L`arrivo della terza generazione: dinamiche intergenerazionali

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L`arrivo della terza generazione: dinamiche intergenerazionali
L’arrivo della terza generazione: dinamiche intergenerazionali Il prolungarsi dell'aspettativa di vita ha spostato notevolmente l'età d'entrata in questa fase del ciclo
vitale, che possiamo ora stabilirla verso i 75 anni.
Ci sono precise caratteristiche che definiscono questa fase. Innanzitutto, in un'epoca in cui mancano i
riti di passaggio, la transizione dalla "tarda età adulta" all'anzianità, è invece, per la maggior parte delle
persone, ben marcata: l'uscita dal ciclo produttivo con il pensionamento. Quest'ultima fase del ciclo di
vita della famiglia è caratterizzata dalla copresenza di più generazioni adulte: l'anziano ha superato la
fase del nido vuoto, i suoi figli sono usciti di casa e hanno costruito una propria famiglia, sono nati i
nipoti, c'è stata la rinegoziazione del potere, si è passati da una generatività parentale alla generatività
sociale.
Per generatività sociale s'intende il fuoriuscire dallo stretto ambito della catena generazionale, per aprirsi
ad uno scambio tra generazioni a livello sociale. Vuol dire prendersi cura del futuro di tutti i giovani che
stanno per diventare adulti, promuovere un ciclo etico d'inclusione generazionale e lo stabilirsi
dell'equità intergenerazionale, non solo in termini di giustizia pubblica, ma di relazione che le
generazioni possono e devono avere tra loro nel privato e nel pubblico.
Froma Walsh afferma che la famiglia, nella tarda età, affronta le maggiori sfide evolutive. La famiglia si
confronta, infatti, con temi come la malattia e la morte. Nella fase del ciclo vitale della famiglia con
anziani, possiamo indicare sia degli eventi critici, che dei compiti di sviluppo.
Gli eventi critici sono: il nido vuoto, il pensionamento, il diventare nonni, la malattia, la morte.
I compiti di sviluppo coniugali e intergenerazionali riguardano invece tre aree: la relazione coniugale, la
relazione genitoriale, la relazione filiale (della generazione di mezzo).
Nella relazione coniugale troviamo un rinnovato impegno nella coppia, il far fronte alla malattia,
accettare la morte del coniuge e prepararsi alla propria.
Nella relazione genitoriale, l’anziano si trova a dover aprire il proprio campo genitoriale per includere
nuore e generi. Deve anche riconoscere ai propri figli il ruolo genitoriale, cercando di fare spazio in
modo attivo alla generazione successiva, ossia spostarsi indietro di una posizione e mantenere un
atteggiamento d’intimità a distanza.
Nella relazione filiale invece, la generazione di mezzo deve sostenere e curare la prima generazione,
accogliendone l’eredità. Il compito più difficile sarà condividere l’esperienza della morte dei propri
genitori, coltivando poi la cura del ricordo.
L’evento critico di questa fase è il nido vuoto, ossia l’uscita dei figli da casa. I coniugi si trovano così a
rinegoziare e a reinvestire nella relazione di coppia, questo può evolversi in una maggiore intimità e
compagnia reciproca. Si trovano però a rimettere in discussione, spazi, tempi e ruoli reciproci. La
coppia può vivere questa fase come un periodo di libertà: per l’uomo innanzitutto libertà da
responsabilità finanziarie; per la donna maggiore libertà dagli impegni casalinghi, con la possibilità di
occuparsi di sé e di attività diverse. Come genitori potranno relazionarsi con i propri figli sulla base del
comune status d’adulti. Può essere questo il momento della comprensione e, per i figli, un definitivo
passo nel processo d'individuazione, perchè potranno guardare i propri genitori, oltre che come papà e
mamma, anche come a due persone con le loro difficoltà e la loro storia.
Un altro evento critico di questa fase è il pensionamento. Per l’uomo e per la donna che lavorano, il
pensionamento rappresenta l’espulsione forzata dal mondo produttivo. Spesso è accompagnato da
vissuti depressivi, come sensazioni di vuoto e inutilità, soprattutto se le persone non riescono a
reinvestire nei propri interessi e a crearsene di nuovi. In questa fase che diventa di cruciale importanza il
concetto di generatività sociale, che contribuisce a rafforzare nell’anziano la sua identità d’adulto.
Diventa molto importante il legame con i fratelli, che viene spesso riscoperto e assume grande valore di
fronte a situazioni di bisogno.
In questa fase del ciclo vitale è però nei rapporti con la più ampia famiglia estesa che l’anziano deve
trovare le risorse, nuovi impegni e nuove occasioni maturative che vanno a colmare la perdita
dell’“identità professionale”.
L'evento più importante, a livello personale e relazionale, è il diventare nonni: un’esperienza molto
complessa e pregna di significati, che porta ad un riorientamento definitivo della coppia anziana.
Inizialmente i nonni tendono a percepire solamente l’inesperienza della neo-coppia genitoriale,
vivendosi come dei genitori vicari o dei sostituti. Possono emergere vissuti d'inadeguatezza nei nuovi
genitori e d'invidia nei nonni. Alle volte si può anche assistere ad un'adozione filiale del nipote. Se la
relazione con i propri genitori, soprattutto con la madre, non è stata buona, si può assistere all'offerta
del proprio figlio come dono di una seconda possibilità. Altre volte può esser l'elisir di lunga vita, che
permette alla coppia genitoriale di non distogliersi dalla propria realizzazione personale lavorativa. I
nonni possono ritenere completamente indaneguata la neo coppia genitoriale e gestire direttamente il
nipote, come fosse figlio loro. Poi, con il passare del tempo, iniziando ad accettare l’invecchiamento,
riescono a dar spazio alla generazione di mezzo, realizzando così il compito evolutivo di questa fase che
è quello di spostarsi indietro di una generazione.
I nipoti, con i nonni, possono sperimentare un clima emotivo, caldo, tranquillo, di bassa conflittualità,
dove la responsabilità educativa viene meno; questo permette loro di provare e sviluppare diversi stili
cognitivi ed emozionali. I nonni sperimentano invece una generatività indiretta, che permette un
approfondimento positivo della propria identità.
Nelle famiglie ben funzionanti, quando la prima generazione si avvicina al traguardo della morte, si
sviluppano una serie di sentimenti del tutto particolari: nostalgia, dolore e paura. Il tutto è sotteso dal
sentimento di riconoscenza, che tocca in maniera diversa tutte le generazioni. Il passaggio\ transito
della morte costringe la generazione che se ne avvicina, a rivedere la vita trascorsa. In genere, le persone
che hanno goduto di relazioni familiari sane, concludono il bilancio in positivo. Il senso di gratitudine è
dominante, vi è un ritorno alle origini. Questo è il frutto di un lavoro psichico di contrasto degli aspetti
depressivi legati alle vicende infelici che costellano la vita di tutti i giorni.
Erikson ha ben descritto il conflitto specifico di questa fase della vita, tra tendenza a tenere le cose
insieme e cedimento alla disperazione, sottolineando l’importanza di conservare una funzione
generativa anche nella fase finale dell’esistenza. Affrontare la morte come passaggio di eredità, è la
modalità familiare per realizzare questa funzione generativa, trasmettendo un senso di riconoscenza alle
generazioni successive. La riconoscenza non è automatica, ma frutto di un percorso. Essa va curata
contrastando la polarità opposta, che è rappresentata dal disconoscimento, dal rifiuto dei legami. Essa si
esprime nei comportamenti di aiuto e nelle prestazioni di caregiving. La cura della riconoscenza è prima
di tutto finalizzata al mantenimento e allo sviluppo dei legami.
La malattia annuncia che si sta attuando un passaggio tra le generazioni, che una generazione sta per
scomparire e un’altra è chiamata in prima linea a sostituirla nella storia della famiglia. L’anziano e i
familiari sono chiamati a elaborare l’inevitabilità del limite e del distacco. La malattia obbliga i familiari a
interrogarsi sul senso delle relazioni e della vita. Tener viva la riconoscenza, contrastare la passività e
mantenere i legami, sono indicatori positivi di un possibile transito buono.
L’anziano ammalato evidenzia due tipi di bisogni crescenti. Il primo è la necessità della dipendenza
fisica, ovvero ricevere aiuto nelle situazioni concrete della vita. Il secondo è il bisogno di conservare
un’identità adulta e quindi di godere di rapporti di scambio reciproco. Accettare l’aiuto e offrire
sostegno sono i compiti di sviluppo speculari che toccano le due generazioni dei genitori e dei figli.
L’instaurarsi di una relazione di aiuto non avviene in modo automatico, ma richiede un processo di
adattamento talvolta anche lungo. I componenti della famiglia possono reagire, di fronte all’inizio della
malattia di un genitore, in modo inadeguato, basato sul rinvio dell’azione o sul costituirsi di fantasie di
salvezza legate ad un terzo sociale (i servizi). Tale reazione può costituire un vero e proprio
meccanismo difensivo, per allontanare la conseguente assunzione di responsabilità di cura, ma spesso
riveste una funzione adattiva, offrendo un intervallo di tempo nel quale i familiari si possono rendere
consapevoli del declino dei loro genitori. La malattia può far riemergere nodi problematici : rivalità
fraterne, abbandoni coniugali e/o filiali; possono presentarsi i temi affettivi dell’angoscia, della perdita,
il rifiuto della dipendenza, paura della frantumazione della famiglia di fronte all’evento della morte del
capo famiglia. La malattia dell’anziano può anche essere occasione di crescita, poiché offre la possibilità
di risolvere antichi conflitti. Può anche rivelarsi come grosso fattore di coesione e favorire
l’interiorizzazione delle qualità che costituiscono il patrimonio della prima generazione. La malattia può
favorire un avvicinamento tra le generazioni e rendere i figli responsabili di ciò che hanno ricevuto.
La morte mette profondamente alla prova le relazioni familiari. L’elaborazione di questo evento, anche
se avviene in tarda età e quindi può essere prevedibile, è comunque molto faticosa e richiede tempo.
Per l’anziano, il compito specifico, è accettare la perdita del coniuge e prepararsi alla propria scomparsa.
Per i figli si tratta di far fronte alla morte, non considerandola un’interruzione totale, ma un’eredità da
accogliere.
Walsh e McGoldrick sottolineano l’importanza per i familiari della condivisione del dolore, che aiuta a
far fronte alla disorganizzazione che segue l’evento luttuoso.
Primo compito è perciò quello di condividere la sofferenza e accettare che ogni familiare la esprima a
modo suo.
Dopo la fase di disorganizzazione le famiglie devono riorganizzarsi e adeguare i propri obiettivi alla
nuova configurazione. Perché si attui uno sviluppo familiare in termini di reinvestimento vitale e non
solo di puro adattamento, occorre che avvenga un processo chiamato “cura del ricordo”.
La cura del ricordo comprende l’elaborazione del lutto, ma se ne distingue perché connette tale
processo alle vicissitudini dei legami familiari. Rievocare insieme fatti ed episodi, è una buona modalità
per connettere passato e presente e per avvicinare in modo vivo chi è ormai lontano. Per questo è
importante mantenere vive le ricorrenze significative, che ritmano il tempo, abitandolo di presenze
silenziose. Come per altri passaggi cruciali dell’esistenza, anche in questo caso la qualità della relazione
tra coniugi e tra genitori e figli, è un fattore importante per l’accettazione e la successiva elaborazione
del distacco. Se essi hanno saputo stabilire e consolidare il loro legame nel periodo d’invecchiamento
del genitore, o del coniuge, l’accettazione del distacco può risultare favorita e serena. Al contrario, avere
ancora conti aperti con le generazioni successive, induce nelle generazioni anziane un attaccamento
sterile alla vita, così per i figli può risultare compromessa la capacità di stabilire identificazioni positive
con il genitore. Per il coniuge che rimane e per la generazione dei figli, partecipare alla cura dell’anziano
e condividere con lui il cammino verso la morte, può favorire l'elaborazione di un atteggiamento più
diretto verso la propria morte. Va infine ricordato che la morte dell’anziano non riguarda solo la
generazione successiva, ma anche la terza e la quarta. La morte di un nonno, rappresenta per i bambini,
il primo contatto con questa realtà e con le reazioni degli adulti ad essa. Chi appartiene alle generazioni
più giovani ha così l’opportunità di percepire che una perdita importante è una dura prova, ma che i
legami persistono oltre la morte.