La determinazione dei componenti positivi e negativi nel reddito di
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La determinazione dei componenti positivi e negativi nel reddito di
La determinazione dei componenti negativi nel reddito di impresa positivi e di Paolo Parisi Docente di diritto tributario “Scuola Nazionale dell’Amministrazione - Presidenza del Consiglio dei Ministri” Esperto fiscale e societario - Parisi Tax Firm & Partners” Due sono i principi generali che presiedono la determinazione del reddito di impresa: • il principio di competenza (art. 109, co. 1 e 2), in base al quale i proventi e gli oneri concorrono alla determinazione del reddito d’impresa nell’esercizio in cui vengono conseguiti o sostenuti, indipendentemente dalla loro manifestazione numeraria; • il principio di inerenza (art. 109, co. 5 e 8), inteso come correlazione fra onere sostenuto e attività produttiva di reddito imponibile. Il legislatore fiscale non fornisce una definizione di competenza. In linea generale, può essere denominato di competenza l’esercizio in cui si verificano le operazioni e gli eventi che originano i componenti reddituali, indipendentemente da quello in cui si concretizzano i relativi incassi e pagamenti. 1. Competenza Il principio di competenza si pone in antitesi rispetto al principio di cassa. Secondo il principio di competenza, infatti, sono irrilevanti le movimentazioni finanziarie relative ai componenti positivi e negativi del reddito, mentre assumono rilevanza gli effetti giuridici delle relative operazioni. Oltre al principio di competenza, i ricavi, le spese e gli altri componenti concorrono a formare il reddito se sono rispettati altri due requisiti: • la correlazione costi-ricavi; • i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità. 1.1 Correlazione costi-ricavi Il principio di competenza va interpretato nel senso che i costi devono seguire i ricavi e non viceversa (si veda da ultimo ris. Agenzia delle Entrate 22.8.2007 n. 232). Infatti, in assenza di ricavi, non può parlarsi di produzione di reddito: ne consegue che sono i costi a dover essere correlati ai ricavi. Laddove il principio di competenza sia applicato in modo erroneo con riferimento ai ricavi, i costi correlati non possono seguire i ricavi e sono quindi deducibili secondo il principio generale di competenza. La conclusione di tale ragionamento non cambia anche nell’ipotesi in cui non vi sia stato un danno per l’Erario, in quanto nessuna interpretazione della disciplina in tema di imputazione delle voci reddituali richiede un giudizio sull’esistenza o meno di un danno erariale (Cass. 24.1.2013 n. 1648). 1 1.2 Certezza e oggettiva determinabilità Concorrono a formare il reddito di esercizio i componenti positivi e negativi che, nell’esercizio di competenza, possiedono i requisiti della certezza e determinabilità oggettiva. In assenza di tali requisiti, essi concorrono a formare il reddito dell’esercizio successivo in cui tali condizioni si verificano (art. 109 co. 1, secondo periodo, del TUIR). In altre parole, il principio di competenza viene disatteso se non sono soddisfatti anche i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità. Tali requisiti: • costituiscono gli elementi distintivi tra competenza civilistica e competenza fiscale: in altre parole, l’imputazione di taluni elementi reddituali al Conto economico di un determinato esercizio, effettuata secondo i criteri civilistici, non ha rilevanza fiscale allorquando difettano i requisiti previsti dalle norme tributarie; • non hanno rilevanza autonoma, ma operano in seconda battuta, una volta esperita la ricerca del periodo di competenza del componente reddituale. Così, un costo deve essere obbligatoriamente dedotto nell’esercizio di competenza, intendendosi per tale quello in cui esso diviene certo e oggettivamente determinabile: deve quindi escludersi la deducibilità di un determinato componente reddituale in esercizi precedenti o successivi a quello di competenza, al fine di impedire al contribuente di operare una scelta arbitrale del periodo di imposta in cui dichiarare i propri componenti di reddito, poiché ciò potrebbe comportare manovre volte a ridurre il carico impositivo (Cass. 28.7.2006 n. 17195, Cass. 30.7.2007 n. 16819, Cass. 18.12.2009 n. 26664, Cass. 29.10.2010 n. 22135 e Cass. 31.1.2011 n. 2213). Sotto il profilo probatorio, spetta al contribuente dimostrare che la certezza e l’obiettiva determinabilità si verificano in un periodo d’imposta diverso da quello di competenza civilistica (Cass. 14.5.2007 n. 10988, Cass. 22.11.2009 n. 24526 e Cass. 9.11.2011 n. 23328). Attenzione La correlazione costi e ricavi e i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità sono richiesti anche ai fini di dedurre spese e oneri che, pur specificamente afferenti ricavi e altri proventi, non risultino imputati al Conto economico. Tali componenti negativi, infatti, concorrono a formare il reddito se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi (art. 109 co. 4 lett. b), ultimo periodo, del TUIR). È il caso, ad esempio, dei costi correlati ai maggiori ricavi emersi a seguito di accertamento analitico (ex art. 39 co. 1 del DPR 600/73), sulla base di scritture contabili che il contribuente ha esibito e che vengono rettificate (Cass. 14.12.1998 n. 13068). 1.3 Nozione di certezza La certezza concerne l’esistenza del provento o dell’onere. In generale, l’esistenza del componente reddituale viene considerata certa quando lo è dal punto di vista giuridico, vale a dire nel momento in cui esiste un vincolo avente origine: 2 in un contratto (nota ministeriale 21.3.81 n. 9/167; e nota ministeriale 22.10.81 n. 9/2940) • in un fatto illecito; • in un atto della P.A.; • direttamente dalla norma. Attenzione Secondo la Cass. 4.9.2012 n. 14798, qualora i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità dei componenti di reddito siano condizionati dall’espletamento di procedure amministrative (come avviene nel caso di contributi regionali erogati per assunzioni a tempo indeterminato), gli stessi si intendono acquisiti, ai fini dell’imputazione del reddito dell’impresa, solo attraverso il procedimento amministrativo che ne verifica i presupposti e ne liquida l’ammontare. • 1.4 Nozione di oggettiva determinabilità L’oggettiva determinabilità attiene all’ammontare dell’elemento reddituale. In particolare, l’ammontare del provento o dell’onere risulta determinabile quando la valutazione estimativa del medesimo si basa su criteri non soggettivi, bensì suffragati da elementi oggettivi (nota ministeriale 11.3.1981 n. 9/375). In altri termini, la funzione del requisito in esame appare quella di sottrarre al computo del reddito d’impresa componenti quantificati in base a mere congetture soggettive oppure a calcoli probabilistici. Così, la determinabilità va riguardata come reale possibilità di tradurre gli accadimenti aziendali in espressioni numerarie (nota ministeriale 22.10.1981 n. 9/2940). L’obiettiva determinabilità non è collegata all’intervenuto accordo tra le parti (rectius manifestazione di volontà) sul costo, altrimenti sarebbe ad esse demandata la scelta di stabilire a quale esercizio imputare la relativa componente del reddito d’impresa. Il costo, infatti, può essere determinato in modo obiettivo già prima dell’accordo, attraverso strumenti quali la parametrazione ad altre operazioni simili, il valore di mercato dei beni utilizzati in rapporto al numero delle ore di utilizzo dei medesimi, ecc. (Cass. 14.5.2007 n. 10988 e Cass. 22.11.2009 n. 24526). 1.5 Ambito temporale La certezza e l’oggettiva determinabilità devono manifestarsi entro la chiusura dell’esercizio e non già entro il momento di redazione del relativo bilancio o di presentazione della relativa dichiarazione dei redditi. Così, ipotizzando esercizi coincidenti con l’anno solare, le condizioni di certezza e oggettiva determinabilità devono sussistere al 31 dicembre, pur potendo le stesse essere conosciute successivamente. Con la nota ministeriale 21.3.1981 n. 9/167, il Ministero delle Finanze ha ritenuto di competenza (fiscale) dell’esercizio solare 1981 gli oneri (es. competenze arretrate e adeguamento fondi quiescenza e previdenza) derivanti dal rinnovo del contratto (intervenuto il 14.1.81) che regolava il trattamento economico dei dipendenti di un’impresa, oneri relativi al periodo luglio-dicembre 1980. Ad avviso del Ministero, infatti, nel caso del 3 diritto del personale dipendente di godere un diverso trattamento economico, il requisito della certezza si sostanzia nel momento in cui le parti in causa raggiungono il definitivo accordo e di conseguenza sottoscrivono un nuovo contratto che regola il trattamento economico del personale. Peraltro, la Corte di Cassazione, con le sentenze 27.2.2002 n. 2892 e 19.12.2011 n. 27536, ha affermato che i proventi e gli oneri possono essere imputati al relativo periodo d’imposta fino al momento “della redazione e presentazione della dichiarazione” dei redditi, purché entro tale termine si siano manifestati i requisiti della certezza e dell’oggettiva determinabilità richiesti dalla norma. Ad avviso della Suprema Corte, depone in tal senso, tra l’altro, il disposto di cui all’art. 14 co. 4 del DPR 600/73, in base al quale le società e gli enti, il cui bilancio o rendiconto è soggetto per legge o per statuto alla approvazione dell’assemblea o di altri organi, possono effettuare nelle scritture contabili gli aggiornamenti conseguenziali all’approvazione stessa fino al termine stabilito per la presentazione della dichiarazione. Tale orientamento tuttavia non pare condivisibile: la stessa Amministrazione finanziaria, infatti, con la citata nota ministeriale 21.3.1981 n. 9/167, ha rilevato che la disposizione contenuta nell’art. 14 co. 4 del DPR 600/73 consente ai soggetti tenuti per legge o per statuto all’approvazione del bilancio o del rendiconto a introdurre, fino al termine stabilito per la presentazione della dichiarazione, gli aggiornamenti consequenziali all’approvazione stessa. In altre parole, la disposizione sarebbe applicabile soltanto per le scritture di assestamento contabile relative a fatti gestionali già costituitisi nel corso dell’esercizio cui si riferisce l’approvazione assembleare. 2. Inerenza L’inerenza va intesa come correlazione fra onere sostenuto e attività produttiva di reddito imponibile. In pratica, occorre valutare se tra spesa e attività o beni da cui derivano ricavi sussiste una relazione immediata e diretta: in caso affermativo, l’onere risulta interamente deducibile (parere Comitato consultivo norme antielusive 19.2.2001 n. 1). 2.1 Orientamento giurisprudenziale Nel senso sopra riportato si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il concetto di inerenza deve essere interpretato in modo ampio, quale collegamento dei costi e degli oneri con l’attività dell’impresa e non con i ricavi (Cass. 13.2.2009 n. 3583). In proposito, è stato sottolineato che, affinché un costo sostenuto sia fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa, non è necessario che sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere un’attività potenzialmente idonea a produrre utili (Cass. 30.7.2007 n. 16826 e 21.1.2009 n. 1465). 4 Le spese per acquisti di beni rientrano nella nozione di inerenza anche se prodromiche all’espletamento di nuove attività consentite dall’oggetto sociale Cass. 21.3.2008 n. 7808). La Suprema Corte ha, inoltre, affermato la deducibilità dei costi anche se non direttamente ricollegabili a ricavi o ad un fine di immediata redditività, nell’ambito di strategie di gruppo (Cass. 1.8.2000 n. 10062 e Cass. 26.1.2001 n. 1133). L’attività d’impresa non può, infatti, essere ricollegata ad un’esigenza di immediata realizzazione di profitto, soprattutto quando la stessa opera in contesti più ampi di quelli del singolo operatore. Allo stesso modo, l'inerenza di un costo deve essere riferita non tanto alla connessione dello stesso con una specifica componente positiva di reddito, ma più in generale alla generale connessione con un'attività atta a produrre profitto (Cass. civ. Sez. VI - 5 Ordinanza, 26-10-2015, n. 21743). Con riferimento alle spese di rappresentanza o di pubblicità, al fine di appurarne la deducibilità dal reddito d'impresa è necessario verificare la loro inerenza e, dunque, l'effettiva finalità dei costi sostenuti e la loro imputabilità all'esercizio d'impresa (Cass. civ. Sez. V, 24-09-2015, n. 18936). 2.2 Onere della prova In caso di contestazione, da parte dei soggetti verificatori, della deducibilità di un costo per difetto di inerenza, la prova di quest’ultima spetta al contribuente (Cass. 7.9.2001 n. 11514, 8.10.2001 n. 12330, 30.7.2002 n. 11240, 24.2.2006 n. 4218, 9.8.2006 n. 18000, 22.9.2006 n. 20521, 10.11.2006 n. 24075, 29.12.2006 n. 27619, 11.2.2009 n. 3305, 25.2.2010 n. 4554, 13.9.2010 n. 19489, 30.12.2010 n. 26480 e 4.4.2012 n. 5374). Peraltro, l’onere della prova ricade sul contribuente nei soli casi di dubbio collegamento del componente reddituale negativo con l’impresa. Viceversa, laddove si tratti delle spese strettamente necessarie alla produzione del reddito, o comunque fisiologicamente riconducibili alla sfera imprenditoriale (es. costi per l’acquisto di materie prime, macchinari o strumenti indispensabili a produrre certi beni o di manufatti necessari per la loro custodia), che, in quanto tali, possano ritenersi intrinsecamente inerenti all’attività di impresa, sarà l’Amministrazione finanziaria a dover provare l’inesistenza, nel caso specifico, del predetto nesso di inerenza (Cass. 27.4.2012 n. 6548). L’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi (Cass. 25.2.2010 n. 4554, 30.12.2010 n. 26480 e 4.4.2012 n. 5374). Con specifico riferimento ai costi di sponsorizzazione, essi sono deducibili solo se producono maggiori ricavi, ovvero un ritorno commerciale. Il contribuente dovrà dimostrare l'inerenza di tali costi, e la circostanza che l'opera-zione produca effettivamente benefici e ritorni economici. L'Amministrazione finanziaria potrà vagliare la congruità di tali costi, poiché, in caso contra-rio, diventerebbe possibile qualsiasi arbitrio (Commiss. Trib. Reg. Lombardia Milano Sez. XXX, 12-11-2015). 5 ESCLUSIONI 1. Deroghe al principio di competenza In deroga al principio di competenza, concorrono alla determinazione del reddito d’impresa nell’esercizio in cui sono incassati/pagati i seguenti componenti reddituali: • i contributi in conto capitale e le altre liberalità di cui all’art. 88 co. 3 lett. b) del TUIR; • gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti ad IRES, limitatamente alla quota imponibile dei medesimi (artt. 59 e 89 co. 2 del TUIR); • i compensi spettanti agli amministratori di società (art. 95 co. 5 del TUIR); • le imposte deducibili dal reddito (art. 99 co. 1 del TUIR); • i contributi ad associazioni sindacali e di categoria (art. 99 co. 3 del TUIR); • gli interessi di mora (art. 109 co. 7 del TUIR). 2. Deroghe al principio dell’inerenza Il requisito dell’inerenza non è richiesto per (art. 109 co. 5 del TUIR): • gli oneri fiscali; • gli oneri contributivi; • gli oneri di utilità sociale. Salvo diversa disposizione, tali oneri sono quindi deducibili per il solo fatto di essere imputati a Conto economico. 2.1 Interessi passivi L’art. 109 co. 5 del TUIR prevede che la disposizione in esso contenuta trovi applicazione con riferimento alle spese e agli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi. Tale locuzione consentiva di escludere tali oneri dal vaglio dell’inerenza, esclusione avallata dalla stessa prassi ministeriale. Tali interessi rappresentano costi la cui deducibilità è soggetta alle disposizioni contenute nell’art. 96 del TUIR, indipendentemente dal loro “collegamento” ad attività produttive di ricavi o proventi imponibili (ris. Agenzia delle Entrate 9.11.2001 n. 178). Anche la giurisprudenza prevalente ha accolto il principio della deroga al criterio dell’inerenza per gli interessi, come emerge in più sentenze della Corte di Cassazione (si vedano, tra le ultime, Cass. 21.11.2001 n. 14702, 13.2.2009 n. 3583, 29.5.2003 n. 8611, 2.2.2005 n. 2114, 13.10.2006 n. 22034, 21.4.2009 n. 9380, 3.2.2010 n. 2440 e 19.5.2010 n. 12246), anche se si possono riscontrare orientamenti difformi (si vedano, infatti, C.T. Reg. Firenze 19.3.2003 n. 8/1/03 e Cass. 29.3.2006 n. 7292). Ciò posto, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31.12.2007 (2008, per i soggetti “solari”), l’art. 1 co. 33 lett. b) della L. n. 244/2007 ha modificato l’art. 61 del TUIR, prevedendo che gli interessi passivi dei soggetti IRPEF imprenditori sono deducibili, tra l’altro, se inerenti all’esercizio dell’impresa. 6 Un’analoga precisazione non è stata inserita nell’art. 96 del TUIR per i soggetti IRES. Pertanto, la verifica del requisito dell’inerenza sembrerebbe richiesta per i soli soggetti IRPEF. Tuttavia, la circ. Agenzia delle Entrate 14.4.2009 n. 16 (§ 1) ha, peraltro, precisato, in merito alla deduzione dell’IRAP relativa alle spese per il personale ovvero agli interessi passivi dall’IRPEF/IRES, che “il sostenimento dei costi relativi al personale dipendente o agli interessi passivi deve rispondere a criteri di inerenza, ragionevolezza ed economicità e risultare coerente con gli obiettivi di politica aziendale perseguiti”. Inoltre, in relazione ad operazioni che abbiano dato luogo ad interessi passivi, “saranno attivati opportuni controlli al fine di verificarne le valide ragioni economiche e l’inerenza all’attività esercitata”. Non è stata, quindi, operata alcuna distinzione tra soggetti IRPEF e IRES, nei cui riguardi trova indifferentemente applicazione la deduzione in argomento. Ovviamente, una volta stabilita l’inerenza degli interessi passivi, i medesimi sono ammessi in deduzione entro i limiti previsti dagli artt. 61 e 96 del TUIR. 2.2 Oneri correlati a proventi esclusi I costi connessi a proventi (parzialmente) esclusi dalla formazione del reddito d’impresa (in pratica, i dividendi e gli utili da partecipazione) sono integralmente deducibili (art. 109 co. 5 del TUIR). In altri termini, “le spese sostenute in relazione alla gestione di partecipazioni qualificate per l’esclusione si considerano inerenti alla determinazione del reddito d’impresa anche se gli utili da esse derivanti sono [parzialmente, n.d.r.] esclusi dalla formazione del reddito imponibile (...)” (circ. Agenzia delle Entrate 16.6.2004 n. 26, § 3.6). In buona sostanza, simmetricamente all’imponibilità parziale degli utili, è riconosciuta la piena deducibilità dei costi connessi alla gestione della partecipazione. Diritto di usufrutto su partecipazioni In deroga a quanto testé riportato, non è deducibile il costo sostenuto per l’acquisto del diritto d’usufrutto o di altro diritto analogo su partecipazioni societarie (art. 109 co. 8 del TUIR). Tale limitazione alla deducibilità non è, tuttavia, applicabile nell’ipotesi in cui la cessione dei predetti diritti “non comporti anche il trasferimento della titolarità dei dividendi agli effetti fiscali” (circ. Agenzia delle Entrate 26/2004, § 3.6). 2.3 Oneri correlati a proventi esenti I costi connessi a proventi che non concorrono alla formazione del reddito d’impresa in quanto esenti sono indeducibili. Tali costi non vengono, infatti, espressamente nominati dal primo periodo dell’art. 109 co. 5 del TUIR, che dispone esclusivamente la deducibilità degli oneri relativi a proventi esclusi dalla formazione del reddito d’impresa. Rientrano nella categoria in esame gli oneri connessi alla cessione di partecipazioni esenti ex art. 87 del TUIR, quali: • le spese notarili a carico del cedente; 7 le spese per perizie tecniche ed estimative sostenute dal cedente; le provvigioni dovute agli eventuali intermediari dal cedente; altri eventuali oneri che siano specificamente (e non solo indistintamente) collegati al realizzo della partecipazione. La quota dei costi inerenti alla cessione delle partecipazioni che deve essere ripresa a tassazione non è determinata in misura pari al 100% dei costi, bensì in misura corrispondente alla percentuale di esenzione della plusvalenza. • • • 2.4 Oneri correlati sia a proventi imponibili sia a proventi esenti Qualora gli oneri si riferiscano indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili nella determinazione del reddito e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili, in quanto esenti (c.d. “spese generali”), per determinare la quota parte di costi deducibile è previsto il calcolo di un pro rata di deducibilità. Esse sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra (art. 109 co. 5 del TUIR): • l’ammontare dei ricavi e proventi che concorrono alla formazione del reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi (es. dividendi); e • l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Attenzione Le plusvalenze derivanti dal realizzo di partecipazioni esenti non rilevano ai fini del calcolo del pro rata di deducibilità delle spese generali (art. 109 co. 5 del TUIR). Dette plusvalenze sono, quindi, escluse sia dal numeratore che dal denominatore del rapporto (circ. Agenzia delle Entrate 2.11.2005 n. 46, § 3.2). PROCEDURA 1. Criteri per l’individuazione dell’esercizio di competenza L’art. 109 co. 2 contiene specifici criteri per l’individuazione dell’esercizio di competenza, a seconda che si tratti di: • cessione di beni; • prestazione di servizi; • emissione di prestiti obbligazionari. Ai fini dell’individuazione del periodo d’imposta di competenza, in nessun caso può assumere rilievo l’esercizio in cui viene emessa la fattura (C.T.C. 28.11.89 n. 7109, Cass. 8.8.2005 n. 16698 e Cass. 17.11.2006 n. 24474) ovvero viene acquisito o esibito altro documento giustificativo del costo (Cass. 12.4.2006 n. 8577 e Cass. 7.6.2011 n. 12331). Individuato l’esercizio di competenza sulla base dei criteri in esame, occorre verificare che, in detto esercizio, il componente reddituale sia certo e oggettivamente determinabile, secondo quanto riportato in precedenza. In caso contrario, ai fini dell’imponibilità (deducibilità), occorre attendere il periodo d’imposta in cui entrambe le condizioni si verificheranno (ris. Agenzia delle Entrate 23.6.2008 n. 258). 8 1.1 Cessione di beni Con riferimento ai corrispettivi derivanti dalla cessione di beni (o alle spese di acquisizione dei medesimi), l’esercizio di competenza coincide (art. 109 co. 2 lett. a) del TUIR): • con la data della consegna o spedizione (beni mobili) o della stipulazione dell’atto (beni immobili); • ovvero, se diversa e successiva, con la data in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale. L’individuazione dell’esercizio di competenza deve, quindi, articolarsi secondo il seguente processo logico: • 1° momento → identificazione della data di consegna o spedizione (beni mobili) o stipulazione dell’atto (beni immobili); • 2° momento → identificazione della data in cui la proprietà si costituisce o trasferisce. Supponiamo che i due momenti intervengano in due periodi d’imposta differenti: • se il primo momento è anteriore al secondo, l’esercizio di competenza coincide in ogni caso con quello in cui si trasferisce la proprietà; • se il primo momento è posteriore al secondo, l’esercizio di competenza coincide in ogni caso con quello in cui si verifica la consegna o la spedizione (beni mobili) o la stipulazione dell’atto (beni immobili). Contratto preliminare La Corte di Cassazione, con la sentenza 4.10.2000 n. 13174, ha affermato che l’esercizio di competenza dell’acquisto di un immobile va fatto risalire alla data del contratto preliminare, stipulato nell’anno n, e non a quella del rogito notarile, stipulato l’anno successivo (n+1), indicando, a fondamento della propria decisione, le seguenti circostanze di fatto: • l’esistenza di una clausola, nell’ambito del contratto preliminare, che fissava una data compresa nell’anno n, anteriore a quella dell’atto notarile (anno n+1), per il decorso del “possesso giuridico” e del “materiale godimento dell’immobile”; • il contenuto di altra clausola tra le medesime parti, in relazione alla quale, a seguito del contratto preliminare ma ancora nelle more dell’atto notarile, l’acquirente aveva citato il venditore “ai fini dell’esecuzione del contratto”. La pronuncia della Suprema Corte appare opinabile, dal momento che in dottrina si tende ad escludere che un compromesso possa esplicare effetti traslativi (circ. Assonime 27.4.88 n. 60). Individuazione della data di spedizione Per data di spedizione si intende quella in cui la merce esce dal magazzino, momento, questo, in cui sorge l’obbligo di emissione della fattura e della contabilizzazione del ricavo (nota ministeriale 29.12.77 n. 9/2171-76). Trasporto effettuato tramite vettori o spedizionieri Ai fini dell’individuazione della data di spedizione, la Corte di Cassazione, con la sentenza 22.1.99 n. 578, ha precisato che, nel caso in cui il 9 trasporto sia stato affidato a terzi (vettori o spedizionieri), occorre avere riguardo alla data di spedizione indicata nei documenti che ordinariamente accompagnano la merce, nonché alle condizioni generali del contratto di trasporto concluso tra le parti. Dall’esame di tali condizioni potrà emergere l’eventuale non coincidenza della data di spedizione con l’effettivo trasferimento della disponibilità giuridica della merce (sempre, tuttavia, prescindendo dalla sua effettiva e materiale consegna all’acquirente). Acquisto di merce con clausola FOB (Free on Board) Nel caso di acquisto di merce con clausola FOB (Free on Board), la proprietà si intende trasferita al momento dell’imbarco, comprovato dalla polizza di carico (nota ministeriale 1.10.77 n. 9/1197). È quindi a tale momento che occorre fare riferimento per la determinazione dell’esercizio di competenza. Cessione o locazione con clausola di riserva della proprietà Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà (art. 109 co. 2 lett. a) del TUIR). Infatti, in presenza di un contratto di vendita con riserva della proprietà o di un contratto di locazione con clausola di trasferimento della proprietà (che è assimilata alla vendita con riserva di proprietà dall’art. 109 co. 2 lett. a) del TUIR) vincolante per ambedue le parti, il verificarsi dell’effetto traslativo, differito a mero scopo di garanzia, è voluto da entrambi i contraenti già al momento della conclusione del negozio. Pertanto, è alla data di stipulazione del contratto di vendita o locazione (e non al momento del successivo trasferimento formale della proprietà) che occorre fare riferimento per individuare il momento in cui, ai fini fiscali, rileva il trasferimento del bene, con la conseguente emersione, per il cedente, del ricavo oppure della componente straordinaria (plusvalenza o minusvalenza), a seconda della natura del bene (ris. Agenzia delle Entrate 1.8.2008 n. 338 e 9.1.2009 n. 11). Cessione di diritti d’uso o superficie I corrispettivi derivanti dalla cessione di diritti d’uso o superficie (non rappresentando questa una prestazione di servizi, bensì una cessione di beni) concorrono alla formazione del reddito d’impresa: • nell’esercizio in cui viene rogato l’atto notarile; • ovvero, se diverso e successivo, in quello in cui si verificano gli effetti traslativi. Pertanto, tali proventi non vanno suddivisi durante gli anni di durata della concessione del diritto, come se si trattasse di prestazioni di servizi dipendenti da contratti da cui derivano corrispettivi periodici (ris. Agenzia delle Entrate 7.8.2002 n. 272 e 8.7.2003 n. 149). Cessione di crediti In caso di cessione di crediti, per la determinazione dell’esercizio di competenza, occorre avere riguardo al criterio formalistico della stipula del contratto di cessione, mediante il quale si trasferisce la titolarità del diritto di credito (ris. Agenzia delle Entrate 16.5.2007 n. 100). 10 1.2 Prestazione di servizi I corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti (e le spese di acquisizione dei medesimi si considerano sostenute): • alla data in cui le prestazioni sono ultimate; • ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi. La data di ultimazione della prestazione coincide con il momento in cui il processo produttivo del servizio si è completato. L’individuazione di tale momento può non rivelarsi sempre agevole. Prestazioni del Collegio sindacale In generale, le attività compiute dal Collegio sindacale si articolano in momenti diversi, ciascuno autonomamente individuabile ed indipendente (circ. Agenzia delle Entrate 19.6.2002 n. 54, § 4): • le verifiche trimestrali; • la partecipazione alle riunioni degli organi societari; • il controllo sul bilancio d’esercizio e la redazione della relazione dei sindaci. Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, gli emolumenti per la partecipazione alle riunioni del Consiglio di amministrazione e dell’Assemblea, nonché per l’effettuazione delle verifiche trimestrali, vanno considerati singolarmente e dedotti nell’esercizio in cui le relative prestazioni sono espletate. Relativamente, invece, all’attività di controllo sul bilancio e alla redazione della relativa relazione, essa è di competenza dell’esercizio successivo a quello al quale si riferisce, dal momento che è eseguita successivamente alla data di chiusura dell’esercizio. (circ. Agenzia delle Entrate n. 54/2002, § 4). Trattamento degli oneri relativi al Collegio sindacale Provvigioni attive La prestazione di agenzia si deve considerare ultimata alla data in cui si conclude il contratto tra il preponente ed il terzo, atteso che l’obbligo dell’agente è, come recita l’art. 1742 c.c., quello di “promuovere ... la conclusione di contratti” (Ris. Agenzia delle Entrate 8.8.2005 n. 115). In tale momento, si devono ritenere soddisfatti anche i requisiti di certezza e oggettiva determinabilità richiesti dall’art. 109 co. 1 del TUIR. Conseguentemente, in tale periodo d’imposta, l’agente è tenuto ad assoggettare a tassazione i proventi, anche se le parti hanno derogato al principio generale previsto dall’art. 1748 co. 1 c.c., concordando la 11 spettanza delle provvigioni in un momento successivo, che non può comunque eccedere il pagamento del corrispettivo da parte del terzo. Tale impostazione è stata confermata dalla ris. Agenzia delle Entrate 12.7.2006 n. 91, secondo cui, a seguito delle modifiche apportate dal DLgs. n. 65/99 all’art. 1748 c.c., il diritto alla provvigione da parte dell’agente scatta nel momento in cui il preponente e il terzo concludono il contratto, dal momento che tale diritto non dipende dal buon fine dell’operazione. Attenzione In dottrina, esiste peraltro un orientamento - contrario a quello testé esaminato - secondo cui, laddove il contratto di agenzia individui un momento di spettanza delle provvigioni successivo alla conclusione del contratto tra preponente e terzo (es. consegna dei beni da parte del preponente o pagamento del corrispettivo da parte del terzo), è in tale momento che l’agente deve assoggettare a tassazione le provvigioni. Si supponga che il contratto tra il preponente P e il cliente C venga stipulato nel corso del 2014, mentre l’invio della merce da parte del preponente (o l’esecuzione del servizio) avvenga nel 2015. Se il contratto prevede la spettanza delle provvigioni per l’agente A all’avvenuta esecuzione del contratto da parte di P: • l’adesione al criterio indicato nell’Agenzia delle Entrate imporrebbe di assoggettare a tassazione le provvigioni dell’agente A già nel 2014 (con un possibile contrasto con i corretti principi di redazione del bilancio, che prevedono l’iscrizione dei soli ricavi certi); • l’adesione al criterio alternativo sopra menzionato, invece, imporrebbe ad A di tassare le provvigioni nel solo 2015. Provvigioni passive Per individuare l’esercizio di competenza fiscale delle provvigioni passive, occorre tenere conto del principio di correlazione tra costi e ricavi, intrinseco a quello di competenza (nota Agenzia delle Entrate 22.6.2006 n. 954-87316 e ris. Agenzia delle Entrate 12.7.2006 n. 91). Una volta verificata la corretta correlazione civilistico-contabile, che impone al preponente di iscrivere in bilancio le provvigioni passive nel medesimo esercizio in cui sono imputati i ricavi derivanti dalla cessione di beni o dalla prestazione di servizi, il costo relativo alle provvigioni passive avrà il medesimo trattamento anche dal punto di vista fiscale. Il contribuente potrà, quindi, dedurre fiscalmente il costo delle provvigioni passive nel periodo d’imposta di iscrizione dei ricavi “procurati” dall’agente, sempre che, ovviamente, in tale esercizio siano rispettati i requisiti di certezza e determinabilità oggettiva. In senso conforme, si vedano circ. Assonime 3.3.2006 n. 10; norma di comportamento ADC 1.4.1997 n. 132 (seppur con riferimento alla precedente versione dell’art. 1748 c.c.); Cass. 29.4.2011 n. 9539. In giurisprudenza esistono, tuttavia, orientamenti difformi. Appalti Ai fini delle imposte dirette, il contratto di appalto (art. 1655 e ss. c.c.) è considerato una prestazione di servizi. Da tale inquadramento discende l’applicabilità dell’art. 109 co. 2 lett. b) del TUIR. 12 Con specifico riferimento al contratto di appalto, i costi si considerano sostenuti dal committente e i ricavi si considerano conseguiti dall’appaltatore alla data di accettazione, senza riserve, dell’opera compiuta, ovvero, in caso di stati di avanzamento lavori (SAL), alla data di accettazione definitiva degli stessi (ris. Agenzia delle Entrate 22.10.2009 n. 260, circ. Agenzia delle Entrate 27.10.2009 n. 44 e ris. Agenzia delle Entrate 29.4.2009 n. 117). Nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità (Cass. 29.3.1996 n. 2928, Cass. 18.12.2009 n. 26664), secondo la quale concorrono a formare il reddito imponibile di un determinato esercizio i ricavi per corrispettivi di appalti ultimati nel periodo stesso e non anche quelli degli appalti già in corso ma non ancora ultimati. L’appalto può considerarsi ultimato solo a partire dal giorno in cui è intervenuta (o si considera intervenuta) l’accettazione dell’opera da parte del committente, perché è quello il momento in cui si perfeziona il diritto dell’appaltatore al corrispettivo, ai sensi dell’art. 1665 c.c. Inoltre, qualora l’opera sia eseguita per partite (art. 1666 c.c.), la data di ultimazione del servizio si identifica con la data di ultimazione della singola partita in cui l’appalto è suddiviso e, quindi, con il momento nel quale interviene l’approvazione del relativo stato di avanzamento. L’accettazione può intervenire anche per fatti concludenti, quando il committente compie un atto che presuppone la volontà di accettare o è incompatibile con quella di non accettare. In ogni caso, l’accertamento dell’avvenuta accettazione è compito del giudice di merito (Cass. 18.12.2009 n. 26664). Nell’ipotesi in cui sia intervenuta l’accettazione dell’opera realizzata con il contratto di appalto, e il committente intenda apportare modifiche o aggiunte al progetto originario, le nuove pattuizioni intercorse tra committente ed appaltatore determinano l’insorgere di un nuovo contratto di appalto che, in quanto tale, sarà assoggettato ad autonoma disciplina fiscale (CM 17.5.2000 n. 98/E, § 1.5.2). Negli appalti di opere pubbliche, l’opera si considera ultimata al momento in cui risulta avvenuta la sua “consegna” al committente, vale a dire alla conclusione del procedimento relativo all’emissione del certificato di collaudo provvisorio disciplinato dal DPR 554/99 (ris. Agenzia delle Entrate 26.9.2005 n. 133). Prestazioni di servizi verso un Ente pubblico Il corrispettivo conseguito in relazione ad una prestazione di servizi (nel caso di specie, organizzazione ed esecuzione di corsi di formazione professionale) verso un Ente pubblico deve essere attribuito, ai fini fiscali, al periodo d’imposta in cui si compie definitivamente l’iter procedimentale di verifica delle prestazioni, a seguito del quale l’Amministrazione riconosce il diritto al pagamento delle prestazioni eseguite (Cass. 17.9.2010 n. 19739). È, invece, irrilevante la determinabilità dei costi delle prestazioni già al momento della loro effettuazione, così come la corrispondenza fra costi e ammontare del corrispettivo liquidabile dall’Amministrazione. Contratti a corrispettivi periodici 13 Come accennato, nel caso di contratti a corrispettivi periodici (es. locazione, mutuo, assicurazione), l’esercizio di competenza coincide con quello di maturazione dei corrispettivi. Maxicanone di leasing Il c.d. “maxicanone” di leasing non può essere dedotto integralmente nel primo esercizio di durata del contratto di locazione finanziaria, ma deve essere frazionato lungo tutta la sua durata mediante la tecnica dei risconti attivi (Cass. 5.6.2002 n. 8139, Cass. 2.8.2000 n. 10147 e Cass. 5.8.1997 n. 7209). 1.3 Emissione di prestiti obbligazionari Nell’ipotesi di emissione di obbligazioni o titoli similari, in ogni periodo d’imposta è deducibile, per una quota determinata in conformità al piano di ammortamento del prestito, la differenza tra (art. 109 co. 2 lett. c) del TUIR): • le somme dovute alla scadenza; • le somme ricevute in dipendenza dell’emissione. Si considerano similari alle obbligazioni (art. 44 co. 2 lett. c) del TUIR): • i buoni fruttiferi emessi da società esercenti la vendita a rate di autoveicoli; • i titoli di massa che contengono l’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi indicata e che non attribuiscono ai possessori alcun diritto di partecipazione alla gestione dell’emittente o dell’affare in relazione al quale sono stati emessi, né di controllo sulla gestione stessa. La disposizione è rivolta ai soggetti che hanno emesso obbligazioni o titoli similari, che possono essere: • società di capitali, cooperative e mutue assicuratrici residenti nel territorio dello Stato; • enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale. 2. Limiti alla deducibilità delle spese alberghiere e di ristorazione Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande, diverse dalle spese sostenute per le trasferte effettuate al di fuori del territorio comunale dai lavoratori dipendenti e dati titolari di rapporti di collaborazione continuata e continuativa, sono deducibili nella misura del 75 per cento. Tuttavia, è prevista la detraibilità dell’IVA assolta sulle somministrazioni di alimenti e bevande e sulle prestazioni alberghiere (art. 19-bis1 co. 1 lett. e) del DPR 633/72). L’incipit della norma (“fermo restando quanto previsto dai periodi precedenti”) sta a significare che la riduzione al 75% si applica solo a quelle spese che si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito, vale a dire ai costi inerenti. La norma, cioè, non vale a considerare sempre parzialmente deducibili tutte le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti, ma si limita ad affermare che le predette 14 spese, un tempo integralmente deducibili, ora lo sono solo in misura parziale. Resta inteso che, laddove la spesa alberghiera o di somministrazione sia di natura strettamente personale (ad esempio, un pranzo di famiglia), l’art. 109 co. 5 del TUIR impone di considerarla integralmente indeducibile, in quanto non inerente. In altre parole, il limite del 75% non deroga agli ordinari criteri di inerenza che presiedono alla determinazione del reddito d’impresa, ma rappresenta il limite massimo di deducibilità delle spese in esame (circ. Agenzia delle Entrate 5.9.2008 n. 53). 2.1 Spese relative a trasferte La limitazione della deducibilità del costo al 75% non opera, per espressa previsione normativa, con riferimento alle spese di vitto e alloggio sostenute dalle imprese per le trasferte effettuate fuori dal territorio comunale dai lavoratori dipendenti e dai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (art. 109 co. 5 del TUIR). Attenzione Quanto sopra vale anche per le trasferte effettuate dagli amministratori titolari di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (circ. Agenzia delle Entrate n. 6/2009, § 3). Tali spese sono ammesse in deduzione per un ammontare giornaliero non superiore a (art. 95 co. 3 del TUIR): • euro 180,76, per le trasferte in Italia; • euro 258,23, per le trasferte all’estero. Il limite alla deducibilità di cui all’art. 109 co. 5 del TUIR trova, invece, applicazione con riferimento alle spese di vitto e alloggio sostenute: • in occasione delle trasferte effettuate da dipendenti e collaboratori nell’ambito del territorio comunale circ. Agenzia delle Entrate n. 6/2009, § 5); • per le trasferte effettuate dai soci di società di persone (circ. Agenzia delle Entrate n. 6/2009, § 4). 2.2 Spese per servizi mensa Non sono soggette al limite di deducibilità del 75%: • le spese sostenute dall’impresa per la gestione diretta del servizio di mensa aziendale; • le spese sostenute a fronte del servizio mensa gestito da terzi; • le spese relative alla fornitura di un servizio di mensa esterna in seguito alla stipula di apposita convenzione con un pubblico esercizio; • le spese per l’acquisto di ticket restaurant (circ. Agenzia delle Entrate n. 6/2009 (§ 6, 7 e 8)). Nelle ultime tre ipotesi, infatti, il costo è sostenuto per l’acquisizione di un servizio complesso, non riconducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande. 15 2.3 Spese sostenute da imprese distributrici di ticket restaurant e tour operator La circ. Agenzia delle Entrate n. 6/2009 (§ 9 e 10) ha riconosciuto l’integrale deducibilità delle spese di vitto e alloggio sostenute da: • imprese distributrici di ticket restaurant; • tour operator e agenzie viaggi. In entrambi i casi, infatti, la fornitura di servizi alberghieri e/o di ristorazione costituisce l’oggetto dell’attività propria dell’impresa (i servizi concorrono in maniera diretta alla produzione dei ricavi). Secondo l’Agenzia delle Entrate, un’interpretazione logico-sistematica della disposizione introdotta dall’art. 109 co. 5 del TUIR porta a ritenere che la limitazione della deducibilità operi esclusivamente con riferimento alle spese per l’acquisizione di servizi che, alla luce dell’oggetto dell’attività imprenditoriale, concorrono soltanto in maniera indiretta alla produzione dei ricavi. 2.4 Spese sostenute da operatori congressuali L’organizzatore congressuale che acquista prestazioni alberghiere e di ristorazione per rivenderle ai propri clienti nell’ambito di un “pacchetto” di servizi può beneficiare della piena deducibilità del costo sostenuto. Infatti, la rivendita di dette prestazioni costituisce l’oggetto dell’attività d’impresa e, dunque, i relativi costi non sono soggetti al limite del 75% (ris. Agenzia delle Entrate 28.5.2010 n. 47). Nella fattura emessa nei confronti del cliente, devono essere indicati distintamente i servizi alberghieri e di ristorazione ed il relativo corrispettivo (assoggettato ad IVA con aliquota ridotta del 10%), in modo da consentire al cliente medesimo di operare la deduzione delle spese relative all’acquisto dei servizi in esame nel limite del 75%. Laddove l’operatore congressuale non possa fatturare nel dettaglio le prestazioni rese (come nel caso in cui l’organizzazione di un congresso sia affidata mediante la stipula di un contratto di appalto e venga pattuito un corrispettivo forfetariamente determinato): • il corrispettivo unitario richiesto dall’operatore stesso è soggetto ad aliquota IVA ordinaria; • spetta al committente richiedere, ai fini della deduzione delle spese di vitto e alloggio nel limite del 75%, una documentazione recante il dettaglio delle spese relative ai singoli servizi forniti (può trattarsi, ad esempio, di un prospetto dettagliato dei costi del servizio congressuale). 2.5 Spese di rappresentanza La limitazione di cui all’art. 109 co. 5 del TUIR opera anche in relazione alle spese di vitto e alloggio che ricadono nell’alveo delle spese di rappresentanza, sempreché le stesse siano deducibili, secondo quanto previsto dall’art. 108 co. 2 del TUIR (circ. Agenzia delle Entrate 5.9.2008 n. 53). In altri termini, le spese di vitto e alloggio qualificabili come “spese di rappresentanza” devono essere assoggettate: 16 in via preliminare, al limite del 75% di cui all’art. 109 co. 5 del TUIR; • successivamente, ai limiti di congruità di cui all’art. 108 co. 2 del TUIR e di cui al DM 19.11.2008. Spese sostenute per l’ospitalità dei clienti La ris. Agenzia delle Entrate 18.8.2009 n. 225 ha analizzato il caso di una società che, nell’esercizio della propria attività, sostiene spese di ospitalità alberghiera e per somministrazione di alimenti e bevande nei confronti dei clienti e dei loro accompagnatori. Tali spese rappresentano un componente fondamentale del costo di produzione del servizio offerto, attestandosi attorno al 10% del valore della produzione realizzato. Secondo l’Agenzia, le considerazioni sopra esposte con riferimento alle imprese distributrici di ticket restaurant e ai tour operator non possono trovare applicazione nel caso di specie, in quanto: • il servizio gratuito di ospitalità nei confronti dei clienti e dei loro accompagnatori non costituisce un componente imprescindibile rispetto al tipo di attività svolta (esso rappresenta solo un elemento addizionale al servizio offerto); • le spese di ospitalità concorrono indirettamente alla produzione dei ricavi. Le spese in questione devono, quindi, essere assoggettate al limite di deducibilità del 75% previsto dall’art. 109 co. 5 del TUIR, fermo restando che le medesime rientrano nell’ambito di applicazione del DM 19.11.2008 relativo alle spese di rappresentanza. • 2.6 Spese rifatturate al cliente Oltre che per i professionisti, anche con riferimento agli imprenditori individuali e ai soggetti societari può presentarsi il caso in cui vengano rifatturate al cliente le spese di vitto e alloggio sostenute direttamente dall’imprenditore ovvero da altri soggetti che non siano dipendenti o collaboratori. Si pensi, a titolo esemplificativo, ad un installatore che si reca in trasferta per conto del cliente ed allo stesso rifattura le spese di vitto e alloggio. Attenzione Con riferimento ai soggetti titolari di reddito di lavoro autonomo, per i quali l’art. 54 co. 5 del TUIR prevede la deducibilità delle spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande per un importo complessivamente non superiore al 2% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta. In tale ambito, l’Agenzia delle Entrate (circ. 18.6.2008 n. 47, risposta 3.3 e circ. 16.2.2007 n. 11, risposta 7.3) ha ritenuto operante il limite del 2% anche con riferimento alle spese rifatturate al cliente. Non è chiaro se tale impostazione sia valida anche con riguardo ai soggetti titolari di reddito d’impresa. Se così fosse, a fronte di un ricavo integralmente tassato (la rifatturazione delle spese di vitto e alloggio), si avrebbe un costo parzialmente deducibile. Si tratta di una conclusione irrazionale e pertanto non accettabile. 17 Attenzione Potrebbe soccorrere al riguardo la ris. Agenzia delle Entrate 24.7.2008 n. 320, nella quale si è affermato che, quando, relativamente ad un determinato costo, non sussiste la possibilità di utilizzo differente da quello imprenditoriale, dovrebbe prevalere il principio generale di inerenza. 2.7 Deducibilità dell’IVA non detratta Le condizioni al ricorrere delle quali l’IVA non detratta sulle prestazioni alberghiere e sulle somministrazioni di alimenti e bevande è deducibile dal reddito d’impresa (e di lavoro autonomo) sono state illustrate dalla circ. Agenzia delle Entrate 19.5.2010 n. 25. Tale documento rettifica (parzialmente) l’orientamento espresso nella circ. 3.3.2009 n. 6 (§ 1) e nella ris. 31.3.2009 n. 84, le quali avevano sostenuto che l’IVA non detratta in questione non poteva essere dedotta: • né nel caso in cui il contribuente disponesse della fattura relativa al bene o al servizio ricevuto e scegliesse di non detrarre l’imposta; • né nel caso in cui il contribuente decidesse di non richiedere all’albergatore o al ristoratore l’emissione della fattura e ricevesse, quindi, dal prestatore del servizio un documento diverso dalla fattura (scontrino o ricevuta fiscale), non recante specifica indicazione dell’IVA gravante sul corrispettivo pagato per la prestazione medesima. L’impostazione in esame è stata criticata da Assonime (circ. 9.4.2009 n. 16, nota 40), dal CNDCEC (circ. 27.4.2009 n. 9/IR, § 6) e dalla dottrina pressoché unanime. In particolare, in assenza di fattura, le prestazioni alberghiere e le somministrazioni di alimenti e bevande sono documentate mediante scontrino o ricevuta fiscale, vale a dire mediante documenti che non consentono l’esercizio della detrazione, in quanto privi dell’evidenziazione dell’IVA relativa a dette prestazioni. Si ricorda, infatti, che, ai sensi dell’art. 22 del DPR n. 633/72, gli imprenditori non sono tenuti a richiedere la fattura per le suddette operazioni; detto obbligo sussiste soltanto per gli acquisti effettuati presso commercianti al minuto in relazione a beni che formano oggetto dell’attività propria dell’impresa. Pertanto, qualora l’imprenditore (o il professionista) decida di non richiedere l’emissione della fattura (e, quindi, di non detrarre l’IVA assolta sulle suddette prestazioni), perché i costi da sostenere per eseguire gli adempimenti IVA connessi alle fatture sono superiori al vantaggio economico costituito dall’importo dell’IVA detraibile, all’IVA non detratta può essere riconosciuta la natura di costo inerente all’attività esercitata, con la conseguente deducibilità ai fini delle imposte sui redditi. L’Amministrazione finanziaria richiama il contenuto della precedente RM 6.9.1980 n. 9/517, nella quale è stata riconosciuta la deducibilità delle perdite conseguenti alla rinuncia a crediti, qualora la rinuncia stessa si ponga “in una scelta di convenienza per l’imprenditore ovverosia 18 quando il fine perseguito è pur sempre quello di pervenire al maggior risultato economico”. In questo caso, il limite di deducibilità del 75% deve essere riferito al costo delle prestazioni maggiorato dell’IVA non detratta. Sull’argomento si veda anche il parere CNDCEC 15.9.2011. Diversamente, non può costituire un costo inerente all’attività esercitata e, conseguentemente, non è deducibile dal reddito d’impresa (e di lavoro autonomo) l’IVA documentata mediante fattura e rimasta a carico dell’impresa a causa del mancato esercizio del diritto alla detrazione. Peraltro, secondo la circ. Assonime 15.6.2010 n. 20 e la circ. Fondazione Studi Consulenti del Lavoro 3.6.2010 n. 9, la possibilità di dedurre l’IVA non detratta dovrebbe essere riconosciuta anche nell’ipotesi in cui l’imprenditore sia in possesso della fattura, ma decida comunque di non detrarre l’IVA. Infatti, anche in questo caso, la mancata detrazione dell’IVA - in presenza di importi assai ridotti - risponde pur sempre a valide ragioni economiche. In pratica, “non può disconoscersi che la valutazione di antieconomicità circa gli oneri che si devono sostenere per esercitare il diritto alla detrazione ben può essere validamente condotta anche nell’ipotesi in cui sia stata rilasciata la fattura” (circ. Assonime 15.6.2010 n. 20, § 2.5.7). 3. Errori contabili L’Agenzia delle Entrate ha recentemente affrontato il tema del trattamento fiscale della correzione di errori effettuate in applicazione dei corretti principi contabili (OIC 29 e IAS 8), derivanti da: • mancata imputazione di componenti negativi nel corretto esercizio di competenza; • mancata imputazione di componenti positivi nel corretto esercizio di competenza (circ. n. 31/2013). 3.1 Dichiarazioni integrative a favore del contribuente Qualora l’omessa imputazione dell’elemento negativo di reddito abbia interessato un’annualità che, per effetto dell’imputazione fiscale del componente negativo (o di componenti sia negativi sia positivi, ma che complessivamente generano un effetto positivo per il contribuente) al suo originario periodo d’imposta, concretizza una perdita o incrementa la perdita dichiarata nell’anno: a. se l’annualità è ancora ai sensi dell’art. 2, co. 8-bis del DPR n. 322/1998 (i.e. non sono ancora scaduti i termini di presentazione della dichiarazione relativa all’annualità successiva), il contribuente potrà presentare una dichiarazione integrativa secondo le modalità ordinarie; b. se per l’annualità siano scaduti i termini per l’invio di una dichiarazione integrativa, il contribuente potrà in ogni caso dare evidenza all’elemento di costo non dedotto, qualora lo stesso, nell’anno di competenza ed eventualmente in quelli successivi, abbia determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, seguendo le 19 indicazioni fornite con la circ. Agenzia delle Entrate 24.9.2013 n. 31 (§ 4). Tuttavia tale possibilità è limitata ai soli periodi d’imposta per i quali non sono scaduti i termini per l’accertamento al momento della scadenza dei termini di presentazione della dichiarazione integrativa. Il contribuente dovrà riliquidare tutte le annualità d’imposta interessate dall’errore, partendo dalla dichiarazione relativa all’annualità dell’omessa imputazione e le annualità successive, fino all’annualità ancora emendabile ai sensi del citato art. 2 co. 8-bis. Il contribuente potrà presentare la dichiarazione integrativa relativamente a tale ultima annualità, con il risultato delle riliquidazioni effettuate (sia che presenti un credito di imposta, sia una maggiore perdita fiscale). Da ciò discenderà una comunicazione di irregolarità, poiché il controllo automatico della dichiarazione integrativa non avrà esito positivo. In tale circostanza, il contribuente potrà produrre la documentazione necessaria a comprovare la corretta competenza del costo non dedotto. 3.2 Dichiarazioni integrative a sfavore del contribuente La dichiarazione deve essere emendata anche in presenza di erronea o omessa imputazione di componenti di reddito positivi che determinino un esito sfavorevole al contribuente(o di componenti sia negativi sia positivi, ma che complessivamente generano un effetto negativo per il contribuente). In tal caso, è prevista la possibilità di presentare dichiarazioni integrative fino al termine del periodo di accertamento. Il contribuente potrà avvalersi dell’istituto del ravvedimento, come modificato dalla Legge di Stabilità 2015 (riduzione delle sanzioni ad 1/7 del minimo entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva o ad 1/6 entro il termine del periodo di accertamento), per il pagamento delle sanzioni del 100% per infedele dichiarazione. Se la correzione di un errore in un’annualità ha impatti anche sulle successive (come nel caso di annualità in perdita fiscale, ridotta per effetto della correzione di errori), il contribuente dovrà presentare dichiarazioni integrative “a sfavore” anche per gli anni successivi. CASI PARTICOLARI 1. Principio di competenza 1.1 Componenti di reddito relativi a controversie Gli oneri relativi ad una controversia diventano certi e oggettivamente determinabili (e quindi deducibili) nell’esercizio in cui è stata depositata la Sentenza del Tribunale adito per dirimere la controversia (nota DRE Emilia Romagna 29.6.2007 n. 38696). In tal senso si è espressa anche la RM 27.4.1991 n. 9/174: nel caso esaminato, un risarcimento danni è stato ritenuto onere certo ed oggettivamente determinabile in quanto discendente da una sentenza avente efficacia esecutiva; esso è stato, quindi, ritenuto deducibile “nell’esercizio in cui la sentenza medesima è venuta a giuridica esistenza”. 20 Peraltro, ai fini in esame, non assume rilievo il grado di giudizio; infatti, la sentenza definitiva produce immediati effetti giuridici anche se ancora impugnabile per motivi di diritto mediante ricorso per cassazione (RM 27.4.1991 n. 9/174). Nel caso in cui la controversia venga risolta tramite un accordo transattivo, i requisiti di certezza ed obiettiva determinabilità sono verificati a seguito della stipula dell’atto di transazione. La fattispecie è stata oggetto di esame anche da parte della giurisprudenza di legittimità; in particolare, secondo la Suprema Corte, gli oneri dovuti a seguito di una controversia di lavoro conclusasi con un verbale di conciliazione sono fiscalmente deducibili nell’esercizio in cui il verbale di conciliazione viene dichiarato esecutivo dal giudice e, per tale motivo, non risulta più modificabile. Infatti, è l’intervento del giudice che compone la controversia, e solo quando il giudice dichiara esecutivo il verbale vi è certezza del diritto per ciascuna delle parti (Cass. Sentenza 19.10.2001 n. 12788). 1.2 Indennità per ferie non godute È ammissibile la deduzione del costo per le indennità dovute al personale per ferie non godute nell’esercizio in cui il dipendente matura il relativo diritto, indipendentemente dal fatto che le indennità non siano effettivamente corrisposte e indipendentemente dall’eventuale futuro godimento delle ferie (Cass. 6.6.2007 n. 13224, 20.7.2007 n. 16128 e 15.1.2009 n. 871). Qualora, nell’esercizio successivo a quello di maturazione, il dipendente recuperi le ferie non godute nell’anno precedente, perdendo il diritto all’indennità sostitutiva, l’importo di quest’ultima costituisce una sopravvenienza attiva imponibile ai sensi dell’art. 88 del TUIR (Cass. 6.6.2007 n. 13224, 20.7.2007 n. 16128 e 15.1.2009 n. 871). 1.3 Oneri derivanti da clausole penali per inadempienza Con la circ. 27.6.2011 n. 29, l’Agenzia Entrate ha fornito chiarimenti sull’individuazione del periodo d’imposta in cui è possibile dedurre la penale che, in virtù di un rapporto contrattuale di natura privatistica, un’impresa è tenuta a pagare ad un ente pubblico in seguito alla violazione degli obblighi contrattuali pattuiti. Con la clausola penale (artt. 1382 - 1384 c.c.), i contraenti disciplinano gli effetti dell’inadempimento in modo diverso da quanto stabilito dalla legge, concordando una preventiva e convenzionale liquidazione del danno. Le parti prevedono una sanzione per l’inadempimento, consistente in una prestazione che il contraente inadempiente deve effettuare all’altro, indipendentemente dal danno sofferto da quest’ultimo. Il risarcimento spettante alla parte non inadempiente è quindi predeterminato, in quanto la clausola penale fissa l’importo del risarcimento a prescindere dalla prova del danno. 21 Nel caso di specie, l’impresa: • aveva violato gli obblighi contrattuali nel corso del 2010; • al 31.12.2010 non aveva ancora ricevuto alcun atto in cui venisse contestata la violazione, ma aveva comunque la sicurezza che il pagamento della penale sarebbe stato richiesto, vista la natura pubblica della controparte (certezza del costo); • al termine dell’esercizio 2010 aveva tutti gli elementi per determinare, sulla base del contratto, l’ammontare della penale (oggettiva determinabilità del costo); • nel mese di gennaio 2011 riceveva la richiesta dell’ente pubblico di pagamento della penale contrattuale relativamente alla violazione commessa nel corso del 2010 (formazione del titolo giuridico). Con specifico riferimento al caso prospettato, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che il costo relativo alla penale poteva essere dedotto dal reddito nel periodo d’imposta 2010 (modello UNICO 2011). 2. Principio di inerenza 2.1 Riscatto per la liberazione del dirigente Le spese sostenute da una società per il pagamento del riscatto per la liberazione di un proprio dirigente non possono essere considerate inerenti (nel senso precisato) e, come tali, non sono deducibili dal reddito dell’impresa (Cass. 11.8.1995 n. 8818 e C.T.C. 25.10.99 n. 768). In particolare, ad avviso della Suprema Corte, ai fini della deducibilità dal reddito d’impresa, occorre “una stretta inerenza dei costi e degli oneri all’attività svolta”, in modo tale che essi siano stati utilizzati nella formazione del reddito. Secondo i giudici la spesa costituita dal pagamento del riscatto per la liberazione di un dirigente, sia pure di comprovate capacità imprenditoriali, non può essere annoverata tra quelle funzionali alla produzione del reddito. 2.2 Polizze per rischio di morte o invalidità degli amministratori La deducibilità, dal reddito d’impresa, dei premi delle polizze stipulate per il rischio di morte o invalidità degli amministratori, qualora beneficiaria sia la società, appare controversa. A favore della deducibilità si è pronunciata la norma di comportamento ADC n. 154, in base alla considerazione che si tratterebbe di costi inerenti all’attività d’impresa. Infatti, il decesso o l’infortunio dell’amministratore costituiscono eventi forieri di conseguenze sfavorevoli per la società, che dal venir meno delle capacità e delle conoscenze del proprio amministratore può subire ripercussioni negative sull’attività esercitata. In altre parole, con la stipula del contratto assicurativo volto a coprire il rischio di morte o infortunio dell’amministratore, la società ha come fine la tutela degli interessi e del patrimonio aziendale, minacciati dall’occorrere di tali sinistri e, pertanto, tale cautela, ancorché onerosa, costituisce un atto pienamente giustificato sotto il profilo economico e civilistico. In senso contrario si è espressa la DRE per il Piemonte in risposta ad un quesito del febbraio 2005. Secondo tale orientamento, “i costi sostenuti 22 (...) a fronte del pagamento dei premi per le polizze assicurative non possono essere considerati «funzionali» alla produzione del reddito”. 2.3 Sanzioni pecuniarie Secondo l’Amministrazione finanziaria, le sanzioni pecuniarie sono indeducibili dal reddito d’impresa per via della mancanza del requisito dell’inerenza (CM 17.5.2000 n. 98/E, § 9.2.6, ris. Agenzia delle Entrate 12.6.2001 n. 89, circ. Agenzia delle Entrate 20.6.2002 n. 55 e circ. Agenzia delle Entrate 26.9.2005 n. 42). Esempi di tali sanzioni possono essere: • le sanzioni irrogate dalla UE per la violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato di Roma in tema di concorrenza; • le sanzioni irrogate dall’autorità Antitrust; • le sanzioni irrogate per le infrazioni commesse dagli amministratori o dai collaboratori della società; • le sanzioni irrogate per punire le infrazioni alle norme sulla circolazione stradale. L’irrogazione della sanzione è, infatti, una conseguenza del comportamento illecito tenuto dal contribuente e consentirne la deducibilità implicherebbe lo svilimento della sua funzione repressiva e preventiva. Pur se analogo orientamento è rinvenibile nella giurisprudenza di legittimità, non mancano peraltro alcune pronunce che sostengono, invece, la tesi della deducibilità, principalmente sulla base delle seguenti considerazioni: • gli illeciti compiuti in seguito alla violazione delle norme regolatrici l’esercizio dell’impresa (quali quelle Antitrust) non possono considerarsi indeducibili perché conseguenza di un comportamento illecito tenuto dal contribuente, posto che, in tal modo, il contribuente verrebbe ad essere colpito due volte: una prima volta, direttamente, tramite la sanzione appositamente prevista, una seconda, in via indiretta, per effetto della supposta indeducibilità della sanzione medesima; • le sanzioni in esame rivestono funzione risarcitoria e ripristinatoria dell’equilibrio economico violato con il comportamento illecito e, in quanto tali, vanno considerate spese derivanti da illeciti attinenti alla gestione d’impresa e non già alla sfera personale dell’imprenditore. Nel senso della deducibilità delle sanzioni, si vedano le norme di comportamento ADC nn. 41 e 138 e la circ. Assonime n. 39/2000. Penali previste da un contratto per ritardata consegna di beni Secondo la Cass. 27.9.2011 n. 19702, le somme corrisposte in caso di inadempimento, oppure ritardo nell’adempimento, in applicazione di clausole penali contenute in un contratto ex art. 1382 c.c., sono deducibili dal reddito d’impresa, in quanto inerenti all’attività aziendale. Infatti, le clausole in esame: • non hanno natura e finalità sanzionatoria o punitiva; • bensì assolvono la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale tra le parti e di determinare preventivamente la prestazione risarcitoria da corrispondere alla controparte. 23 Interessi di mora relativi ad oneri di urbanizzazione Secondo la Cass. 25.11.2011 n. 24930, gli interessi moratori conseguenti al mancato o ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione rivestono natura sanzionatoria, in quanto sono correlati ad un inadempimento dell’imprenditore o degli amministratori della società. Pertanto, gli stessi non costituiscono costi funzionali alla produzione del reddito, come tali deducibili ai sensi dell’art. 109 del TUIR. Assonime ha espresso perplessità in ordine alla pronuncia della Suprema Corte per i seguenti motivi (circ. 11.6.2012 n. 18, § 2.6.1): • la pronuncia appare in contraddizione con quanto affermato dalla stessa Corte nella precedente sentenza 27.9.2011 n. 19702; • appare discutibile ipotizzare che gli interessi di mora costituiscano una sanzione al pari di quelle amministrative o penali che esprimono la reazione dell’ordinamento a tutela di istanze generali dello Stato; essi rappresentano più semplicemente “la quantificazione di un danno patrimoniale recato ad altri soggetti - siano essi privati o pubblici - con cui l’impresa è venuta a relazionarsi”; • l’indeducibilità degli interessi di mora, quali costi non inerenti alla produzione del reddito d’impresa, appare smentita dalla lettera delle disposizioni contenute nell’art. 109 co. 7 del TUIR, che, sebbene rivolte a stabilire una regola di imputazione “per cassa” di tali oneri, implicitamente ne affermano anche la rilevanza fiscale. 2.4 Spese sostenute per favorire la diffusione di medicinali Sono indeducibili gli oneri sostenuti per l’acquisto di beni o servizi destinati, anche indirettamente, a medici, veterinari o farmacisti, allo scopo di agevolare, in qualsiasi modo, la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto ad uso farmaceutico (art. 2 co. 9 della L. 27.12.2002 n. 289). Come chiarito dalla circ. Agenzia delle Entrate 18.1.2006 n. 3, la disposizione intende disincentivare comportamenti che determinano una crescita patologica della spesa sanitaria, riflettendosi sui prezzi dei farmaci e sulle quantità prescritte, sancendo l’indeducibilità delle spese sostenute per l’acquisto dei beni e/o servizi destinati ai medici, veterinari e farmacisti, che configurano comportamenti illeciti vietati: • dalla norma penale (es. reato di comparaggio); • oppure dalla disciplina speciale del settore sanitario. L’indeducibilità riguarda tutti quei costi, normalmente riconducibili alla categoria delle spese di rappresentanza, relativi all’offerta a titolo gratuito di beni e servizi agli operatori sanitari che superino il modico valore e, quindi, non “siano di valore trascurabile” (circ. Agenzia delle Entrate 18.1.2006 n. 3). 2.5 Somme dovute a titolo di oblazione per condono edilizio Le somme dovute a titolo di oblazione a seguito di condono edilizio sono indeducibili dal reddito d’impresa, in quanto deve escludersi, in tale ipotesi, qualsiasi correlazione tra il costo e il reddito prodotto. 24 Infatti, tali somme trovano causa “in attività compiuta in violazione di legge, estranea all’esercizio dell’attività commerciale dell’impresa” (Cass. 13.5.2003 n. 7317). Con la sentenza 24.5.2005 n. 10952, la Corte di Cassazione ha, tuttavia, affermato che non è corretto considerare il costo del condono edilizio come una sanzione, dal momento che esso include anche altri oneri che non possono definirsi tout court «sanzionatori» (ad esempio, gli oneri di urbanizzazione)”. Seguendo tale orientamento, almeno una parte del costo del condono dovrebbe risultare deducibile. 2.6 Comportamento antieconomico Il comportamento antieconomico del contribuente può fondare un avviso di accertamento relativo al recupero a tassazione di costi indebitamente dedotti. Infatti, il fatto che l’entità del costo sia sproporzionata rispetto alla realtà aziendale soggetta a verifica comporta, quantomeno in parte, il venire meno dell’inerenza del costo stesso). Attenzione Secondo alcuna giurisprudenza di merito l’attività svolta dall’impresa e la conseguente tipologia di clientela, alcuni costi sostenuti dall’impresa fossero irrazionali da un punto di vista imprenditoriale. Tali costi non sarebbero stati finalizzati alla realizzazione di ricavi e di utile, e pertanto non potevano essere considerati inerenti (e quindi deducibili). 2.7 Spese sostenute da un consorzio e addebitate pro quota alle singole consorziate Con la sentenza 28.10.2009 n. 22790, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla deducibilità delle spese sostenute da un consorzio (costituito nella forma di società di capitali) e addebitate pro quota, in base al regolamento interno del gruppo, alle singole società consorziate. Secondo la Suprema Corte, sia il consorzio che ogni singola consorziata sono soggetti passivi d’imposta in via autonoma, in quanto: • il consorzio costituito in forma di società di capitali è distinto dalle società consorziate e risponde autonomamente delle proprie obbligazioni tributarie; • il fatto che i rapporti economici interni al gruppo siano retti da un patto che è fonte di obbligazioni contrattuali per le consorziate, consistenti - essenzialmente - nel demandare al consorzio la gestione esclusiva di determinati affari d’interesse comune (es. pubblicità, rappresentanza, sicurezza, logistica, ecc.) e nel sopportarne la spesa pro quota, non spoglia l’impresa consorziata della propria soggettività giuridica e fiscale. La parte di spesa sostenuta da ciascuna società, in base al patto consortile, per assicurarsi i vantaggi derivanti dall’istituzione del consorzio non ha, in se stessa, la connotazione di inerenza. Pertanto, ogni consorziata è tenuta a dimostrare se, ed in quale misura, tale spesa sia stata effettivamente sostenuta dal consorzio e si riferisca ad attività o beni 25 propri, da cui sono derivati ricavi o proventi che hanno concorso a formarne il reddito (Cass. 21.4.2008 n. 10257). 2.8 Componenti reddituali relativi a beni concessi in comodato a terzi In linea di principio, la circostanza che un bene venga concesso in comodato non fa venire meno la strumentalità e l’inerenza dello stesso e quindi la possibilità per il comodante di dedurre i relativi costi. Infatti, l’Amministrazione finanziaria ha affermato che l’inerenza del bene sussiste nella circostanza in cui lo stesso ceda le proprie utilità all’impresa proprietaria e non a quella che lo ha utilizzato (RM 5.1.81 n. 9/2320). Analogo principio risulta recepito dalla giurisprudenza di legittimità, ad avviso della quale un’attività d’impresa può essere svolta anche attraverso un procedimento complesso caratterizzato dall’esternalizzazione di fasi più o meno ampie di produzione, dove un soggetto conserva la proprietà e il controllo dei mezzi di produzione affidati a terzi per costruire e fornire i beni richiesti, che cedono così le proprie utilità all’impresa proprietaria e non a quella utilizzatrice (Cass. 21.1.2009 n. 1465 e 13.2.2009 n. 3583). Tuttavia, la Corte di Cassazione ha stabilito che non sono deducibili le quote di ammortamento riferibili a beni dati in comodato a imprese terze se non è adeguatamente provato il beneficio conseguito dal comodante (Cass. 21.1.2011 n. 1389). Nel caso di specie, una società italiana operante nel settore tessile aveva acquistato alcuni macchinari e li aveva concessi in comodato a imprese terze con sede all’estero. Secondo la Suprema Corte, nel caso esaminato, mancava ogni collegamento tra il comodato dei macchinari alle imprese estere e il vantaggio conseguito, “non essendo specificate le modalità e i termini con cui il prodotto delle società estere rientrava nel ciclo produttivo del comodante”. Inoltre, non poteva intendersi che il vantaggio economico fosse intrinseco nella dazione delle macchine a terzi, in quanto l’operazione avrebbe potuto essere diretta ad ottenere utilità di tipo diverso, favorendo i profitti delle società controllate estere. 2.9 Costi per la risoluzione del rapporto di lavoro di amministratori di società controllate Nel caso di specie, infatti, il costo dell’accordo transattivo sottoscritto con l’amministratore delegato della controllata • risultava attinente con il ruolo e l’oggetto sociale della società ricorrente, che, quale holding del gruppo, svolgeva attività di coordinamento tecnico e finanziario, di indirizzo strategico e di controllo delle società da questa partecipate • rispondeva all’esigenza di quest’ultima di rispettare il patto parasociale sottoscritto con l’altro socio della controllata. 26