Bambini - Biblioteca Astense
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Bambini - Biblioteca Astense
Bambini di Matteo De Simone “Quanti anni hai?” Lei fa quattro con le dita. “Sei piccola”. Il bambino la prende per mano, attraversano il corridoio della casa vuota. Fuori arrivano i colpi dei sassi contro il muro dei grilli, ma i colpi si attutiscono mentre i due affondano nella semioscurità del corridoio, fino al bagno. Sudore. Hanno corso molto. In montagna d'estate certi giorni può fare molto caldo, specie se ti muovi molto. Chiude la porta a chiave. Solo lui e lei, nel bagno. L'appartamento si interra proprio in quel punto. Dalla finestra entra poca luce. Sa che mamma è uscita a fare la spesa e non ci metterà meno di mezzora. I fratellini sono fuori. Continuano coi grilli contro il muro. Gli altri li stanno ancora cercando, ma non entreranno mai dentro una casa che non è loro. Si stuferanno. Torneranno indietro a far vedere ai pidocchi dell'asilo là fuori cosa vuol dire ammazzare una grande quantità di grilli. O sezionare i ragni. Eccoli, solo lui e lei. Lui la guarda negli occhi, senza ombra di bontà. Si siede sulla vasca. La bambina è ancora sporca di terra. Ha un muso di cucciolo. Non sa come muoversi. Non capisce questo bagno al semibuio, i colpi soffocati lontano dei sassi sul muro, il ronzio della lavatrice che va, si ferma, poi va. Guarda il bambino più grande di lei seduto controluce. Prova a sorridere. Non trova risposta su di lui. Stropiccia le mani contro la maglietta. “Qui non ci trovano, tranquilla, siamo nascosti bene”, dice lui. Senza tono dolce, né ambiguo. La bambina abbassa gli occhi. Per terra c'è il pavimento bianco con le piastrelle come quello del bagno di casa sua in città. Controlla che non ci siano ragni negli angoli. La montagna è piena di ragni. Pensa senza sapere di pensare. Si è già accorta di come i bagni si assomiglino tutti. Quello di casa, quello della nonna, quello del suo migliore amico di asilo. L'ha notato. Quando sono in città, la mamma la porta spesso a casa del suo migliore amico, dove lei può giocare. Anche lei e il suo amico giocano a nascondersi. A lei piacciono i posti piccoli appartati. Nel bagno del suo amico c'è il cesto dei panni sporchi. Ma ora in montagna il suo amico non c'è. In questo bagno la bambina non vede niente di appartato. Anzi, sente qualcosa di sbagliato nel silenzio. Nella luce, nel ronzio atonale della lavatrice. Qualcosa che non è sereno. Non è sicuro. “Ma tu quanti anni hai?”, si azzarda a dire senza alzare gli occhi da terra. Si vergogna, dondola il corpo sull'asse. Il bambino la guarda e pensa. E' piccola davvero. E’ chiaro che ha paura. Osserva il labbro che trema. Le strisce di terra sulle guance, di poco fa, quando è caduta correndo e lui l'ha aiutata a sollevarsi e correre ancora, tenendola per mano, fino a rintanarsi in casa. A guardarla gli nasce una stretta invisibile alla pancia. “Dieci. Sono molto più grande di te”. Risponde calmo. Lei si dondola. Sta lì. Mentre lo diceva, Sono molto più grande di te, la stretta saliva. Nei polmoni, verso la testa. E' una fitta che lui conosce. Il bambino si guarda nello specchio sopra il lavandino davanti a lui, mentre la piccola rimane in mezzo alla stanza, inciampa su se stessa, a testa bassa. Ha la faccia dura. Stringe i denti. I suoi occhi sono immobili. “Ma a te che ti frega quanti anni ho”. Scende dalla vasca e fa due passi verso di lei. Il ronzio della lavatrice è sempre uguale, giro e pausa. La bambina rimane sorpresa ma ferma. Non ha il coraggio di cambiare posizione. Il bambino respira veloce. Rumorosamente. Prende le mani della piccola e comincia a stringerle, prima piano, senza toglierle gli occhi di dosso. Sa come si fa. Suo padre a lui le stringe fino quasi a stritolarle, gli conta gli ossicini uno a uno. E' dolore e piacere insieme. Suo padre sa rompere le noci tra le dita. Anche lui è forte. Può fare male. Stringe le mani della bambina finchè lei riceve col dolore la violenza del gesto e scoppia in lacrime. Allora il bambino affretta uno schiaffo sulla guancia bagnata. “Che piangi!” Lei smette. Lo guarda per un attimo. Cerca di capire un modo di salvarsi. Lui risponde con gli occhi sbarrati, per schiacciarla di più. “Eh? Puttana?”. La pizzica sul collo. “Hai un ragnetto qui!” Pizzico. “Qui!” Pizzico. Schiaffo. La bimba agita le braccia. Cerca di scacciare le sue mani. E' inutile. Sbatte i piedi isterica. Grida e piange. Il bambino non perde la calma. La lavatrice va in centrifuga. Schiaffo. “Non ti sente nessuno, puttanella”. Schiaffo. Ogni grido scatena un brivido lungo la spina dorsale del bambino. I polmoni si riempiono di aria, vibrano sotto i colpi del cuore impazzito di potere. “E adesso giù i pantaloni”. Lei dice no. Piange. Lui sente la fitta invadere completamente il corpo. La fitta che gli viene a volte. Come quando aspetta il botto sull'asfalto dopo che ha scagliato i giocattoli pesanti dalla finestra. Quando fugge il contatto di sua madre. Le volte che crocifigge le bambole della sorellina al muro o svuota il caricatore dei pallini contro un orso di peluche. Quando affetta un grillo. Nei pensieri di quando non è capace a rispondere a chi lo insulta. Quando sua madre lo chiama pusillanime perchè ha detto una volta di troppo Non ci riesco. Le volte che lei grida. O piange. Le volte che afferra il fratellino per i capelli. Le volte che annota parolacce a caso sul diario, parolacce femminili una in fila all'altra. Con un pessima grafia. Senza tenere la riga. Le volte che si lascia convincere a piantare due pugni anche lui nella pancia del compagno debole e grasso. Le volte che schianta la testa contro il muro. Una due tre quattro cinque sei sette otto nove... La bambina piange. Non ha altro modo di sperare. Piangere. Finché il carnefice non provi pietà. Ma non è fortunata. Il suo carnefice è un bambino.