Beppe Severgnini ALTRI INTERISMI Un nuovo viaggio nel favoloso

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Beppe Severgnini ALTRI INTERISMI Un nuovo viaggio nel favoloso
Beppe Severgnini
ALTRI INTERISMI
Un nuovo viaggio nel favoloso labirinto neroazzurro
Rizzoli Proprietà letteraria riservata ® 2003 RCS Libri S.p.A,
Milano ISBN 88-17-10736-0
prima edizione: agosto 2003
L'autore
Beppe Severgnini scrive per il "Corriere della Sera", dove tiene la rubrica "Italians",
ed è stato corrispondente in Italia per "The Economist" dal 1996 al 2003.
I suoi libri, pubblicati da Rizzoli, sono best seller: Inglesi (1990), L'inglese. Lezioni
semiserie (1992), Italiani con valigia (1993), Un italiano in America (1995), Italiani
si diventa (1998), Manuale dell'imperfetto viaggiatore (2000), Manuale dell'uomo
domestico (2002). Sempre nel 2002, ha scritto la prima dichiarazione d'amore alla
squadra del cuore: Interismi.
Il piacere di essere neroazzurri (arrivata alla sedicesima edizione).
Le traduzioni di Inglesi e Un italiano in America sono entrate nella classifica dei libri
più venduti in Gran Breta-gna (Hodder&Stoughton 1991) e negli Stati Uniti
(Broadway Books/Doubleday 2002, col titolo Ciao, America)
www. corriere.it/severgnini
www.beppesevergnini.com
Ancora per Antonio, che non ha intenzione di mollare
-Non te la prendere: la fortuna è dietro l'angolo.
- Sì, ma ci sta da parecchio. Vorrei sapere quale angolo, e quando lo volterà.
(WILLIAM POWELL e PAT FLAHERTY, L'impareggiabile Godfrey)
Caro Massimo Moratti, l'anno scorso, dopo aver regalato lo scudetto alla Juventus,
ogni interista di buon senso - può sembrare incredibile, ma ce ne sono - ha pensato:
cosa può esserci di più doloroso? Ora lo sappiamo: consegnare un altro scudetto alla
Juve e la Champions League al Milan, dopo essere usciti in semifinale senza perdere.
Solo un regista sadico poteva inventare qualcosa del genere. Eppure, ci è toccato.
Cosa dice, Presidente: dobbiamo abbatterci? Io dico di no.
Ora comincia un'altra stagione: e non può sempre grandinare. Di una cosa, oltretutto,
possiamo star sicuri.
Non sarà una stagione noiosa, come non lo è stata quella appena conclusa. Questo,
infatti, dobbiamo ammetterlo.
L'Inter sa essere crudele, ma non fa mai mancare le emozioni (Vieri ce l'abbiamo solo
noi; per prevedere Recoba occorre un cartomante; e Cuper, prima d'essere un
allenatore, è un enigma avvolto in un mistero).
Non si preoccupi, caro Moratti: ormai l'abbiamo capito.
Scegliere l'Inter è come entrare in un labirinto. Un favoloso dedalo neroazzurro,
pieno di sorprese a ogni svolta. Al centro c'è l'obiettivo, il premio, la gioia che
attendiamo. Il problema è: come arrivarci?
Non m'illudo, con Altri interismi, di suggerire la risposta. Il tifoso con le soluzioni in
tasca è una delle figure più patetiche del calcio (non l'unica, per la verità). Anzi, le
confesso: non pensavo nemmeno di pubblicarlo, questo libro. Pensavo di aprire e
chiudere con Interismi, pubblicato nell'estate 2002 per consolarmi e provare a
consolare (sedici edizioni, che avrei scambiato volentieri col quattordicesimo
scudetto). Quelle cento pagine erano un modo per dimostrare che noi interisti siamo
speciali; e riusciamo a sorridere quando altri saprebbero solo deprimersi.
Sa perché ho deciso di proseguire nel racconto? Perché credo che la stagione appena
conclusa vada ricordata: se non altro, per non ripeterne gli errori. E penso che alcune
cose vadano dette, in vista della stagione che comincia. Anzi: alcune le voglio dire
subito, senza pretesa di diventare il portavoce dei tifosi - che hanno la loro voce, più
forte della mia.
Prima considerazione: l'Inter deve schierare giocatori forti che siano uomini
intelligenti. Non è più tempo di geni inaffidabili: anche perché Morfeo, con tutto il
rispetto, non è Maradona. L'impressione - non solo mia - è che occorrano ragazzi in
grado di tener su la squadra, in campo e fuori dal campo. Non sappiamo cosa farcene
di gente che si squaglia come un ghiacciolo alla prima difficoltà. Abbiamo visto
partite, quest'anno, in cui la squadra è sembrata franare psicologicamente (Juve-Inter,
Barcellona-Inter, Inter-Roma: ma ce ne sono altre). E` questo che ci spaventa.
Vincere si deve, dice lei. Perdere si può, diciamo noi. Ma c'è modo e modo.
Pensi ai giocatori più amati, Presidente, quelli cui nessuno vuole rinunciare. Il
capitano Zanetti, Toldo e Cordoba, Emre e Vieri, Cristiano Zanetti e Di Biagio, il cui
problema non è in testa ma nelle gambe (a fine stagione, rispetto a lui, Gattuso
sembrava Bambi; com'è possibile, Alfano?). Questi ce la mettono tutta, e si vede.
Quando sbagliano, li perdoniamo.
Ma poiché sanno che li perdoneremmo, sono tranquilli, e sbagliano poco.
Lo stesso vale per Hector Cuper. Alcune delle sue decisioni, francamente, non si
capiscono (nessuno mi leva dalla testa che, se contro il Milan avesse giocato Oba Oba
Martins invece di Ameba Ameba Recoba, saremmo andati a Manchester). Ma è un
bene che Fratello Ettore sia rimasto per il terzo anno. L'uomo ha carisma, carattere,
capelli interessanti e una dolente serietà. Diamogli gli esterni che chiede, e vediamo
cosa succede.
Aver creato questo gruppo è un successo, caro Moratti.
Non dia retta a quelli che la chiamano perdente (sono gli stessi che le
scodinzoleranno davanti, appena l'Inter rivince qualcosa). Ricordi invece che, ogni
anno, i perdenti sono dozzine: ma non tutti arrivano tra i primi quattro in Europa.
Ora vada avanti, senza sbandare. Perché se butta all'aria tutto, si ricomincia da capo.
L'Inter è una bambina fin troppo intelligente. Ha bisogno solo di regole e di serenità,
e le cose non sono incompatibili.
E` triste guardare giocatori che perdono il controllo e scalciano come puledri sull'orlo
di una crisi di nervi. E` intollerabile vedere campioni che, quando vengono sostituiti,
escono dal campo insultando l'allenatore. Crespo è un ragazzo simpatico e un ottimo
giocatore: se siamo andati avanti in Champions League è soprattutto merito suo. Ma
se Trezeguet avesse detto a Lippi quel che lui ha detto a Cuper di fronte a mezzo
mondo, si ritrovava in un autosalone a vendere le Stilo.
Io non so - come dicono molti - se lei debba essere più severo. Ci conosciamo poco, e
posso solo dire che, dietro quelle occhiaie da poeta simbolista, lei mi sembra una
persona perbene: che è più di quanto si possa dire di alcuni suoi colleghi. Per questo
noi interisti la stimiamo.
Abbiamo l'impressione che lei sia uno splendido papa, per l'Inter. Ma, come in molte
famiglie, una baby-sitter di polso forse le farebbe comodo.
Di tutto questo ragioneremo, nel libro. Per il resto, parleremo di calcio. Che era, e
resta, una cosa meravigliosa.
Questo è quanto, caro Moratti. Buona lettura. E comunque vada, grazie.
Beppe Severgnini
P. S. Mio figlio ha guardato insieme a me la finale di Champions League in TV, ma
non intende cambiare la maglia di Emre con quella di Pirlo. Vede, Presidente? I
bambini non mollano mai. Perché dovremmo farlo noi?
1
INTERregno
Un'estate neroazzurra
"II cuore è davvero un muscoletto molto elastico."
(WOODY ALLEN, Hannah e le sue sorelle)
Roba da matti. Devo augurarmi che Del Piero segni, che Buffon pari e Zambrotta
metta in mezzo cross decenti. Non ho scritto "posso", non ho scritto "voglio". Ho
scritto: devo. Questo interista convalescente, alla vigilia dei mondiali di Giappone e
Corea, deve dimenticare quel che è successo in campionato il 5 maggio 2002 [LazioInter, disputata il 5.5.2002. Risultato finale 4-2 (12' Vieri, 19 Poborsky, 24' Di
Biagio, 45' Poborsky, 55' Simeone, 73'S. Inzaghi).]. In sostanza: scordare il nero, e
concentrarsi sull'azzurro. E dura, per un neroazzurro.
Qualcuno dirà: ma è sempre stato così! I Mondiali sono il momento in cui le passioni
(e le antipatie) di club tacciono, e tutti sostengono la nazionale. Facile a dirsi:
quest'anno le passioni sono state roventi. Non siamo solo noi interisti, ad essere
rimasti ustionati. Penso ai laziali, i quali devono augurarsi che Montella e Totti
ripetano in Giappone quanto hanno combinato nel derby. Penso ai romanisti che
devono tifare Nesta. Penso ai milanisti che si preoccupano amorevolmente della
coscia di Bobo, e agli interisti che, per ricambiare, si interessano al ginocchio di
Pippo.
Vedete? Sono ritornato all'Inter. Perché siamo noi i più vulnerabili, in questo
momento. Dal fischio finale dell'Olimpico al fischio d'inizio a Sapporo saranno
passate 692 ore: poche, visto quel che è successo. Siamo in una fase post-traumatica
nella quale abbiamo bisogno soprattutto di buone parole. Riusciremo a tifare contro
Javi Zanetti?
Sapremo ignorare la ricomparsa di Trezeguet? Oppure il nostro masochismo
diventerà planetario, e ci augureremo che Del Piero si mangi due gol, come nella
finale con la Francia agli Europei del 2000?
Non accadrà. Almeno, non a me. So che riuscirò a passare dall'attuale fase catatonica
a un tiepido interesse, per arrivare al solito entusiasmo infantile. Ce l'ho fatta perfino
durante i mondiali d'Argentina (1978), dove l'Italia secondo me -ha giocato il suo
miglior calcio di sempre. Mi sono accorto con orrore di tifare per gli juventini.
Sbucavano dappertutto. La maglia azzurra era una copertura: sapevo che erano loro.
Non vedo perché non debba riuscirci questa volta, a tifare gli azzurri. Basteranno tre
amici su un divano, birra e patatine, bandiera a portata di mano, le solite domande
inopportune dall'altra stanza (quanto stanno? chi ha segnato? qual è l'Italia?).
Lentamente comincerò a pensare che quei ragazzi sognano e imprecano nella mia
lingua, che somigliano alla gente per strada, e le reputazioni delle nazioni si
costruiscono anche così, dando calci a un pallone su un prato dall'altra parte del
mondo.
Non ho dubbi, tiferò Italia. Ma la nazionale è un avventura. L'Inter, un matrimonio.
(Giugno 2002)
L'Inter è la mia squadra. Sì, sono uno di quelli: un malinconico, un testardo, un esteta,
un poeta, un pazzo scatenato che tiene a una squadra i cui attaccanti segnano
QUATTORDICI gol ai Mondiali (Ronaldo 8, Vieri 4, Recoba 1, Emre 1), ma riesce a
perdere lo scudetto contro una squadra i cui uomini segnano un gol (Del Piero), per di
più non strettamente necessario.
Non era facile, ammettetelo: però noi ci siamo riusciti.
Perché voglio parlarvi di Inter? Perché il 5 maggio siamo caduti rovinosamente (altro
che Napoleone: nessuno esce di scena come noi), eppure abbiamo fatto notizia per
tutta l'estate. Dei Mondiali, s'è detto. Ma potremmo aggiungere che gli azzurri, matti
masochisti e danneggiati, avevano qualcosa di neroazzurro, in Giapporea. E il
calciomercato, cos'è stato? Nesta e Cannavaro! Vengono all'Inter o non ci vengono?
Le notizie sportive del mese di luglio?
Ronaldo, Recoba e Vieri che si autoriducono lo stipendio; e quest'ultimo che critica
Trapattoni. La pettinatura più pazzesca? Ronaldo. La fidanzata in carriera?
Quella di Vieri, che esordirà in TV a "Controcampo" (forza Elisabetta, non farti
intimidire: ricorda che sei sarda).
Potrei andare avanti, ma ci siamo capiti.
L'interismo è dilagante. "We are thè news!", come dicono in Bocconi e nelle radio
private. Non so se vinceremo questo benedetto scudetto, ma di sicuro potremmo
schierare tre attacchi, e sarebbero tra i più forti della serie A. Tutti i titolari dell'Inter
sono titolari nelle rispettive nazionali (con l'eccezione di Toldo, che dovrebbe
esserlo). Di sicuro abbiamo il presidente filosoficamente più interessante del
campionato e l'allenatore più misterioso dei Due Mondi (solo Zeman sapeva produrre
silenzi altrettanto loquaci). Vedrete se, lasciato il calcio, il grande Hector non
diventerà un monaco, un immobiliarista o un attore di film polizieschi.
Non so come andrà questo nostro campionato, ma mi sento di escludere che sarà un
campionato normale: non ne ho ancora visto uno, da quando seguo l'Inter
(1963/1964: Coppa dei Campioni, scudetto scippato dal Bologna [II campionato
1963/1964 si concluse con Inter e Bologna prime a pari punti (54), dopo feroci
polemiche legate ai controlli antidoping, che prima portarono alla penalizzazione del
Bologna, poi al ribaltamento del verdetto. Fu necessario giocare lo spareggio che si
disputò il 7.6.1964 all'Olimpico di Roma. Vinse il Bologna per 2 a 0 (Facchetti [aut.],
Nielsen).]). Sono sicuro che faremo una serie di cose stupende, alcune cose
abominevoli, altre incomprensibili e daremo ampio motivo di discussione a fidanzate
juventine, amici milanisti e taxisti romanisti.
E` un problema? Certo che no. Il calcio è bello perché è una versione teletrasmessa
della commedia umana, con i commenti sui giornali il giorno prima e il giorno dopo.
Nessuno si annoierà tifando per (o contro) l'Inter. Non saremo il sale della terra, ma
siamo il pepe del campionato.
Chi saranno i nostri rivali? Vedo bene il Milan, per cui non ho mai nascosto la mia
simpatia milanese: i rossoneri, con Pantera Seedorf, possono puntare a un dignitoso
quarto posto. Il Chievo? Ha già dato, e poi quest'anno non potrà più fare i dispetti al
Verona Hellas.
La Lazio, non saprei. E` la squadra più stramba in circolazione: potrebbe ammutinarsi
nello spogliatoio oppure trasformare Mancini in una divinità, portando incenso e
mirra alla panchina (oro, no. La società lo requisirebbe per il bilancio). La Roma?
Con Cafu e Capello farà altre buone cose; ma qualcuno trovi l'antidoto al narcotico
che i coreani hanno dato a Totti. Il Parma? Mi butto: un'altra Coppa Italia con venti
gol di Addano e quattro autogol di Gresko (grazie, fratelli di pianura, di esservelo
pigliato). Il Perugia? Interessante. Gaucci potrebbe decidere di scendere in campo
come ala destra. E, se il pubblico non lo applaude, venderà la squadra ai trafficanti di
schiavi.
Resta la Juventus, che non è la squadra ma l'Avversario, con la A maiuscola (come
Ambizione, Alea e Aiutini). L'ho già messo per iscritto dentro Interismi, e lo ripeto:
sono contento che la Juve esista. Il suo oscuro fascino istituzionale mi attira. Vorrei
batterla, ma so che potrebbe non accadere. La Juventus è l'orco della fiabe, guai se
non ci fosse. Auguro a Luciano Moggi di passare una buona estate. E alleni il ghigno
di sbieco: lo adoro.
(Agosto 2002)
INTEROSOFIA
Sa perché ho letto Interismi? Perché tra poco si ricomincia, e bisogna prepararsi.
Perché dopo quello che hanno fatto Bobo, il Chino e il Fenomeno ai Mondiali mi
sento ancora più neroazzurra. Perché vivo in una casa di juventini e mio fratello ha
acquistato il libro di Del Piero e volevo fargli vedere che un libro l'abbiamo anche
noi. Perché la stessa mattina che l'ho acquistato ho rinnovato l'abbonamento a San Siro. Perché ero sicura che dopo averlo letto non mi sarei sentita più così perdente.
Perché ero curiosa di sapere cosa aveva provato lei quel 5 maggio. Perché quando
tornerò sulla mia poltroncina allo stadio, i miei vicini l'avranno letto sicuramente, e io
non posso essere da meno.
Perché è uno di quei libri che il tempo per leggerlo lo trovi. Perché ora che l'ho letto
affronterò meglio il campionato, sapendo che c'è gente che ama questa squadra come
me.
Silvia Saltarelli, Senigallia (Ancona)
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INTERruzioni
Ronaldeide
"Forse è sbagliato persino ricordarsi delle promesse."
(MARILYN MONROE, Gli spostati)
Quando abbiamo visto il perizoma di capelli in testa, abbiamo capito. O meglio:
abbiamo sospettato. Il tifoso interista, come certi animali della savana, sente i guai
venire da lontano. Perfino dal Giappone. Abbiamo antenne allenate, e siamo abituati
a tutto. Fenomeni che diventano brocchi (parecchi). Brocchi che diventano fenomeni
(qualcuno). Un Fenomeno Fedifrago ci mancava. Ora è arrivato.
Sia chiaro: siamo delusi. Ma non siamo stupiti.
Innanzitutto, noi amiamo l'Inter che, come ogni squadra di calcio, è un'idea platonica:
chi smette di indossare quei colori viene rimosso, presto o tardi. Con Ronaldo - se
davvero se ne va, se non dovremo tenercelo - accadrà presto. Ronie infatti è un
cartone animato, e dei cartoni animati ha il fascino e i limiti. E` veloce, brillante,
divertente e imprevedibile; ma è moralmente poco impegnativo.
Se uno scherzo del genere ce lo combinasse capitan Zanetti, invaderemmo
l'Argentina (che si farebbe invadere: in assenza di investitori, benvenuti gli interisti).
Con Ronaldo è diverso. L'uomo - scusate: il ragazzo - ha stile in campo; ma appena
esce sembra portato all'autogol.
Ignorare completamente l'Inter durante i mondiali in Giappone e Corea è stata una
scortesia (come se l'avessero curato le chiacchiere del mondo, e non i medici della
squadra). Annunciare l'addio scrivendo sul sito internet che lui ama Zidane (un ex
juventino!) è più di un errore: è un affronto, come pulirsi la bocca con la cravatta del
vicino. Farsi precedere a Milano dal provocatorio procuratore (Alexandre Martins) è
come mandare in avanscoperta una simpatica iena, per restare ai cartoni animati.
Simba, il re leone, non l'avrebbe fatto.
Eppure, ripeto: in qualche modo, ce l'aspettavamo. E, diciamolo, un po' ce la siamo
voluta. Il tifoso interista è uno scettico per vocazione. Un amante cauto, perché sa che
quando apre le porte del cuore qualcuno le richiude di colpo, e lui ci lascia dentro le
dita. Con Ronaldo ci eravamo fatti intenerire. Ci avevano commosso le cadute, ci
avevano ispirato le resurrezioni. Le lacrime dell'Olimpico sembravano le nostre
(Ronie aveva un vantaggio: poteva farsi vedere dal figlio).
Il capriccio tentavamo di non vederlo. Il commento acido fingevamo di non sentirlo.
"Ronie e Vieri insieme! Faremo tre gol a tutti, solo nel primo tempo." Eravamo
entusiasti e ottimisti. E l'ottimismo è il meno interista dei sentimenti.
Queste pianificazioni bisogna lasciarle agli juventini. Loro sono i geometri del
proprio futuro, non sbagliano un calcolo. Noi siamo futuristi alle prese con la
geometria: produciamo sempre combinazioni interessanti, ma i capolavori sono
preterintenzionali.
L'Inter vincerà - perché vincerà - con un gol di un terzino a cinque minuti dalla fine
(magari Coco Bill), seguito da un autogol da infarto e da un capolavoro durante il
recupero da parte del giocatore più imprevedibile, il quale poi tenterà per anni di
rifare la stessa cosa, non ci riuscirà, ma noi gli vorremo bene comunque.
L'Inter non è una squadra. E` un happening. Da noi i tedeschi si librano leggeri come
brasiliani (Klinsmann, Valchiria Rummenigge). Era prevedibile che un brasiliano si
comportasse da tedesco, e cominciasse a fare i conticini. Vada pure al Real Madrid, il
Fenomeno. Altro che "ritrovare la felicità e le migliori condizioni per giocare a
calcio", caro Ronaldo. Altro che dire "O me o Cuper!". Tu - scusa la confidenza: ma
come si può del lei a Roger Rabbit? - ti sei semplicemente stancato di questo campogiochi, e vuoi fare mostrare i tuoi trucchi a nuovi compagni. Noi siamo i bambini che
restano indietro, e ti guardano andar via. Ci mancherai, ma non te lo diremo. In fondo
ne abbiamo passate tante, e abbiamo bellissimi colori sulle magliette.
Chissà che quelli non manchino un po' anche a te.
P. S. A proposito. Mio figlio vorrebbe restituire maglia n. 9, taglia small, firmata.
Prego il cartone animato di comunicare nuovo indirizzo. Seguirà spedizione (certo, a
nostre spese. Non si preoccupi, procuratore Martins).
(Agosto 2002)
Oggi, 1‘ settembre, è la festa della liberazione. Le telenovele sono anche divertenti:
ma sia benvenuta l'ultima puntata.
Ronaldo parte? Benissimo. Gli paghiamo noi il biglietto, purché vada. Voli in
Spagna, a dire ai madrilisti che li adora, che Madrid è la sua vera casa: fino alla
prossima buona offerta, naturalmente. Milano, in fondo, è una città di signori: una
cosa che lui, Roger-Ronie-Rabbit, forse non ha mai capito. E noi interisti siamo
inguaribili poeti, ma non siamo scemi. Se non ci ama, peggio per lui.
Bisogna riderci su, fratelli neroazzurri. Con le interviste e le dichiarazioni di Ronaldo
in questi anni, fossi Enrico Bertolino o Aldo Giovanni e Giacomo, metterei in piedi
uno spettacolo teatrale. Ho già un titolo: Le avventure del Coniglio Mannaro. Quanti
buoni sentimenti, quante mani sul cuore, quanti occhioni bovini - strano, per un
coniglietto - in quelle dichiarazioni. Il bello è che noi l'abbiamo bevuta.
Ben ci sta: così impariamo. Il calcio è la poesia di due colori e la fantasia di una città.
Il resto, non conta.
Non se la prenda, caro Moratti. Una cosa però vorremmo saperla, prima o poi: perché
Ronaldo si è comportato in quel modo? Lei, sicuramente, è più informato di noi. Le
possibilità non sono infinite. Vediamone alcune. a) IPOTESI DEL SUPERUOMO
Ronaldo ai Mondiali s'è montato la testa. Tornato in Brasile l'hanno convinto d'essere
un semidio, e un semidio brasiliano non può stare agli ordini di un argentino con la
faccia da sbirro a fine turno. Questa ipotesi sarebbe piaciuta, ovviamente, a Nietzsche
(no, Ronie: Nietzsche non è un ex-centrocampista del Borussia). b) IPOTESI DEL
BIMBO VIZIATO II piccolo da Lima, tondo e paffutello, s'è stufato del giocattolo
(Inter), del campetto-giochi (Milano) e del papa (Moratti). E` arrabbiato con la
maestra d'asilo (Cuper) e frigna perché vuole andar via.
"Con voi non gioco più!" grida, stringendo i pugnetti. Questa è l'ipotesi che - come ho
scritto - trovo più convincente. e) IPOTESI CHERCHEZ LA FEMME Mia moglie,
che non ha seguito la vicenda, sostiene questo: quando gli uomini fanno cose strane,
cominciano a straparlare e poi si danno alla fuga, c'è sempre di mezzo una donna. d)
IPOTESI TRANSILVANA Due procuratori-dracula hanno irretito il povero ragazzo,
che obbedisce loro come uno zombie. Devo dire che quest'ipotesi non mi sembra
convincente.
Ronie, infatti, non presenta segni sul collo. e) IPOTESI DEL MICHELACCIO (no,
Ronie: non è il soprannome dell'avvocato Agnelli per Platini.
Glielo spieghi, Facchetti: Michelaccio, in Lombardia, è uno che non ha voglia di far
niente). Ronaldo ha capito che a Milano, per vincere, avrebbe dovuto faticare, mentre
a Madrid ci sono Figo, Zidane e Raul che possono faticare per lui. f) IPOTESI
FATALISTA Era destino, dice qualcuno. Era un ragazzo così caro, dice Moratti.
Speriamo che me lo paghino.
{Settembre 2002)
INTEROSOFIA
So che lei non vuole più Ronaldo.
Capisco il tifoso che si sente tradito.
Capisco che la volontà di Ronaldo di lasciare l'Inter è stata gestita in modo tale che il
99% degli interisti gli si è rivoltato contro. Quello che non capisco è perché lei sia
schierato così a senso unico. E` vero: lui ha manifestato la volontà di andarsene.
Questo può accadere anche nella vita: tra moglie e marito, con i figli, nel lavoro. C'è
sempre qualcuno che se ne vuole andare. Ma se è una persona cara, o importante,
facciamo di tutto per trattenerlo. Non è così?
Torniamo a Ronaldo. Cos'ha fatto, l'Inter? Perché non l'ha fatto allenare con la
squadra? Perché Cuper non ha mai detto parole positive su di lui? Perché Davids
voleva andar via dalla Juve, ma continua a giocarci? Mi fermo qui.
Mi auguro che un campione come Ronaldo giochi sempre nella nostra squadra.
Gianfranco Dentella, Milano
Io, no. Appena si è rimesso in salute, ci ha piantato in asso. Se il Coniglio Mannaro
davvero vuoi tornare (ne dubito), chieda pubblicamente scusa. Poi se ne riparla.
Questo non toglie che Ronaldo sia un fuoriclasse. Rilegga, caro Gianfranco, quello
che ho scritto su di lui: ne ho mai dubitato? Ma un grande calciatore, purtroppo, può
essere un piccolo uomo.
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INTERventi
Collezione autunno-inverno
"Ma questa volta ci faranno vincere?"
(SYLVESTER STALLONE, Rambo 2- La Vendetta)
Siamo sinceri: nessuno ci credeva. Se ne parlava, certo. Ma se ne dicono di cose, in
questo Paese. In verità eravamo pronti, dopo la cocente delusione mondiale, a
coltivare nuove, tiepide illusioni domestiche.
In Italia si possono fermare molte cose - altre non partono nemmeno - ma il
campionato di calcio, no: quello è sacro. Rimandarlo è come rimandare Natale.
Protesterebbero tutti, dai bambini alle renne, passando per la Conf-commercio.
Il ragionamento che facevamo (senza accorgercene: l'analisi italiana è sempre
intuizione travestita) era più o meno questo. Il mondo s'accapiglierà a Johannesburg
sull'ambiente, litigherà nell'anniversario dell'11 settembre, sfiorerà la rissa per i baffi
di Saddam. In Italia avremo un autunno caldo politicamente, sindacalmente,
economicamente. Il panem sarà sempre più duro e più caro, insomma.
Contavamo sui circenses del calcio, che nel corso dell'estate erano sembrati in gran
forma.
Invece non intendevano divertirci, ma commuoverci. Come spesso accade nel circo,
quella che mostravano era malinconia. Il calcio-baratto, al posto del calcio-mercato,
era un modo di dirci: ehi, sono finiti i soldi.
La Catastrofe Viola non era un numero di acrobazie senza rete, come lasciavano
pensare le occhiaie (e i bilanci) di Cecchi Gori: era un disastro vero per una città vera.
Ma noi, i calcio-dipendenti, niente. Pensavamo che tutto facesse parte del Barnum, e
stavamo sugli spalti coi popcorn, aspettando l'inizio dello spettacolo.
E invece lo spettacolo non c'è: rimandato di almeno quindici giorni. Solo la seconda
guerra mondiale aveva interrotto il campionato; da allora, i rinvii erano stati
concordati (causa Olimpiadi), oppure simbolici: mezz'ora di ritardo per solidarietà
verso i senza-contratto, una giornata per la morte di un tifoso, un'altra per uno
sciopero dei calciatori. Oggi siamo su un terreno nuovo.
Per trovare qualcosa di paragonabile dobbiamo cambiare sport e continente. A metà
degli anni '90 si fermò il baseball in America, per un'intera stagione, World Series
comprese. I motivi erano simili (soldi); la sacralità dello sport nazionale, identica.
Vivevo a Washington, allora. Ricordo il dramma, le parole grosse, il disorientamento.
Poi, accadde qualcosa: la gente cominciò a seguire altri sport. C'era chi si godeva la
vittoria dei 49ers nel Superbowl di football, chi s'appassionava all'hockey. Qualcuno
passava armi e bagagli allo strepitoso basket della NBA. Superata la crisi d'astinenza,
gli americani scoprivano di poter vivere senza baseball. Oggi sono tornati a seguirlo,
naturalmente. Ma sanno di poterne fare a meno.
Dunque Achtung!, come diceva Oliver Kahn prima delle punizioni di Roberto Carlos.
Le abitudini, anche quelle più radicate, possono cambiare. Non lasciateci senza calcio
troppo a lungo, dunque. Potremmo perfino sopravvivere.
(Settembre 2002)
Giocheremo mai una partita, dico UNA partita, normale? Questo si domandano i
tifosi interisti, già sull'orlo di una crisi di nervi dopo cinque giornate di campionato e
un paio di incontri Champions League. Le altre squadre non sono così. Il Milan
all'inizio giocava male, ora gioca bene. La Roma cade e risorge. La Juventus gioca da
Juventus. E comunque vince (Dinamo Kiev [Juventus-Dinamo Kiev, disputata il
24.9.2002. Risultato finale 5-0 (13' Di Vaio, 22' Del Piero, 50' Di Vaio, 66' Davids,
81' Nedved).]), perde (Newcastle [NewcastleJuventus, disputata il 23.10. 2002.
Risultato finale 1-0
(62' Griffin).]), qualche volta pareggia.
L'Inter, no. Alterna prestazioni eccellenti (Chievo [Inter-Chievo, disputata il
29.9.2002. Risultato finale 21 (2' Marazzina, 15' Vieri, 78' Vieri).]) a esibizioni
imbarazzanti (andata col Lione [Inter-Lione, disputata il 2.10.2002. Risultato finale
1-2 (20' Govou, 59' Anderson, 72' Cannavaro).]). Non solo: ogni nostra partita è un
campionato a sé, una combinazione di alcune cose ottime e un paio di boiate
pazzesche. Perfino i pareggi riusciamo a trasformare in romanzi epici. Pensate alla
trasferta di Rosenborg (due a due al cardiopalma [Rosenborg-Inter, disputata il
17.8.2002. Risultato finale 2-2 (33'Crespo, 52'Karades, 65' Karades, 79'Crespo).]),
alla Juve (uno a uno, meta da infarto all'ultimo secondo [Inter-Juventus, disputata il
19.10.
2002. Risultato finale 1-1 (88' Del Piero [rig.], 95' Vieri).]), al Lione (tre a tre,
coronarie in pericolo [LioneInter, disputata il 22.10.2002. Risultato finale 3-3 (21'
Anderson, 31' Canapa [aut.], 44' Carrière, 56' Crespo, 66' Crespo, 75' Anderson). ]).
Abbiamo perfino una forma perversa di umorismo. L'opuscolo neroazzurro per
l'abbonamento agli incontri di coppa diceva: "3 Partitone a 0 Stress". Be', s'è visto.
Il problema, qual è? Che abbiamo appena iniziato. Se andiamo avanti così, davanti a
San Siro distribuiranno i calmanti, negli Inter Club faranno yoga, ci porteremo tutti la
camomilla davanti al televisore. E non basterà. Perché l'Inter riuscirà a inventarne
sempre una nuova: nessuno riesce a complicarsi la vita come noi. Recuperiamo
partite perse e buttiamo partite vinte.
Colpiamo pali drammatici e prendiamo gol ridicoli ("Difesa a presepe" avrebbe detto
Beppe Viola). Siamo lo Sturm und Drang del calcio, i poeti dello stress. Il nostro
motto è riassunto nel titolo di una canzone di Rod Stewart: Never a DullMoment, mai
un momento noioso. E se una partita, per caso, si avvia sui binari della normalità, ci
pensa Cuper a inventare qualcosa per tenerci svegli.
Devo premettere che il personaggio mi piace come uomo e non mi dispiace come
allenatore. Ma non capisco perché debba trasformare ogni incontro in un thriller (se
l'Inter fosse un'automobile, e Cuper la guidasse, anche la manovra di parcheggio
diventerebbe un rally). Prendiamo la serata di Lione. Perdevamo, giocando male. Poi
ci siamo messi a giocar bene, e siamo andati in vantaggio. A quel punto il grande
Hector Raul deve aver pensato: "Ora nelle case e nei bar d'Italia s'annoieranno.
Come posso movimentare la serata? Vediamo. Conceicao ha imbroccato più passaggi
in una partita che nell'intero campionato scorso? Fuori, e dentro un difensore (Adani),
così risucchio avanti il loro terzino, che magari farà qualche bel cross pericoloso".
Detto fatto. Quello entra e, tutto libero nella nostra area, stoppa e mette in mezzo: tre
a tre. I non interisti diranno: di cosa vi lamentate? Siete in testa al campionato e avete
buone possibilità di passare il turno in Champions League. Questo è il punto! Se
riusciamo a soffrire come bestie in queste condizioni, cosa ci riserva il futuro?
Guardate le nostre facce, dopo le partite. Sembrano quella di Materazzi nei primi
piani: un esorcista a metà della giornata di lavoro, un maratoneta al penultimo
chilometro, Bossi dopo un comizio, un deputato diessino che discute la legge Grami.
Non possiamo andare avanti così. Abbia pietà di noi, Moratti. La strada è lunga, i
nervi sono scossi.
Domenica col Bologna giochiamo una partita normale.
Almeno una volta. Così, giusto per vedere l'effetto che fa.
Come sarebbe contento, oggi, l'avvocato Prisco.
L'Inter vince contro l'Empoli [Inter-Empoli, disputata il 26.1.2003. Risultato finale 30 (70' Vieri, 74' Vieri, 85' Vieti).], con tre gol così così (ero a San Siro dalla parte
giusta: per segnare quella tripletta non era necessario il talento demolitore di Bobone
Vieri. Bastava la sorellina, un'amichetta, Elisabetta, una ragazza nella pubblicità
Alice/Telecom). Il Milan perde di rigore a Udine [UdineseMilan, disputata il
26.1.2003. Risultato finale 1-0 ( 37' pizarro [rig.]). ], dopo una serata piacevolmente
disorganizzata, che promette altri scompensi in futuro. E` vero: la Juve vince col
Piacenza [Juventus-Piacenza, disputata il 26.1.2003. Risultato finale 2-0 (9' Del
Piero, 43' Nedved). ]. Ma non si può avere tutto.
So che non sta bene "tifare contro". Infatti, nelle Coppe, non lo faccio mai. In Champions League riesco a incitare perfino Tadzio Nedved e Rivaldo: è una strana forma
di nazionalismo preterintenzionale, per cui non ho spiegazioni. In campionato è
diverso, per fortuna. Il bambino dispettoso che si nasconde (non tanto bene) in
ognuno di noi può sfogarsi. Oggi, per esempio, s'è scatenato.
Ho visto Udinese-Milan al "Corriere della Sera". Redazione semideserta, serata
fresca, via Moscova tranquilla sotto le finestre, una dozzina di televisori accesi: una
sconfitta dodecafonica, che però i milanisti locali non hanno potuto apprezzare
(hanno un sesto senso straordinario, e sanno quando scomparire). Devo dire che a
Udine ho visto il Milan che immaginavo: tanti talenti impegnati a pestarsi i piedi.
Molti sconsolati cross al centro, dove non c'era un vero centravanti (per forza: li
abbiamo tutti noi. Vieri appena gli danno un metro, Crespo appena si rimette, Addano
appena torna). Stasera mi sono quasi riconciliato con l'Udinese, che il 5 maggio 2002
è riuscita a prendere gol dalla Juve PRIMA del calcio d'inizio. Certo, quei bravi
friulani hanno colori discutibili sulle maglie. Ma oggi hanno fatto il loro dovere.
Oggi, come dicevo, ero a San Siro. Nella luce d'inverno mi sono messo a studiare i
tifosi. Sempre scontenti, siamo. Non ci basta vincere: vogliamo giocare bene. Metà
della tribuna ce l'aveva con Sergio "Pessoa" Conceicao, il poeta che si dribbla da
solo. Metà borbottava contro Fratello Ettore, accusato di essere un Eugenio (Bersellini) in salsa sudamericana: cocciuto, con poco gioco. Metà osservava Recoba, che
oggi ha inaugurato un nuovo sport: il calcio-col-broncio (era scocciato per essere
entrato a metà del secondo tempo, e voleva che tutti se n'accorgessero. Ok, Chino, ce
ne siamo accorti). Voi direte: "Tre metà! Com'è possibile?". Che domande: siamo
l'Inter, o cosa?
Dopo Perugia [Perugia-Inter, disputata il 19.1.2003. Risultato finale 4-1 (10' Ze
Maria [rig.], 34' Vryzas, 55' Fusani, 64' Vryzas, 79' Vieri [rig.]).] (un rigore che non
c'era, un gol di mano), Chievo [ChievoInter, disputata il 15.2.2003. Risultato finale 21 (20' Corini [rig.], 35' Corini [rig.], 68' Vieri).]. Un rigore dubbio, un'espulsione
incomprensibile. Noi ci lamentiamo, ma il motivo non è quello che credono le altre
squadre. Il fatto è che, se proprio dobbiamo perdere, vorremmo perdere alla grande:
un crollo spettacolare, una batosta, un'ecatombe, una Waterloo, una disfatta perché
quel giorno gli avversari giocano meglio di noi.
Non un inciampo, una scivolatina, uno sgambetto, col sospetto che qualcuno ci abbia
messo il piede.
Eccoci accontentati. Un crollo spettacolare, una batosta, un'ecatombe, una Waterloo,
una disfatta perché stasera il Barcellona ha giocato meglio di noi. Sconfitti alla
grande []Barcellona-Inter, disputata il 18.2.2003.
Risultato finale 3-0 (7' Saviola, 28' Cocu, 68' Kluivert). ]
Abbiamo resuscitato il moribondo Barca, che ci ha suonato come tamburelli: 3 a 0 e,
se non era per San Toldo, ce ne davano sei. Certo, qualcuno avrebbe dovuto
informare Dalmat che era iniziata la partita: ma ormai è fatta.
Domanda esistenziale: è meglio essere neroazzurro e vedere l'Inter travolta dal
Barcellona, oppure essere bianconeri e ammirare una Juve decimata battersi bene a
Manchester (1 a 2, ma poteva pareggiare [Manchester United-Juventus, disputata il
19.0.2003. Risultato finale 2-1 ( 3' Brown, 84' van Nistelrooy, 90' Nedved). ])?
Risposta facile: neroazzurri comunque. Però, cavolo: fanno dei corsi, i nostri, per
inventarsi serate così?
Pomeriggio a San Siro con figlio e nipotini. Rituale salsiccia pre-partita, con vista
delle vette di San Siro (come guardare le Dolomiti, con la differenza che dentro il
Sassolungo non gioca Bobo-gol). Aria fredda, sole milanese di febbraio. Dentro,
guardo la curva: il neroazzurro sta bene contro il cielo, non c'è che dire.
Ma come si fa a balbettare calcio per un'ora, e poi fare tre gol in tre minuti?
Semplice, basta essere l'Inter.
Tre gol al Piacenza, che a San Siro ha portato soprattutto un bel completo rosso fuoco
[Inter-Piacenza, disputata il 23.2.2003. Risultato finale 3-1 (64' Batistuta, 65' Vieri,
67' Vieri, 89' Hubner).]. Stesso risultato dell'anno scorso, quando il Coniglio
Mannaro segnò l'ultimo gol in neroazzurro. Anche quella era stata una partita un po'
strana, ma quest'anno ci siamo superati. Primo tempo inguardabile, poi risveglio
improvviso. Primo gol di Batistuta, secondo e terzo gol di Vieri: tutti in 182 secondi.
Talmente veloci che qualcuno s'era girato per abbracciare il vicino, e ne ha persi due.
Al finale di giornata pensa ancora Bobo. E` arrabbiato perché i tifosi dell'Inter hanno
fischiato i propri giocatori. E` assurdo, sostiene; oggi Morfeo e Dalmat ci sono
rimasti male. Che dire? Vieri ha ragione: noi interisti, spesso, esageriamo. Due
attenuanti: a) Se San Siro è la Scala del Calcio, è ine vitabile che le stecche vengano
fischiate. In fondo è un modo - un po' perverso, lo ammetto - dimostrare la propria
passione e la propria competenza. b) II pubblico che fischia è lo stesso che s'è stretto
intorno alla squadra dopo il 5 maggio, facendo segnare anche il nuovo record di
abbonamenti.
Noi interisti siamo strani, su questo non ci piove. Ma non siamo cattivi.
L'ho appena scritto: non tifo mai contro le altre squadre italiane, quando giocano
contro squadre straniere. Ma confesso una debolezza. I gol di Juventus Manchester 03 (15' pt e 41' pt Giggs, 18' st van Nistelrooy) li ho videoregistrati [JuventusManchester United, disputata il 25.2.2003. ]. Il colpo di pancia di Tudor sul palo, con
assist all'avversario: mitico! E
Zambrotta, terzino della nazionale? Ieri, un Gresko in salsa sabauda.
Tre a zero a Torino contro la Juve: imbarazzante [Juventus-Inter, disputata il
2.3.2003. Risultato finale 3-0
(5' Guglielminpietro [aut.], 34' Nedved, 83' Camoranesi).]. Una partita così,
comunque, può capitare.
Anche se a Torino capita un po' troppo spesso. Quando entrano allo stadio Delle Alpi
i ragazzi hanno l'aria di voler chiedere: "Permesso? Disturba se giochiamo e, magari,
cerchiamo di vincere?".
L'interismo è una corsa ad ostacoli, e gli ostacoli sono sempre interessanti. Ho visto
Bologna-Inter a Sanremo, saletta dell'Hotel Londra, in compagnia di due
accompagnatori del cantante napoletano Nino D'Angelo, un procuratore della giovane
Patrizia Laquidara, un impresario non meglio identificato, un ingegnere gestionale,
un cameriere interista con la giacca verde smeraldo. Ho detto, dopo mezz'ora di
partita, in cui l'Inter aveva dato il peggio di sé: "Vinciamo, ci pensa il Chino; ma ci
faranno soffrire come bestie fino alla fine" [Bologna-Inter, disputata P8.3.2003.
Risultato finale 1-2 (9' Recoba, 23' Cruz, 85' Recoba).]. Al fischio di chiusura mi
hanno guardato con occhi nuovi: di canzoni non capisco niente, ma di interismi ormai
me ne intendo.
Per la serie "Bisogna provarle tutte nella vita": Inter-Newcastle davanti al
maxischermo del TennisBowling di Selva Val Gardena, gestito dal maestro di sci Oss
Runggaldier, che sa tutto delle curve supercondotte ma dev'essere istruito sulle cose
della vita neroazzurra. Il Castelnuovo non si comporta male, nonostante l'orrida
maglia bianconera: i giocatori picchiano come fabbri dell'Inghilterra del nord. L'Inter,
rimaneggiata, ce la mette tutta: Obafemi Martins, che potrebbe avere 18 o 81 anni, se
la cava bene. Il mitico Ramiro Cordoba non solo segna un gran gol, ma dimostra che
l'Inter potrebbe giocare con la difesa a tre: se c'è lui, diventano quattro [InterNewcastle, disputata il 11.3.2003.
Risultato finale 2-2 (42' Shearer, 47' Vieri, 49' Shearer, 61' Cordoba).].
Il Tennis-Bowling di Selva Val Gardena, per l'occasione, è pieno di tifosi inglesi che
sostengono rumorosamente il Castelnuovo di Nonno Shearer; gli interisti presenti
sostengono chiassosamente l'Inter di Babbo Bobo. Alla fine (2 a 2) ci
complimentiamo a vicenda: così mi piace. Peccato che quattro ragazzetti di Roma
urlino e s'abbraccino ogni volta che l'Inter prende un gol: così non mi piace. Loro che
c'entrano? La gioia e la disperazione calcistica sono conquiste: bisogna meritarsele.
Poi li guardo: sembrano i cugini di Cassano dopo un'indigestione di cozze, e li
assolvo.
Copertina di "Sportweek" dedicata a Ronaldino, che avrebbe bisogno di un buon
dentista. Pare lo vogliano all'Inter. Io dico: se Ronaldo è stato un caso, Ronaldino
sarà un casino. Alla larga.
Pomeriggio quasi primaverile, Milly Moratti più preoccupata per la guerra in Iraq che
per il Como (come darle torto). Il piccolo grande Cannavaro (squalificato) gira con
cappotto di pelle nera e accetta di fare le foto per i papa, che spingono avanti i
bambini per ricattarlo. Quattro a zero, due gol per tempo. San Siro fatica credere che
questa sia l'Inter: partita ben amministrata, quasi normale [InterComo, disputata il
16.3.2003. Risultato finale 4-0 (13' Batistuta, 24' Di Biagio, 55' Vieri, 15' Vieri).].
Disagio tra i tifosi. Per i neroazzurri, professionisti dell'emergenza, una situazione
insolita. Altre notizie di rilievo: 1. Vieri segna due gol (più un terzo, misteriosamente
annullato). 2.
Recoba è in giornata alla Corso: gioca con l'aria di uno che vorrebbe essere a pescare,
ma resta il poeta del corner (segnano Gigi Di Biagio e il già citato Bobo). 3. Al
Modena viene annullato un gol regolarissimo contro la Juventus a Torino [JuventusModena, disputata il 15.3.2003. Risultato finale 3-0 ( 9' Nedved, 38' Nedved,
85'Trezeguet). ]
(dal segnalinee Foschetti, forse una contrazione di Foschi Sospetti).
Cosa c'è di più interista - quindi, soavemente folle - di avere in squadra Vieri, Crespo,
Recoba, Batistuta, Kallon, Ventola (più Adriano in prestito) e giocarsi i quarti di
Champions League con un ragazzo della primavera come unico attaccante? Cos'è più
neroazzurro - quindi, piacevolmente euforico - di scoprire che il ragazzo in questione
è un fuoriclasse, e se la cava meglio di tanti campioni strapagati (anche nostri,
diciamolo)? Obafemi Martins ha gli occhi di Schillaci su sfondo scuro, e le mosse di
un Owen del sud. Onore al bonzo Bobo, al crepitante Crespo e al cinico Chino, che
oggi tengono su la baracca. Ma fra tre anni con Adriano+Oba vinciamo tutto. Altro
che Miccoli e Bordello.
Comunque, questa è fatta. Abbiamo messo sotto i bianconeri (Newscastle) e i
rossoneri (Bayer Leverkusen) [Bayer Leverkusen-Inter, disputata il 19.3.2003.
Risultato finale 0-2 (36' Martins, 90' Emre).].
Siamo tra le prime otto squadre d'Europa, a soli tre punti dalla Juve in campionato.
Possiamo continuare a sognare, che rimane la nostra specialità.
INTEROSOFIA
Da buon interista, ho i capelli grigi anch'io.
Nanni Manara, Milano
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INTERrogativi
Maledetta primavera
"A questo mondo esiste una regola terribile: che ognuno ha le sue ragioni."
(JEAN RENOIR, La regola del gioco)
Il tonitruante Abatantuono, durante la trasmissione "Controcampo", pur d'infierire
sull'Inter e sul sottoscritto dopo il derby [Inter-Milan, disputata il 12.4.2003.
Risultato finale 0-l (64'Inzaghi).], ha rispolverato una citazione che circola su
Internet: "Non ci sono più certezze, al mondo: il miglior rapper è un bianco, il miglior
golfista è un nero, gli svizzeri vincono l'America's Cup di vela, la Francia accusa gli
USA di arroganza e la Germania non vuol fare la guerra". Aggiungendo: "Abbiamo
un'unica certezza: l'Inter non vince mai niente!". L'arrembaggio è piaciuto ad alcuni
influenti rossoneri annidati nel "Corriere della Sera", che mi chiedono di rispondere
per iscritto.
Cosa dire, davanti a questa duplice dimostrazione di doppiezza milanista? Nulla, se
non rispondere "Obbedisco!", come Garibaldi e Ivan Ramiro Cordoba quando gli
ordinano di giocare terzino destro (ma perché?). I tifosi interisti, del resto, hanno la
scorza dura: un derby buttato di più, un derby gettato di meno, cambia poco.
Trovateci uno storico, un indovino, uno psicanalista, un osteopata in grado di
spiegare perché facciamo certe cose. Ormai siamo il Viagra del Milan.
Arriva l'Inter, e il diavolo bolso si ringalluzzisce. Due anni fa siamo riusciti a
trasformare Comandini in Cruyff.
Serginho ormai gioca due partite a stagione: entrambe contro di noi. Sabato abbiamo
prima tramutato Rui Costa in Zidane, poi Gattuso in Beckham (cross, lanci, per poco
non ci fa anche un gol di testa). Se la partita durava altri dieci minuti, resuscitavamo
anche quel simpatico zombie di Rivaldo.
Non sei contento di questo, caro Diego? Non vi basta, crudeli colleghi corrieristi? No,
evidentemente. Ma forse è meglio così. La peggior cattiveria sarebbe consolarci o
compatirci: finché ci sfottete, andiamo bene. L'idea di Abatantuono che mi stringe al
petto e mormora "Ti capisco! " è sconvolgente: e non soltanto perché non amo
stringermi al petto degli omoni coi baffi.
So già cosa pensano i tifosi neutrali (e quelli della Juventus, che praticano una forma
di neutralità belligerante).
Pensano: "Ma non possono starsene buoni e zitti, gli interisti?
Parlavano di scudetto: e tra Udine, Roma e Milan hanno raccolto un punto".
Effettivamente, potremmo star zitti. Ma sapete com'è. Siamo notoriamente masochisti
(prendete me: andare in TV dopo aver perso un derby in quel modo è come
incamminarsi verso la fucilazione, senza benda). E, soprattutto, ci piace rubare la
scena al Milan. Pensateci: non vinciamo uno scudetto da 14 anni (!), ma tutti parlano
di noi.
Ormai abbiamo la faccia di Cuper dopo l'ottava sigaretta (colore neroazzurro, per
intenderci), eppure la nazione ci osserva rapita, per vedere cos'altro riusciamo a
inventare.
Tuona pure, Abatantuono, ma rassegnati: siamo la squadra più sexy d'Italia. Voi
avete vinto solo un derby.
Gol di uno che si chiama Pippo. Non male, per un'ex squadra di B.
Brescia-Inter 0-1 [Brescia-Inter, disputata il 19.4.2003. Risultato finale 0-1 (93'
Crespo).]. Crespo segna al 93'. Com'è dolce la fortuna immeritata.
Valencia, stadio Mestalla. Per la settima volta nella storia, e dopo ventidue anni
d'assenza, l'Inter arriva alle semifinali di Coppa Campioni/Champions League
[Valencia-Inter, disputata il 22.4.2003. Risultato finale 2-1 (4' Vieri, 7' Aimar, 51'
Baraja).]. Il traguardo era stato raggiunto, in precedenza, nelle edizioni 1963/64,
1964/65, 1965/66, 1966/67, 1971/72 e 1980/81 (gol di Carletto Muraro a Belgrado,
contro la Stella Rossa). Tutto bene?
Neanche per sogno.
Vi prego di notare la perfidia della divinità che controlla i destini interisti. Gol di
Bobo Vieri al 4', pareggio di Aimar al 7'. Solo tre minuti per gustare il trionfo sotto
forma di pace dei sensi (divano, birra, pensieri al possibile avversario di semifinale).
Poi, 101 minuti di sofferenza. Sì, ci metto anche il recupero e l'intervallo: perché
quand'è lasciato solo con le pubblicità e la birra ormai calda, all'interista vengono i
brutti pensieri. San Toldo può continuare così? Perché Di Biagio, invece di
ringraziarlo, lo prende per il collo? Negli spogliatoi qualcuno informerà il Chino che
non sta giocando un'amichevole ma un quarto di finale di Champions League? Perché
devo affidare la mia serenità a Gamarra? Pasquale ha mangiato troppo cioccolato nel
giorno nell'onomastico? Perché non tiene la palla per più di due secondi,
contribuendo all'agghiacciante dato finale del possesso-palla (Valencia 71%, Inter
29%)?
Perché l'Inter deve farci tutto questo, e poi renderci felici come bambini scampati al
temporale?
Cinque giorni dopo, tre nuove domande. Perché, quando Appiah (Brescia) segna l'1-1
al 38' del secondo tempo, a Torino, sappiamo che la Juve vincerà [JuventusBrescia,
disputata il 27.4.2003. Risultato finale 2-1 (9' Del Piero, 83' Appiah, 86' Del Piero).]?
Perché quando Crespo segna l'l-0 al 43' del primo tempo, a Milano, pensiamo che la
Lazio ci raggiungerà [Inter-Lazio, disputata il 27.4.2003. Risultato finale 1-1 (43'
Crespo, 77' S. Inzaghi).]?
E perché abbiamo sempre ragione, in questi casi?
Sento nell'aria una simpatica euforia rossonera, ma va bene così. E giusto che i
cuginastri ci considerino poco più di una formalità. I derby degli ultimi due anni, del
resto, lo dimostrano. L'Inter è Paperino (bizzarro fino all'autolesionismo). Il Milan si
crede Gastone (bello, ricco e fortunato), anche se è Paperoga (rosso, nero e
pasticcione).
L'Inter è strana, però. Capace di colpi di genio seguiti da boiate pazzesche (e quando
sei rassegnato a un'altra boiata, tira fuori un nuovo colpo di genio). Non sto dicendo
che il 7 e 13 maggio partiamo sfavoriti, e perciò andremo in finale. Penso invece che
nessuno - né Moratti né i tifosi, né i giocatori né Cuper (tan-tomeno Cuper) - sappia
cosa accadrà a San Siro. Perché l'Inter è una squadra femmina: Paperina, quindi, più
che Paperino.
E` imprevedibile, intuitiva, apparentemente disorganizzata. Certe sere, il gioco
neroazzurro è come la cucina di casa: sembra un casino, e vien fuori un'ottima cena
(certe sere brucia tutto, e si va in pizzeria).
I rossoneri sono una squadra-maschio perché sono bonaccioni, vagamente
prevedibili, solidi ma raramente brillanti. Spendono per sembrar giovani: poi si
guardano allo specchio e vedono Rivaldo. Il Milan è l'unica squadra al mondo che
annuncia che sarà sorprendente: e, quel che è peggio, mantiene. E` arrivata in
semifinale grazie al piccolo, grande Pippo Inzaghi (lui sì, un interessante ermafrodito
calcistico). Eppure i milanisti si permettono di criticarlo.
Tipico degli uomini, che ricevono e dimenticano.
L'Inter è invece seducente, reattiva, occasionalmente nevrotica, talvolta inspiegabile
(Adani a centrocampo? Perché non centravanti, visto che Bobo è fuori?). L'Inter sente
la primavera. Martedì potrebbe spaventarsi, come è accaduto a Valencia. Potrebbe
scendere in campo e illanguidirsi (come nel secondo tempo con la Lazio). Potrebbe
distrarsi guardando il cielo di notte, neroazzurro come la maglia che indossa (questo
dev'esser accaduto, contro la Roma). Ma potrebbe anche mostrare le gambe (Dalmat), tirar fuori le unghie (Materazzi), accelerare il passo (Emre), sgranare gli occhi
(Oba Martins), scuotere le chiome (Crespo): e decidere che ha voglia di divertirsi, e
darà filo da torcere a quei maschiacci là.
Ci sono occasioni in cui le città non possono più bluffare. Quello che sono, sono. Un
derby valido per la finale di Coppa Campioni - chiamiamola in italiano, visto che
sono italiane tre squadre su quattro - è una di queste occasioni. Milano sta mostrando
le sue molte qualità e un paio dei suoi soliti difetti. Non ha deciso così perché vuoi
essere se stessa davanti al mondo che la guarda. Anzi, non ha deciso per niente.
Questo spogliarello metropolitano è del tutto involontario.
Milano, insomma, è nuda. Più nuda che d'estate. Più nuda che durante le sfilate, ed è
tutto dire. Milano rivela com'è fatta. Chi era a San Siro, mercoledì sera [Milan-Inter,
disputata il 7.5.2003. Risultato finale 0-0.], ha assistito a uno spettacolo
indimenticabile. Non in campo, dov'è stato solo interessante (zero a zero, come
sappiamo). Ma nelle curve, sulle tribune, nei piazzali: tifosi avversari che andavano
alla partita insieme, guardavano la partita insieme, tornavano dalla partita insieme.
Soliti sfottò - per fortuna, se no che noia - ma niente aggressività o violenza. Milano è
una città buona che di solito s'imbarazza, quando viene messa davanti alle prove della
sua bontà. Non mercoledì scorso e - sono convinto - nemmeno martedì prossimo.
Milano, dicono in Italia, è un po' spaccona: forse è vero, ma come non esserlo, in
certi casi? Diciamo che è giustamente orgogliosa. Per ospitare due partite come
queste, Madrid avrebbe rinunciato a un anno di corride, Parigi avrebbe venduto
mezza Torre Eiffel, Londra avrebbe affittato Tony Blair. L'occasione è
(calcisticamente) storica, e necessariamente gioiosa. Ha ragione Ancelotti, che l'ha
ricordato più volte. Forse doveva ripeterlo anche davanti allo specchio negli
spogliatoi, e poi gridarlo all'altra panchina: perché ci sono condannati a morte nei
penitenziari del Texas che appaiono più rilassati di Carlo e Hector a San Siro.
Milano non è romantica, ma è poetica.
Nessuno le chiederà mai di "non fare la stupida stasera" e di "scegliere tutte le stelle",
più o meno brillarelle (se non quelle dei dieci scudetti). Sono convinto però che Dino
Buzzati avrebbe applaudito quell'immenso striscione neroazzurro apparso
improvvisamente sulla curva nord: "Certe notti Milano ha colori meravigliosi". L'ho
sempre detto: i nostri tifosi sono degli artisti, capaci di combinare Ligabue (il
cantante) e Chagall (il pittore). Senza citarli, naturalmente.
Milano, quando ci si mette, sa però complicarsi la vita. Non parlo dei trasporti per e
da San Siro, che ormai abbiamo imparato a considerare un fenomeno naturale, come
la pioggia o il caldo. Parlo, per esempio, delle vendite dei biglietti, che hanno
provocato proteste, amarezze e incomprensioni; e giovedì, davanti agli sportelli della
Banca Popolare di Milano, hanno rischiato di scatenare una rissa.
Voi direte: ma se Milano fosse buona, orgogliosa, poetica e perfettamente organizzata
sarebbe inquietante!
Vero. Teniamocela così, quindi, e godiamoci un'altra grande serata di calcio. Perché
comunque vada, in finale sarà dura. Là aspettano i Gobbetti o il Coniglio Mannaro,
che già mettevano paura nelle favole.
Ecco a voi il decalogo 10 M (Moderno Multi Masochista Milanese, Mogio e
Malinconico, Massacrato dalla Malasorte più che da un Modesto Milan). Ovvero:
dieci modi di farsi male in una bella serata di primavera (13 maggio 2003. InterMilan l-l [Marcatori: 43' Shevchenko, 83' Martins.]. Noi fuori, loro a Manchester).
1. Vedere Vieri e Martins in panchina. Ma Bobo, almeno, era infortunato.
2. Capire subito che Recoba è con la mente sul Rio della Piata, Crespo stasera sembra
il compare della pubblicità di Batistuta, il buon Di Biagio arranca, Conceicao non è
Zidane ed Emre - il migliore che abbiamo, lì in mezzo - è costretto a fare il terzino
sinistro.
3. Beccare gol due minuti prima dell'intervallo, quando cominciavamo a rilassarci.
4. Godersi gol e capriole di Oba Oba, e temere che sia tardi.
5. Guardare l'Inter che gioca dieci minuti alla grande. Pensare: perché non giocare
anche gli altri ottanta? Poteva essere una buona idea.
6. Vedere Crespo - l'uomo grazie al quale sia mo arrivati fin qui - che esce dal campo
insultando Fratello Ettore (facilitato dalla lingua).
7. Accorgersi che il Capitano piange.
8. Sapere, senza vederlo, che Moratti ha assunto un colorito verdolino.
9. Capire che a campi invertiti (prima Inter-Milan, poi Milan-Inter), con gli stessi
risultati, saremmo passati noi.
10. Distillare la sofferenza del 5 maggio 2002 tra un 2 marzo (Juve-Inter), un 23
marzo (Udinese-Inter), un 6 aprile (Inter-Roma) , un 12 aprile (Inter-Milan di
campionato), questo 13 maggio (Inter-Milan di coppa) e il prossimo 28 maggio (loro
a giocarsela a Manchester, noi a casa ad aspettare i coretti). Una sofferenza in gocce,
degna di noi.
INTEROSOFIA
Caro Beppe, sono un povero interista di diciassette anni, che stasera, martedì 13
maggio, ha aggiunto un altro capitolo al romanzo delle atroci beffe, ognuna
particolarissima e unica nel genere, che ogni buon neroazzurro ha dovuto sopportare
e superare. La partita è appena finita. Si sente solo quell'odioso, insopportabile "Non
vincete mai!", parole che fanno salire in maniera esponenziale la dose di antipatia
antimilanista che scorre nelle mie vene. Nei miei pochi anni ho visto soccombere in
varie maniere Inter catenacciare, Inter con grandi campioni, Inter suicide, Inter
ambiziose, questa sera ho visto il capolinea anche di un'inedita Inter operaia, un'Inter
spinta da cuore e polmoni, disordinata quanto si vuole ma commovente, a tratti
trascinante, simboleggiata dalle ali svolazzanti di Kallon e dagli occhi spiritati del
grande Martins. E invece non è bastato.
Al fischio finale ecco un'altra grossa patata da ingoiare tutta intera. Tutto
magnificamente inutile. Solo voglia di mollare tutto, mentre quella che sembrava una
sceneggiatura perfetta (vittoria in rimonta nel finale contro i cugini, San Siro in
delirio) si sgretolava sulla punta delle dita di Abbiati.
Poi, di colpo, un moto di orgoglio banalissimo, ma assolutamente trascinante.
Inspiegabilmente mi sono sentito fiero, e autorizzato a difendere il bersaglio per
eccellenza (Hector Cuper). Sento il bisogno di ringraziarlo per la serietà, e per
l'identità che è riuscito a dare a una squadra che non esisteva. Che sia lui a
traghettarci alla prossima vittoria.
Andrea Beltrama, Sondrio
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INTERsezioni
Le altre due
"Tutto quello che fai mi irrita. E quando non ci sei mi irrito pensando a quello che
farai quando torni."
(WALTER MATTHAU a JACK LEMMON, La strana coppia)
Signori della Corte, chiedo la Vostra attenzione.
Sappiate, innanzitutto, che noi dell'Inter amiamo vincere, ma sappiamo perdere. Anzi,
quando ci mettiamo, siamo piuttosto bravi. Ma ci piace farlo da soli. Non vogliamo
essere aiutati dal pugnetto di Vryzas, un nome che oltretutto abbiamo difficoltà a
pronunciare. O dalle visioni mistiche del giovane arbitro Bertini, un cognome fin qui
associato a un ottimo mediano arrivato all'Inter nella stagione 1968/69.
Cosa doveva fare, Ivan Ramiro Cordoba, della sua legittima mano colombiana?
Tagliarsela, come un martire paleocristiano? Non poteva, anche perché il sangue
avrebbe sporcato il gesso della linea di porta.
Poteva invece portare il braccio dietro la schiena, e colpire di coscia. Così ha fatto, il
neroazzurro, a differenza d'un certo rossonero che, in posizione simile, nella
semifinale Italia-Germania (Messico 1970), lasciò passar la palla.
Spero d'avervi convinto, signori della Corte: a Perugia siamo stati danneggiati. Non
crediamo, tuttavia, alla tesi del complotto. C'è chi pensa a una congiura GallianiMoggi-Cosmi contro Moratti, reo d'avere i capelli.
Ma si sbaglia. Si tratta di coincidenze, circostanze, congiunture, casualità e altre cose
che cominciano per "e".
Ora però ne vorremmo un po' anche noi, di quelle cose.
Diteci cosa dobbiamo fare, a chi dobbiamo telefonare.
Esiste un Ufficio Sospesi col Fato, una Commissione Coincidenze Fortuite? Fatecelo
sapere!
Si parla molto di "conflitto d'interesse", in queste ore.
Chiariamo subito che il prefisso "inter" è puramente casuale: noi non c'entriamo.
L'espressione è stato usata da Giacinto Facchetti, vicepresidente del F.C.
Internazionale, parlando di Adriano Galliani, un uomo che da solo sta riducendo il
tasso di disoccupazione italiano. E infatti vicepresidente vicario dell'A.C. Milan,
amministratore delegato dell'altra squadra di Milano, presidente della Lega - non
quella, onorevole Bossi: si tranquillizzi - e imitatore televisivo. Perché mica vorrà
farci credere che quelle facce stupende le fa davvero Teocoli.
E` giusto, tutto ciò?, si domanda il popolo neroazzurro. Cosa dobbiamo fare, per
poterci battere ad armi pari per lo scudetto? Dobbiamo far eleggere Moratti alla
presidenza della Repubblica, con Facchetti che fa il corazziere? Dobbiamo proporre a
Milly un girotondo intorno al Quirinale, col rischio che lo faccia davvero? Dobbiamo
allearci con Sensi e Saddam Hussein? Ditecelo: lo faremo.
Gira voce, qui a Milano, che Adriano Galliani abbia un diavolo per capello: ma ci
sentiamo di escluderlo. Siamo certi, invece, che il vicepresidente vicario,
amministratore delegato eccetera saprà risolvere la situazione, restituendo serenità al
campionato (e, già che c'è, qualche rigore all'Inter).
Con questo, ho terminato. Mi rimetto alla Vostra saggezza.
P. S. Guardandovi bene, signori della Corte, m'accorgo che portate colletti bianchi e
toghe nere. In sostanza, siete bianconeri. Questo, devo dire, non mi piace per niente.
Cari amici milanisti, come sapete esistono due tipi d'interisti. Gli interisti di città,
quelli di stretta osservanza prischiana, secondo cui il Milan è l'avversario da battere
(possibilmente con un gol di stinco nel recupero). E gli interisti di campagna, come
me, che trovano più difficile digerire la divisa carceraria della Juventus, cupa
rappresentazione della condizione umana.
La Juve è Voldemort contro Harry Potter (piccolo interista: basta guardarlo); è il Lato
Oscuro della Forza per Obi-Wan Kenobi; è Sauron nelle fantasie di Frodo Baggins
(antenato dell'hobbit Emre).
Voi del Milan siete diversi. In fondo, simpatici e rassicuranti. Siete il grosso Hagrid,
cuore d'oro. Siete Yoda, che ha più o meno l'età di Rivaldo. Siete il nobile elfo
Legolas (non somiglia a Pippo Inzaghi, con le orecchie del presidente Berlusconi?).
Dite sto cercando di conquistare la vostra benevolenza in vista della partita di stasera?
Esatto. Battete la Juventus [Milan-Juventus, disputata il 22.3.2003. Risultato finale 21 (4' Shevchenko, 10' Nedved, 25' Inzaghi).]!
Se stasera fate tre punti, tiferemo per voi in Champions League contro l'Ajax (si può
battere, poi vi spieghiamo come). In fondo siete l'altra squadra di Milano, e abbiamo
qualcosa in comune. Riusciamo a prenderci in giro a vicenda dopo un derby. Sia noi
che voi sappiamo perdere i campionati contro Reggina e Atalanta. All'Inter abbiamo
comprato giocatori che andavano dal bizzarro all'asociale (ultimamente riusciamo a
passarcene qualcuno). Entrambi abbiamo schierato simpatici mattocchi: noi Corso,
Berti e Taribo West; voi Mora, Chiarugi e lo sciagurato Egidio. Vedete?
Siamo amici, oltre che parenti. Quindi, per favore, battete la Juventus.
Dite che queste parole sono dettate dall'interesse?
Suvvia, non siate cinici come Moggi in un giorno di pioggia.
A nostro modo, noi interisti vi vogliamo bene. Le città che perdono una delle due
squadre di serie A - e la conseguente, sana rivalità - indossano il lutto calcistico:
pensate a Verona e, tra poco, a Torino. A Genova, pur di rivaleggiare, sono andati
tutti in B. Ecco perché a molti di noi è spiaciuto vedervi scendere nella serie cadetta
per ben due volte (e noi mai: antipatici!). Ma ora siete di nuovo in A. Quindi stasera
non fate come noi, che abbiamo opposto alla Juventus un crème caramel invece di
una squadra.
Battetevi! E battete la Juventus.
Guardate: se vincete con la Juve, siamo disposti a dire che Gattuso è bello, che
Ancelotti è magro, che Rui Costa è veloce, che Pirlo è un Beckenbauer tascabile,
addirittura che Rivaldo è stato un grande acquisto.
Fingeremo di ignorare il significato della sigla che precede il nome Milan (AC,
Ampolloso Centrocampo). Affermeremo - senza ridere - che il futuro rossonero
(Borriello e Bortolotto) vale quello neroazzurro (Oba Martins e Adriano).
Ammetteremo che il Milan, all'inizio degli anni '90, ha inventato l'organizzazione
della squadra moderna.
Grideremo che Sacchi (raro prototipo di berlusconismo cerebrale) è stato un
innovatore, e Capello s'è rivelato un condottiero. Dimenticheremo che Galliani ha più
cariche di un reparto di marines nel deserto di Bassora. Non diremo che rosso e nero
sono i colori di Iraq e Papua Nuova Guinea.
Faremo tutto questo, per voi. Però, per favore: battete la Juventus!
Be', il Milan la Juventus l'ha battuta. Mi ero dimenticato di scrivere che noi avremmo
dovuto vincere con l'Udinese, e con lo stesso Milan, e con la Roma, e con la Lazio,
eccetera.
INTEROSOFIA
Nella mia famiglia siamo tutti interisti, tranne mio marito che è un gufo juventino e
sta sempre appollaiato durante le partite perché gli piace vedermi umiliata per poi
prendermi in giro. E devo dire che l'Inter si mette d'impegno per farlo sentire
realizzato. Potrai capire, Beppe, la sofferenza che provo, anche perché se tramanderò
la passione calcistica ai nostri figli (gufo juventino permettendo) , rischierò di creare
dei disadattati. Io non ho più il coraggio di guardare le partite.
Ogni volta è una sofferenza, mi contorco per cercare di non vedere dove va la palla
quando sfugge ai nostri (propongo di controllare il prato di San Siro: forse è cosparso
di bucce di banana). Se mi trovassi in un locale pubblico, la gente penserebbe di
assistere al numero di una contorsionista.
Daniela Di Lembo, Nepezzano (Teramo)
Caro Severgnini, vorrei fare una piccola richiesta all'Inter e agli interisti: retrocedete
in B. Le spiego. Pare che a San Siro, ogni tanto, voi tirate fuori uno striscione "MAI
STATI IN B". Quattro piccole parole che mandano in crisi mio marito, che è
milanista. Che poi mi rompe le scatole. Fatemi dunque questo piccolo favore. Andatevene in B. Un anno soltanto. Che vi costa?
Tanto non vincete mai. Magari in B vincerete. Arrivare primi. Pensi che bello! Mio
marito sarebbe contento; alla fine di ogni campionato infatti lui sospira: "Neppure
quest'anno quelli sono andati in B...". Perché vede, anche quando non è esposto allo
stadio, lui quello striscione ce l'ha sempre davanti agli occhi: "MAI STATI
IN B". Ce l'ha nel cuore, povero diavolo. Anche i milanisti piangono.
Non avete cuore, voi interisti.
Agata Calcagno, Legnano
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INTERferenze
Cinquantaquattro motivi
"Ogni limite ha la sua pazienza."
(TOTO`, Tota a colori)
Ventisette motivi per cui dobbiamo tollerare la Juventus 1. Perché c'è.
2. Perché, se non ci fosse, bisognerebbe inventarla. Altrimenti chi potremmo
invidiare/detestare/sospettare (a seconda delle circostanze)?
3. Perché ha conquistato 27 scudetti, alcuni dei quali meritatamente.
4. Perché con il Real Madrid, a Torino, ha giocato una partita superba [Juventus-Real
Madrid, disputata il 14.5.2003. Risultato finale 3-1 (12' Trezeguet, 42' Del Piero, 73'
Nedved, 89' Zidane).] (neroazzurro sì, cieco no).
5. Perché quelle due Coppe Campioni sono state così malinconiche (1985 e 1996,
entrambe dal dischetto del rigore) che adesso potrebbe anche vincerne una come si
deve.
6. Perché in tempi magri per la bilancia commerciale italiana abbiamo esportato a
Manchester (28 maggio) il Trofeo Berlusconi.
7. Perché ultimamente il Milan ci fa innervosire di più.
8. Perché la Juventus ha il senso dell'umorismo, anche se non lo sa.
9. Perché indossa una divisa carceraria, ma lo fa con noncuranza.
10. Perché almeno gli amici granata hanno altro cui pensare.
11. Perché Luciano Moggi quando dice la verità si arrabbia, e quando non la dice ci
arrabbiamo noi.
12. Perché un tipo così alla Fiat forse farebbe comodo.
13. Perché Marcello Lippi è un attore di Hollywood, anche se non fa cinema e non sta
a Hollywood (lo vedo in una commedia romantica, come padre della sposa. o in un
western, come vicesceriffo).
14. Perché Bobby Bettega non vuoi risultare simpatico, e ci riesce.
15. Perché m'aspetto che prima o poi un giovane arbitro, al termine della partita, vada
a chiedere l'autografo a Del Piero e Nedved.
16. Perché, insieme al cioccolato e a Macario, la Juve è una delle poche cose che
riesce a far sorridere certi piemontesi.
17. Perché ha riempito l'Italia di tifosi (dieci milioni!).
Dicono che ce ne sia qualcuno anche a Torino, ma la notizia è in attesa di conferma.
18. Perché una squadra che riesce a percepire il calore del pubblico fin dai remoti
spalti del Delle Alpi merita rispetto.
19. Perché gli juventini, vincendo molto, soffrono di più per le sconfitte. Noi interisti,
invece, abbiamo un certo allenamento.
20. Perché Del Piero fa la pubblicità, ma non si spoglia negli ascensori.
21. Perché i giocatori sono bravi ragazzi e si danno da fare per i bambini negli
ospedali (Gaslini di Genova, e non solo).
22. Perché Cuccureddu aveva un nome interessante.
23. Perché Zidane e Platini li avrei voluti all'Inter (Maresca e Zalayeta, invece, glieli
lascio).
24. Perché Scirea era Scirea.
25. Perché, in maglia azzurra, i bianconeri ogni tanto combinano pasticci (Del Piero,
Francia 2000), ma spesso si danno da fare anche per noi (Argentina 1978, Spagna
1982).
26. Perché noi abbiamo ceduto Roberto Carlos. Ma loro hanno venduto Thierry
Henry e Bobo Vieri.
27. Perché il mio amico Mughini, in quarta di copertina del suo Un sogno chiamato
Juventus, scrive: "Le strade della juventinità sono infinite". Certo, Giampiero. E` per
questo che, dopo certe partite, ci arrabbiamo un po'.
Ventisette motivi per cui dobbiamo accettare il Milan 1. Perché se non l'accettiamo,
cosa cambia?
2. Perché ha aiutato gli juventini a capire come ci sentiamo a volte noi interisti.
3. Perché con sei coppe può aprire una salume ria.
4. Perché a Manchester ha vinto il calcio italia no (onestamente: m'importa sì e no,
ma come facevo a non scriverlo?).
5. Perché i tifosi rossoneri sono stati ammirevoli. Quel Trofeo Berlusconi
International sembrava una finale di Champions League!
Perché quegli ammirevoli tifosi hanno la memoria corta.
Un mese fa dicevano che Ancelotti era "un perdente" e Sheva "un giocatore finito". E
noi a dirglielo, che non era vero...
7. Perché il Milan ha conquistato la Champions vincendo solo una delle ultime
cinque partite (con l'Ajax, nel recupero [Milan-Ajax, disputata il 23.4.2003. Risultato
finale 3-2 (30' Inzaghi, 63' Litmanen, 65' Shevchenko, 78' Pienaar, 91' Tomasson).]).
E non s'era mai visto nessuno tanto felice dopo quattro pareggi.
8. Perché se l'Inter è Paperino (simpatico, misantropo, un po' matto), la Juve è
Gastone (bello, ricco, fortunato) e il Milan è Paperoga (rosso, nero, casinista), il
finale di questa storia sarebbe piaciuto a Walt Disney.
9. Perché quest'anno era destino che noi interisti dovessimo ascoltare i clacson e i
cori di tutti quanti, mentre cercavamo di addormentarci.
10. Perché Gattuso, che contro l'Inter sembrava Beckham, contro la Juve pareva
Nedved. Cosa gli hanno fatto? Se è merito della barbetta, la facciamo crescere anche
a Guly.
11. Perché gli amici milanisti di sinistra vedono Berlusconi che gonfia il petto e
hanno i sensi di colpa.
12. Perché gli amici milanisti di destra temono ormai di appartenergli.
13. Perché Galliani a Manchester era felice. Ha visto cinque rigori per il Milan nella
stessa partita. E nessuno protestava!
14. Perché se uno come Ferruccio de Bortoli è milanista, il Milan non può essere poi
tanto male.
15. Perché Demetrio Albertini, nel giorno della festa, non l'ha ricordato nessuno. Lo
faccio io adesso.
16. Perché il Milan ha tenuto allegro l'avvocato Prisco.
17. Perché se Mister B. si portasse qualche Ancelotti al governo (bravo, serio, pacato)
sarebbe meglio per tutti.
18. Perché il mio barista preferito (Dario) e il mio barbiere di riferimento (Gigi) sono
così felici.
19. Perché se vincevano soltanto la Coppa Italia, i miei amici Michele e Daniele
diventavano folli.
20. Perché il Milan non farà i preliminari di Champions League. Per fortuna:
altrimenti i giornali grondavano rossonero già a metà luglio.
21. Perché Maldini è slanciato, per essere un ragazzo quadrato.
22. Perché Nesta sarebbe stato così bene in neroazzurro.
23. Perché Rivera è la vocina della coscienza rossonera, e non si può spegnere.
24. Perché chiunque abbia amato Pierino Prati, Squalo Jordan, Luther Blissett e lo
sciagurato Egidio ha la mia simpatia.
25. Perché Rivaldo è sempre meno Riva e sempre più Aldo (amico di Giovanni &
Giacomo). Ma ha un faccino così triste che cominciamo a volergli bene.
26. Perché Diegone Abatantuono ha diritto a qualche piccola gioia.
27. Perché, in fondo, siamo buoni, noi dell'Inter.
INTEROSOFIA
Caro Beppe, oggi ho finalmente capito come si sente un interista alla fine del
campionato: come uno juventino alla fine della Coppa Campioni. Quasi sempre lì, ma
poi vincono gli altri.
Ho 29 anni e ho visto in TV sei delle sette finali di Champions della Juve: ne
abbiamo perse quattro. Il Milan mi pare abbia giocato solo una finale più della Juve,
ma ne ha vinte sei.
Anche ieri a Manchester è andata così. Una disfatta, una sola squadra in campo.
Trezeguet, uno che alle partite importanti dovrebbe essere abituato, la finale non la
gioca. E tira un rigore che non è neanche un brutto rigore, è solo l'ultima seccatura
prima dell'agognata doccia. E Del Piero? Non avrà giocato male, ma ha fatto un solo
tiro in porta. E quando a dieci minuti dalla fine scende dal cielo la Palla Perfetta,
pronta per il suo destro, lui, anni e anni a bere l'acqua Uliveto al CEPU, lui quella
palla la ciabatta in tribuna. E Camoranesi? Abbiamo reinventato gli oriundi per averlo
in nazionale, ma lui riesce a nascondersi per 45 minuti nell'erba dell'Old Trafford,
roba che neanche David Copperfield. Per arrivare all'allenatore che è riuscito a
perdere tre finali di Champions League, il Cuper d'Europa: Marcello Lippi. Senza
parole. E meno male che il perdente era Ancelotti.
Sì, lo so, sono troppo critico, abbiamo vinto lo scudetto e dovrei esserne contento, ma
mi chiedo se riuscirò mai a vedere la Juve giocare come si deve una finale di
Champions e magari vincerla. Comincio a disperare. Comincio a sentirmi come un
interista. E propongo un gemellaggio Juve-Inter per il prossimo anno. Tifiamo
insieme: lo scudetto all'Inter e la Champions alla Juve.
Alessandro Vittoria, Milano
Caro Ale bianconero (un altro!), capisco che, con quel cognome, non ti piaccia
perdere. Ma sai com'è, succede: PERFINO alla Juve. Aggiungo: mi sembri
sufficientemente autocritico per diventare un ottimo interista. Possiamo arruolarti,
nella prossima campagna-acquisti?
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INTERpretazioni
E' tutta letteratura
"Be', è più di un hobby. Un hobby serve a far passare il tempo, non a riempirlo."
(ANTHONY PERKINS, Psycho)
Interista ufficiale, Giovanni D. partì una mattina di settembre per raggiungere la
Fortezza Meazza, sua destinazione.
Si fece svegliare ch'era ancora notte e vestì di nuovo la divisa da tifoso. Come ebbe
finito si guardò nello specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella
casa c'era un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina: sua
mamma stava alzandosi per salutarlo.
Era quello il giorno atteso da tempo, l'inizio delle partite vere. Pensava alle giornate
squallide di maggio, si ricordò delle amare sere quando sentiva fuori nelle vie passare
gli juventini liberi, e presumibilmente felici; dei risvegli notturni nella camera calda,
dolce ristagnava l'incubo di Gresko, e delle punizioni che gli avrebbe inflitto.
Ricordò la pena di contare i giorni uno ad uno, che sembrava non finissero mai.
Adesso era finalmente iniziato il campionato, non aveva più da consumarsi sui
giornali né da tremare alla voce da sergente del collega rossonero: tutto questo era
passato. Tutti quei giorni che gli erano sembrati odiosi, si erano consumati per
sempre, e non si sarebbero ripetuti mai.
Mi perdonerà, Dino Buzzati, se ho leggermente adattato l'attacco del suo capolavoro,
II deserto dei Tartari. Anche noi interisti infatti, come il tenente Giovanni Drogo,
conosciamo il piacere estenuante dell'attesa, la consolazione delle regole, il sostegno
dei compagni di fede. Dovessi dare un titolo a questo scampolo di prosa neroazzurra,
potrebbe essere: II deserto dei Tartarinteristi. Il nostro è lungo quattordici anni, ormai
(scudetto 1988/89). Ma prima o poi scenderanno i tartari delle colline - le stesse
dietro le quali è scomparso Ronaldo, Coniglio Mannaro - e daranno un senso alla
nostra vigilia.
Ora che ci penso: anche altre squadre offrono spunti letterari. Per la Juventus,
sceglierei Gabriel Garcia Marquez e Ceni'anni di solitudine (la Gobba piace infatti ai
suoi tifosi, ma è da sempre antipatica a tutti gli altri). L'attacco, appena ritoccato,
potrebbe suonare così: Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il
colonnello Lippi si sarebbe ricordato di quel remoto pomerìggio in cui lo avevano
condotto a conoscere il ghiaccio: Bettega. Torino era allora un villaggio costruito
sulla riva di un fiume dalle acque diafane...
All'ambiente vivace della Roma, invece, s'adatta il Libro della Jungla di Kipling.
Ditemi se l'inizio non è perfetto: Eran le sette di sera, d'una serata caldissima tra i
campi di Trigona, quando Babbo Lupo (Sensi) si svegliò dal suo riposo diurno. Si
grattò, sbadigliò e stirò le zampe una dopo l'altra per scuotere dall'estremità il torpore
del sonno. Mamma Lupa (Capello) se ne stava accovacciata, col grosso muso a terra,
in mezzo ai suoi cuccioli (Totti, Montella e Cassano) che si rotolavano guaiolando, e
la luna splendeva entro la bocca della tana che era la loro casa.
- Aughr! - gridò Babbo Lupo -è ora di rimettersi in caccia.
Resta il Milan. Quale celebre attacco potrebbe adattarsi ai cugini ("attacco" letterario,
caro Galliani: so che con Inzaghi-Sheva-Rivaldo-Tomasson siete a posto)? Il Rosso e
il Nero di Stendhal? Prevedibile. La banda dei brocchi di Jonathan Coe? Ingiusto.
L'ultima spiaggia di Alex Garland? Eccessivo. Ecco, ci sono: I Demoni di
Dostoevskij. Sempre diavoli sono.
Neli'accingermi alla descrizione degli avvenimenti tanto strani svoltisi non è molto
nella nostra città, sono costretto, per la mia inesperienza, a rifarmi alquanto da
lontano; e precisamente da alcuni particolari biografici intorno a Silvan
Berlusconovic, uomo di molto ingegno. Questi particolari non serviranno che
d'introduzione, mentre la storia che mi propongo di scrivere seguirà poi.
Bene: Inter, Juve, Roma e Milan sono a posto.
Forza, adesso: mancano quattordici squadre di serie A.
Sportivi, fate uscire il letterato che è in voi. E voi, letterati, siate sportivi, almeno una
volta.
Comincerei con qualcosa di facile. L'uomo giusto per narrare le gesta del presidente
del Perugia, Gaucci, sarebbe Boccaccio: stessa intelligenza popolana, stesso
miscuglio di opportunismo e astuzia. Non mancano neppure i personaggi di contorno.
Pensate al portiere Kalac e alla punta Miccoli, e ai loro 34 centimetri di differenza:
sembravano usciti dal Decameron. Immaginate il figlio di Gheddafi nel ruolo del
Moro, e Cosmi nella parte d'un oste che invita tutti a raccontare la propria storia.
L'ottimo Serse dovrebbe solo cambiare il cappellino, e il gioco è fatto.
Altrettanto facile è scegliere l'aedo delle vicende laziali: Friedrich Nietzsche. Non per
questioni politiche, come sospetta qualcuno. Ma perché tutta la produzione
nietzschiana ha qualcosa di biancoceleste: da ha volontà di potenza (vicenda
Cragnotti) a Umano, troppo umano (storia di Zoff); dalla Gaia scienza (lo stile di
Mancini) a Ecce homo (la riscoperta di Fiore). Per arrivare ad Al di là del bene e del
male, che mi sembra la perfetta rappresentazione degli eccessi di parte della tifoseria.
Resta un problema: Stam è Zarathustra?
Meno facile è scegliere un autore che racconti una squadra come il Chievo e un
personaggio come Gigi Del Neri. Forse Antonio Fogazzaro, quello di Piccolo mondo
antico. Anche lui era veneto, ma credo avrebbe difficoltà a spiegare perché abbiano
cacciato Marazzina. Per il Parma, propongo Philip K. Dick, quello de II cacciatore di
androidi (da cui è tratto Blade Runner). Adriano, Mutu e soprattutto Frey non sono
replicanti, ma hanno un'aria simpaticamente aliena.
Sono sicuro che Prandelli ogni tanto li becca mentre fanno il pieno di energia elettrica
negli spogliatoi, con i tacchetti nelle prese di corrente.
Chiudiamo con un arbitro; e non può essere che Yarbiter arbitrorum, Pierluigi Collina
da Viareggio. Colpito dallo sguardo ieratico, qualcuno sceglierà Jacopone da Todi.
Riflettendo sul nome, alcuni citeranno Cesare Pavese (Una casa in collina).
Considerando il timore reverenziale che suscita, c'è chi recluterà Richard Adams (La
collina dei conigli). Io scelgo invece Truman Capote, che ha la capigliatura giusta e i
titoli perfetti. Ha scritto infatti A sangue freddo (indispensabile a un direttore di gara),
I cani abbaiano (chiaro riferimento alla cagnara che segue ogni turno di campionato),
Preghiere esaudite (ovvero: ehi, ho arbitrato la finale del Campionato del Mondo!).
Ma, soprattutto, Capote ha scritto Musica per camaleonti. Resta da chiarire un punto:
se il suonatore è Collina, chi sono i camaleonti, nel calcio italiano?
Calma, non spingete. C'è posto per tutti, in questa metafora letteraria.
Sui giornali e in televisione si parla molto (troppo?) di Inter, Juventus e Milan. E di
Roma e Lazio. Ma esistono dozzine di club interessanti, molti dei quali hanno
accompagnato la nostra vita. Nel Campionato del Nord (l'antica serie A) c'è per
esempio il Bologna, una squadra che non può lasciare indifferenti. Nel Campionato
del Sud (qualcuno la chiama ancora Serie B) ci sono formazioni leggendarie come il
Napoli, capace di squisiti masochismi, il Bari di Tardelli, il Palermo dai bellissimi
colori e il Cagliari (l'unico posto al mondo dove pronunciano correttamente "Gigirriva": tutto attaccato, con due "r").
Su molte di queste società abbiamo fantasticato.
Le abbiamo sostenute in una coppa, detestate quando battevano la nostra squadra,
osservate mentre cacciavano gioiosamente un allenatore. Nelle pagine precedenti
abbiamo trovato affinità letterarie per le formazioni maggiori. Oggi cerchiamo
accostamenti per alcune di queste altre squadre. Fumetti e cartoni, magari.
ATALANTA Guardatelo attentamente: Doni è Simba, il piccolo Re Leone. Ma non
ha trovato i suoi Timon e Pumba, e l'Atalanta si è ritrovata in serie B.
BOLOGNA La città di Bologna è incantevole, i bolognesi sono cordiali e simpatici.
Non sono sicuro che si possa dire lo stesso per la squadra (1964, spareggio con
l'Inter: trentanove anni sono pochi per dimenticare). Quando vedo giocare i rossoblu
mi torna in mente il cartone di Winnie thè Pooh, un ruolo che attribuirei a Beppe
Signori. Cruz, se vuole, può fare il Tigro.
BRESCIA Trattasi di una versione pedemontana dei Peanuts. Baggio è Linus
(quando gioca bene) e Charlie Brown (quand'è in giornata no).
Mazzone era Lucy dopo uno shampoo troppo energico.
TORINO Una squadra di Pokémon interessanti. Ma hanno perso potenza, e gli
allenatori hanno potuto far poco.
PIACENZA Hubner è Lupo Alberto, e tanto basta.
UDINESE L'ho già scritto, lo ripeto: alla fine del campionato 2001/2002, nella fatale
ultima giornata (5 maggio), s'è arresa languidamente alla Juve. Per questo viene
punita con l'attribuzione di un cartone adeguato: Leone Cane Fifone. Gli interisti
sono pronti a perdonare: ma non dimenticano.
Durante il derby di ritorno ho notato con piacere - è stato uno dei pochi piaceri, per
un interista ù che la curva neroazzurra, trasformata in un gigantesco tazebao,
innalzava cartelli e striscioni fantasiosi. "Vaccinate Gattuso!" (non s'arrabbi, Mr
Ringhio: la stima degli awersari prende queste forme). "Milan - No rigori, no party."
La tifoseria interista non è l'unica ad aver capito che una battuta affilata tira su il
morale, ed è più efficace del solito insulto. In tutti gli stadi, fini letterati contendono a
pochi bruti il primato sulle curve. Dopo anni, è ancora giustamente celebre la battuta
shakespeariana dei tifosi del Napoli. Svillaneggiati a Verona, al San Paolo risposero
con questo striscione: "Giulietta è 'na zoccola". Fulminante la scritta della curva viola
-quand'era ancora viola per amore, e non per rabbia - rivolta ai sostenitori del Como:
"Voi comaschi, noi co' femmine" (Cecco Angiolieri sarebbe stato orgoglioso).
Squisita questa chicca virgiliana, opera dei tifosi del Mantova, in occasione di una
partita contro il Genoa. "Mantua Me Genuit" diceva uno striscione.
Sotto, la traduzione: "II Mantova meglio del Genoa".
Non c'è solo la letteratura, come fonte di ispirazione. Pensate al cinema. Noi dell'Inter
dovremmo far salire nel cielo sopra San Siro un dirigibile dipinto con la frase di
Diane Keaton in Amore e guerra: "Amare è soffrire. Se non si vuoi soffrire, non si
deve amare. Però allora si soffre di non amare.
Pertanto amare è soffrire, non amare è soffrire, e soffrire è soffrire" (è un po' lunga,
ma se il dirigibile è abbastanza grande dovrebbe starci). Ai milanisti, ricordando
l'arrivo di Rivaldo pentacampeon, suggerisco uno striscione "Sono il re del mondo!"
(Leonardo DiCaprio, mentre il Titanic si dirige in mare aperto). La curva della
Juventus, pensando ai tre gol rifilati all'Inter e ai tre beccati dal Manchester, potrebbe
dipingere il Delle Alpi con la battuta del replicante Rutger Hauer - non somiglia a
Tudor ossigenato? - in Biade Runner: "Ho visto cose che voi umani non potete
immaginarvi...". I tifosi del Torino possono ribattere "Anche noi!", oppure scegliere
una citazione da professionisti della malinconia: "Non ho più idee, ho soltanto
memorie" (Marcello Mastroianni, in La Notte).
Ai tifosi del Bologna, se Guidolin se n'andasse, suggeriamo uno striscione con una
battuta di Quarto Potere: "In fondo era dotato di una certa dose di grandezza, ma se la
teneva per sé" (l'allenatore potrebbe rispondere come Clint Eastwood in Per un pugno
di dollari: "Devo ancora trovare un posto dove non ci siano padroni"). I tifosi della
Lazio dovrebbero adottare uno slogan preso a prestito da II mistero del falco (The
Maltese Falcon): "Dubitare non fa mai male" (chiaro riferimento alla permanenza di
Stam, che non sembra entusiasta d'essere pagato in azioni della società). I tifosi della
Roma, per invitare Samuel a battere ancora una volta la Lazio, potrebbero citare
Ingrid Bergman in Casablanca: "Suonala ancora, Sam".
Chiudiamo qui, ringraziando Roberto Casalini, che ha raccolto in un libro con lo
stesso titolo le più belle battute del grande cinema (Bompiani, 1999). Un po' le
abbiamo usate adesso; altre per introdurre i capitoli.
Grazie, Roberto.
INTEROSOFIA
Caro Severgnini, lei non mi conosce.
Sono un insegnante di Lettere in un Istituto Linguistico, interista dal 1964. Stavo
spiegando Dante questa mattina e in particolare la mentalità allegorica medievale,
nella quale a ogni elemento del mondo fisico corrisponde altro sul mondo spirituale
in un sistema di rimandi misteriosi ma reali, in grado di spiegare la complessità della
vita.
Ora, l'Inter ha il colore dell'Inferno e del Cielo, calcisticamente è l'unica squadra che
può far coincidere in maniera armonica le più stridenti opposizioni senza mai
collocarsi precisamente nell'uno o nell'altro perché ci sarà sempre un diavolo che ci
butterà giù dal Cielo per es: lei crede che se vince remo lo scudetto verrà creato un
ciclo come quelli di Juve o Milan?
Ma quando mai), oppure un angelo che ci impedirà di andare all'In ferno (noi non
andremo mai in B).
Il bello dell'era Moratti è che ciò che appariva occulto ora è palese.
Un Lippi, palesemente infernale, non poteva sopravvivere e così un Simoni,
palesemente angelico. Pla tini non poteva essere da Inter e al suo posto, non poteva
starci che Beccalossi, il calciatore a cui mancava un dito, solo un dito, per toccare il
cielo. Ecco perché un angelo ci ha strappato dalla B nel l'era Tardelli. Angeli e
diavoli si sono battuti nel 2001/2002 con pre valenza finale del diavolo. Que st'anno
il conflitto è addirittura scoppiato all'interno della stessa partita. Dannazione e ascesa
in 90 minuti.
Ci pensi. L'Inter produce cultura perché sa riflettere su se stessa. Ci faccia caso, nulla
di analogo hanno prodotto Juve e Milan. Questo si deve anche, credo, a Moratti come
persona.
Cosa c'è di più interista che essere petroliere, avere la moglie ambientalista e, nello
stesso tempo, una famiglia unita ("coincidentia oppositorum")? Essere miliardario e
avere una sincera vocazione sociale?
Possedere due villoni a Imbersago e Forte dei Marmi, e una casa in centro a Milano
con numero telefonico sull'elenco?
E noi tifosi? Soffriamo come bestie.
Ma, temprati da Cielo e Inferno insiti nei nostri colori, ci siamo fatti scudo con
l'ironia che è sempre la luce dell'intelligenza: così gli altri non ci possono toccare.
Mentre prima eravamo snob - e come tali odiati ora siamo aristocrazia di massa e
veniamo apprezzati. Ma non perché perdenti. Perché, piano piano, stiamo trovando
un modo tutto particolare di essere tifosi. Piacciamo perché noi vinceremo, ma poi
saremo subito pronti al precipizio. Senza mai caderci, però.
Fiorenzo Baini, Bollate (Milano)
8
INTERnamento?
Nuove, brillanti patologie
"So badare ai miei bacilli."
(UMA THURMAN a JOHN TRAVOLTA, Pulp Fiction)
Qualcuno mi ha fatto notare che dentro Interismi non viene citato né Baggio, né
Berti, né Bergomi. Ho risposto che Gresko è nominato dodici volte: le citazioni, di
per sé, non sono un complimento. Però, lo ammetto. Giocatori come Baggio, Berti e
Bergomi li ho rimossi. Strano. Sono stati campioni dell'Inter, sono persone
interessanti. E diciamolo: i giocatori interisti di cui dimenticarsi sono altri. Non
questi. Perché, allora?
Ci ho pensato, e sono arrivato a questa conclusione: Roberto Baggio, Nicola Berti e
Beppe Bergomi sono i re del passato prossimo. Il passato prossimo piace alla
borghesia - di tutti i tempi, in ogni paese - ma non entusiasma i tifosi. I ricordi sono
troppo freschi, non si possono dipingere coi pastelli del ricordo. Le insoddisfazioni
recenti. I sogni vividi ma confusi, come capita al mattino appena svegli. Solo gli anni
consentono di metabolizzare vicende e personaggi.
Prendiamo il grande Roberto Boninsegna, quello che Gianni Brera chiamava "Nano
Bagonghi" (sebbene Bobo fosse più alto di lui): ormai fa parte dell'epos neroazzurro.
Abbiamo tutti negli occhi quel gol in mezza rovesciata al Milan (cross di Facchetti,
botta di Bonimba, esplode san Siro: 19 marzo 1972, Milan-Inter 1 a 1). Tutti
ricordiamo la sua cessione alla Juventus (lui non voleva!), e sappiamo che si è trattato
di una CCCCC (Che Cavoiata Cedere un Campione Così!). Nemmeno l'unica:
Roberto Carlos e Simeone (ancora Inter), Edgar Davids (Milan), Pippo Inzaghi, Bobo
Vieri e Thierry Henry (Juve). Ancora oggi, tutti gli interisti ricordano volentieri
Boninsegna, e lo ascoltano quando parla (poco: bravo Roberto).
Credo che questo discorso valga per qualsiasi squadra. I ricordi hanno bisogno di
tempo, per mettere radici e uscire dalla palude delle aspettative deluse. I re del
passato prossimo vengono celebrati con entusiasmo solo quando hanno vinto molto.
Allora, la musica cambia. Con Diego Armando Maradona, il Napoli ha conquistato
due scudetti, una coppa Uefa e una coppa Italia (spero di non sbagliare): è chiaro che
il Diego può farne di cotte e di crude - anzi: ne ha fatte, e ne fa - e resta
indimenticabile. Lo stesso accade in Argentina. Con Maradona la Seleción vinceva, e
El Diego laggiù è un santino, come Evita, Che Guevara e Gardel. Monzon e Batistuta
sono un gradino sotto. Caniggia, eroe capelluto di un mondiale perduto (Italia 90), lo
ricordano in pochi.
Poveri re del passato prossimo, dunque. Non tutti hanno trovato nuove soddisfazioni
(come Beppe Bergomi in televisione; o Roby Baggio, che ancora gioca, guardato con
tenerezza dalle bresciane). Pochi sono stati campioni in una grande squadra: magari
erano solo buoni giocatori in una squadra qualunque. A costoro - ai prìncipi per un
pomeriggio, alle sorprese di un girone d'andata, ai cannonieri dimenticati, ai portieri
segnati dai calci in provincia - non regaliamo nemmeno un ricordo, che in fondo è
gratis. Ogni tanto li vedo, quei personaggi, ospiti un po' impacciati in qualche
trasmissione TV. Vorrei abbracciarli, ma non lo faccio. C'è il vetro, per fortuna, a
proteggere le loro vite normali dall'entusiasmo sospetto di chi deve farsi perdonare
un'amnesia.
La psicopatologia del tifoso è sempre interessante. Ci sono cose che uno ama e non sa
perché; strane amnesie (vedi sopra); personaggi insopportabili, al di là dei demeriti
oggettivi; vicende che fanno soffrire, e non ce ne sarebbe motivo (il mondo ha
abbastanza guai veri; quelli di una squadra di calcio sono - diciamolo irrilevanti).
Ecco la mia confessione. Non se n'abbiano a male i personaggi che cito. Se uno gioca
al calcio (allena, dirige, commenta) diventa un personaggio letterario. E i personaggi
letterari si amano o si detestano, con un trasporto che diventa catarsi (scusate le
parole difficili: servono a giustificare l'ingiustificabile).
SINDROME DI MORFEO Solo l'Inter poteva comprare un calciatore che si chiama
come il Dio del Sonno.
Entra nel finale di Inter-Roma, si fa subito fregare la palla (gol di Montella, 3 a 3
finale) [Inter-Roma, disputata il 6.4.2003. Risultato finale 3-3 (48' Cassano, 51' Vieri,
57' Recoba, 77' Emre, 81' Di Biagio [aut], 82' Montella).]. Dormiva? E come
dimenticare quel rigore tirato a tradimento (e sbagliato) a Leverkusen? Ha provocato
sofferenza extra a tutti gli interisti (come se non soffrissimo abbastanza). So che è
ingeneroso prendersela con un giocatore, ma non ci posso far niente: quando Mimmo
entra in campo, divento nervoso. Pensavo che, partito Gresko, non avrei avuto più di
questi problemi. Sbagliavo.
BAFFETTO E TURBAMENTO Sandro Mazzola è il mio complesso di colpa, e
nessuno ama i propri complessi di colpa. E` stato l'idolo assoluto della mia infanzia.
Quel suo procedere a scatti rapidissimi verso la porta, certi suoi gol con la gambetta
tesa sono depositati in profondità nel mio cervello. E allora perché non ne scrivo mai,
non ne parlo mai, non ho mai cercato di conoscerlo (a differenza di Facchetti, Oriali e
Spillo Altobelli)? Mazzola è stato rimosso.
Immagino che all'interessato non possa importare di meno. Ma io non capisco, e sono
(relativamente) turbato.
TACCHETTATE E TACCHINARDI Alessio è di Crema, come me. E un buon
giocatore, e dimostra la forza della società in cui gioca: un posto dove pianti peones e
crescono peonie. Dovrei essere un ammiratore di Tacchinardi (perché un interista può
ammirare gli juventini: dateci Nedved e Camoranesi, vi diamo Guly e Conceiçao).
Ma non ci riesco. Lo trovo rude oltremisura, tremendo come sappiamo esserlo noi
cremaschi. L'uomo del fallo sulla tre quarti, così l'azione avversaria è bloccata. Sorry,
Alessio. Un giorno ci troveremo in via XX
Settembre, sotto il sole a picco e ci sfideremo a duello.
CALMA, JOSE`! Il suo entusiasmo, da principio, mi piaceva.
Poi ho cominciato a trovarlo estenuante. Gridare "Manuale del calcio! ! " quando un
attaccante fa il suo dovere (tira in porta invece di abbattere un cartellone
pubblicitario). Sostenere che "una partita senza gol è come un amore senza baci".
Esclamare "uno spetaculo MA-GNI-FI-CO! IN-DI-MEN-TICA-BI-LEU", quando si
tratta solo di un buon incontro. Percepisco un eccesso di punti esclamativi, nel
linguaggio altafiniano. Ogni tanto però l'uomo si riscatta. Come quando ha detto
(durante la telecronaca di Inter-Roma su Tele+): "Gli arbitri brasiliani hanno in tasca
uno spray e con quello segnano sull'erba la distanza della barriera". Questa, devo dire,
m'è piaciuta.
C'è un calciatore che mi ha sempre incuriosito. Quello che tutti stimano, quello che
tanti applaudono, quelli che molti vorrebbero come amico, quello di cui anche gli
avversari dicono bene e i tifosi delle altre squadre non riescono a parlar male. Sto
parlando del giocatore buono e bravo (B&B), che non è necessariamente un bravo o
un buon giocatore (spesso sì, però). Certamente è affidabile, leale, professionale. Se
fossero tutti come lui, il campionato sarebbe di una noia mortale. Ma va bene così: il
giocatore B&B è il buon esempio che non tutti seguono.
E` istruttivo cercare di capire chi sono, e come si creano, questi personaggi. Magari
non s'impara nulla su di loro, ma si capisce qualcosa di marketing calcistico. E chissà
- si trova qualche spiraglio nella testa di noi tifosi, che è misteriosa come la giungla
del Borneo (e altrettanto calda).
Chi sono, i giocatori B&B? Pensateci, e verranno in mente anche a voi. Parliamo di
gente come Javier Zanetti, Billy Costacurta, Cafu, Luchino Zambrotta, Darione
Hubner, Soldatino Di Livio. Ma parliamo anche di Vieri e Peruzzi (non si somigliano
un po', i due? Angelo sembra Bobo riflesso nello specchio convesso di una fiera). Tra
gli ex e gli emigrati, sono campioni B&B il capelluto Zamorano, l'uomoragno Zenga,
lo zio Bergomi, il prozio Bulgarelli, l'altofusto Facchetti, l'arcangelo Albertini, il genietto Zola, il marcatonio Van Basten, lo zingaresco Zico.
Vediamo di ragionare. Perché mette d'accordo tutti, uno come Pupi Zanetti? Perché
aiuta i bambini dell'Argentina e ha una moglie bionda e sveglia? Anche Ronaldo ha
una moglie sveglia e bionda, e aiuta i bambini del Brasile: ma non è simpatico (ho
letto che intende tornare a vivere a Milano perché qui "ha tanti bei ricordi". Lui,
forse. Noi, meno). E Zambrotta, perché è così ecumenico?
Perché è garbato e somiglia a un ufficialetto sabaudo?
Anche Pippo Inzaghi è garbato e somiglia a un ufficialetto (sovietico?). Eppure
rientra nella categoria opposta: gli antipatici a prescindere, quelli che quasi risultano
odiosi anche ai propri tifosi (a me, personalmente, Superpippo piace: come punta,
quando corre; come attore, quando cade).
Continuiamo a riflettere. Perché piaceva Zamorano? Perché era una bandiera? No:
molti giocatori sono rimasti all'Inter più a lungo di lui. Perché era cileno?
Be', anche Pinochet è cileno, e non piace a nessuno. Perché ce la metteva tutta?
Anche Conceigao s'impegna, ma al terzo cross sbagliato vien giù San Siro dai fischi.
Qualcuno sostiene che il giocatore conquista la qualifica B&B quando è bravo nelle
pubbliche relazioni. Ma uno come Hubner in pubblico parla a monosillabi (oppure sta
muto come un luccio). Volete vedere che piacciono quelli che non picchiano? Ma
Costacurta è un discreto martellatore, e Albertini non è un principino (infatti è finito
all'Atletico e non al Real). Eppure tutt'e due sono classici B&B. E se lo dice un
interista, dovete crederci.
Forse la spiegazione sta in una combinazione di elementi. Il giocatore B&B, quello
che mette d'accordo tutti, non simula e non imbroglia (Zola); è lo stesso in campo e
fuori (Zanetti); corre come un matto (l'altro Zanetti); ce la mette tutta, in qualsiasi
squadra (Zamorano, Zico); è un po' matto ma simpatico (Zenga, Zigoni); è solido
(Zoff, Zamora); è un gentleman (Zio Bergomi); non pianta grane agli allenatori
(Zambrotta, Zidane). Accidenti: volete vedere che occorre un nome con la Z, per
piacere a tutti? Fosse così, ridateci Zonaldo. Chissà che non riusciamo a trovare
simpatico pure lui.
INTEROSOFIE
Caro Beppe, ti scrivo per conto di Raffaella, una mia cara amica/collega che non ce la
fa più a essere interista: troppe le delusioni e le umiliazioni ("Morfeo è un giocatore
di calcio?", continua a ripetere solcando nervosamente i corridoi). Dopo il 5 maggio
2002 pensava d'aver visto tutto: ma non è così! Ieri sera, tornata mesta e congelata
dallo stadio dopo Inter-Roma (3-3, nel modo che sappiamo), ha affogato la sua
amarezza in un uovo di cioccolato da 2 kg.
L'unica certezza è che diventerà obesa.
Continua a ripetere "Ho il buio dentro". Stiamo pensando di curarla col Prozac, ma
uno scudetto sarebbe meglio.
Mina Piccinini, Casteggio (Pavia)
Caro Severgnini, tutto è compiuto, non manca più nulla, ora siete entrati a pieno titolo
anche nella fisiognomica.
Nella pagina degli esteri del "Corriere" di lunedì 26 maggio, Massimo Nava ci
aggiorna sulle vicende di Lue Ferry, filosofo e ministro dell'Educazione francese.
Contestato, prossimo alle dimissioni, se ne va in giro con un'espressione stupita e
delusa. Nava sintetizza così: una faccia da interista. Vi vedremo presto sui vocabolari,
sezione neologismi?
Silvana Meroni, Concorezzo (Milano)
Cara Silvana, c'è un equivoco. Certamente Nava intendeva dire: interista = individuo
disincantato, autoironico, poetico, impermeabile all'euforia becera, occasionalmente
malinconico, mai davvero depresso, capace di reagire, rassegnato all'imperfezione del
mondo, consapevole della relatività delle difese, ammiratore della generosità
dell'attacco solitario, nobile nella sconfitta, galante nella vittoria (a proposito,
quando?).
9
INTERurbane & INTERcontinentali
Viaggi e amori
"Dio ha inventato prima il viaggio, poi il dubbio, poi la nostalgia."
(HARVEY KEITEL, Lo sguardo di Ulissé)
Sono all'aeroporto Ezeiza di Buenos Aires, in partenza per Santiago del Cile, con
birra Quilmes e supplemento sportivo della "Nación", e penso che forse è il caso di
sentirsi in colpa. Tra le attività culturali in Argentina - primo viaggio, mai stato prima
in Sudamerica - sapete quale ho scelto? Il calcio. Dopo tre giorni sapevo la classifica
del campionato (Apertura 2002), i colori delle maglie, la classifica dei marcatori.
Dopo una settimana avevo deciso che il River è la Juventus (forte, regolare,
istituzionale); il Milan è il San Lorenzo, detto el Ciclón (impressionante, ma
vulnerabile); e il Boca è un ibrido tra Napoli, Roma e Torino (sentimentale,
irregolare). Dopo aver visto il Vélez Sarsfield segnare due gol (col "Piojo"
Valdemarìn), prenderne tre e pareggiare in extremis, ho deciso che il gemellaggio era
fatto: Inter e Vélez. Non tutte le squadre, infatti, sanno complicarsi la vita così.
Oltretutto, il Vélez è stato campione intercontinentale, ma da un po' non vince. E ci
giocava il "Cholo" Simeone, ovvero l'Altro Che Non Dovevamo Vendere.
Che bello, quel sabato sera a la cancha de Vélez, al campo del Vélez, nel barrio di
Liniers. Voi direte: se ti piacciono le squadre argentine, non ti basta l'Inter? No:
l'Inter è argentina in campo, in panchina e nello spirito, ma sugli spalti siamo italiani.
Io invece volevo vedere l'Argentina allo stadio, e Andrés de la Fuente - papa di Paula
Zanetti, moglie di Javier - s'è offerto di accompagnarmi. Non so cos'abbia visto della
partita, pover'uomo, perché l'ho bombardato di domande. Ma mi ha risposto, e questo
è quello che ho capito.
Mi piace, del calcio argentino, l'aspetto artigianale: erano cosi, colorati e imperfetti,
gli stadi dei miei ricordi di bambino. Mi piace che i giocatori sbaglino pochi
passaggi, un'abitudine che molti sembrano perdere appena mettono piede in Italia. Mi
piacciono le pagelle dei giornali. I giocatori prendono voti veri (non come nella
prudente Italia, dove diamo 5,5 al peggiore e 6+ al migliore). Il portiere Gaston Sessa
del Vélez (espulso) ha preso 1; il delantero (attaccante) Rodrigo Astutillo, del San
Lorenzo, ha meritato 8, ed è stato la figura delpartido, il miglior giocatore della
partita. Mi piacciono i soprannomi, che vanno dall'affettuoso al leggendario,
passando per l'incomprensibile. Nel Vélez c'è il "Mencho" Bustos, una sorta di Emre
delle pampas; nel San Lorenzo, Leandro "Pipi" Romagnoli, un trequartista niente
male.
A Moratti segnalo, nel Vélez, il biondo Jonas Gutierrez, un dinoccolato esterno
sinistro che difende bene, e si fuma tre awersari ogni volta che va al cross dal fondo
(un'attività quasi scomparsa, nell'Inter).
Gutierrez ha pure il passaporto italiano (o almeno così mi ha detto la mamma, quando
mi ha visto prendere appunti).
La tifoseria (hinchada) è altrettanto fascinosa. Il suocero di Zanetti - ex-rugbista, una
vaga somiglianzà con Cofferati - mi ha indicato la murga, la processione pre-partita,
dove tifosi da due agli ottant'anni si dimenano al suono dei tamburi; e la barra brava,
il gruppo degli scalmanati, che entrano a partita iniziata (non chiedetemi perché: ma
lo fanno). Interessanti anche le tifose, brune e bionde, degne rappresentanti di Buenos
Aires, patria di belle donne, come quasi tutte le città che iniziano per "B" (Belgrado,
Barcellona, Belfast, Bruxelles, Budapest, Bratislava, Berlino, Boston, Bangkok,
Beijng-Pechino, l'intero Brasile; senza dimenticare Bologna, Bari, Brescia e
Bergamo).
Malinconici, invece, i molti posti vuoti sugli spalti. In Argentina, oggi, i dieci pesos
(tre dollari) del biglietto sono una somma che molti non possono permettersi.
Questo dice il suocero di Javi Zanetti, e io ci credo.
Ho passato mezza giornata alla Pinetina di Appiano Gentile, un nome che mi è
sempre sembrato strepitoso.
"Vai a piano, sii gentile" dicevano le nonne nelle campagne lombarde. "La Pinetina"
mi ricorda invece le vacanze a Forte dei Marmi negli anni Sessanta. Pensione sul
mare, odore di pini marittimi nel silenzio del primo pomeriggio.
Dicevo: ho passato mezza giornata ad Appiano Gentile tra i giocatori dell'Inter,
fingendo di voler accontentare mio figlio Antonio (anni dieci, quello che ha rispedito
la maglia a Ronaldo). Perché, diciamolo: i calciatori sono giocattoli per grandi.
Soprattutto quelli della propria squadra. Costano, è vero (ma li paga qualcun altro).
Corrono (quasi tutti). Parlano. Sono - lo sapevo, ne ho avuto conferma - oggettivamente interessanti. Li guardavo, nella sala centrale della Pinetina: sono proprio
ragazzi, con qualche eccezione. Hanno belle facce, capelli folti e cosce grandi,
giocano coi cellulari e trafficano coi computer, indossano tute e cappellini degni di un
ghetto americano. Giovani in Italia, dunque.
L'Inter, essendo l'Inter, ci mette del suo. La combinazione argentino-turca - che mi
piace, sia chiaro - è insolita. E` come accostare un asado e un baklava: si può fare, ma
è strano. Se il piccolo grande Belozoglu mi chiede cosa voglio bere, dice: "Ne
iceceksiniz?". Lo chiedesse Crespo, direbbe: "Quépuedo ofrecerle?". Eppure, in
campo e non solo, i due si intendono.
Sì, è così. La Pinetina, per un pomeriggio, mi è sembrata la stanza-giochi di Toy
Story. Hector Cuper somiglia poco a Buzz Lightyear, è vero; ma è altrettanto
filosofico. Convocato da Susanna W. (o W Susanna, fate voi), si è seduto e invece di
dirmi: "Bella giornata!", ha chiesto, sgranando gli occhi angloargentini: "Un
giornalista riesce a essere obiettivo?" Gli ho risposto: "Non si preoccupi. Nel caso
dell'Inter, non ci provo nemmeno".
Perché dovrei, infatti? Il tifo è una forma benefica di regressione infantile, e non
intendo rinunciarci. Certo, se mi fate domande serie e mi costringete a rispondere,
rispondo (La Juve, negli anni, è stata favorita? Oh yes. Il Milan è forte come dicono?
Ma no. Eccetera). Resta un problema. I calciatori accettano d'essere gli eroi della
stanzagiochi? Capiscono che - finché vestono quella maglia, finché non ne
combinano una proprio grossa - proiettiamo su di loro le nostre fantasie? Conosco un
dirigente d'azienda, un tipo con duemila persone sotto di lui, che per rilassarsi
disegna formazioni neroazzurre, e ragiona su chi mettere alla fascia sinistra (se
giunge a qualche certezza, ce lo faccia sapere).
Mi chiedo spesso cosa pensino i calciatori di giornalisti e scrittori. Non solo dell'Inter
in genere.
Parlando con loro, in questi anni, mi sono convinto che abbiano un rapporto ansioso
coi colleghi delle pagine sportive: temono che una battuta diventi un titolo, un titolo
diventi un problema, un problema diventi un processo (di Biscardi), un processo
diventi un caso nazionale, e un caso nazionale gli rovini la carriera. Certi giocatori
formano però amicizie con alcuni giornalisti, che durano negli anni (per simpatia, per
convenienza reciproca: talvolta le cose vanno insieme). Altri non sono assolutamente
interessati.
Pensano che i giornalisti siano come i vigili urbani. Magari servono, ma non per
questo uno deve passarci il tempo libero.
Per un giocatore, il giornalista-tifoso -quello che non deve conquistarsi, perché lui ha
già regalato il suo cuore - dev'essere il più indecifrabile. Vuoi farti ragionare di
filosofia, quando tu sai tirare le punizioni.
Ha l'età di tuo padre, ma se l'è dimenticato. Ti chiede se puoi fare una foto (grazie
Bobo) o firmare un autografo per il figlio (grazie Emre, Toldo, Coco, Bati,
Cannavaro), ma sai che gli autografi li chiedono anche a lui. Cosa ne fai - tu,
calciatore - di quest'uomo? Niente, lascialo fantasticare. Gioca, non deluderlo, e
comportati bene. Anche la stanza di Toy Story, in fondo, ha le sue regole.
Il calcio ha alcuni angoli tradizionali, direi quasi romantici. Un piccolo mondo antico
che, in qualche modo, ci consola. Pensate all'arbitro: lo stesso di cent'anni fa,
costretto a decidere su un gioco dieci volte più veloce, circondato da interessi cento
volte più grandi. Le pettinature dei calciatori, alcuni dei quali sembrano essersi
ispirati a una copia della rivista "King" anno 1993 (tre nomi per tutti: Nedved,
Crespo, Delvecchio). E cosa dire delle giacche e cravatte degli allenatori? Cuper,
Mancini, Capello, Ancelotti: la domenica vanno in panchina come se andassero a un
ricevimento. Non posso pensare a un abbigliamento più inadatto. Ma non mi dispiace,
anzi quasi mi commuove. Capisco che è un rito, e un tradizionale segno d'autorità
(voi in mutande, io in giacca e cravatta: comando io). L'equivalente del Sun-day best
per i minatori dello Yorkshire, del vestito della festa nella campagna lombarda,
dell'abito di nozze in un ristorante sul mare di Marsala (con tanto di cravatta allentata
nel primo pomeriggio).
Cuper, Mancini, Capello, Ancelotti, vi prego: non cambiate(vi). Altrimenti il calcio
sarebbe uno sport come un altro, e noi non vogliamo.
Caro Beppe, quali sono i tuoi nomi calcistici preferiti?
Qual è, secondo te, il nome che più di tutti "somiglia" al giocatore che lo porta? Mi
spiego meglio con la mia classifica (dal quinto al primo posto).
5‘ Horst Hruhesch Scaricatore diporto da 1,88 per 88 chili, fu scambiato per un
attaccante. Nel nome il suono di un cingolato-anfibio-trasporto-truppa.
4‘ Pasquale Bruno Perfetto nome da stopper. C'è la rudezza del profondo Sud e
l'oscurità che attende l'attaccante che gli s'avvicina.
3‘ George Best Sapore di birra doppio malto e di ubriacanti dribbling. Vizioso e
viziato, era meraviglioso ("gorgeous"), si credeva il migliore ("thebest").
2‘ Pietro Vierchowood Arcigno marcatore. Duro come una roccia, severo come un
sergente dell'Armata Rossa.
1‘ Zinedine Zidane II nome è una serpentina fra due avversari, con palla che
scompare. Il cognome è l'apertura smarcante.
Ora tocca a te. Non valgono i brasiliani (Didì-Vavà-Pelè) perché la perfezione è fuori
classifica.
Questo mi scrive Massimo Discenza, e devo accettare la sfida. Siccome il libro è mio,
ne approfitto e scelgo addirittura dieci nomi.
10‘ Mauro Bicicli Gregario nell'Inter dell'ottavo scudetto (1962/63). Mio concittadino
(di Crema), era la riserva per eccellenza: ma riserva utilissima, più di un titolare.
Sento la voce del Mago Herrera che grida: " Bicicli!
Entra e pedala!".
9‘ Marco Ferrante Nome metalmeccanico della Torino operaia che sente vicina la
retrocessione.
8‘ Roberto Rosato La perfezione di questo nome è data dalla sua perfidia. Roberto
Rosato, delicata allitterazione primaverile. In effetti, RR era un asciutto, spietato,
durissimo stopper del Milan. Il cognome leggiadro - unito ai lineamenti aggraziati
serviva a ingannare il centravanti di turno.
7‘ Ivan Ramiro Cordoba Un mio mito personale. E la versione calcistica di Speedy
Gonzales, un altro fulmine latinoamericano. Ivan Ramiro! Nessun creatore di cartoni
animati avrebbe potuto inventare un nome migliore, per uno che corre i cento metri in
10' 8".
6‘ Giuseppe Furino II piccolo Furino era un furetto: rapido, spietato, con un musetto
curioso. Uno juventino che ha fatto la storia d'Italia e ha rivoluzionato le nostre
conoscenze zoologiche.
5‘ Jaap Stam Più che un nome, un'onomatopea. " STAM ! ", e la difesa si chiude.
4‘ Francesco Guidolin allenatore del Bologna. Un leader capace, ma forse non fornito
di sufficiente autorevolezza. Più che un condottiero, un conducente.
3‘ Carletto Muraro Attaccante dell'Inter tra gli anni 70 e gli anni '80. Una murena al
curaro (quando imbroccava la partita).
2‘ Adrian Mutu Una volta siamo stati ospiti insieme alla Domenica Sportiva", e non
ha detto niente.
1‘ Tarcisio Burgnich Un nome, un destino. Burgnich è il suono di un'ala sinistra che
si schianta contro un terzino destro. Tarcisio è la spiegazione sufficiente: l'arbitro
assiste, e non ammonisce. L'uomo è la camomilla degli interisti: ne avessimo, oggi, di
giocatori come lui.
Mai giovane, mai vecchio: da quando lo ricordo (Album Panini 1962/63), ha sempre
la stessa faccia. Perché lo metto in cima alla mia classifica? Per il luogo di nascita.
Non Colfiorito, non Bellamonte: ma Ruda (Udine). Non è la perfezione assoluta?
Ho scoperto che nel nuovo bar del "Corriere della Sera", disegnato dall'architetto
Vittorio Gregotti, servono la spuma (al bitter, al chinotto), e ho capito d'essere più
vicino ai cinquanta che ai quaranta. I ricordi d'infanzia, infatti, s'affollavano in testa
come i cross del Valencia nell'area dell'Inter.
Per un'intera generazione - io sono del 1956 la spuma costituisce un evocatore
potente. Era la bevanda ufficiale degli oratori italiani, un soft drink per bambini duri,
l'alternativa alla Coca-Cola (bevanda da occasioni speciali, come feste e compleanni)
e all'aranciata San Pellegrino (bella bottiglietta, ma troppo piccola). La spuma veniva
servita in bicchieri grandi da bottiglie verdi, simili a quelle dell'acqua minerale. Dopo
una partita tre contro tre, giocata alle quattro del pomeriggio, aveva un sapore
delizioso. Se i nostri figli vivono l'età del Gatorade, e i nostri fratelli hanno
attraversato l'era dell'Enervit, noi apparteniamo alla Spuma Generation. Il massimo
rappresentante, nelle mie terre, è Cesare Prandelli, buon giocatore della Juventus, ora
ottimo allenatore del Parma. Tipo in gamba, e pure simpatico: faceva come me il
liceo a Crema, ma la famiglia vendeva acque gasate a Orzinuovi. Per questo tutti lo
chiamavano Spuma Prandelli, un soprannome che evidentemente gli ha portato
fortuna.
Ma l'oratorio non era solo una bibita, per quanto storicamente interessante. Era anche
il luogo della passione, della confusione, della sudorazione e dell'indeterminazione: la
stessa che oggi ci aiuta a sopportare l'illogicità del calcio. Prendiamo le porte.
Al San Luigi di Crema (via Bottesini, a cento metri dalla scuola elementare di Borgo
San Pietro) le facevamo coi maglioni, e non credo che ne esistessero due uguali.
Poi siamo passati a usare come pali i sostegni della recinzione del campo (dove
giocavano i grandi). Quindi ci siamo spostati tra due alberi (platani, se ben ricordo).
Quando venivamo ammessi al campo regolare (si fa per dire), dove esistevano porte
vere, ricordo un'emozione fortissima. Durante il mio turno in porta - toccava a tutti,
prima o poi -guardavo in alto affascinato. Solo a Manhattan, anni dopo, ho riprovato
la stessa sensazione.
Lassù infatti stava la traversa, una presenza nuova e insolita. Sopra i maglioni, gli
alberi e i sostegni della recinzione c'era, invece, soltanto il cielo. Il "tiro alto" era
perciò una categoria filosofica, e l'inizio di una discussione infinta (il processo per il
Lodo Mondadori, in confronto, è una bazzecola). A questa indeterminatezza Sandro
Baricco ha dedicato un piccolo monologo, tempo fa, nel corso di una serata a Cesena,
organizzata dall'Osvaldo Soriano Football Club (la nazionale degli scrittori). Anche
lui riconosceva la delicatezza e la complessità dell'argomento. Per esempio: l'altezza
del tiro va calcolata sull'altezza del portiere? Nel caso di portiere basso, può essere
giudicato alto un tiro non-così-alto?
Ricordo che al San Luigi di Crema alcuni di noi, in assenza di pali, riuscivano a
vedere perfino l'incrocio dei pali, riassunto della perfezione balistica. E talvolta - di
colpo, senza discussioni e senza spiegazioni la decisione veniva accettata da tutti. Era
un'epifania, un piccolo miracolo nel sole di un maggio lombardo.
Non so come potesse accadere. Adesso vado di là, ordino una spuma al bitter e ci
penso.
INTEROSOFIA
Caro Beppe, quello che mi spinge a scriverti è la tua, non mia, fede nell'Inter. In
realtà la fede che ti lega al mio ragazzo, e sta condizionando la mia esistenza.
Partiamo da una considerazione: nonostante quest'anno io abbia utilizzato tutti gli
amuleti, nonostante abbia regalato al mio ragazzo tutte le magliette ed i gadget
possibili, nonostante i viaggi a San Siro, è accaduto di nuovo.
Come far uscire un interista dal tunnel di delusioni? Come non far condizionare il
proprio fidanzamento dall'Inter? Due sere fa il mio ragazzo è venuto a Milano a
vedere l'ultimo atto. Io pensavo che dopo, almeno, saremmo stati tutti pronti per
ombrellone e mare, invece no: adesso si pensa a gufare! Ma contro chi? Qui viene il
nuovo dilemma. Contro il Milan che vi ha buttato fuori o contro la stramaledetta Juve
che vince sempre?
Ti prego: dammi un segnale di incoraggiamento, almeno dallo al mio ragazzo. Io tifo
Roma, quindi ci sono abituata, più o meno. Come si fa a superare un'altra estate
cercando la "Gazzetta" in posti sperduti nel mondo solo per vedere se siete riusciti a
comprare l'ennesimo terzino sbagliato?
Grazie. Se hai voglia, se hai tempo, siamo qui.
Catia Augelli, Roma
Capisco le difficoltà, Catia, ma non vedo soluzione. Tu non cambi ragazzo, lui non
cambia squadra. L'unica possibilità è distrarlo: viaggi o letteratura, dolci o sport,
amore o karaoke.
Vedi tu.
10
INTERiorità
L'ottovolante
"II mio destino è di non arrendermi."
(NICOLE KIDMAN, Ritratto di signora)
Il calcio è una forma di regressione infantile, e questo è il bello. I trentenni si
comportano da sedicenni, i quarantenni da quattordicenni, i cinquantenni da
dodicenni, e via scendendo. Guai se non fosse così. Il football sarebbe uno sport
come un altro. Invece è una lieve ossessione che ci fa compagnia, un modo di tener
allenata l'euforia, un tentativo di coltivare piccole paranoie tascabili, un espediente
per esercitare la nostra sospettosità (grazie, Moggi!). Il calcio, soprattutto, è
possibilità di sognare. Nessuno può escludere che la prossima stagione sia trionfale.
Neppure i tifosi del Napoli e del Genoa, anche se a loro occorre molta fede e buona
volontà.
E` un ragionamento molto interista, dirà qualcuno.
Vero. Ma non è solo interista. Direi che riguarda tutti, salvo gli juventini, i cui sogni
sono di natura diversa: loro s'aspettano la vittoria, e per questo temono la sconfitta.
Come ha scritto Sandro Veronesi sul "Corriere" nel giorno dello scudetto (un altro?
che noia): gli juventini quando vincono non provano mai vera gioia, soltanto sollievo.
Come il marinaio che schiva un'onda gigantesca, ma sa che ne arriveranno altre
(infatti, è arrivata Manchester).
Per noi umani, invece, l'illusione è genuina e scintillante, come una pozzanghera in
un mattino di giugno. In alcuni casi questo sentimento è comprensibile (penso ai
doriani, ritornati in serie A). In altri casi, l'interpretazione è più difficile. Mi affascina
soprattutto la capacità di rialzarsi dopo l'ennesima batosta, o un'altra delusione,
oppure la solita annata mediocre. Se incontro ancora Bruce Springsteen glielo dico:
The Rising deve dedicarla a tutti i tifosi di tutte le squadre di calcio di tutti i paesi.
Magari con una menzione speciale per noi dell'Inter, capaci di deprimerci il 13
maggio (usciti dalla Champions League senza perdere); di risollevarci il 24 maggio
(secondi in campionato, niente preliminari); di immalinconirci davanti alla TV il 28
maggio, nella consapevolezza che una delle due, comunque, doveva vincere.
Ma di risollevarci ancora, quasi nostro malgrado, ora che è finito tutto, e tutto
ricomincia. Un'eterna palingenesi, come direbbe Gaucci.
Tifare per una squadra di calcio è come stare su un ottovolante: ogni tanto ti viene da
vomitare, ma non è mai noioso.
I primi segni di risveglio sono gli sguardi distratti alle pagine sportive, per vedere chi
resta e chi parte (sebbene avessimo giurato: "Basta! Per tre mesi non vogliamo
saperne più niente! "). Subito dopo cominciamo a disegnare formazioni, a sognare
acquisti e cessioni (sorry, Morfeo), a disporre gli uomini sul campo, immaginando
cosa farà l'allenatore (noi abbiamo Cuper, che è una sorta di Albus Silente del calcio
moderno: saggio è saggio, ma non si sa mai dove va a parare). Poi seguono i
trasferimenti veri, i molti baratti, i pochi acquisti, le dichiarazioni. Tutta roba da
commentare (ogni squadra sembra più forte, poi si scopre che non è vero). Materiale
perfetto per i giorni di vacanza.
Combustibile ideale per battibecchi e malintesi. Immaginate.
Passeggiata sulle Dolomiti. Lui (interista) dice a lei (juventina), in presenza di una
mucca (milanista?): "Stavolta, niente preliminari!". Risposta: "Come se fosse una
novità".
A quel punto è ricominciato tutto. I due, che in maggio si dichiaravano nauseati dal
calcio (lui più di lei, chissà perché) si ritrovano a guardare il Trofeo Tim in
televisione.
E fantasticano, discutono, litigano, si arrabbiano, si perdonano, si eccitano, gridano e
trattengono il fiato, come bambini sull'ottovolante.
E poi ditemi se il calcio non è affascinante.
INTEROSOFIA
Ebbene sì lo ammatto - che buffo lapsus cioè lo ammetto: sono interista. E anche
quest'anno ho cercato di riflettere sul perché continuo a tifare per questi colori, come
quando la persona amata ti tradisce o ti fa uno sgarro, e allora ti ritrovi a riflettere se
vale la pena tenerla ancora o mandarla via. Quando ti ho incontrata?
Quando ci siamo conosciuti? Quando mi hai fatto ridere per la prima volta? Quando
mi hai fatto piangere? E per ogni domanda c'erano ricordi. Ricordi legati all'Inter. La
prima maglietta regalata dal vicino di casa (la numero 9 di Spillo), la prima partita a
San Siro (Inter 2 Juve 1) , il primo scudetto (1'Inter dei record), l'eliminazione dopo il
trionfo col Bayern Monaco, gol di Berti.
Ma soprattutto mi legano a questa squadra i ricordi della vita. Dopo la separazione
dei miei, è stata l'Inter a farmi mantenere un rapporto con mio padre, con cui andavo
a vedere le partite la domenica senza sentirmi in colpa perché lasciavo mia mamma a
casa. E ancora oggi intorno a me c'è una strana solidarietà diffusa. Gente che non
capisce niente di calcio quando gioca l'Inter pensa a me con affetto e, se va male, vive
la stessa mia delusione.
Non so se mi riesco a spiegare, ma sono proprio questi momenti che contano, in un
rapporto difficile; e allora aspetti la prossima occasione per crederci e illuderti di
nuovo, e pensi che andrà meglio, che non può finire con le lacrime del Capitano e
l'esultanza degli altri. Patetico, verrebbe da dire. Ma io non vorrei tifare per nessun
'altra squadra.
Elena Tingilo, Genova
Nemmeno io, Elena.
Solita conclusione
L'attesa attenua le passioni mediocri e aumenta le grandi.
Anticipation always lessens common passions and heightens great ones.
La espera atenùa las pasiones mediocres y aumenta las grandes.
A expectativa diminuì sempre as paixòes comuns e eleva as grandes.
Warten làsst matte Leidenschaften verkummern und starke wachsen.
BACIO PERUGINA acquistato nel bar dell'Università di Pavia il 7 maggio 2002.