La nuova questione sociale: Ripensare l - Jean

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La nuova questione sociale: Ripensare l - Jean
La nuova questione sociale:
Ripensare l’articolazione tra
lavoro e protezione sociale.
LAVILLE Jean-Louis (2007). « La nuova questione sociale: Ripensare l’articolazione tra
lavoro e protezione sociale », in COLONNA Marina & PUGLIESE Enrico (eds.), Il futuro del
lavoro in Europa: Occupazione, diritti civili, diritti sociali, Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli, pp. 233-248.
http://www.jeanlouislaville.net
Copyright © Jean-Louis Laville 2009. All rights reserved.
La nuova questione sociale: ripensare
l'articolazione tra lavoro e protezione sociale"
Jean-Louis Laville
I. Introduzione
Dopo la seconda guerra mondiale, con l'avvento dello
Stato sociale, gli individui sono stati liberati dai vincoli
familiari e di vicinato da cui essi dipendevano per tutelare la propria sicurezza. L'impiego salariato è diventato
il «grande integratore»' giacché, se esso era lo spazio dello
sfruttamento e dell'alienazione, era anche il luogo centrale della socializzazione per gli adulti. Inoltre, il lavoro
svolto era valorizzato dalla società come attestato dal reddito monetario che ne derivava. Esso rivelava l'appartenenza a un collettività detentrice di diritti. Nel quadro
delle società salariali tipiche del fordismo, è tramite il lavoro che le protezioni divengono accessibili a livello nazionale permettendo in questo modo l'emancipazione dai
rapporti di solidarietà tradizionali, come sottolineato da
Caste12.
In questo contributo si vuole, in primo luogo, ritornare sul compromesso tra mercato e stato sociale registrando quelle che ne sono state le contropartite. Una delle
principali è di avere posto la solidarietà, divenuta istituzionale, alla dipendenza dalla crescita economica. Se si resta in questa rappresentazione dell'economia nella quale i
'' Traduzione dal francese di Mattia Vitiello.
Y. Bare1 (1990).
R. Caste1 (1995).
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progressi sociali sono indicizzati sui risultati dell'economia di mercato, gli effetti perversi della mercificazione della
vita sociale non possono che accentuarsi, in particolare
l'individualismo negativo o il privatismo. La possibilità di
un riequilibrio dei rapporti tra economico e sociale, di
conseguenza, non può essere ottenuta che a partire da una
riflessione sulle definizioni dell'economia e della solidarietà, che consenta di uscire dall'impotenza politica nei
confronti dell'economia e di realizzare un nuovo avanzamento democratico.
Una condizione necessaria per questo lavoro è la riformulazione dei diritti economici e sociali. In accordo con
gli orientamenti del gruppo di studio europeo coordinato
da Alain Supiot, la seconda parte di questo testo è volta
a dimostrare che le esperienze attuali, rivelando «un'altra»
logica economica, possono costituire una leva per inscrivere nella realtà giuridica il riconoscimento di una pluralità di forme di lavoro che apre ad una riarticolazione dei
rapporti tra lavoro e protezione sociale.
2. Individualismo e cittadinanza: una tensione evolutiva
Lo Stato sociale, che permette alle donne di sottrarsi
ai vincoli comunitari tradizionali, «procura all'individuo la
libertà di non dovere pensare che egli vive in una società».
Questa «produzione implicita di legame sociale da parte
dello Stato» ha per effetto paradossale quello di consacrare
il «trionfo culturale del modello di mercato nelle nostre
società», permettendo «che il legame esplicito non sia più
visto che come un effetto globale dell'aggregazione delle
azioni dove ciascuno non vede che i suoi vantaggi e i suoi
interessb3. Alla personalità moderna subentra la persona-
' M. Gauchet (1998). È in questo articolo che Marce1 Gauchet presenta le tre età della personalità qui riprese: tradizionale, moderna e
contemporanea.
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lità contemporanea nella quale l'individuo ignora di essere
parte di una società «nella quale egli non è più organizzato, nel più profondo del suo essere, dalla precedenza del
sociale e dall'incorporazione nel seno della collettività».
Poiché «gli è difficile rappresentarsi in generale la dimensione del pubblico»4, è nella natura di questo tipo di personalità rendere difficile l'esercizio della cittadinanza.
Uno degli equivoci della nozione di individualismo,
sempre secondo Marce1 Gauchet, è che essa rinvia al principio di legittimità che è quello dei «diritti dell'uomo» e
al fenomeno della privatizzazione. La personalità moderna
comporta un «rafforzamento reciproco tra la qualità della
vita pubblica e la promozione dell'indi~idualità»~.
Si assiste, con la personalità contemporanea, a una mutazione
dell'individualismo che può essere definito come «privatismo»: un processo culturale che incita a disimpegnarsi dalle
relazioni sociali, dal riconoscimento mutuo, dalla corresponsabilità nei confronti dei beni comuni e della riproduzione dei legami sociali.
3. La questione del privatismo
«I1 privatismo comporta la sottrazione all'attore sociale
della sua capacità di dispiegarsi e riconoscersi nella comunicazione sociale, in azioni e interazioni collettive relative alla società; esso lo priva dello spazio pubblico di
azione e perciò della sua 'consistenza' pubblica»6. Quest'individualismo da disimpegno e da distacco sociale, fondato sul ritiro nella sfera privata e nell'indifferenza nei
confronti della politica, è costantemente rinforzato dalla
mercificazione della vita sociale legata all'ottimizzazione
Ivi, p. 117.
0. de Leonardis (1997)' p. 177.
Ivi, p. 178.
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della crescita contemporanea. Quello che, allora, diviene
decisivo per la democrazia, non è più solamente il montante dei prelievi effettuati per la redistribuzione. Diviene
oltretutto cruciale che i poteri pubblici arrivino a contrastare l'invasione della vita quotidiana da parte del mercato. È in gioco la preservazione della possibilità di un
impegno pubblico e delle forme di socializzazione non
mercantili.
4. La scommessa della rappresentazione dell'economia
La rappresentazione dell'economia di mercato come
unica fonte di prosperità per l'insieme della società non
può essere seriamente difesa quando si procede ad un'analisi dei flussi economici. La riflessione sul lavoro trae
profitto dall'inscriversi in una prospettiva più realistica e
meno ideologica di quella dell'economia di mercato: quella
di un'economia plurale in cui il mercato costituisce una
delle componenti che, pur essendone la maggiore, non è
l'unica produttrice di ricchezza7.
Senza indurre né a una sottostima del molo dell'economia di mercato, né a una falsa simmetria tra i tre poli
economici, è possibile avanzare l'ipotesi che le combinazioni tra questi poli costituiscono delle costruzioni politiche che evolvono secondo i periodi storico-sociali.
In questa ottica di un'economia plurale, diviene possibile fare spazio alle economie solidali, vale a dire alle pratiche economiche in cui le persone si associano liberamente
per condurre in comune delle azioni che contribuiscono
alla creazione di attività economiche e di occupazione che
rafforzano la coesione sociale con nuovi rapporti sociali
di solidarietà. L'economia solidale può rivitalizzare il le-
' R. Passet (1995).
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game politico e consolidare il tessuto sociale creando occupazione, ma sarebbe illusorio usarla a vantaggio dell'occupazione senza che essa perda la sua sostanza. La sua
vocazione non è quella di diventare il rimedio miracoloso
della disoccupazione.
Nel contesto contemporaneo, ciò che è proprio dell'economia solidale è il permettere che delle attività siano
messe in opera a livello locale in seguito ad un dibattito
per determinare se esse emergono dall'economia. La delimitazione tra l'economico e il non economico è discussa
e non sancita. Dal lato degli spazi pubblici di prossimità,
possono essere identificate delle attività definite come non
economiche in quanto le persone interessate si accordano
nel pensare che esse sorgono da un altro registro e che
non possono essere ricondotte a una forma di lavoro,
qualunque essa sia. Possono egualmente essere distinte,
nel seno delle attività economiche, differenti forme di lavoro: l'occupazione, il lavoro remunerato effettuato nella
sfera pubblica, il lavoro volontario o gratuito, il lavoro
non remunerato effettuato nella sfera pubblica, il lavoro
domestico: lavoro non remunerato effettuato nella sfera
privata. La decisione allora poggia sulla forma di lavoro
più appropriata per organizzare le attività economiche
progettate.
5. Lo sviluppo per la democrazia
La posta in gioco, nei nuovi rapporti tra poteri ~ u b blici e pratiche, che s'inscrive nella prospettiva dell'economia solidale, non è solamente quella della creazione di
occupazione e di uno sviluppo durevole. È anche quella
della democrazia8 che «è inscindibile dai costumi specifici,
I1 quesito di Silvie Mappa, S. Mappa (1995)' non vale solamente
per il Sud, è a nostro avviso pertinente anche per il Nord.
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dalla forza delle virtù civiche, da una morale pubblica favorevole all'attaccamento al bene pubblico e alla pratica
continua della partecipazione politica»9.Di fronte all'individualismo negativo accentuato dalla mercificazione della
vita sociale, gli spazi pubblici di prossimità che si costituiscono intorno alle questioni dell'attività, del lavoro, della
lotta contro la disoccupazione, sono dei luoghi che si oppongono alle tendenze al riflusso nella sfera privata o nell'assistenza. Si manifesta un rapporto del soggetto con l'azione collettiva differente da quello che esisteva nelle dinamiche sociali precedenti. Esso segnala a sua volta una
forza, il rifiuto di una delega di potere troppo forte, e una
debolezza, la difficoltà ad aggregarsi e a fare senso politicamente al di là delle loro singolarità. Di fatto, più che su
un appello generico alla ripresa dello spazio pubblico, è
sulle procedure di uso di questi spazi pubblici di prossimità che è importante soffermarsi. Grazie alla compresenza in tali luoghi, i cittadini possono ritrovare una fiducia nelle loro capacità di generare lavoro e di superare
la paura di fronte all'incertezza dell'azione pubblicalo. La
soluzione alla crisi del lavoro non può venire che da una
forte crescita. Essa risiede in parte nel rafforzamento dell'impegno per il bene comune. Un tale civismo quotidiano
non sarà spontaneo, né potrà esistere senza una nuova politica che articoli occupazione, legame sociale e spazio
pubblico.
Questa esigenza è tanto più pressante quanto più l'autonomia dell'economia rispetto alla politica si basa su una
concezione dell'aumento della ricchezza assimilabile all'accrescimento dei beni materiali, gli unici capaci di essere misurati. In un'economia terziarizzata a forte contenuto relazionale e immateriale, questa autonomia non è
'O
P. Chanial (1998).
A. Cottereau (1992).
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più sostenibile a costo di rinchiudersi in una visione superata che priva il cittadino di ogni presa sull'economia.
I1 lavoro che non può essere trasformato è assunto come
tema preponderante nei dibattiti pubblici già nel 1848. Sottolineando questa ricorrenza degli interrogativi circa il lavoro legati alla modernità democratica, non si intende né
parteggiare per un controllo politico sull'economia, né considerare i problemi attuali come una ripetizione. Si tratta
solamente di ammettere che le forme di istituzionalizzazione del lavoro hanno prodotto le rappresentazioni attuali e che analizzandole ci diamo più possibilità per superare le sfide contemporanee.
6. La messa in sinergia delle due forme di solidarietà
A tale proposito, l'importanza della problematica dell'economia solidale tende a porre in questione la divisione
tra i liberali, promotori della libera impresa, e i progressisti, difensori delle acquisizioni sociali. Essa mette in luce
che questo conflitto centrale, oggi riattivato, lascia nell'ombra l'accordo delle due parti sul fatto che la solidarietà è stata indicizzata sulla crescita dell'economia mercificata. Per tutto ciò, questa convinzione comune pone tanto
più il problema che il mercato invade il campo sociale. Se
il liberismo piega la società al mercato, la socialdemocrazia, che trae le sue risorse dal mercato per organizzare le
prestazioni e i servizi sociali, è perturbata dall'irruzione
delle grandi imprese private in quei domini precedentemente riservati all'azione pubblica. Diventa, in queste condizioni, paradossale il volere condizionare il mercato se si
dipende dalle sue performance per aumentare i trasferimenti sociali.
È questa l'aporia che l'economia solidale può consentire di superare perché essa completa la solidarietà redistributiva con una solidarietà concepita, secondo Leroux,
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come il legame sociale basato sull'eguaglianza e la reciprocità, unificando i cittadini volontari nello spazio pubblico". L'economia solidale può favorire l'integrazione socio-economica per la sua capacità di articolare le dimensioni di reciprocità e redistributiva della solidarietà.
La complementarità tra queste due forme di solidarietà
può derivare proprio dalla solidarietà orizzontale che a
sua volta ha preparato la solidarietà redistributiva12 e non
presuppone di considerare che solo l'economia di mercato sia produttrice di ricchezza. Concepita sotto questa
forma di azione collettiva retta dai principi di libertà d'impegno e di eguaglianza tra i partecipanti, la solidarietà può
partecipare alla creazione di ricchezza. Questo compito è
meno approssimativo ove convergano approcci plurimi:
essi mostrano che nell'azione economica sono mobilitate
delle risorse complementari alle risorse finanziarie (capitale finanziario) e umane (capitale umano) che possono
essere raggruppate sotto il concetto di capitale sociale, che
designa: «le caratteristiche delle organizzazioni sociali quali
le reti, le norme e la fiducia che facilitano la coordinazione e la cooperazione in vista di un mutuo beneficio~'~.
A questo titolo, il capitale sociale, formato a partire dalle
relazioni di solidarietà, è determinante per l'economia. È
un fattore di produzione primordiale che contribuisce a
migliorare i risultati della combinazione produttiva14.Secondo varie analisi, le risorse solidali diventano dei veri
fattori economici dotati di una produttività propria. Nondimeno bisogna che esse diano la loro piena misura in
B. Perret (1999).
R. Caste1 (1995), pp. 290-291.
l' Secondo la definizione di Putnam che è differente da quella fornita da Bourdieu. R. Putnam (1993).
l4 Secondo le parole di Razeto che parla per parte sua di «fattore
C » come cooperazione. L. Razeto Migliaro (1998); J-L. Laville, M.
Nyssens (2001).
l1
l*
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modo che l'accesso ai diritti economici e sociali sia meno
limitato.
7. La riformulazione dei diritti economici e sociali
Questo punto di vista converge con quello del gruppo
europeo coordinato da Alain Supiot che insiste sull'importanza d'una politica del lavoro, che sia più preventiva
delle politiche occupazionali e che sia centrata sul mantenimento delle capacità delle persone. Le politiche strutturali in materia 8innovazioné e di ricerca, di formazione
professionale e continua, di infrastrutture collettive, di creazione di reti che favoriscono la mobilità professionale e la
creazione di impresa appaiano fondamentali15.
8. Quadri collettivi per uno stato professionale
Per questo gmppo europeo il rischio presente è quello
di rinchiudersi in una strategia difensiva di preservazione
dei diritti dei lavoratori più protetti, ad esempio alcuni salariati del settore pubblico. Puntare su questo obiettivo significherebbe l'abbandono di tutti gli altri, che sarebbero
così condannati alla precarietà. L'unica via d'uscita realista
consiste nello sviluppare un approccio inclusivo del lavoro,
legando gli imperativi di libertà e di sicurezza attraverso
i nuovi paradigmi collettivi di organizzazione del lavoro
capaci di fissare «delle regole; determinare degli spazi di
negoziazione delle regole; permettere a degli attori collettivi di intervenire in maniera efficace»I6.
Questa problematica rifiuta di certificare una separazione tra salariati «normali» e «precari» e postula altri apl5
l6
A. Supiot (dir.), (1999).
Ivi, p. 85.
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procci e oltre prospettive. Esse partono tutte dai cambiamenti per fare evolvere le categorie del diritto del lavoro
e definire delle forme di protezione appropriate. Lontano
dal manifestare una rinuncia di fronte all'evoluzione economica, esse ricercano al contrario un accoppiamento tra
protezioni portatrici di coesione sociale e forme contemporanee di organizzazione del lavoro. In questo modo, un
altro gruppo di ricercatori europei si è dedicato all'introduzione dell'idea di «mercato transizionale» corrispondente
all'insieme delle posizioni intermedie tra l'occupazione e
la non occupazione, posizioni che possono occupare temporaneamente, da una parte, i salariati durevolmente integrati nelle imprese e, dall'altra parte, componenti della popolazione attiva in senso generale che siano in posizione
di ricerca d'occupazione»". Questi mercati sono concepiti
come uno strumento di lotta contro la disoccupazione di
lunga durata per can'alternativa a quello che si chiama il
secondo mercato del lavoro»18,settore a bassi salari negli
Stati Uniti e settore «sovvenzionato da fondi pubblici»19
in Europa. Il processo consiste nel riunificare le situazioni
fino ad allora trattate come dei casi particolari per «omogeneizzare i diritti sociali dei lavoratori «normali» e quelli
degli attivi in transizione»20.Essa vuole favorire per tutti
gli attivi, i passaggi tra occupazione remunerata, formazione e altre attività sociali o d'interesse pubblico, combinando salari e trasferimenti sociali.
Al trattamento sociale fondato su degli status intermedi tra assistenza e occupazione, che s'istituisce in risposta alla disoccupazione ma blocca i suoi beneficiari,
l7
B. Gazier (1998).
Si chiama secondo mercato dell'occupazione l'insieme dei posti
di lavoro che sono finanziati dal trattamento sociale della disoccupazione, questa espressione è soprattutto abituale in Germania. G. Schimd
(1995), pp. 5-17.
l9 Ivz, p. 14.
B.Perret (1995)' p. 270.
l8
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sarebbe possibile sostituire un'economia intermedia. Essa
presupporrebbe un riarrangiamento dei quadri istituzionali, garantendo l'accesso a status di diritto comune in
materia di lavoro e amplificando le esperienze rilevanti
per la sfera economica2'. Come dicono i suoi difensori,
i mercati transizionali non rappresentano un fine in sé
e la loro utilità sembra poter essere raddoppiata se sono
articolati con una concezione dell'economia plurale che
non contiene solamente le forme mercificate del lavoro.
È d'altra parte quello che suggerisce Schimd quando unisce mercato transitorio e «crescita qualitativa» retta sul
miglioramento dei «servizi in materia di sanità, di assistenza, di cura e di istruzione come anche quelli in materia di infrastrutture pubbliche, di tecnologie dell'informazione e di protezione della natura e dell'ambiente»22.
I1 contratto d'attività proposto da Jean B o i ~ s o n a tsi~ ~
limita a puntare sull'allargamento del quadro della relazione d'impiego. Una relazione contrattuale sarebbe stabilita tra gli attivi o i loro rappresentanti, da una parte, e
un collettivo di imprenditori emergenti da un gruppo di
imprese liberamente costituito, dall'altro lato, a cui eventualmente si aggiungeranno degli attori privati o pubblici
interessati. Questa concertazione faciliterebbe degli itinerari professionali inscritti in dei contratti pluriennali garantiti con un reddito, una protezione sociale e un'identità professionale. Questo quadro, che larghi gruppi di imprenditori già prefigurano, potrebbe comprendere del lavoro salariato di diritto comune all'interno di imprese, ma
anche periodi di formazione, di attività indipendente o associativa, periodi di congedi a fini economici o sociali. I1
limite di questa proposta risiede nel suo carattere speri-
''
J. Defourny, L. Favreau, J-L. Laville (1998).
G. Schimd (1995), p. 5.
'' J. Boissonat (1995).
244
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mentale e reattivo. Francois G a ~ d uin
~ ~questa
,
direzione,
sostiene il riconoscimento di uno statuto di attività che
sembra svilupparsi attraverso l'integrazione nel contratto
di lavoro delle fasi di non lavoro, come la formazione o
l'orientamento, e la moltiplicazione delle possibilità di sospensione del contratto di lavoro: disoccupazione parziale,
congedo sabbatico, congedo da bilancio delle competenze,
congedo individuale di formazione, congedo parentale, ecc.
Jean Jaccque D u p e y r ~ u xnota
~ ~ che la nozione d'attività è
già stata convalidata in materia di incidenti sul lavoro, il
beneficio di questa protezione dovendo essere esteso alle
persone che esercitano dei compiti sociali di interesse generale non remunerati.
Al di là di queste sfumature, tutte queste osservazioni
convergono nella dimostrazione che il passaggio da un tipo
di lavoro a un altro comincia ad essere ammesso. È il caso
dei rappresentanti del personale con crediti di ore attribuite ai salariati titolari di un mandato di interesse collettivo, e più generalmente con le banche del tempo, gli aiuti
ai disoccupati creatori di imprese, i voucher formativi. Si
assiste qui all'apparizione di un nuovo tipo di diritti sociali, riferiti al lavoro in generale (lavoro nella sfera familiare, lavoro di formazione, lavoro di cura, lavoro autonomo, lavoro di utilità pubblica, ecc.). L'esercizio di questi diritti è rinchiuso nei limiti di una creazione costituita
anteriormente, ma la loro realizzazione è il prodotto di
una libera decisione del loro titolare e non della comparsa
di un rischio. Questa doppia caratteristica si imprime nel
vocabolario frequentemente impiegato per designarli: è questione di conto, di credito, di risparmio, di cheque. Così
questi nuovi diritti potrebbero essere definiti come dei diritti di tirage s o c i a ~ x ~ ~ .
24
25
26
F. Gaudu (1995), pp. 535-544.
J.J. Dupeyroux (1995), pp. 24-25.
A. Supiot (1999), p. 90.
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Quello che manca, è un quadro coerente che riconosca alle persone uno «stato professionale» privilegiando la
continuità dello sviluppo degli attivi in situazioni differenti. C'è in questa opzione la possibilità di un'attivazione
delle spese sociali che non siano né una regalia per le imprese, che si traduce in effetti di sostit~zione~~,
né un accrescimento del controllo sociale sui disoccupati come nel
caso del «workfare». Esso richiede tuttavia l'elaborazione
di procedure di deliberazione collettiva che permettano di
trattare in maniera socialmente giusta ed economicamente
efficiente, a diversi livelli, la necessaria conciliazione tra i
bisogni della collettività d'appartenenza (l'impresa, il territorio) e la libertà individuale d'uso dei suoi diritti. I1 legame con alcune proposte sindacali che propongono un
orientamento verso le negoziazioni collettive territorializzate. Un quarto livello di dialogo sociale2* può essere aggiunto ai tre livelli classici che sono l'impresa, il settore e
il livello nazionale interprofessionale. Per fondare una negoziazione collettiva territorializzata possono essere utilizzate, ad esempio, l'intervento finanziario dei comitati di
impresa a vantaggio delle azioni per l'occupazione locale,
l'estensione del campo di competenza della negoziazione
collettiva e il finanziamento, attraverso organismi paritari
collettori patrocinatori, di azioni che vanno oltre la formazione. Tali mezzi, mobilizzabili perché poggiano sulla
ridestinazione delle risorse esistenti, possono permettere
accordi regionali tra partner sociali sullo sviluppo dell'occupazione e dell'economia solidale.
'' Sull'ampiezza di questi effetti nelle politiche del lavoro, cfr. M.
Lallement (1994).
28 Questa proposizione è stata formulata da Union règionale CFDT
Poitou-Charentes; cfr. F. Joubert, B. Quintreau, J. Renaud (1998) da
cui sono tratte le righe che seguono. Vedi anche nello stesso numero
G. Larose, F. Aubry (1998). Si noti che il principio di un quarto livello di dialogo sociale è stato adottato da una convenzione nazionale
del Partito Socialista.
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9. I1 riconoscimento degli impegni volontari
L'estensione dei diritti economici e sociali passa, dunque,
per una necessità paradossale: rendere accessibile un lavoro
salariato a tutti e relativizzare l'occupazione, in particolare
attraverso la legittimazione d'altre forme di lavoro. Questa
tensione, che è al centro dell'economia solidaristica, genera
diverse incomprensioni. Alcuni non la vedono che come
una forma di creazione di lavoro addizionale e ne ignorano
la dimensione di aiuto volontario. Altri, invece, non vedono
che quest'ultima dimensione e sospettano che le esperienze
che vi fanno ricorso creino condizioni di lavoro degradate
nelle quali la gratuità sostituisce la remunerazione. La conciliazione tra impieghi durevoli professionalizzati e impegni
volontari costituisce la specificità dei progetti, ma è invisibile per i loro interlocutori che, di fatto, partecipano alla
loro normalizzazione. Si misura in questo processo tutta la
reticenza all'inscrizione del volontariato in un settore del
Anche se la pludiritto che lo renda lavoro i~tituzionale~~.
ralizzazione del lavoro, come abbiamo appena visto, non
passa solamente per questo canale, l'ottenimento di diritti
legati al volontariato costituisce, nondimeno, uno dei punti
di passaggio per avanzare verso una definizione del lavoro
che non si limiti all'occupazione di mercato30. Non dobbiamo forse approfittarne per distinguere tra il lavoro volontario, le cui condizioni dovrebbero essere facilitate (approvazione dei diritti acquisiti, garanzie giuridiche, congedi
29 «Condizione necessaria e sufficiente è che ad un impegno ad
agire siano legati degli effetti di diritto, in modo che questa azione
possa essere qualificata come lavoro» crf. A. Supiot (1997), p. 14.
Contrariamente a Méda che ironizza sulla portata di un tale obiettivo dell'economia solidale: <<siè in diritto di interrogarsi sulla portata
esatta del progetto se la trasformazione consiste semplicemente nel riconoscere il volontarismo, e nel valorizzarlo rendendolo portatore di
diritti sociali»; si può pensare che c'è una leva per il cambiamento innegabile; D. Méda (1995), p. 22.
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di disponibilità, estensione del mecenatismo), e il volontariato sociale, che sarebbe l'oggetto di una legge quadro31?
La regolamentazione di questa questione, apparentemente tecnica, e di tutte quelle che sono state poco prima
evocate, è materia di scelte sociali. Se il dibattito sul lavoro n o n giunge a toccare la sfera dei conti pubblici, rischia di limitarsi ad u n o scambio intellettuale senza alcuna
presa sulla trasformazione dei rapporti sociali. I n effetti,
l'invenzione di u n o stato professionale, il diritto all'iniziativa, la negoziazione collettiva territorializzata, il riconoscimento del volontariato, rimandano alla questione fondamentale della definizione del lavoro.
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