BIODIVERSITA`, SOSTENIBILITA` e SOLIDARIETA`
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BIODIVERSITA`, SOSTENIBILITA` e SOLIDARIETA`
BIODIVERSITA’, SOSTENIBILITA’ e SOLIDARIETA’ 14 maggio 2007 “Tutela della biodiversità regionale nella Riserva Integrale di Otonga, Ecuador” Giovanni Onore – Università Pontificia di Quito, Ecuador; responsabile della Riserva Integrale di Otonga Viene presentata la biodiversità dell’Ecuador ed i rischi che corrono le ricchezze biologiche racchiuse nelle sue foreste, vengono elencate le produzioni agricole attuali e il loro sviluppo per l’immediato futuro. Viene sottolineato il conflitto fra la necessità di terra per l’agricoltura e la conservazione delle aree naturali. Infine vengono intraviste le prospettive per una agricoltura ecosostenibile. L’Ecuador per la sua posizione geografica e per la sua storia geologica si classifica tra i dieci Paesi che presentano la maggiore biodiversità mondiale. Studi condotti su alcuni gruppi di organismi maggiormente conosciuti inducono a stimare che circa il 10% delle specie animali e vegetali sia rappresentato su una superficie simile a quella dell’Italia. L’incremento della popolazione, l’espansione del territorio coltivato e l’aumento delle richieste di prodotti tropicali minacciano questa ricchezza biologica che, anche se politicamente racchiusa tra i confini di un piccolo Paese, può dare benefici all’intera umanità. I vari gruppi di organismi viventi nell’area di studio vengono quantitativamente analizzati e comparati con la biodiversità mondiale. Viene presentato il progetto Otonga che mira a conservare una foresta minacciata che è situata sulle pendici occidentali delle Ande. Nella zona si coinvolge la popolazione nella ricerca di uno sviluppo ecosostenibile e nella educazione della gioventù. L’aumento della sensibilità ecologica delle nuove generazioni e la richiesta del mercato di alimenti esenti da contaminanti chimici si ripercuotono favorevolmente sulla salute dell’ambiente del Paese preso in considerazione. Viene sottolineato che le soluzioni ecologiche sono allo stesso tempo positive anche sul piano economico. “Effetti sui topi di una dieta basata su soia OGM resistente al glifosato” Manuela Malatesta – Università di Verona L'utilizzo di piante geneticamente modificate (GM) nell'alimentazione umana e in zootecnia è sempre più diffuso. Queste piante sono state modificate inserendo nel loro DNA uno o pochi geni allo scopo di esprimere alcune specifiche caratteristiche, quali la resistenza a fattori ambientali, a malattie, a parassiti o a pesticidi, la produzione di particolari nutrienti, ecc. Il principio che normalmente si applica per valutare un prodotto alimentare OGM è quello di equivalenza sostanziale con il prodotto che dovrà rimpiazzare; tuttavia, qualsiasi conseguenza nutrizionale del consumo di prodotti GM deve essere presa in considerazione, sia per quanto concerne i possibili cambiamenti nel livello di nutrienti del prodotto stesso, sia per gli effetti - diretti e indiretti, immediati e cumulativi - della dieta totale derivanti dalla sostituzione del prodotto convenzionale con un prodotto GM. Deve, infatti, essere tenuto presente che eventuali effetti del cibo GM potrebbero non derivare direttamente dall’introduzione del gene stesso, ma da conseguenze collaterali alla sua introduzione, quali, ad esempio, l’espressione o la mancata espressione di particolari proteine oppure residui dello specifico erbicida al quale la pianta GM è stata resa resistente. Il nostro gruppo di ricerca ha indagato i possibili effetti sull’organizzazione cellulare e tessutale di topi nutriti con soia Roundup Ready. Questa soia è stata modificata geneticamente per resistere all’erbicida Roundup, a base di glifosato. Il glifosato inibisce l’enzima 5enolpiruvilshikimato-3-fosfato sintetasi (EPSPS), che, nelle piante, catalizza una tappa della sintesi degli aminoacidi aromatici. Nella soia Roundup Ready l’enzima originale è stato sostituito dall’enzima CP4-EPSPS, da Agrobacterium tumefaciens, che non viene inibito dal glifosato, rendendo quindi la pianta resistente all’erbicida. I nostri studi, condotti con tecniche microscopiche e biochimiche, hanno evidenziato significative modificazioni nell’organizzazione del nucleo cellulare in fegato, pancreas esocrino e testicolo di topi nutriti con soia Roundup Ready rispetto ai topi nutriti con soia non GM. Inoltre, nelle cellule acinose pancreatiche sono state osservate anche modificazioni morfo-funzionali degli organuli citoplasmatici coinvolti nell'attività di sintesi proteica, mentre nelle cellule di Sertoli presenti nel testicolo sono state osservate dilatazioni del reticolo endoplasmatico liscio. Negli animali vecchi (24 mesi) le modificazioni epatiche dei topi nutriti con soia GM indicano un’accentuazione delle alterazioni fisiologiche legate all’invecchiamento presenti nei topi nutriti con soia non GM. E’ stato inoltre osservato un ritardo nell’attivazione del genoma degli embrioni di topi nutriti con soia GM rispetto ai controlli. Va comunque sottolineato che, ad esclusione di queste differenze a livello istologico e cellulare, non è stata osservata alcuna differenza macroscopica tra i due gruppi di animali, così come nessun segno di sofferenza e tanto meno di patologie è stato rilevato nei topi nutriti con soia GM fino al 24° mese di vita. “Tracciabilità tramite isotopi stabili dei residui colturali di mais BT lungo la catena alimentare di detrito” Loreto Rossi - Università di Roma “La Sapienza” Le reti trofiche sono strutture complesse che presentano modelli che si ripetono in differenti contesti ambientali (acqua dolce, lettiera, suolo, mare, ecc.). La comprensione dei meccanismi che sottendono questi modelli ripetitivi è cruciale per la nostra abilità di predire le potenziali conseguenze di eventi perturbativi. Nell’ambito di questa tematica sono state studiate anche le reti trofiche a base detrito in agroecosistemi a mais tradizionale e mais transgenico (Bt-corn) utilizzando l’integrazione di metodiche correlative su dati di censo con l’analisi degli isotopi stabili (SIA), da noi puntualizzate. La scelta di sperimentare su colture della stessa varietà diversamente trattate per la presenza di un transgene è la conseguenza di note differenze biochimiche tra mais transgenico ed il suo isogeno (non transgenico) (e.g. C/N), e di personali osservazioni relative a caratteristiche macroscopiche (e.g. colore, odore, spessore delle foglie, ecc). Tutto questo lascia spazio ad ipotesi di ruoli ecologici differenti. D’altra parte le colture di mais ed i suoi derivati sono tra i più diffusi nel mondo. Le coltivazioni di questa pianta occupano grandi porzioni del suolo coltivato nei due emisferi ed i residui colturali possono costituire un problema o comunque suscitare interesse speculativo anche ai fini di una tracciabilità del destino del detrito di piante geneticamente condizionate. Sono stati condotti esperimenti di confronto di strutture trofiche associate ai residui colturali sul campo (in aree sperimentali dell’Università di Lleida in Spagna) ed esperimenti di alimentazione di invertebrati detritivori in laboratorio (isopodi). Gli scopi erano di (1) definire differenze e somiglianze tra le reti trofiche costruite su residui colturali (in genere radici, steli e foglie), (2) identificare eventuali differenze di segnale isotopico del d13C e d15N tra il mais trangenico ed il suo isogenico, (3) stabilire l’arricchimento del segnale isotopico nei detritivori colonizzatori dei residui colturali nei due tipi di colture. I risultati sono interessanti relativamente sia alle strutture di comunità che si costruiscono sui differenti residui colturali (trang. Vs. isogen.), sia ai segnali isotopici che risultano diversi e poco variabili nelle piante transgeniche. Le differenze di segnale isotopico del C e del N tra transgenico ed isogenico si riverberano sui detritivori che consumano i residui lasciati al suolo. Le differenze osservate sono tali da sostenere l’ipotesi di studio di possibili usi dei segnali isotopici dei detritivori e ancor più dei loro predatori poco vagili come indicatori di presenza di colture transgeniche in agroecosistemi. 15 maggio 2007 “Spirulina: un’alga alimentare contro la fame in Africa” Salvatore Musumeci – Università di Sassari L'obiettivo di questo studio è stato quello di valutare l'effetto di un integratore alimentare composto da Spirulina (Spirulina platensis) e Misola (miglio, soja, arachidi) sulla condizione nutrizionale di bambini malnutriti ospitati presso il Centro Medico San Camillo (CMSC) di Ouagadougou, Burkina Faso. 550 bambini malnutriti di meno di 5 anni erano reclutati in questo studio, 455 erano affetti da marasma severo, 57 marasma di severità intermedia e 38 da kwashiorkor più marasma. Abbiamo diviso a caso i bambini in quattro gruppi: 170 sono stati nutriti con Misola, 170 con Spirulina più pasti tradizionali, 170 con Spirulina più Misola. 40 bambini hanno ricevuto soltanto pasti tradizionali e sono stati considerati come gruppo di controllo. La durata di questo studio è stata di otto settimane. Parametri antropometrici e ematologici hanno permesso di apprezzare la ripresa nutrizionale e biologica di questi bambini. La riabilitazione nutrizionale con Misola, Spirulina più pasti tradizionali e Spiruline più Misola o soltanto pasti tradizionali hanno determinato in media un guadagno del peso di 20, 25, 34 e 15 gr al giorno rispettivamente. I nostri risultati indicano che Misola, Spirulina più pasti tradizionalio Spirulina più Misola sono tutti un buon supplemento alimentare per bambini malnutriti,ma la riabilitazione con Spirulina più Misola sembra correggere più rapidamente la perdita di peso. ”Salvaguardia paesaggistica ed ambientale: un caso ligure” Linda Sacchetti ed Emanuela Chinchella – Cooperativa Agricola “Il Giardino del Borgo”, Genova La presentazione riassume i risultati di sette anni di lavoro cooperativo costruito su un progetto di recupero paesaggistico-ambientale che riguarda terrazzamenti ad uliveto e bosco sospesi tra il mare e il cielo di una piccola insenatura considerata una delle tante perle del mediterraneo: San Fruttuoso di Capodimonte. I terreni agricoli oggetto di indagine sono ubicati nel Comune di Camogli all'interno del Parco di Portofino. Occupano una superficie totale di 128 ettari di cui il 5% a uliveto. La parte restante è costituita da bosco misto (38%) e bosco ceduo (56%). Gli uliveti si distribuiscono su una superficie di ca 6 ettari dal livello del mare a 350 m s.l.m. La difficoltà di raggiungere il sito, solo a piedi o tramite servizio marittimo, lo rende estremamente affascinante ma anche bisognoso di interventi naturalistici di vario genere. L'intera area rientra nella fascia c.1 “Area di protezione-paesaggio agricolo collinare del Piano del Parco Naturale Regionale di Portofino”. In questo contesto biodiversità e sostenibilità sono da sempre gli argomenti che animano le nostre discussioni sulla base dei quali organizziamo il lavoro che spazia dal recupero di zone agricole abbandonate, alla tutela e valorizzazione del patrimonio boschivo, alla coltivazione di piante aromatiche, all'apicoltura, alla bioedilizia, all'educazione ambientale. “Salvaguardia delle sementi locali” Alberto Olivucci – Ass. Civiltà Contadina, Cesena Circa 30 anni fa nascevano i primi embrioni dei movimenti di seed savers (conservatori di sementi) e, assieme a loro, una rete di banche genetiche mondiali per rispondere all'esigenza di conservare i semi delle varietà più antiche di piante alimentari, quali ortaggi, cereali e leguminose di cui in quegli anni, con l'avvento della cosiddetta rivoluzione verde, stavano cominciando a scomparire. Purtroppo a distanza di oltre tre decenni il problema di porre sotto conservazione l'ampio spettro della biodiversità rurale diffusa nel pianeta è ancora lontano dal realizzarsi, soprattutto in Italia, che ha avuto in passato una florida civiltà contadina ricca in biodiversità di varietà alimentari. Sono ancora tante e innumerevoli le varietà di semi in attesa di essere riscoperte, catalogate e messe in stato di conservazione. Purtroppo anche il gesto stesso di raccogliere i semi dalle proprie coltivazioni e preservarli di anno in anno è stato dimenticato e i nuovi appassionati di orto familiare dipendono sempre più dalle sementi in busta che si acquistano nei supermercati o nei garden center, sementi spesso ibride che non si possono nemmeno riseminare. Il recupero delle varietà storiche e la loro catalogazione richiede impegno ma rivitalizza le energie delle aree rurali marginali che ritrovano nelle loro proprie storie e varietà la possibilità di tornare a produrre. “Contributo dell’Etnobotanica alla Cooperazione allo Sviluppo Rurale” Nicola Manno - Università di Padova Le esperienze dirette maturate in Honduras e Perù nel corso della tesi di Laurea in Scienze Naturali e della tesi di Master in Cooperazione Internazionale, mi hanno permesso di mettere in pratica le conoscenze botaniche, tassonomiche e fitogeografiche all’interno del contesto operativo della Cooperazione allo Sviluppo Rurale. La crescente tendenza ad includere in progetti di cooperazione valutazioni sulle risorse forestali non legnose apre ampio spazio a studi Etnobotanici nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS). Pertanto, anche nelle politiche dei Governi dei PVS, è maturata l’importanza di saperi e pratiche tradizionali come fondamentale patrimonio di conoscenze ecologiche da riscoprire e applicare per (1) migliorare le condizioni di vita della popolazione rurale e l’autosufficienza alimentare, ma anche per (2) individuare nel futuro forme di sviluppo concertate e partecipate (sviluppo endogeno) e (3) attività economiche rispettose del patrimonio ambientale (ecosostenibili). La stretta dipendenza delle popolazioni indigene dall’ambiente e dalle sue innumerevoli componenti, soprattutto vegetali e entomologiche, le ha portate a sviluppare molteplici strategie atte ad approfittare di un gran numero delle specie presenti nei loro territori e non delle poche più produttive e redditizie come avviene oggi secondo il sistema occidentale. Inoltre la necessità dei gruppi umani di dare soluzioni ai problemi che insorgevano in un dato clima e territorio ha plasmato i loro comportamenti e la rappresentazione simbolica del mondo vegetale. Il processo di adattamento culturale li ha così orientati ad individuare (1) le risorse con le proprietà più benefiche (nutritive e curative) e (2) a differenziare le attività produttive in rapporto alle variazioni stagionali. Per questo in Honduras gli afro-caribe (o Garifunas), che vivono in contatto con la foresta tropicale alluvionale costiera, in zone altamente insalubri e malariche (piovosità di 2’643 mm/a) conoscono centinaia di piante spontanee di cui almeno 30 possiedono proprietà antinfettive e antiparassitarie, 15 febbrifughe, 8 vermifughe e 2 antiplasmodiche (!). E le comunità rurali di Huamachco, meticci di discendenza inca che vivono sulle Ande peruviane a 3’200 mslm, impegnano la stagione invernale in cui l’agricoltura è improduttiva nella raccolta di specie spontanee medicinali, commestibili e tintoree per l’autoconsumo o per il commercio sui mercati delle città costiere. Le pratiche tradizionali sono intrinsecamente sostenibili, volte all’autosufficienza alimentare e alla conservazione del patrimonio ambientale, frutto di un’autodeterminazione praticata e custodita per secoli o millenni dalle popolazioni locali. L’Etnobotanica permette di descriverle e comprenderle fornendo nuovi strumenti e strategie alla pianificazione dello sviluppo rurale.