La pedagogia della lumaca

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La pedagogia della lumaca
Gianfranco Zavalloni, La pedagogia della lumaca, EMI Edizioni
di Cinzia Mion
Sembra quasi un mitico manifesto destinato alla scuola, realizzato da un gruppo ecologico per la
sensibilizzazione ad una “Decrescita sostenibile e felice”, il bel libro di Gianfranco Zavalloni,
appena stampato dalla casa editrice EMI che porta il
titolo La pedagogia della lumaca.
Un titolo che la dice lunga sull’impostazione che ha
dato l’autore alle sue attraenti argomentazioni per
convincerci della necessità di rallentare
l’accelerazione esponenziale di questa versione della
modernità, basata sulla tecnologia e sul consumo
insostenibile di risorse finite, che ci sta portando
dritto ad un punto catastrofico di non ritorno come
afferma Christoph Baker, nella sua significativa ed
illuminante prefazione al libro, che invita tutti ad
una obiezione di coscienza al massacro permanente
che si chiama sviluppo economico.
Zavalloni, ora dirigente scolastico ma già maestro
di scuola materna per ben 16 anni, dal suo
osservatorio privilegiato analizza i danni di questa folle corsa, come la definisce l’amico comune
Gegè Scardaccione, che risponde all’imperativo categorico di non perdere tempo e che risulta in
linea con il mito dell’efficientismo e della produttività a tutti i costi e a qualsiasi prezzo.
L’elogio della lentezza e dell’ozio fanno da filo rosso a tutto il testo ed alle strategie didattiche di
rallentamento per una scuola lenta e nonviolenta.
La prima strategia è quella di saper perdere tempo per parlare con i ragazzi, per valorizzare il
tempo della scoperta, della conoscenza dei vissuti personali, della co-costruzione di buone regole
del vivere insieme, per dare spazio ed insegnare l’ascolto autentico, per verificare la capacità di
sorprenderci e stupirci Tutto ciò avverrà se si saprà elaborare il lutto del programma, elaborazione
indispensabile per dare un nuovo corso sia al recupero del tempo disteso, ineludibile per la
conoscenza reciproca, sia per dare respiro al cambiamento delle strategie metodologicodidattiche, auspicato da più parti, al fine di poter garantire un apprendimento reale.
Questa strategia inoltre diventa presupposto essenziale per poter ridare senso alla relazione. La
cura della relazione con gli altri, aspetto sollecitato anche dalle recenti Indicazioni per il curricolo,
poggia sull’autenticità dell’ascolto di sé e dell’altro. Nell’attuale frenesia del vivere, accompagnata
purtroppo dall’indifferenza sempre più contaminante e diffusa, che allenta i legami sociali nel
nostro tempo, a maggior ragione la scuola deve diventare vivaio di relazioni genuine.
Molti sono i docenti che si sono resi consapevoli della svalutazione attribuita progressivamente
alla relazione in classe, spesso veramente trascurata perché difficile, ma il più delle volte la
responsabilità viene attribuita ai ragazzi, diventati troppo irrispettosi e demotivati…
Zavalloni è categorico : bisogna avere il coraggio di dire basta!
Diventa perciò indispensabile avviare delle strategie per rallentare il ritmo frenetico che ci sta
incalzando tutti, a partire dal recupero del piacere. Piacere di sostare, passeggiare, andare a piedi,
scoprire particolari mai visti, assaporare le piccole cose, imparare a farle uscire dallo sfondo,
riscoprire gli odori, dare rilievo alle sensazioni, valorizzare le emozioni.
Ritrovare il senso e il significato dell’esistenza può avvenire anche riscoprendo l’importanza del
cammino e non dell’arrivo, per scoprire un mondo imprevisto a noi vicino, per sbanalizzare
l’osservazione delle cose già viste distrattamente, sbanalizzazione che è alla base della
valorizzazione del metodo scientifico.
Originale poi ripescare, per esempio, l’odore dell’inchiostro, lo scricchiolio del pennino:
sensazioni che per le generazioni più anziane significano il recupero della memoria, per le più
giovani una scoperta. Perché allora non riprendere la penna stilografica e la cannetta con il
vecchio pennino per riscoprire la bella scrittura?quale potere evocativo hanno queste
sollecitazioni per chi nella propria infanzia ha effettivamente scritto curando i tratti sottili di
elevazione e quelli più in grassetto discendenti, usando i pennini da quelli semplici a quelli
arzigogolati fatti a torre, sempre attenti a non intingere troppo inchiostro per paura delle macchie!
Di nuovo l’elogio della cura, della lentezza, dell’attenzione, del piacere estetico di riempire una
pagina senza sbavature, contrassegnata da tratti accompagnati dalla mano che diventa sapiente
ed accorta.
Perfettamente in linea con le riflessioni più recenti di psicologia dell’apprendimento la
raccomandazione di recuperare oltre alla mente anche la mano, il fare su progetto che traccia il
percorso della mano che pensa, come si è espressa un tempo Clotilde Pontecorvo, o come appare
da parte di chi si preoccupa dell’integrazione tra il capire e il riuscire, cercando di favorire il
superamento della netta dicotomia tra liceizzazione e formazione professionale.
Condivisibile anche la condanna per l’eccessivo uso delle fotocopie e di conseguenza l’induzione
di una specie di pigrizia del fare personalmente: disegni, grafici, tabelle.
Particolarmente auspicabile e significativa anche la realizzazione di un orto a scuola per
riscoprire i ritmi naturali del tempo e il senso dell’attesa.
Zavalloni passa in rassegna tutti i rituali scolastici dall’uso dei quadernoni alla progettazione
insieme degli insegnanti, dalla valutazione alla ricreazione e ai compiti a casa e per le vacanze,
dalla certificazione di qualità al senso degli esami ed altro ancora, proponendo ogni volta delle
correzioni che spesso consistono nel ritornare a recuperare modalità superate frettolosamente
sull’onda di un processo di malintesa globalizzazione con affossamento di tutto ciò che riguarda il
locale e il vicino . All’interno di queste considerazioni troviamo la rivalutazione delle pluriclassi, dei
banchi di legno massello e delle sedie ergonomiche!
Non mancano i riferimenti ad internet, alla televisione, ai cellulari, al copia-incolla con
prevedibili critiche e proposte perché cambiare la scuola davvero si può.
Mi piace particolarmente il richiamo al valore della corporeità, all’elogio del gioco corporeo dei
bambini tra loro, che Gianfranco chiama lotta, attività specifica della psicomotricità che l’autore
descrive senza nominarla, compreso l’assalto all’adulto che, espresso molto bene, fa notare che il
maestro permette al bambino di vivere il suo corpo sul piano pulsionale, affettivo e fantasmatico.
La sua autorità istituzionale sparisce, il suo rapporto coi bambini diventa una relazione da persona
a persona, l’autorità non sarà poi re-imposta istituzionalmente ma sarà più autentica perché
conferita dal gruppo…
Attraverso agili ed accattivanti capitoletti si snoda tutta la sequela delle condanne di tutto ciò
che risulta al servizio della fretta e dell’effetto immediato, senza però approfondimento e
radicamento, aspetti questi ultimi che, a fronte di una società dalle derive frenetiche e
consumistiche, la scuola deve cercare di coltivare
Alla fine l’autore propone con notevole effetto il decalogo per una buona scuola, che consiste
in una serie di consigli per genitori e studenti e ripropone il suo bellissimo manifesto dei diritti
naturali di bimbi e bimbe.
Libro da centellinare meditando…
Recensione pubblicata su “Rivista dell’Istruzione”