazione.
Peraltro, secondo la circ. Assonime 15.6.2010 n. 20 e la circ. Fondazione
Studi Consulenti del Lavoro 3.6.2010 n. 9, la possibilità di dedurre l’IVA
non detratta dovrebbe essere riconosciuta anche nell’ipotesi in cui
l’imprenditore sia in possesso della fattura, ma decida comunque di non
detrarre l’IVA. Infatti, anche in questo caso, la mancata detrazione
dell’IVA - in presenza di importi assai ridotti - risponde pur sempre a
valide ragioni economiche. In pratica, “non può disconoscersi che la
valutazione di antieconomicità circa gli oneri che si devono sostenere per
esercitare il diritto alla detrazione ben può essere validamente condotta
anche nell’ipotesi in cui sia stata rilasciata la fattura” (circ. Assonime
15.6.2010 n. 20, § 2.5.7).
3. Errori contabili
L’Agenzia delle Entrate ha recentemente affrontato il tema del trattamento
fiscale della correzione di errori effettuate in applicazione dei corretti
principi contabili (OIC 29 e IAS 8), derivanti da:
• mancata imputazione di componenti negativi nel corretto
esercizio di competenza;
• mancata imputazione di componenti positivi nel corretto
esercizio di competenza (circ. n. 31/2013).
3.1 Dichiarazioni integrative a favore del contribuente
Qualora l’omessa imputazione dell’elemento negativo di reddito abbia
interessato un’annualità che, per effetto dell’imputazione fiscale del
componente negativo (o di componenti sia negativi sia positivi, ma che
complessivamente generano un effetto positivo per il contribuente) al suo
originario periodo d’imposta, concretizza una perdita o incrementa la
perdita dichiarata nell’anno:
a. se l’annualità è ancora ai sensi dell’art. 2, co. 8-bis del DPR n.
322/1998 (i.e. non sono ancora scaduti i termini di presentazione
della dichiarazione relativa all’annualità successiva), il contribuente
potrà presentare una dichiarazione integrativa secondo le
modalità ordinarie;
b. se per l’annualità siano scaduti i termini per l’invio di una
dichiarazione integrativa, il contribuente potrà in ogni caso dare
evidenza all’elemento di costo non dedotto, qualora lo stesso,
nell’anno di competenza ed eventualmente in quelli successivi, abbia
determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un
maggior debito d’imposta o di un minor credito, seguendo le
19
indicazioni fornite con la circ. Agenzia delle Entrate 24.9.2013 n. 31
(§ 4).
Tuttavia tale possibilità è limitata ai soli periodi d’imposta per i quali non
sono scaduti i termini per l’accertamento al momento della scadenza
dei termini di presentazione della dichiarazione integrativa.
Il contribuente dovrà riliquidare tutte le annualità d’imposta interessate
dall’errore, partendo dalla dichiarazione relativa all’annualità dell’omessa
imputazione e le annualità successive, fino all’annualità ancora
emendabile ai sensi del citato art. 2 co. 8-bis.
Il contribuente potrà presentare la dichiarazione integrativa relativamente
a tale ultima annualità, con il risultato delle riliquidazioni effettuate (sia
che presenti un credito di imposta, sia una maggiore perdita fiscale).
Da ciò discenderà una comunicazione di irregolarità, poiché il controllo
automatico della dichiarazione integrativa non avrà esito positivo. In tale
circostanza, il contribuente potrà produrre la documentazione necessaria a
comprovare la corretta competenza del costo non dedotto.
3.2 Dichiarazioni integrative a sfavore del contribuente
La dichiarazione deve essere emendata anche in presenza di erronea o
omessa imputazione di componenti di reddito positivi che determinino un
esito sfavorevole al contribuente(o di componenti sia negativi sia positivi,
ma che complessivamente generano un effetto negativo per il
contribuente).
In tal caso, è prevista la possibilità di presentare dichiarazioni integrative
fino al termine del periodo di accertamento. Il contribuente potrà avvalersi
dell’istituto del ravvedimento, come modificato dalla Legge di Stabilità
2015 (riduzione delle sanzioni ad 1/7 del minimo entro il termine di
presentazione della dichiarazione successiva o ad 1/6 entro il termine del
periodo di accertamento), per il pagamento delle sanzioni del 100% per
infedele dichiarazione.
Se la correzione di un errore in un’annualità ha impatti anche sulle
successive (come nel caso di annualità in perdita fiscale, ridotta per
effetto della correzione di errori), il contribuente dovrà presentare
dichiarazioni integrative “a sfavore” anche per gli anni successivi.
CASI PARTICOLARI
1. Principio di competenza
1.1 Componenti di reddito relativi a controversie
Gli oneri relativi ad una controversia diventano certi e oggettivamente
determinabili (e quindi deducibili) nell’esercizio in cui è stata depositata la
Sentenza del Tribunale adito per dirimere la controversia (nota DRE Emilia
Romagna 29.6.2007 n. 38696).
In tal senso si è espressa anche la RM 27.4.1991 n. 9/174: nel caso
esaminato, un risarcimento danni è stato ritenuto onere certo ed
oggettivamente determinabile in quanto discendente da una sentenza
avente efficacia esecutiva; esso è stato, quindi, ritenuto deducibile
“nell’esercizio in cui la sentenza medesima è venuta a giuridica esistenza”.
20
Peraltro, ai fini in esame, non assume rilievo il grado di giudizio; infatti, la
sentenza definitiva produce immediati effetti giuridici anche se ancora
impugnabile per motivi di diritto mediante ricorso per cassazione (RM
27.4.1991 n. 9/174).
Nel caso in cui la controversia venga risolta tramite un accordo
transattivo, i requisiti di certezza ed obiettiva determinabilità sono
verificati a seguito della stipula dell’atto di transazione.
La fattispecie è stata oggetto di esame anche da parte della
giurisprudenza di legittimità; in particolare, secondo la Suprema Corte, gli
oneri dovuti a seguito di una controversia di lavoro conclusasi con un
verbale di conciliazione sono fiscalmente deducibili nell’esercizio in cui il
verbale di conciliazione viene dichiarato esecutivo dal giudice e, per tale
motivo, non risulta più modificabile. Infatti, è l’intervento del giudice che
compone la controversia, e solo quando il giudice dichiara esecutivo il
verbale vi è certezza del diritto per ciascuna delle parti (Cass. Sentenza
19.10.2001 n. 12788).
1.2 Indennità per ferie non godute
È ammissibile la deduzione del costo per le indennità dovute al personale
per ferie non godute nell’esercizio in cui il dipendente matura il relativo
diritto, indipendentemente dal fatto che le indennità non siano
effettivamente corrisposte e indipendentemente dall’eventuale futuro
godimento delle ferie (Cass. 6.6.2007 n. 13224, 20.7.2007 n. 16128 e
15.1.2009 n. 871).
Qualora, nell’esercizio successivo a quello di maturazione, il dipendente
recuperi le ferie non godute nell’anno precedente, perdendo il diritto
all’indennità sostitutiva, l’importo di quest’ultima costituisce una
sopravvenienza attiva imponibile ai sensi dell’art. 88 del TUIR (Cass.
6.6.2007 n. 13224, 20.7.2007 n. 16128 e 15.1.2009 n. 871).
1.3 Oneri derivanti da clausole penali per inadempienza
Con la circ. 27.6.2011 n. 29, l’Agenzia Entrate ha fornito chiarimenti
sull’individuazione del periodo d’imposta in cui è possibile dedurre la
penale che, in virtù di un rapporto contrattuale di natura privatistica,
un’impresa è tenuta a pagare ad un ente pubblico in seguito alla
violazione degli obblighi contrattuali pattuiti.
Con la clausola penale (artt. 1382 - 1384 c.c.), i contraenti disciplinano gli
effetti dell’inadempimento in modo diverso da quanto stabilito dalla legge,
concordando una preventiva e convenzionale liquidazione del danno. Le
parti prevedono una sanzione per l’inadempimento, consistente in una
prestazione che il contraente inadempiente deve effettuare all’altro,
indipendentemente dal danno sofferto da quest’ultimo. Il risarcimento
spettante alla parte non inadempiente è quindi predeterminato, in quanto
la clausola penale fissa l’importo del risarcimento a prescindere dalla
prova del danno.
21
Nel caso di specie, l’impresa:
• aveva violato gli obblighi contrattuali nel corso del 2010;
• al 31.12.2010 non aveva ancora ricevuto alcun atto in cui venisse
contestata la violazione, ma aveva comunque la sicurezza che il
pagamento della penale sarebbe stato richiesto, vista la natura
pubblica della controparte (certezza del costo);
• al termine dell’esercizio 2010 aveva tutti gli elementi per
determinare, sulla base del contratto, l’ammontare della penale
(oggettiva determinabilità del costo);
• nel mese di gennaio 2011 riceveva la richiesta dell’ente pubblico di
pagamento della penale contrattuale relativamente alla violazione
commessa nel corso del 2010 (formazione del titolo giuridico).
Con specifico riferimento al caso prospettato, l’Agenzia delle Entrate ha
ritenuto che il costo relativo alla penale poteva essere dedotto dal reddito
nel periodo d’imposta 2010 (modello UNICO 2011).
2. Principio di inerenza
2.1 Riscatto per la liberazione del dirigente
Le spese sostenute da una società per il pagamento del riscatto per la
liberazione di un proprio dirigente non possono essere considerate inerenti
(nel senso precisato) e, come tali, non sono deducibili dal reddito
dell’impresa (Cass. 11.8.1995 n. 8818 e C.T.C. 25.10.99 n. 768). In
particolare, ad avviso della Suprema Corte, ai fini della deducibilità dal
reddito d’impresa, occorre “una stretta inerenza dei costi e degli oneri
all’attività svolta”, in modo tale che essi siano stati utilizzati nella
formazione del reddito. Secondo i giudici la spesa costituita dal pagamento
del riscatto per la liberazione di un dirigente, sia pure di comprovate
capacità imprenditoriali, non può essere annoverata tra quelle funzionali
alla produzione del reddito.
2.2 Polizze per rischio di morte o invalidità degli amministratori
La deducibilità, dal reddito d’impresa, dei premi delle polizze stipulate per
il rischio di morte o invalidità degli amministratori, qualora beneficiaria sia
la società, appare controversa.
A favore della deducibilità si è pronunciata la norma di comportamento
ADC n. 154, in base alla considerazione che si tratterebbe di costi
inerenti all’attività d’impresa. Infatti, il decesso o l’infortunio
dell’amministratore costituiscono eventi forieri di conseguenze sfavorevoli
per la società, che dal venir meno delle capacità e delle conoscenze del
proprio amministratore può subire ripercussioni negative sull’attività
esercitata.
In altre parole, con la stipula del contratto assicurativo volto a coprire il
rischio di morte o infortunio dell’amministratore, la società ha come fine la
tutela degli interessi e del patrimonio aziendale, minacciati dall’occorrere
di tali sinistri e, pertanto, tale cautela, ancorché onerosa, costituisce un
atto pienamente giustificato sotto il profilo economico e civilistico.
In senso contrario si è espressa la DRE per il Piemonte in risposta ad un
quesito del febbraio 2005. Secondo tale orientamento, “i costi sostenuti
22
(...) a fronte del pagamento dei premi per le polizze assicurative non
possono essere considerati «funzionali» alla produzione del reddito”.
2.3 Sanzioni pecuniarie
Secondo l’Amministrazione finanziaria, le sanzioni pecuniarie sono
indeducibili dal reddito d’impresa per via della mancanza del requisito
dell’inerenza (CM 17.5.2000 n. 98/E, § 9.2.6, ris. Agenzia delle Entrate
12.6.2001 n. 89, circ. Agenzia delle Entrate 20.6.2002 n. 55 e circ.
Agenzia delle Entrate 26.9.2005 n. 42).
Esempi di tali sanzioni possono essere:
• le sanzioni irrogate dalla UE per la violazione degli artt. 85 e 86 del
Trattato di Roma in tema di concorrenza;
• le sanzioni irrogate dall’autorità Antitrust;
• le sanzioni irrogate per le infrazioni commesse dagli amministratori
o dai collaboratori della società;
• le sanzioni irrogate per punire le infrazioni alle norme sulla
circolazione stradale.
L’irrogazione
della
sanzione
è,
infatti,
una conseguenza
del
comportamento illecito tenuto dal contribuente e consentirne la
deducibilità implicherebbe lo svilimento della sua funzione repressiva e
preventiva.
Pur se analogo orientamento è rinvenibile nella giurisprudenza di
legittimità, non mancano peraltro alcune pronunce che sostengono,
invece, la tesi della deducibilità, principalmente sulla base delle seguenti
considerazioni:
• gli illeciti compiuti in seguito alla violazione delle norme regolatrici
l’esercizio dell’impresa (quali quelle Antitrust) non possono
considerarsi indeducibili perché conseguenza di un comportamento
illecito tenuto dal contribuente, posto che, in tal modo, il
contribuente verrebbe ad essere colpito due volte: una prima volta,
direttamente, tramite la sanzione appositamente prevista, una
seconda, in via indiretta, per effetto della supposta indeducibilità
della sanzione medesima;
• le sanzioni in esame rivestono funzione risarcitoria e ripristinatoria
dell’equilibrio economico violato con il comportamento illecito e, in
quanto tali, vanno considerate spese derivanti da illeciti attinenti alla
gestione d’impresa e non già alla sfera personale dell’imprenditore.
Nel senso della deducibilità delle sanzioni, si vedano le norme di
comportamento ADC nn. 41 e 138 e la circ. Assonime n. 39/2000.
Penali previste da un contratto per ritardata consegna di beni
Secondo la Cass. 27.9.2011 n. 19702, le somme corrisposte in caso di
inadempimento, oppure ritardo nell’adempimento, in applicazione di
clausole penali contenute in un contratto ex art. 1382 c.c., sono deducibili
dal reddito d’impresa, in quanto inerenti all’attività aziendale.
Infatti, le clausole in esame:
• non hanno natura e finalità sanzionatoria o punitiva;
• bensì assolvono la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale tra le
parti e di determinare preventivamente la prestazione risarcitoria da
corrispondere alla controparte.
23
Interessi di mora relativi ad oneri di urbanizzazione
Secondo la Cass. 25.11.2011 n. 24930, gli interessi moratori conseguenti
al mancato o ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione rivestono
natura sanzionatoria, in quanto sono correlati ad un inadempimento
dell’imprenditore o degli amministratori della società. Pertanto, gli stessi
non costituiscono costi funzionali alla produzione del reddito, come tali
deducibili ai sensi dell’art. 109 del TUIR.
Assonime ha espresso perplessità in ordine alla pronuncia della Suprema
Corte per i seguenti motivi (circ. 11.6.2012 n. 18, § 2.6.1):
• la pronuncia appare in contraddizione con quanto affermato dalla
stessa Corte nella precedente sentenza 27.9.2011 n. 19702;
• appare discutibile ipotizzare che gli interessi di mora costituiscano
una sanzione al pari di quelle amministrative o penali che esprimono
la reazione dell’ordinamento a tutela di istanze generali dello Stato;
essi rappresentano più semplicemente “la quantificazione di un
danno patrimoniale recato ad altri soggetti - siano essi privati o
pubblici - con cui l’impresa è venuta a relazionarsi”;
• l’indeducibilità degli interessi di mora, quali costi non inerenti alla
produzione del reddito d’impresa, appare smentita dalla lettera delle
disposizioni contenute nell’art. 109 co. 7 del TUIR, che, sebbene
rivolte a stabilire una regola di imputazione “per cassa” di tali oneri,
implicitamente ne affermano anche la rilevanza fiscale.
2.4 Spese sostenute per favorire la diffusione di medicinali
Sono indeducibili gli oneri sostenuti per l’acquisto di beni o servizi
destinati, anche indirettamente, a medici, veterinari o farmacisti, allo
scopo di agevolare, in qualsiasi modo, la diffusione di specialità medicinali
o di ogni altro prodotto ad uso farmaceutico (art. 2 co. 9 della L.
27.12.2002 n. 289).
Come chiarito dalla circ. Agenzia delle Entrate 18.1.2006 n. 3, la
disposizione intende disincentivare comportamenti che determinano una
crescita patologica della spesa sanitaria, riflettendosi sui prezzi dei farmaci
e sulle quantità prescritte, sancendo l’indeducibilità delle spese sostenute
per l’acquisto dei beni e/o servizi destinati ai medici, veterinari e
farmacisti, che configurano comportamenti illeciti vietati:
• dalla norma penale (es. reato di comparaggio);
• oppure dalla disciplina speciale del settore sanitario.
L’indeducibilità riguarda tutti quei costi, normalmente riconducibili alla
categoria delle spese di rappresentanza, relativi all’offerta a titolo gratuito
di beni e servizi agli operatori sanitari che superino il modico valore e,
quindi, non “siano di valore trascurabile” (circ. Agenzia delle Entrate
18.1.2006 n. 3).
2.5 Somme dovute a titolo di oblazione per condono edilizio
Le somme dovute a titolo di oblazione a seguito di condono edilizio sono
indeducibili dal reddito d’impresa, in quanto deve escludersi, in tale
ipotesi, qualsiasi correlazione tra il costo e il reddito prodotto.
24
Infatti, tali somme trovano causa “in attività compiuta in violazione di
legge, estranea all’esercizio dell’attività commerciale dell’impresa” (Cass.
13.5.2003 n. 7317).
Con la sentenza 24.5.2005 n. 10952, la Corte di Cassazione ha, tuttavia,
affermato che non è corretto considerare il costo del condono edilizio
come una sanzione, dal momento che esso include anche altri oneri che
non possono definirsi tout court «sanzionatori» (ad esempio, gli oneri di
urbanizzazione)”. Seguendo tale orientamento, almeno una parte del
costo del condono dovrebbe risultare deducibile.
2.6 Comportamento antieconomico
Il comportamento antieconomico del contribuente può fondare un avviso
di accertamento relativo al recupero a tassazione di costi
indebitamente dedotti. Infatti, il fatto che l’entità del costo sia
sproporzionata rispetto alla realtà aziendale soggetta a verifica comporta,
quantomeno in parte, il venire meno dell’inerenza del costo stesso).
Attenzione
Secondo alcuna giurisprudenza di merito l’attività svolta dall’impresa e la
conseguente tipologia di clientela, alcuni costi sostenuti dall’impresa
fossero irrazionali da un punto di vista imprenditoriale. Tali costi non
sarebbero stati finalizzati alla realizzazione di ricavi e di utile, e pertanto
non potevano essere considerati inerenti (e quindi deducibili).
2.7 Spese sostenute da un consorzio e addebitate pro quota alle
singole consorziate
Con la sentenza 28.10.2009 n. 22790, la Corte di Cassazione si è
pronunciata in merito alla deducibilità delle spese sostenute da un
consorzio (costituito nella forma di società di capitali) e addebitate pro
quota, in base al regolamento interno del gruppo, alle singole società
consorziate.
Secondo la Suprema Corte, sia il consorzio che ogni singola consorziata
sono soggetti passivi d’imposta in via autonoma, in quanto:
• il consorzio costituito in forma di società di capitali è distinto dalle
società consorziate e risponde autonomamente delle proprie
obbligazioni tributarie;
• il fatto che i rapporti economici interni al gruppo siano retti da un
patto che è fonte di obbligazioni contrattuali per le consorziate,
consistenti - essenzialmente - nel demandare al consorzio la
gestione esclusiva di determinati affari d’interesse comune (es.
pubblicità, rappresentanza, sicurezza, logistica, ecc.) e nel
sopportarne la spesa pro quota, non spoglia l’impresa consorziata
della propria soggettività giuridica e fiscale.
La parte di spesa sostenuta da ciascuna società, in base al patto
consortile, per assicurarsi i vantaggi derivanti dall’istituzione del consorzio
non ha, in se stessa, la connotazione di inerenza. Pertanto, ogni
consorziata è tenuta a dimostrare se, ed in quale misura, tale spesa sia
stata effettivamente sostenuta dal consorzio e si riferisca ad attività o beni
25
propri, da cui sono derivati ricavi o proventi che hanno concorso a
formarne il reddito (Cass. 21.4.2008 n. 10257).
2.8 Componenti reddituali relativi a beni concessi in comodato a
terzi
In linea di principio, la circostanza che un bene venga concesso in
comodato non fa venire meno la strumentalità e l’inerenza dello stesso e
quindi la possibilità per il comodante di dedurre i relativi costi. Infatti,
l’Amministrazione finanziaria ha affermato che l’inerenza del bene sussiste
nella circostanza in cui lo stesso ceda le proprie utilità all’impresa
proprietaria e non a quella che lo ha utilizzato (RM 5.1.81 n. 9/2320).
Analogo principio risulta recepito dalla giurisprudenza di legittimità, ad
avviso della quale un’attività d’impresa può essere svolta anche attraverso
un procedimento complesso caratterizzato dall’esternalizzazione di fasi più
o meno ampie di produzione, dove un soggetto conserva la proprietà e il
controllo dei mezzi di produzione affidati a terzi per costruire e fornire
i beni richiesti, che cedono così le proprie utilità all’impresa proprietaria e
non a quella utilizzatrice (Cass. 21.1.2009 n. 1465 e 13.2.2009 n. 3583).
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha stabilito che non sono deducibili le
quote di ammortamento riferibili a beni dati in comodato a imprese
terze se non è adeguatamente provato il beneficio conseguito dal
comodante (Cass. 21.1.2011 n. 1389). Nel caso di specie, una società
italiana operante nel settore tessile aveva acquistato alcuni macchinari e li
aveva concessi in comodato a imprese terze con sede all’estero. Secondo
la Suprema Corte, nel caso esaminato, mancava ogni collegamento tra il
comodato dei macchinari alle imprese estere e il vantaggio conseguito,
“non essendo specificate le modalità e i termini con cui il prodotto delle
società estere rientrava nel ciclo produttivo del comodante”. Inoltre, non
poteva intendersi che il vantaggio economico fosse intrinseco nella
dazione delle macchine a terzi, in quanto l’operazione avrebbe potuto
essere diretta ad ottenere utilità di tipo diverso, favorendo i profitti delle
società controllate estere.
2.9 Costi per la risoluzione del rapporto di lavoro di amministratori
di società controllate
Nel caso di specie, infatti, il costo dell’accordo transattivo sottoscritto con
l’amministratore delegato della controllata
• risultava attinente con il ruolo e l’oggetto sociale della società
ricorrente, che, quale holding del gruppo, svolgeva attività di
coordinamento tecnico e finanziario, di indirizzo strategico e di
controllo delle società da questa partecipate
• rispondeva all’esigenza di quest’ultima di rispettare il patto
parasociale sottoscritto con l’altro socio della controllata.
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