L`umano animalizzato e l`animale umanizzato: un confronto tra

Transcript

L`umano animalizzato e l`animale umanizzato: un confronto tra
L’umano animalizzato e l’animale umanizzato: un confronto tra "Maria Giuseppa" e "Mani" di Landolfi - II
2. L’umana animalizzata: Maria Giuseppa
2.1. Maria Giuseppa donna e animale
Che Maria Giuseppa sia una donna, non vi è ombra di dubbio; il testo, a questo riguardo, è
pieno di riferimenti espliciti: «Una donna morta per Giacomo?»; «non è peccato essere
conquistato dalle grazie di una donna»;«Maria Giuseppa era una donna che tenevo con me»
ecc. Ma leggendo tra le righe, si ha l’impressione che la natura di Maria Giuseppa, nel corso
della vicenda, sia continuamente messa in discussione; sembra quasi che sia toccata da
un’ambiguità di fondo e contrassegnata da qualità insieme umane e animali. Insomma: a me
pare che Landolfi attribuisca a Giacomo un’instabilità nel definire la natura di Maria Giuseppa.
Vediamo in che modo.
Nel testo “breve e folgorante” [1], l’autore semina indizi che farebbero ipotizzare una simile
coesistenza; si legga a titolo esemplificativo la dichiarazione iniziale del protagonista, Giacomo:
«Devo sgravarmi di quella specie di rimorso che provavo quando la sentivo rantolare, essa» [2].
Noi, come lettori, probabilmente non avremmo dubbi sulla natura di Maria Giuseppa; la
“metamorfosi” della donna e l’ambiguo mescolamento di umano e animale avvengono
esclusivamente nella mente del protagonista maschile che, in questo caso, funge anche da
narratore.
Vediamo altri esempi. «Mi inquietavo sempre con Maria Giuseppa che voleva fare il comodo
suo, che non voleva ubbidirmi ecc.» [3]: l’obbedienza che Maria Giuseppa dovrebbe mostrare
nei confronti di Giacomo (e che solitamente mostra) viene intesa da questi come tipica
obbedienza del cane – dovuta e obbligata – verso il suo padrone. Il testo è pieno di riferimenti a
questo tipo di obbedienza – come fra poco vedremo.
Sorprendente, inoltre, che la sottomissione di Maria Giuseppa sia avvertita anche dall’animale
"vero" della vicenda, cioè il cane di Giacomo [4]:
1/6
L’umano animalizzato e l’animale umanizzato: un confronto tra "Maria Giuseppa" e "Mani" di Landolfi - II
Il mio cane non aveva quell’aria spavalda che hanno certi cani degli uomini intelligenti, e se
incontrava qualche suo simile lo si vedeva evitarlo con gran cura o, sennò, lasciarsi fiutare,
sempre con quell’occhio non tranquillo, ma scemo, che è anche il mio, almeno quando mi
guardo allo specchio. Però, «dove il padrone suo non era vigliacco e cioè a casa sua, coi gatti,
con Maria Giuseppa, anche lui sembrava che acquistasse un coraggio da leone».[5]
Curioso qui (e frequente nel testo) è l’accostamento di Maria Giuseppa ai gatti: il cane
considera la donna non un essere umano, ma un animale (come i gatti), tanto da acquistare
contro di lei “un coraggio da leone”. Insomma la donna si fa animale non solo davanti agli occhi
di Giacomo. Ed essendo l’intero racconto basato sulla versione (o resoconto) che Giacomo
stesso fa a dei non meglio definiti “Signori”, il punto di vista è distorto, e la natura ambivalente
della donna si fa ancora più percepibile. Se poi il cane è soggetto agli scherzi ed eventualmente
ai tormenti del padrone, Maria Giuseppa è succube solo dei tormenti di questi:
«M’alzavo presto, quasi all’alba, e scherzavo tanto col cane, lo tormentavo anche, se vogliamo,
finché non arrivava Maria Giuseppa, e allora
cominciavo a tormentare lei»
. [6]
Qui “la ripresa del verbo tormentare – scrive Dardano – interpreta la volontà dell’io narrante di
equiparare – per l’appunto – la bestia all’essere umano, attuando un processo di sadica
animalizzazione» [7].
Altro esempio: stancatosi di giocare col cane, Giacomo si reca dal suo altro animale da
compagnia, che altri non è che Maria Giuseppa:
Il cane guardava sì allora con un’aria strana, come se fosse spaventato, ma chi se ne curava! Io
lo cacciavo a calci e rimanevo solo…Ma poi mi seccavo presto anche di questo. E pigliavo certe
bocce e le gettavo fra le gambe del cane per vederlo saltare…ma in capo a cinque minuti mi
stancavo. Signori, forse era necessario quindi che finissi in cucina, da Maria Giuseppa.[8]
Di fatto, la donna diviene sostituzione del cane, passatempo del padrone, compagna di giochi,
2/6
L’umano animalizzato e l’animale umanizzato: un confronto tra "Maria Giuseppa" e "Mani" di Landolfi - II
però, “passiva” giacché, a differenza del cane stesso, essa non risponde agli scherzi del
padrone, ma di questi subisce solo i tormenti.
È poi curioso notare che della propria condizione, se non "bestiale" almeno ambivalente,
sembra essere quasi consapevole la stessa Maria Giuseppa, quando Giacomo ricorda:
«Non la battevo quasi mai, ma qualche volta la spingevo con la punta e, in ogni caso, era
sufficiente la vista della mazza a Maria Giuseppa, come ai cani, per farla obbedire. (…) Così
Maria Giuseppa faceva quello che le ordinavo, ma la sentivo borbottare tutta rannuvolata ed
aspra (…),
c
he essa non era una bestia per essere trattata come un cane
e che non aveva tempo di stare a perder tempo e di stare a scherzare con me». [9]
Giova ricordare, però, che l’elemento animalesco nel rapporto tra Giacomo e Maria Giuseppa
emerge anche in circostanze positive, non solo negative. Quando è evocato un evento
spiacevole, «le tirai (…) un piatto in testa, che il Signore me lo perdoni, e poi stetti ad
accarezzarla tanto tempo, Maria Giuseppa [10] », notiamo che Giacomo non chiede perdono a
parole, ma, come se Maria Giuseppa fosse incapace di comprendere, l’accarezza
(sembrerebbe in silenzio) come si farebbe a un animale; e all’animale, infatti, non si chiede
scusa.
3/6
L’umano animalizzato e l’animale umanizzato: un confronto tra "Maria Giuseppa" e "Mani" di Landolfi - II
2.2. Maria Giuseppa donna
Nella parte finale del “resoconto giudiziario” accade qualcosa che, almeno momentaneamente,
fa scattare nella mente del protagonista il processo che porterà all’ “umanizzazione” di Maria
Giuseppa. In occasione della festa patronale, Giacomo “fa il serio”, fingendo d’interessarsi alle
notizie della campagna, e scambia due parole con i coloni. Ma ecco che dalla prima messa
torna Maria Giuseppa con «una veste lucida lucida a palline che sembrava di seta, e un
giamberghino giallo anch’esso lucido». Giacomo sembra vedere la donna con occhi diversi.
Questo cambiamento è messo in luce dallo stesso Giacomo:
«Guardavo Maria Giuseppa che riceveva le cose portate: due ricotte, dieci uova, i fichi di
stagione. Che ho da dirvi? Mi sembrava di vederla allora per la prima volta; aveva un’aria
allegra, e fresca; chi ne capisce niente? Fu come se la trovassi bella, come se avesse respirata
la festa». [11]
Giacomo è chiaro: «mi sembrava di vederla allora per la prima volta». Solo adesso il
protagonista sembra accorgersi dell’essenza umana di Maria Giuseppa, tanto – addirittura – da
trovarla bella. Poco prima aveva dedicato non poche parole alla descrizione del suo vestito
della festa, anche con un certo compiacimento («in testa aveva un fazzoletto celeste con certi
ori che le si addicevano molto»). Insomma, agli occhi di Giacomo, Maria Giuseppa acquista il
rango di donna solo a quest’altezza della vicenda; ed è grottesco notare che Maria Giuseppa
smetta di essere animale solo in prossimità della propria morte (che è la causa del “resoconto”
di Giacomo ai “Signori”).
Questa considerazione tuttavia, come prima dicevo, è solo momentanea: la donna, poco dopo,
ritorna al rango “bestiale”. Giacomo infatti manifesta chiaramente il suo disprezzo, dopo aver
brutalmente consumato lo stupro: «Mi faceva ribrezzo, mi faceva quasi ridere quella mammella
avvizzita e nera tra un brindello di camicia e la catena di ferro dell’abitino».
4/6
L’umano animalizzato e l’animale umanizzato: un confronto tra "Maria Giuseppa" e "Mani" di Landolfi - II
Ulteriore riprova del ritorno alla condizione animale della donna sono le frasi finali. La morte
della donna, infatti, è vissuta dal protagonista con indifferenza:
«Ma forse che è morta per me? E poi, se è morta per me, forse che devo averci rimorso io? Se
m’è piaciuta un momento, oppure se, insomma, l’ho baciata, che ne ho colpa io? Alla fine non le
ho fatto nulla di male».
[1] Così lo definisce C. MARTIGNONI in Landolfi, o il talento della mobilità (generi e strutture
delle prime raccolte)
in La liquida vertigine. Atti delle
giornate di studio su Tommaso Landolfi, Prato, Convitto Nazionale Cicognini, 5-6 febbraio 1999,
a c. di Idolina Landolfi, Firenze, Olschki, 2002, pp. 155-76; 158.
[2] T. LANDOLFI, Dialogo dei massimi sistemi, cit. p. 11.
[3] Ivi p. 12.
[4] Sull’importanza del cane nel bestiario landolfiano vd. C. SPILA, Elementi del bestiario
landolfiano: il cane
cit.
[5] T. LANDOLFI, Dialogo dei massimi sistemi, cit. p. 13.
[6] Ivi pp. 14-5
5/6
L’umano animalizzato e l’animale umanizzato: un confronto tra "Maria Giuseppa" e "Mani" di Landolfi - II
[7] M. DARDANO, L’aristocratico distacco di Tommaso Landolfi, in Leggere i romanzi, Roma,
Carocci, 2008, pp. 161-83; 176.
[8] T. LANDOLFI, Dialogo dei massimi sistemi, cit. pp. 21-2
[9] Ivi p. 16
[10] Ivi p. 17
[11] Ivi p. 25.
6/6