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ECONOMIA ED ETICA
Sfida alla crisi
Stefano Zamagni
(intervista di Nicola Curci)
La Scuola, Brescia 2009
pp. 144, euro 9,30
Presentazione del libro
La crisi finanziaria iniziata negli Stati Uniti nell'estate del 2007 ha una struttura sistematica. Essa
infatti è il punto di arrivo inevitabile di un processo che da oltre 30 anni ha modificato alla
radice il modo di essere e di funzionare della finanza.
Duplice è la natura delle cause della crisi: remota (chiama in causa aspetti della matrice
culturale che ha accompagnato il passaggio da un capitalismo industriale al capitalismo
finanziario) e prossima (frutto delle peculiarità che recentemente ha assunto il mercato
finanziario).
Cause remote della crisi
1.
Il mutamento radicale nel rapporto tra finanza e produzione di beni e servizi che si è
venuto a consolidare nell'ultimo trentennio. Il mito dell'efficienza ha finito per indebolire la
stessa economia. Tre aspetti specifici della debolezza
a. La finanziarizzazione dell'economia: la ricerca senza limiti dei capital gains ha fatto sì che
valori quali l'integrità morale, la relazionalità, la fiducia venissero accantonati. La crescita è stata
fatta sul debito.
b. Fine dell'unitarietà della persona, specie laddove il singolo è artificiosamente frazionato in
lavoratore, consumatore e investitore-speculatore. Con la finanziazizzazione dell'economia il
lavoratore ha lasciato il posto allo speculatore per poter essere un migliore consumatore.
c. Diffusione a livello popolare dell'ethos del criterio dell'efficienza come criterio ultimo per
giudicare la realtà economica.
2.
L'assenza di responsabilità degli economisti, in particolare la maggiore colpa ad essi
imputabile è quella di non aver fatto tesoro del principio di precauzione, quanto meno nel
suggerire determinate scelte.
a. Aver fatto credere che l'efficienza fosse un criterio neutrale rispetto asi giudizi di valore.
b. Aver creduto nella Teoria dello shareholder's value1 (che si fonda sulla creazione del valore
1 La Shareholder Value Theory stabilisce il seguente criterio base affinché la pianificazione permetta di realizzare un'efficace
allocazione delle risorse: un'azienda dovrebbe selezionare quelle opportunità d'investimento che ne aumentano il valore di
mercato di lungo periodo. Per misurare il valore aziendale il nuovo modello di riferimento è quello finanziario che considera
la capacità di generare flussi finanziari durante tutta la vita aziendale, il costo opportunità del capitale investito e il grado di
come principio guida nella gestione di impresa)
c. Essersi affidati ciecamente a modelli teorici matematici, alla lunga rivelatisi fallaci, in
particolare il modello Black-Sholes-Merton.
3.
Problemi socio-culturali quali l'insoddisfazione nell'interpretare il principio di libertà.
Cause prossime della crisi, ovvero cause che sono intervenute quanto la struttura era già
debole.
Aver consentito al settore dei mutui ipotecari subprime di diventare un autentico casinò
1.
finanziario, con la collusione delle agenzie di rating, che promuovevano i subprime.
2.
L'assenza di regolamentazione. Né il Governo, né il Congresso americano, né la Federal
Reserve hanno regolamentato questa materia prima che scoppiasse la bolla.
3.
L'eccesso di indebitamento, visto che il gioco si fondava sulla creazione di debito.
L'insegnamento della crisi
Senza nulla togliere agli indispensabili interventi di regulation del sistema, bisogna
1.
intervenire sulla matrice culturale che ha sorretto il sistema economico finora.
2.
Un mercato che espunge dal proprio orizzonte la democrazia per far posto alla sola
efficienza sospinge l'economia su un terreno oligarchico. Mirando infatti solamente all'efficienza
si dimentica che democrazia e libertà sono valori ad essa superiori.
L'etica della virtù è superiore all'etica utilitaristica se il fine che si intende perseguire è il
3.
progresso morale e materiale della società.
4.
E' giunto il tempo di sostituire ai canoni dello scientific management quelli dello humanistic
management, il cui elemento centrale è la persona e non più la “risorsa umana”.
Allo Stato la crisi insegna che:
1.
pur rifiutando lo “Stato interventista”, non si può fare a meno dello “Stato regolatore”
2.
le autorità pubbliche devono favorire la nascita e il rafforzamento di un mercato
finanziario pluralista (parità di azione con soggetti diversi).
3.
sono usciti rafforzati gli enti che non propongono finanza creativa e che svolgono un
ruolo equilibratore rispetto agli agenti della finanza speculativa.
Agli economisti la crisi insegna che:
1.
Quanto più spinta è la raffinatezza degli strumenti analitici impiegati, tanto più alta deve
essere la consapevolezza dei pericoli insiti nell'impiego pratico dei prodotti della tecno-finanza.
2.
Bisogna affrettare i tempi del superamento della saggezza convenzionale (secondo cui
tutti gli agenti economici sarebbero mossi all'azione da un orientamento auto-interessato). Non
tutti ragionano come l'homo oeconomicus.
rischio dei progetti. In sostanza, al fine di creare valore, una società dovrebbe massimizzare il valore attuale netto dei flussi
finanziari futuri previsti.
Alla società civile la crisi insegna che:
Spetta alla stessa società civile riannodare le corde tra tutti coloro che operano nel
1.
mercato. In particolare deve essere ricostituita quella fiducia tra soggetti economici, senza la
quale non c'è contratto che possa essere siglato.
Ricentrare sia il discorso economico, sia il nuovo assetto istituzionale sulla categoria di
2.
bene comune.
ECONOMIA ED ETICA
Non è corretto parlare di rapporto tra etica ed economia in quanto l'economia è intrinsecamente
forgiata all'interno del discorso etico; bisogna piuttosto considerare la matrice etica sulla quale si
basa l'economia, che è il punto di partenza per impostare un corretto discorso sul tema.
Oggi sia la matrice utilitaristica che quella contrattualistica fanno acqua da tutte le parti. Restano in
gioco il deontologismo kantiano e l'etica delle virtù. Il deontologismo andrebbe bene se l'uomo non
avesse il peccato originale. Se per il deontologismo il primato del vero e del giusto prevale sul
bene, per l'etica delle virtù vi è il primato del bene sul vero e sul giusto. Nella visione cristiana
è questa seconda dimensione che prevale, laddove la giustizia è un valore non per se stessa ma
in funzione del bene. Per questo motivo Benedetto XVI parla di Caritas in veritate e non di Veritas
in caritate, perché è la carità che dà valore ala verità.
Durante la modernità l'economia, subendo l'influsso positivista, ha creduto di non aver bisogno
di confrontarsi con l'etica. Oggi si è giunti alla conclusione che senza un aggancio etico,
l'economia non può stare in piedi (p.e. crisi del neocontrattualismo di Rawls). Il mondo cattolico
– che in passato con Toniolo e altri aveva dato il loro contributo alla riflessione economica - ha
abbandonato da dopo il '68 la riflessione (ultimo fu F. Vito). Prima del 1968 il contributo della
scuola cattolica era essenzialmente volto al rifiuto delle due opzioni estreme, quella
organicistico-marxista e quella liberal-liberista, privilegiando la strada del corporativismo (non
c'entra nulla col fascismo!), modello valido in passato, ma non in una società aperta come quella
che si venne a creare nel dopoguerra. Dopo il 1968 gli economisti cattolici si sono divisi nei due
settori, impedendo però al pensiero cattolico di evidenziare la sua specificità.
La specificità del pensiero cattolico nella scienza economica non è nel modello corporativo (in
quanto il cristianesimo non può essere legato ad un modello, ma a dei principi) ma nella volontà
di tradurre in ambito economico il principio di reciprocità. Da qui nasce l'economia civile, che
si fonda su tre principi fondativi: il principio di scambi equivalenti, il principio di
redistribuzione e il principio di reciprocità. Solo l'economia civile riesce a declinarli tutti tre
contemporaneamente. L'economia civile può essere spiegata come un triangolo: in testa ad
ognuno dei tre vertici si pone una dimensione della libertà (l. positiva – libero di- , l. negativa –
libero da-, e l. per).
Ogni vertice ha pari dignità rispetto agli altri: l'efficienza è necessaria, come l'equità e la
reciprocità.
Il fine dell'economia civile è quello di mettere in gioco non solo nella sfera sociologica e
culturale, ma anche in quella economica la società civile, ovvero quelli che l'art. 2 della
Costituzione definisce i corpi intermedi. Come nella storia da essi sono nate le principali
istituzioni (ospedali, università, banche...), così nell'attuale fase di transizione deve ritornare
protagonista la società civile, alla quale deve essere attribuita una soggettività economica. Alla
stesso modo la finanza – adempiendo la sua origine etimologica – deve tornare ad essere in
funzione dell'economia reale, deve favorire lo sviluppo e la lotta alla miseria, così come accadeva
dal 1300. Nel senso cristiano la finanza è sempre vista legato allo sviluppo della persona, in
tutte le sue accezioni (socio-relazionale e spirituale) e non solo in quella materiale, come
avvenuto negli ultimi decenni.
In questa riforma delle istituzioni giocherà un ruolo fondamentale la sussidiarietà. (Solidarietà è
frutto del movimento socialista, sussidiarietà è proprio della tradizione cristiana). Solidarietà
può essere letta come assistenzialismo e paternalismo, mentre la sussidiarietà prevede un
protagonismo del singolo.
TRE MITI SULLA CONDIZIONE GIOVANILE OGGI
Mito tecnologico: tutto ciò che è possibile va realizzato perché genera, aumenta il valore. (Ciò
che si può fare, si deve fare) e questo ha la sua estensione dal piano tecnologico a quello morale. I
giovani oggi, molto più che in passato, sono sottoposti a decisioni continue che riguardano,
virtualmente, tutti gli ambiti della vita. Quando la scelta consiste nel decidere tra mezzi per
raggiungere un determinato fine (“che cosa devo fare per ottenere ciò che voglio”) il ricorso alla
ragione tecnica è di per sé sufficiente. Ma quando la domanda diventa “che cosa è bene che io
voglia”, bisogna disporre di un criterio di scelta fondato sulla categoria del giudizio di valore. Il
mito tecnologico porta con sé l'insidia che l'avanzamento della conoscenza tecnico-scientifica sia
sufficiente a risolvere ogni problema di scelta. Da questo consegue che le agenzie educative
dovrebbero preoccuparsi di insegnare ai giovani l'uso degli strumenti più efficaci per
ottimizzare il conseguimenti di certi risultati. “E' preferibile una mente ben conformata ad una mente
affollata”. Per ben conformare la mente dei giovani bisogna tornare a parlare di valori.
Mito antropologico: è legato all'individualismo assiologico, di quella posizione cioè che nega il
carattere basicamente relazione della persona, ovvero questo mito porta con sé l'idea che la
realizzazione del potenziale di vita del soggetto dipende unicamente dai suoi sforzi e dalle sue
abilità. La relazione con gli altri è vista solo in funzione di un vantaggio per il singolo e la
realizzazione di sé è l'unico risultato di interazioni di questo tipo. La conseguenza di questo
mito è la crescente diminuzione dei beni relazionali (p.e. L'amicizia) a cui vengono sostituiti i beni
posizionali, che conferiscono utilità per lo status che creano (p.e. Auto di lusso). Questo genere di
beni crea la competizione posizionale, frutto del consumismo, e porta alla diminuzione del bene
felicità. L'aumento del reddito non porta sempre all'aumento della felicità, ma in molti casi ad
una sua diminuzione.
Mito dell'homo oeconomicus: poiché il comportamento degli esseri umani è mosso unicamente
dal proprio interesse, l'unico modo per assicurare un ordine sociale è quello di intervenire sugli
schemi di incentivi per i soggetti. Quindi dall'assunto secondo il quale l'interazione personale
non ha alcun valore in sé e per sé, si trae che, se si vuole che un individuo faccia qualcosa, non
c'è migliore via che quella di offrirgli l'incentivo adeguato. Il sistema di incentivi nasconde
sempre però una relazione di potere e fa venire meno il valore morale di determinate azioni o
comportamenti. Per contenere nei giovani la mentalità economicistica bisogna proporre ai
giovani esperienze autentiche di azione volontaria, bisogna far riscoprire ai giovani il valore del
gratuità, ovvero capire che l'essere umano si scopre nel rapporto interpersonale e dunque che il
suo bisogno fondamentale è quello di reciprocità. Essa è alimentata da due fonti principali: il
dono e lo scambio di equivalenti. Nella reciprocità che nasce dal dono, l'apertura all'altro
determina una modificazione dell'io. La differenza tra dono e scambio è l'assenza nel dono di
garanzia a favore del donatore, generando però fiducia.
Parole di speranza per i giovani...
«Oscillando tra apatia e fanatismo, le giovani generazioni finiscono per mettere in forse la fiducia nella
vita. Una sorta di inerzia conformista sembra dominare il panorama. […] Dobbiamo dunque a tornare a
disseminare ad ampie mani, a gettare semi nuovi senza troppo preoccuparci di sapere dove questi
andranno a finire. Tenendo conto che un progetto educativo scade dal suo ruolo se si limita a conservare e
non si preoccupa di ricercare il nuovo. Ma esso scade anche quando non riesce ad alimentare una nuova
speranza nelle persone, specialmente nei giovani».
L’autore
Stefano Zamagni (Rimini 1943) è professore ordinario di Economia Politica all'Università di
Bologna (Facoltà di Economia) e Adjunct Professor of International Political Economy alla Johns
Hopkins University, Bologna Center. Si è laureato nel 1966 in Economia e Commercio presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano), e dal 1969 al 1973 si è specializzato all'Università
di Oxford (UK) presso il Linacre College. Prima di Bologna, ha insegnato all'Università di Parma
e tuttora insegna all'Università L. Bocconi (Milano) come professore a contratto di Storia
dell'analisi economica.