Le teorie sociologiche - Dipartimento di Giurisprudenza

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Le teorie sociologiche - Dipartimento di Giurisprudenza
Primo gruppo:
Francesca Melloni, Carlotta Dalli
Ilaria Canalini, Nakita Casnedi
Il comportamento deviante degli immigrati: le principali teorie
Il fenomeno dell’immigrazione clandestina si sviluppa verso la metà degli anni ‘70 nel contesto
europeo, per questo prendiamo in considerazione ciò che è avvenuto in tempi e luoghi diversi
dall’ambito italiano per poter capire che cosa è avvenuto nel nostro paese.
Si è potuto osservare che la quota degli stranieri sul totale delle persone denunciate e condannate
per vari reati è fortemente aumentata in tutta l’ Europa occidentale: ciò è riconducibile a due fattori.
In primo luogo l’aumento è dovuto ad una maggiore presenza di stranieri non residenti, tra cui: gli
irregolari, i richiedenti asilo, i turisti.
In secondo luogo anche gli immigrati presenti regolarmente sul territorio hanno iniziato a
delinquere più frequentemente rispetto agli autoctoni.
Nonostante ciò si riscontrano delle differenze tra le esperienze dei vari paesi europei: infatti in
Svizzera, Germania e Olanda i reati risultano commessi maggiormente da figli di immigrati nati nel
paese che ha accolto i loro genitori (si parla per tanto di immigrazione di seconda generazione). Al
contrario, in Svezia, gli immigrati della seconda generazione delinquono meno rispetto agli
immigrati di prima generazione, ma comunque di più rispetto agli autoctoni.
La situazione italiana differisce per un grosso divario tra la presenza di immigrati irregolari e
regolari. Le cause di questo divario sono principalmente l’inefficienza dei sistemi del controllo
interno e la forte attrazione che l’economia sommersa ha esercito nei confronti degli immigrati
clandestini.
Il fenomeno dell’immigrazione ha contribuito ad un notevole aumento della criminalità. Tra la
totalità dei reati commessi dagli stranieri il 98% dei crimini risulta commesso dagli irregolari, in
particolare dai giovani, a causa del disadattamento ed incapacità di integrarsi nell’ambiente che li
circonda.
La legislazione italiana ha subito diverse modifiche nel tempo: a partile dalla legge n. 39 del
28/02/1990, detta legge Martelli: con essa si è cercato, tra gli altri scopi, di dare una risposta al
problema del diritto d’asilo garantito dalla Costituzione.
Successivamente l’attenzione è stata focalizzata su altri problemi. La legge n.40 del 6/03/1998,
denominata “Turco-Napolitano”, si era proposta infatti di punire essenzialmente il traffico di
immigrati e la tratta delle persone.
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Nel 2002 con la legge n.189 del 20/07 (c.d. “Bossi-Fini”) viene data la possibilità allo straniero di
entrare nel territorio italiano con il mero contratto di lavoro per evitare reclutamenti da parte della
criminalità. Considerando che lo straniero, alla perdita del posto di lavoro, ovviava con espedienti o
lavoro nero, è stata emanata la legge n.94 del 15/07/2009 (“pacchetto sicurezza 2009”), la quale
disciplina il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. La criminologia ha
tentato di spiegare il comportamento deviante degli immigrati attraverso tre teorie.
La teoria del conflitto di culture
Il sociologo americano Sellin ha elaborato, alla fine degli anni ‘30, la teoria del conflitto di culture:
ogni società ha proprie norme di condotta che indicano come comportarsi in certe situazioni e
vengono trasmesse da una generazione all’altra. Sellin ha individuato 2 tipologie di società: in
quella “semplice” vi è armonia, integrazione e adattamento alle norme; nelle società “moderne”, più
complesse, i conflitti tra le norme dei diversi gruppi diventano frequenti.
I conflitti si distinguono in primari e secondari. I conflitti primari, che avvengono fra due culture
differenti, emergono in tre diverse situazioni: in primo luogo quando codici diversi entrano in
collisione alla frontiera di zone di culture contigue; in secondo luogo quando un gruppo ne
conquista un altro imponendogli le proprie norme (come avveniva nel periodo del colonialismo).
Un esempio importante è il caso della Francia, che ha imposto il proprio codice in Algeria rendendo
crimini molti comportamenti precedentemente leciti (ad esempio se la moglie tradiva il marito il
padre o fratello di lei avevano il diritto di ucciderla per questione di onore). Infine il conflitto può
verificarsi a seguito di una emigrazione di un gruppo in un altro con norme di condotta molto
diverse. Per risolvere il conflitto sarà necessario abbandonare valori e comportamenti della società
di partenza per poter assimilare quelli del gruppo d’arrivo.
Un’affascinante ricerca condotta negli anni ‘30 a Detroit ha mostrato che la comunità ungherese
condannava severamente i ragazzi che commettevano furti, ma li approvava se ad essere rubato era
il carbone per uso domestico. L’origine di tale deroga si ritrova in una regola culturale della metà
‘800 per cui il signore feudale permetteva ai servi della gleba ormai emancipati di poter “rubare”,
ogni sabato, legna secca per uso domestico.
Allo stesso modo, nel secondo dopoguerra, alcuni siciliani emigrati in Belgio rimasero molto
sorpresi di ricevere una condanna per il rapimento di una ragazza di 16 anni, dato che nella loro
regione d’origine era molto diffuso il costume della “fuitina”.
Chi emigra in un paese si porta dietro un bagaglio culturale, fatto di credenze e valori, che nessuno
può sequestrare alla frontiera. Questa teoria, che pur può contribuire a spiegare alcuni fenomeni
criminali, ha lo svantaggio di sopravvalutare le differenze fra le società nelle regole di condotta e
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nelle leggi penali, dato che la maggior parte reati “classici” (omicidi, stupri, furti…) vengono
condannati in ogni società.
La teoria del controllo sociale
Secondo la teoria del controllo sociale l’uomo è considerato un essere debole e fragile, portato
naturalmente a delinquere. La domanda da porsi non è perché alcuni commettono reati, ma perché
la maggioranza non li commette? La risposta la ritroviamo nei vari tipi di controllo sociale. Vi sono
quelli esterni che si realizzano attraverso forme di sorveglianza per scoraggiare o impedire, con
minaccia o sanzioni, comportamenti devianti. A questi si contrappongono i controlli interni che
possono a loro volta essere “diretti”, quando si manifestano in sentimenti di colpa e di vergogna che
prova chi viola una norma oppure “indiretti” quando determinati dall’attaccamento psicologico ed
emotivo nei confronti delle persone di cui non si vuole perdere stima e affetto. Quindi quanto più si
è legati a persone significative tanto più difficile sarà che si infrangano le leggi. Questo fenomeno è
stato ad esempio riscontrato dai sociologi negli anni ‘60 a San Francisco: vi era un quartiere
(Chinatown) che pur avendo la popolazione più povera e meno istruita aveva il tasso di criminalità
più basso, essendo una comunità isolata e coesa.
La teoria del controllo sociale, prendendo in considerazione l’indebolimento dei legami tra figli e
genitori, cerca di spiegare come mai gli immigrati di seconda generazione commettano più reati
rispetto alla prima generazione. Si pensi ai contadini polacchi immigrati negli USA. Nel loro paese
questi, attribuendo alla famiglia un ruolo centrale solido e forte e una funzione educativa importante
iniziavano i figli alle attività dei genitori; proprio attraverso i genitori entravano in contatto con la
comunità in cui vivevano con le loro tradizioni, valori e credenze. Una volta arrivati in America la
situazione cambia radicalmente: i ragazzi passando gran parte del loro tempo al di fuori del contesto
familiare, a scuola o nelle strade a giocare, diventano sempre più indipendenti dal controllo degli
anziani. Questo ha portato gli immigrati di seconda generazione a seguire semplicemente i propri
istinti e umori. Per prevenire questo fenomeno in Svezia è stato adottato il welfare system che
promuove l’integrazione dei figli e degli immigrati anche attraverso l’insegnamento, nelle scuole
per l’infanzia, della loro lingua madre.
Questa teoria fornisce si un contributo maggiore rispetto alla teoria del conflitto di culture, ma
nonostante ciò non ci aiuta a risolvere il fenomeno del comportamento criminale degli stranieri.
La teoria degli svantaggi sociali e della privazione relativa
Un maggior contributo per fornire una risposta agli interrogativi centrali viene fornita dalla teoria
della tensione e della privazione relativa. In Italia, ad esempio, si è constatato che gli immigrati,
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regolari e irregolari, violano più spesso le leggi nel nord che nel sud. Questo avviene perché al nord
è più facile trovare una occupazione stabile e continuo con retribuzione discreta, mentre al sud
hanno maggiore possibilità di inserimento in campo lavorativo. Nel mezzogiorno il lavoro non
regolato è più esteso e ci sono maggiori possibilità di trovare occupazione anche senza permesso di
soggiorno. Di conseguenza gli immigrati irregolari hanno più possibilità di sopravvivere senza
ricorrere ad attività illecite. Anche gli immigrati regolari si integrano meglio al sud per via della
maggiore omogeneità culturale esistente con il loro paese .
Questa teoria ci permette di affrontare la questione relativa alla disuguaglianza tra gli immigrati di
prima e seconda generazione. I primi intraprendevano il viaggio con lo scopo di ritornare nel paese
d’origine dove avevano lasciato le loro famiglie. Molti di loro erano “duri lavoratori, pronti a
differire le gratificazioni per avanzamenti a lungo termine, che tendevano a essere conformisti e a
comportarsi bene”.
Diversa è la situazione degli immigrati di seconda generazione. Questi hanno come gruppo di
riferimento gli autoctoni o altri immigrati di seconda generazione provenienti da altri paesi. Il loro
livello di aspirazione è più elevato e, non potendo tornare nel paese dei genitori, essi desiderano
raggiungere la meta del successo economico nella società in cui sono nati, ma spesso si accorgono
che per loro è più difficile e per questo cercano di arrivarvi per altre vie e si dedicano ad attività
illecite.
Un altro fattore che potrebbe spiegare il motivo per cui si ha una maggiore criminalità da parte di
immigrati di seconda generazione rispetto alla prima è dovuto alla trasmissione degli svantaggi da
una generazione all’altra. I lavori che svolgono i figli sono identici o peggiori ai lavori dei genitori.
Vi è quindi un peggioramento della loro situazione sociale ed economica.
Oltre al modello di immigrazione precedente è cresciuto il numero di coloro che migrano per
raggiungere la meta del successo ponendosi come gruppo di riferimento gli abitanti del paese di
arrivo. Quando perö si accorgono non riuscire a realizzare il loro obiettivo scelgono di percorrere la
strada dell’illegalità. Questa problematica fu affrontata anche dal sociologo americano Merton.
Aristotele in un passo della Retorica ha sostenuto che per invidiare qualcuno, per essere suoi rivali,
bisogna avere almeno qualcosa in comune con lui:
“Gli uomini invidiano cioè le persone che sono vicine nel tempo, nello spazio, per età, per
reputazione, per cui è stato detto: anche la parentela sa inviare”.
Bibliografia utile:
Marzio Barbagli, “Immigrazione e sicurezza in Italia”, ed. Il Mulino, 2008
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