1 La tutela del paesaggio tra economia e storia Dal restauro

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1 La tutela del paesaggio tra economia e storia Dal restauro
La tutela del paesaggio tra economia e storia
Dal restauro dei monumenti al governo del territorio
25-26 febbraio 2005 PISA
L’ecologia del paesaggio ed i paesaggi dell’ecologia
Almo Farina & Silvia Scozzafava
Istituto di Biologia ed Ecologia Ambientale
Università di Urbino “Carlo Bo”
[email protected]
Riassunto
Il paesaggio, inteso come framework entro il quale possiamo inserire sia oggetti fisici
che processi cognitivi, è diventato in questi ultimi decenni un soggetto di grande
interesse per un ampio spettro di discipline quali la geografia, l’antropologia, la
pianificazione territoriale ed urbana, la psicologia ambientale, l’estetica, l’economia,
la biosemiotica e certamente non ultima, l’ecologia. Lo studio del paesaggio richiede
un’elevata capacità di integrazione di molte conoscenze affiancata dalla
formulazione di nuovi paradigmi.
Pur riconoscendo che il paesaggio è una dimensione che coinvolge la maggior parte
delle azioni dell’uomo, non esiste una scienza unitaria che affronti in modo
adeguato e sistemico le tematiche legate a questo soggetto complesso, imprigionato
dal dualismo tra una dimensione fisica (geografica) definibile da un “osservatore
esterno” ed una dimensione percettiva (cognitiva) legata all’intorno di un
“osservatore interno”.
La maggior parte delle conoscenze che sono disponibili sul paesaggio proviene dalla
sua dimensione geografica (fisica). In questo caso il paesaggio appare come un
insieme di oggetti posti all’interno di un ambito geografico eterogeneo per strutture
e processi. La dimensione geografica del paesaggio consente lo studio e la
comprensione dei rapporti tra diversi oggetti come i corsi d’acqua, i boschi, le aree
coltivate ed i popolamenti animali (uomo compreso).
La dimensione cognitiva e quindi la relativa ecologia cognitiva, permette di
identificare degli oggetti che vengono rilevati dalle percezioni funzione-specifiche
e di entrare in un rapporto semiotico. Questa dimensione offre il vantaggio di poter
estrarre da “famiglie” di paesaggi variamente sovrapposti nello spazio e nel tempo,
il paesaggio di interesse (p.e. paesaggio simbolico, di valori, di risorse, ecc.). Lo
studio dei paesaggi cognitivi si avvale di approcci biosemiotici, psicologici, estetici
e cognitivi s.s.
L’ipotesi dell’eco-field consente di legare le funzioni vitali degli organismi alle
configurazioni spaziali portatrici di significato rintracciate nella matrice ambientale
attraverso un processo cognitivo.
La “currency” comune quando si tratta il paesaggio appare la semiosi, cioè l’insieme
dei codici semantici che consente ad ogni organismo di scambiare informazioni,
materiali ed energia con il mondo esterno. La semiosi si instaura ad almeno tre livelli
di intensità che vanno a determinare altrettanti paesaggi percettivi: il neutrality-based
landscape, l’individual-based landscape ed infine l’observer-based landscape.
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Premessa
L’ecologia del paesaggio è una delle più giovani discipline sviluppate dalle scienze
ecologiche (Naveh & Lieberman 1994, Forman & Godron 1986), ma sebbene ancora
in formazione sta aumentando l’attenzione di ricercatori e professionisti nel campo
della valutazione e gestione del territorio (Harris 1984, Green & Vos 2001).
Attorno a questa disciplina vengono a coagularsi paradigmi, teorie e modelli
formulati indipendentemente da discipline quali la geografia, l’ecologia,
l’antropologia, la psicologia ambientale, la pianificazione e la gestione territoriale,
In particolare il paesaggio da semplice descrizione estetica del nostro intorno viene
scoperto come un oggetto di grande interesse le cui proprietà (emergenti) possono
essere ascritte ai fenomeni così detti complessi (Li 2000, Farina 2004).
Con questo contributo intendiamo ripercorrere brevemente la storia dell’ecologia del
paesaggio all’interno dei paradigmi ecologici e quindi descrivere i potenziali sviluppi
soprattutto nel campo della cognizione.
Breve storia dell’ ecologia del paesaggio
Da quando Carl Troll negli anni trenta iniziò ad utilizzare le foto aree per studiare
la distribuzione della vegetazione la componente spaziale degli ecosistemi divenne
in breve tempo un oggetto privilegiato da investigare. Il vero sviluppo dell’ecologia
del paesaggio in realtà è avvenuto con l’impiego dei Geographic Information
Systems e delle tecniche di Remote Sensing, le prime rese possibili dai computer e
le seconde dall’impiego dei satelliti.
La parola landscape entrò, per così dire in punta di piedi nella moderna ecologia solo
verso la fine degli anni 80 per poi affermarsi definitivamente negli anni 90
(Schreiber 1990, Forman 1990). L’ecologia tradizionale ostacolò all’inizio questa
disciplina vedendola troppo orientata verso le scienze sociali e l’architettura. Ma con
l’aumento di interesse verso i processi spaziali a grande scala
quali la
frammentazione delle coperture forestali e l’aumento esponenziale delle aree
urbane, il paesaggio è passato da una soggetto visivo ed estetico ad un oggetto
focale “materiale” da studiare e comprendere per poter essere quindi gestito
adeguatamente (e.g. Risser et al. 1984, Turner 1989, Farina 1993,1998,2000, Wiens
et al. 1993, Forman 1995, Moss 2000, Turner et al. 2001).
Rimane ancora una certa confusione epistemologica e paradigmatica che crea una
accesa dialettica durante i congressi organizzati per sviluppare questa disciplina, ma
riteniamo essere questi elementi “fisiologicamente” necessari (Wu & Hobbs 2002).
Zone d’ombra appaiono per la convergenza verso il paesaggio delle differenti
discipline che alla fine fanno riferimento non semplicemente al paesaggio ma alla sua
ecologia. Infatti forse la maggior fonte di confusione si ha proprio quando altre
discipline cercano di comprendere “l’ecologia” di questa entità (Antrop 2001).
E’ fuori di dubbio che le discipline non sono altro che sequenze di paradigmi, spesso
auto-referenziali che finiscono per creare “universi privati” dai quali non se ne esce
facilmente. In realtà le difficoltà che oggi esistono attorno al tema del paesaggio
sono prodotte da un mancato riconoscimento di una “currency” comune. Per esempio
l’energia è vista come moneta comune agli approcci ecosistemici ma anche a quelli
economici, sia che si tratti di energia primaria proveniente dal sole o dalla scissione
atomica, che di energia “secondaria” ricavata dalle trasformazioni dell’energia
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biologica fossile (petrolio) o attuale (biomasse). Torneremo nella parte finale di
questo contributo sulla “currency” comune che potrebbe in gran parte risolvere i
problemi epistemologici, metodologici ed applicativi che emergono dallo studio
paesaggio.
La visione ecologica del paesaggio
Presenteremo quindi il paesaggio secondo due visioni: una così detta ecosistemica ed
una cognitiva. Entrambe trattano aspetti complementari del paesaggio come oggetto
focale di riferimento che possiede per lo meno una comunanza geografica tra le due
diverse visioni.
La visione del paesaggio dell’ecologia “ecosistemica”
Usiamo l’attributo “ecosistemico” riferendoci a quell’ecologia che ha esteso alla
dimensione spaziale i principi ed i metodi consolidatisi attorno all’ecologia
tradizionale. Il paesaggio viene quindi definito da questa ecologia come un insieme di
elementi spaziali che concorrono alla formazione di un mosaico ambientale. Sebbene
possa sembrare riduttivo il paesaggio viene visto da questo approccio come l’insieme
di tessere (patch) le cui caratteristiche, attraverso processi di connettività e di
interscambio, finiscono per influenzare processi e pattern dell’intero mosaico.
Da questa visione scaturisce un mosaico ambientale delimitato da una qualche
coerenza geografica, ecologica, amministrativa o economica che va a delimitare
caratteri distintivi (Green et al. 1996). Chiamiamo matrice lo spazio geografico entro
il quale insistono ed operano strutture e processi. La matrice è quindi il contenitore di
oggetti e processi.
Gli oggetti, generalmente rappresentati da coerenze geo-botaniche e uso del suolo
(boschi, campi coltivati, ambienti fluviali) vengono descritti a seconda dei loro
attributi morfologici bidimensionali in oggetti grandi, piccoli, a contorni regolari o
irregolari. Per ciascuno di questi attributi vengono fatti corrispondere processi che
influenzano gli oggetti stessi. Infatti, e qui l’ ecologia non sembra avere ancora le idee
chiare, un oggetto viene condizionato dal mondo esterno all’oggetto stesso ma anche
dalle sue caratteristiche autopoietiche (sensu Maturana 1999). Infatti l’autopoiesi,
cioè la proprietà per la quale ogni organismo risponde ad un progetto interno che ne
assicura l’auto-mantenimento, è una proprietà essenziale di ogni vivente.
Gli oggetti che si incontrano in una matrice ambientale oltre alle loro dimensioni e
forma, che diremo sono i caratteri primitivi, si distinguono anche per un aspetto
funzionale quando vengono aggregati tra di loro. Così si parlerà di ecotopo come
dell’unità funzionale di una matrice ambientale. L’ecotopo è composto almeno da due
componenti tra loro correlate: il fisiotopo, cioè il substrato fisico e il biotopo, la
componente biologica. Ma l’individuazione di un ecotopo è basata sulla sua tipicità
funzionale. Così per esempio un oliveto o un castagneto sono considerati delle unità
produttive all’interno di una matrice rurale.
Torniamo per un momento a riconsiderare le patch: possiamo individuare nelle zone
di contatto tra due o più patch dei fenomeni di cerniera o di collegamento che
chiamiamo ecotoni (Risser 1993,1995). Gli ecotoni, descritti dai biologi della
selvaggina fin dall’inizio del secolo scorso come aree rilevanti per gli animali,
possono essere considerati sia delle vere e proprie strutture che processi (Farina
1995).
Concorrono allo loro formazione sia meccanismi interni alle patch componenti sia
meccanismi che si sviluppano quando due o più patch vengono a contatto.
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Gli ecotoni, che esistono entro un amplissimo range di scale possono essere descritti
come aree di confine, aree buffer, aree di transito e habitat veri e propri.
L’estesissima letteratura disponibile ci indica il grande interesse che ha suscitato
questo paradigma soprattutto nel campo della conservazione ambientale (Holland et
al. 1991, Hansen & DiCastri 1992)
Una volta identificati i pattern che caratterizzano un paesaggio, e per questo un grande
aiuto ci viene dalla geografia, sono i processi che assumono il ruolo dominante negli
studi di ecologia del paesaggio.
Frammentazione, connettività, resilienza, fragilità sono alcuni dei processi che più
comunemente vengono investigati per la loro importanza nelle dinamiche
ambientali e nella gestione del territorio. Brevemente senza volerci addentrare in
questi argomenti definiamo frammentazione ogni processo che riduce e isola una
certa copertura vegetale (foreste, praterie, aree coltivate) (Saunders et al. 1991,
Wilcove et al. 1986, Wiens 1994, Collinge 1996). Questo processo presente in
maniera spontanea in natura, è oggi ingigantito dall’intervento massiccio dell’uomo.
Si pensi alla distruzione della foresta amazzonica o delle foreste boreali, ma anche
alla scomparsa delle praterie a erbe alte dell’ Ovest dell’America settentrionale.
La connettività è un attributo che esprime quanto una patch risulti collegata ad
un’altra dello stesso tipo. In genere però la connettività è un processo centrato sugli
organismi. Infatti la percezione
di connettività
dipende dalle dimensioni
dell’organismo e dal grado di dispersione espresso. La valutazione della connettività è
largamente impiegata nelle pratiche di conservazione della diversità biologica
(Baudry 1984).
La resilienza esprime la capacità di un sistema, in questo caso un mosaico ambientale,
ad incorporare dei disturbi senza subire delle modificazioni strutturali profonde.
Anche questo processo, sebbene di più difficile valutazione, viene estesamente
impiegato nella valutazione ambientale. In genere più un sistema è esteso e
maggiore risulta essere la sua capacità di incorporare eventuali disturbi. Così un’area
steppica quale quella dell’Alantejo (Portogallo) potrà mantenere la diversità di
specie rare come le otarde (Otis tarda) e le galline prataiole (Otis tetrax) solamente se
l’area di steppa cerealicola si manterrà con almeno l’estensione attuale. In questo
caso anche interventi locali di cambiamento dell’uso del territorio non avranno
ripercussioni apprezzabili su questi uccelli.
La fragilità descrive il processo di cambiamento della composizione specifica di
una comunità, sia che si tratti di una comunità di piante che una comunità di animali.
In genere un ambiente disturbato presenta una più elevata fragilità e quindi anche
questo processo viene speso per descrivere lo stato dell’ambiente. Non nascondiamo
comunque la difficoltà di questa valutazione per la quale è necessaria una rigorosa
comparazione con sistemi di riferimento.
La visione del paesaggio dell’ecologia “cognitiva”
Questa visione necessita per essere compresa di un riferimento epistemologico
esplicito. Vale a dire il paesaggio attraverso questa visione è una realtà composta sia
da elementi fisici, di cui abbiamo detto nella sezione precedente, sia di elementi
concettuali i cui valori vengono intercettati attraverso la percezione.
Quando si associa la parola ecologia alla parola cognizione in molti entra il sospetto
di essersi allontanati dall’ecologia s.s. In realtà l’approccio cognitivo in ecologia
descrive gli aspetti bio-semiotici, cioè i meccanismi attraverso i quali un organismo
entra in contatto con un altro organismo o con il contesto ambientale (Kull 1998a,b).
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La dimensione cognitiva, permette di identificare degli oggetti che vengono rilevati
dalle percezioni funzione-specifiche. Questa dimensione offre il vantaggio di poter
estrarre da “famiglie” di paesaggi variamente sovrapposti nello spazio e nel tempo,
il paesaggio di interesse (p.e. paesaggio simbolico, di valori, di risorse, ecc.). Lo
studio dei paesaggi cognitivi si avvale di approcci non solo biosemiotici ma anche
psicologici, estetici e cognitivi s.s. e fa scoprire, per esempio, possibilità innovative
in campo medico (Williams 1998).
Diverse teorie sono state recentemente elaborate per spiegare le strette relazioni di
tipo “biologico” tra percezione e paesaggio (Bourassa 1990,1991). Per esempio la
teoria dello psicologo James J. Gibson (1979) sull’affordance, o la teoria del
prospect/refuge di Jay Appleton (1975) sono due capisaldi della cognizione. Per il
primo ogni oggetto o ambiente possiede una propria affordance che viene percepita
dalle specie attraverso un meccanismo di effectivity (Hirose 2002). La teoria del
prospect/refuge rende ragione, almeno per l’uomo delle scelte ambientali basate
sull’individuazione di un rifugio associato ad un’area ad ampia visuale e quindi con
possibilità di individuare per tempo un pericolo o di evitarlo attraverso la fuga.
L’ipotesi dell’Eco-field è l’ultima nata tra le teorie cognitive legate al paesaggio.
L’eco-field viene definito da Farina & Belgrano (2004, 2005) come ogni
configurazione spaziale portatrice di significato quando una determinata funzione
vitale viene attivata. Questa ipotesi richiede quindi mappe cognitive che vengono
attivate da una specifica funzione e prevede meccanismi comparativi tra dette mappe
e la realtà che circonda un organismo. Ovviamente questa ipotesi è spendibile
soprattutto per gli animali che hanno un sistema nervoso distinto, ma pur con certi
aggiustamenti può essere utilizzata anche nello studio delle piante (Tscharntke et al.
2001). La premessa richiede che ogni funzione vitale quale la ricerca di cibo, lo
spostarsi, la difesa del territorio, la scelta del partner, sia associata ad una specifica
percezione dell’intorno, percezione che quindi cambia a seconda della funzione
attivata in quel determinato istante.
Per ogni funzione si attiva una mappa cognitiva corrispondente che viene comparata
con l’intorno. Maggiore sarà la sua coincidenza e maggiori saranno le probabilità che
quel determinato eco-field assicuri in forma ottimale le risorse necessarie a quella
determinata funzione. La qualità di ciascun eco-field peserà sulla sopravvivenza di
quell’individuo e determinerà un adattamento genetico nella popolazione su scale
temporali e spaziali più ampie. Certi eco-field insistono sullo stesso spazio geografico
mentre altri necessitano di un dislocazione fisica dell’individuo per poterli
incontrare. Così mentre un pettirosso (Erithacus rubecula) localizza i propri eco-field
all’interno dello stesso bosco, un fringuello (Fringilla coelebs) abbisogna del bosco
per l’eco-field riproduttivo e di aree aperte per l’eco-field alimentare. Ma diventa
difficile comprendere i meccanismi attraverso i quali una specie sia legata ad un
certo ambiente durante la stagione riproduttiva e ad uno completamente diverso al di
fuori di questa. Così per esempio il pettirosso, come abbiamo detto, specie che resta
nei boschi durante la stagione riproduttiva, seleziona preferenzialmente le zone aperte
e coltivate in autunno ed in inverno. Solamente attraverso uno switch delle funzioni
è possibile trovare una spiegazione plausibile a questi cambiamenti di habitat. Questa
ipotesi ci aiuta altresì a capire come e dove una specie localizzi un corridoio, tema
tanto dibattuto perché controverso sia in pianificazione che in tutela dell’ambiente
(Simberloff et al. 1992, Collinge 2000). Infatti molto spesso in pianificazione i
corridoi biologici vengono tracciati come se fossero delle entità fisiche universali
quali le strade che noi umani utilizziamo nei nostri spostamenti. In realtà gli animali
si spostano da un’area ad un’altra quando certi requisiti locali vengono meno. Per
esempio un capriolo si porta da un pascolo ad un altro quando la qualità del pascolo in
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un sito è diventata bassa. Ma l’azione dello spostamento è di fatto l’attivazione di
una funzione diversa da quella alimentare, seppur legata a quest’ultima. Chiameremo
eco-field di spostamento la percezione dell’intorno rappresentata non più dalla
distribuzione di erbe palatabili ma di aree attraversabili e da aree di “frizione”, quindi
la visione dello stesso intorno viene a modificarsi completamente a seconda della
funzione attivata sia per estensione che per grana. L’insieme degli eo-field viene
assunto come l’habitat di una specie.
Questa ipotesi è spendibile sia nel contesto animale che in quello umano. Nell’uomo
il numero di eco-field più elevato che in ogni altro organismo in quanto molte
funzioni (p.e. svago, socializzazione) sono di tipo cognitivo (Kaplan & Kaplan 1989).
Dai paesaggi di pattern ai paesaggi di processo
Una volta chiarito il dualismo ecologico nello studio dei paesaggi, emergono altre
problematiche legate a questo tema. Infatti incontriamo un ulteriore dualismo quando
si passa dalla descrizione di “paesaggi di pattern” a “paesaggi di processo”. I
paesaggi di pattern sono dominati da strutture fisiche quali il suolo, la vegetazione, le
acque, in altre parole da masse fisiche e masse biologiche.
I paesaggi di processo sono quelle entità spaziali che scaturiscono dai processi come
i rumori, gli odori, i comportamenti, la distribuzione degli organismi. A ben guardare
anche questi paesaggi possiedono una loro struttura ma prevale la forte instabilità di
dette configurazioni e pertanto non possono essere descritti in modo permanente.
Pert esempio chiameremo
paesaggio sonoro
l’insieme di rumori, suoni,
vocalizzazioni, canti e richiami che possiamo cogliere in un certo ambiente. La
qualità di questo paesaggio sonoro (soundscape) è assi importante (Redstrom 1998).
Sappiamo che ogni organismo animale, uomo compreso mostra esplicite preferenze
per il soundscape e quindi la qualità di un territorio passa anche attraverso la qualità
del suo soundscape (Skanberg &Ohstrom 2002). Le barriere fono-assorbenti erette
lungo le autostrade in prossimità dei centri abitati sono misure di “remediation”
ambientale tese migliorare la qualità dell’ambiente stesso.
Il soundscape è importante quanto il paesaggio visivo e una sua bassa qualità può
portare all’allontanamento di molte specie sensibili. I ruomori del traffico stradale
sono per esempio una delle cause principali del declino delle comunità di uccelli.
Infine il soundscape diventa un vero e proprio footprint necessario agli organismi
animali per esplicitare molte delle loro funzioni per le quali è richiesto un
riconoscimento anche di tipo acustico.
Il paesaggio olfattivo, poco percepito dall’uomo, diventa essenziale per tutti i
mammiferi che cercano un partner o che devono difendere un territorio, ma anche per
la ricerca delle prede. Vengono infatti utilizzati i cani per la caccia di lepri o fagiani
proprie per la loro capacità di seguire le piste odorose lasciate dalla selvaggina, o i
cani da tartufi per la ricerca di questi preziosi funghi ipogei.
Ed infine il paesaggio sociale inteso come distribuzione di individui intra o
eterospecifici che funziona come centro di attrazione. Questo paesaggio consente ad
una specie di limitare il dispendio di energie nella ricerca di cibo, se può utilizzare
come indicatore di questo la presenza di altri individui intenti ad alimentarsi. E’ ben
noto l’effetto “richiamo” in campo venatorio per attrarre la selvaggina. Quante volte
abbiamo evitato un bar poco affollato e siamo entrati in un bar pieno di persone.
Istintivamente abbiamo collegato alla qualità il bar affollato e alla scarsa qualità
quello con pochi clienti. In effetti ci siamo comportati esattamente come un uccello
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che va a posarsi in prossimità di altri cospecifici intenti ad alimentarsi e più
numerosi sono questi ultimi e più è probabile che l’individuo decida di aggregarsi.
Note conclusive
I paesaggi dell’ecologia trovano quindi una grande comunanza con i paesaggi
descritti e percepiti attraverso altri paradigmi. Non ci sembra così invalicabile il
confine tra ecologia e cognizione, psicologia ed estetica, tra pattern e processi. Se
abbandoniamo per un attimo l’ecologia del paesaggio e poniamo l’attenzione sul
paesaggio come entità fisica (geografica e soprattutto ecosistemica) e come entità
concettuale (cognitiva) ci appare che il paesaggio accomuni attraverso la semiosi
tutti questi differenti approcci (p.e. Ingold 1998). La semiosi è un processo per il
quale un oggetto entra in contatto cognitivo con un altro oggetto o con un contesto
ambientale. La semiosi diventa la moneta comune (currency) per studiare
adeguatamente il paesaggio. Il paesaggio richiede quindi una semiosi specifica in
grado di spiegare perché le forme dei mosaici ambientali o le configurazioni spaziali
degli eco-field siano così importanti per ogni organismo.
La semiosi va verso un crescendo con l’aumentare del livello di complessità
strutturale e funzionale di un organismo.
Ogni organismo si rapporta con il mondo esterno attraverso una codice semantico
che permette di entrare in contatto o di evitare un determinato oggetto (p.e. Barbieri
2003a,b). Il paesaggio è di fatto il mondo esterno ad un organismo che viene
intercettato durante l’esplicitamento di una determinata funzione.
Esistono quindi due livelli operazionali distinti per l’analisi del paesaggio: un livello
ecosistemico ed un livello percettivo (cognitivo almeno per gli organismi superiori). Il
primo si occupa interamente della fisicità dei paesaggi attraverso analisi geografiche,
geo-botaniche, ed energetiche. Diremmo che questo livello si distingue da quello
sviluppato dall’ecologia ecosistemica per l’aspetto esplicito delle configurazioni
spaziali. Il livello cognitivo si interessa alle relazioni tra gli organismi e le
configurazioni spaziali del paesaggio. La percezione di queste strutture avviene
attraverso almeno tre livelli percettivi a semiosi crescente i cui meccanismi
determinano il neutrality-based landscape, l’individual-based landscape ed infine
l’observer-based landscape (Farina et al. 2004). Mentre il neutrality-based landscape
è il prodotto del livello percettivo più basso e tale da non focalizzare su alcun
oggetto, l’individual-based landscape presuppone l’attivazione di sensori biologici
(tatto, gusto, olfatto, vista, udito, polarizzazione della luce, campo magnetico, etc.)
che descrivono la realtà prossima all’organismo. Infine l’observer-based landscape è
il prodotto di una percezione mediata dalla cultura (per l’uomo) e dall’esperienza
(sia per l’uomo che per ogni altro organismo animale).
Questi tre meccanismi percettivi sono quindi la base di sviluppo della semiosi sia
verso ogni tipologia e grado di paesaggi (sia fisici che concettuali) che concettuali.
Sicuramente l’observer-based landscape è il prodotto più sofisticato della
percezione dell’intorno e consente letture assai diverse degli stessi oggetti a seconda
dell’approccio culturale utilizzato o dell’esperienza acquisita.
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