Consiglio Regionale della Lombardia

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Dispense della giornata di studio
Le nuove AUTORIZZAZIONI EDILIZIE
alla luce della Legge 11 novembre 2014 n. 164
INDICE
1 - Il permesso di costruire (proroga e decadenza:
comma 2-bis, art. 15 TUE)
2 - Interventi subordinati a permesso di costruire (art.
10, comma 1, lett. c, TUE)
3 – Interventi eseguiti in assenza di permesso di
costruire e sanzioni (art. 31 TUE)
4 - Comunicazione di inizio lavori estesa alla
manutenzione straordinaria (art. 6, comma 4 TUE)
5 - Frazionamento e accorpamento di unità immobiliari
ricompresi nella manutenzione straordinaria (art. 3 e 6
TUE)
6 – La segnalazione certificata di inizio attività: ricorso
alla SCIA in luogo della denuncia di inizio attività
7 – La denuncia di inizio attività (DIA) alternativa al
permesso di costruire
8 – Modello Unificato per il permesso di costruire e la
segnalazione certificata di inizio attività
9 – Permesso di costruire convenzionato (nuovo
articolo 28-bis TUE)
10 – Permesso di costruire in deroga agli strumenti
urbanistici per interventi di ristrutturazione edilizia
(art. 14 TUE)
1 - Il permesso di costruire (proroga e decadenza: comma 2-bis, art. 15 TUE)
Dell’efficacia temporale e della decadenza del permesso di costruire si occupa l’articolo 15 del
TUE, DPR 380/2001.
In linea generale, nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei
lavori. Il comma 2 precisa che “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un
anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata,
non può superare tre anni dall’inizio dei lavori”.
Decorsi tali termini, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne nel caso in cui,
anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con
provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso,
oppure in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori,
ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
La legge 164/2014 ha aggiunto il comma 2-bis, il quale prevede un’ulteriore motivazione per la
concessione della proroga dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavori: essa “è comunque
accordata
qualora
i
lavori
non
possano
essere
iniziati
o
conclusi
per
iniziative
dell’amministrazione o dell’autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate”.
Relativamente alla proroga dell’efficacia temporale del permesso di costruire, giova ricordare che,
ai sensi dell’art. 30, comma 3, legge 98/2013, “salva la diversa disciplina regionale, previa
comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di
ultimazione dei lavori di cui all’articolo 15 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come indicati nei titoli
abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all’entrata in vigore del presente
decreto, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione
dell’interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della
comunicazione dell’interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati”.
Un’interessante questione può essere sollevata a riguardo della natura del titolo abilitativo a cui fare
riferimento: è possibile considerare unicamente il titolo originario oppure la proroga si intende
estesa anche alle eventuali varianti successivamente rilasciate?
Stando al tenore letterale della norma, si rileva come il testo parli strettamente di “titoli abilitativi”,
mentre una variante non può in generale essere equiparata ad un nuovo titolo abilitativo: “Per
distinguere la concessione in variante da una nuova concessione occorre che le modifiche
quantitative e qualitative siano compatibili con il disegno globale che ha ispirato il progetto
originario in modo che la costruzione stessa possa considerarsi regolata dalla prima concessione;
mentre si è in presenza di un nuovo titolo abilitativo quando il progetto originario risulta
modificato in modo rilevante, per quantità e qualità, rispetto a quello originariamente assentito.
Conseguentemente, il rilascio della concessione edilizia in variante per modifiche di limitato rilievo
quantitativo per un verso non determina la riapertura dei termini per l'impugnazione della
concessione originaria” (Consiglio di Stato, 09 dicembre 2010 n. 8681; vedasi anche T.A.R.
Pescara, sentenza 12 aprile 2006 n. 250; Tar Liguria, sez. I, 1° aprile 2005 n. 410, e Tar Campania,
Salerno, sez. II, 12 aprile 2005 n. 533).
Per la costante giurisprudenza, “al fine di distinguere una nuova concessione edilizia dalla variante,
gli elementi da prendere in considerazione sono costituiti dalle modificazioni quantitative o
qualitative apportate all'originario progetto riguardanti in particolare la superficie coperta, il
perimetro, la volumetria nonché le caratteristiche funzionali e strutturali (interne ed esterne) del
fabbricato” (Consiglio di Stato, V Sez., sentenza n. 249/2003). Una variante minore o non
essenziale “fa quindi corpo con la concessione cui afferisce, lungi dal costituire un titolo
autonomo” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 11 aprile 2007 n. 1572).
Il TAR Puglia (sentenza 06 giugno 2007 n. 2226), richiamando alcune sentenze del Consiglio di
Stato (27 aprile 2006 n. 2363; 24 settembre 2003 n. n. 5452), ha ribadito “il tradizionale
orientamento giurisprudenziale che ha rilevato l'assoluta inidoneità del rilascio di una variante non
essenziale […] a riaprire i termini per l'impugnazione della concessione originaria; la variante in
senso lato o variante essenziale equivale, infatti, ad una vera e propria nuova concessione
(autonomamente impugnabile, anche ove non sia stato impugnato l'originario titolo edilizio), solo
nel caso in cui siano presenti modificazioni di rilevante consistenza, da valutarsi con riferimento
alle evidenze progettuali quali la superficie coperta, il perimetro, il numero dei piani, la
volumetria, le distanze dalle proprietà vicine, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali del
fabbricato complessivamente inteso. Allorquando tali modificazioni non incidono, pertanto, sulle
caratteristiche funzionali e strutturale del progetto, si ha una variante non essenziale, che non
consente la riapertura dei termini per l'impugnazione della concessione di costruzione originaria”.
In sostanza, bisogna concludere che la proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori è da
intendersi in relazione ai termini indicati sul titolo abilitativo originario o, al più, su una cosiddetta
variante essenziale, a patto che si verifichino le predette condizioni e salva diversa disciplina
regionale; tale facoltà non pare invece ammissibile in relazione ad una variante che si limiti ad
integrare un precedente titolo abilitativo.
2 - Interventi subordinati a permesso di costruire (art. 10, comma 1, lett. c, TUE)
Terminata la descrizione degli interventi classificabili come “attività edilizia libera” (articolo 6), il
DPR 380/2001 tratta (al Titolo II - Titoli abilitativi, Capo II) gli interventi subordinati a permesso di
costruire (art. 10 e seguenti).
Il comma 1 dell’art. 10 esplicita tre categorie di interventi che costituiscono trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio:
a) gli interventi di nuova costruzione;
b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;
c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei
prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino
mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della
sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e
successive modificazioni.
La più recente innovazione in tal senso si cela nella lettera c), laddove si precisa che, perché siano
soggetti a permesso di costruire, gli interventi di ristrutturazione edilizia devono comportare
“modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti”. In precedenza, ricadevano
nel permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia comportanti “aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici”. Evidentemente, nell’ottica della
semplificazione, il legislatore ha scelto di eliminare il vincolo relativo al numero delle unità
immobiliari e alla misura della superficie.
Al comma 2, si lascia alle regioni la facoltà di stabilire con legge quali mutamenti, connessi o non
connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, siano subordinate a permesso
di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività. Le regioni possono altresì individuare con
legge ulteriori interventi che, in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono
sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire.
Regione Lombardia ha legiferato mediante la LR 12/2005, il cui art. 33 (Trasformazioni soggette a
permesso di costruire) afferma che “tutti gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio sono subordinati a permesso di costruire, fatto salvo quanto disposto dall’articolo 6 del
d.p.r. 380/2001, nonché dai commi 3 e 3-bis e dall’articolo 41” (Interventi realizzabili mediante
denuncia di inizio attività e segnalazione certificata di inizio attività).
3 – Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire e sanzioni (art. 31 TUE)
Qualora gli interventi indicati dall’articolo 10 del TUE siano eseguiti in assenza del prescritto
permesso di costruire, in “totale difformità” da esso o con “variazioni essenziali”, si applica il
procedimento delineato dall’articolo 31.
Si ha difformità totale quando sia realizzato un organismo edilizio “integralmente diverso per
caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso
stesso” o qualora l’intervento comporti “l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel
progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed
autonomamente utilizzabile”.
L’art. 31 contempla anche l’istituto di esecuzione di opere in variazione essenziale al progetto
approvato, abuso appunto parificato, quanto alle conseguenze, all’ipotesi di mancanza di permesso
di costruire e di difformità totale, salvo che per gli effetti penali. Come anche ribadito dalla Corte di
Cassazione (III Sezione penale, sentenza 24 giugno 2010 n. 24236) la variazione essenziale si
configura, ferma restando la possibilità di una più articolata specificazione demandata alle Regioni,
nei seguenti casi (ai sensi dell’articolo 32): mutamento della destinazione d'uso che implichi
variazione degli standards previsti dal D.M. 1444/1968; aumento consistente della cubatura o della
superficie di solaio, da valutare in relazione al progetto approvato; modifiche sostanziali di
parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio
sull'area di pertinenza; mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito; violazione
delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali. Non
costituiscono in alcun caso variazioni essenziali quelle che incidono sulle cubature accessorie, sui
volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.
In caso di opere abusive, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata
l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità o con variazioni essenziali,
“ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione”.
Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel
termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria,
secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive
sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune.
L'accertamento dell'inottemperanza all’ingiunzione a demolire, previa notifica all'interessato,
costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che
deve essere eseguita gratuitamente. Nella norma sopra commentata, la legge 164/2014 introduce
sanzioni pecuniarie applicabili in tali circostanze.
Se il destinatario dell’ingiunzione a demolire non adempie a quanto impostogli dal Comune, scatta
una prima sanzione (amministrativa pecuniaria) di importo compreso tra 2mila e 20mila euro
(nuovo comma 4 bis, art. 31 d.p.r. 380/2001).
Presumibilmente, spetta ai singoli Comuni definire, in base alla gravità della violazione, la cifra
esatta. Tuttavia, la norma de qua stabilisce che la sanzione è sempre irrogata nella misura massima
(dunque, 20mila euro) qualora le opere siano state eseguite senza titolo o in difformità su aree
assoggettate da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di
inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale
pubblica di cui alla legge n. 167/1962, o su edifici dichiarati monumento nazionale (ai sensi dell’art.
27, comma 2, d.p.r. n. 380/2001), ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o
molto elevato.
La mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità
penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale dei tecnici comunali i
quali, in caso di inadempienza, possono anche incorrere in responsabilità penali, disciplinari e
amministrativo-contabili.
La medesima disposizione del d.l. n. 133/2014 aggiunge, altresì, due ulteriori commi all’art. 31,
d.p.r. n. 380/2001. Il nuovo comma 4-ter stabilisce che i proventi delle succitate sanzioni sono di
competenza comunale e ne disciplina la destinazione: essi sono nello specifico destinati
esclusivamente
alla
demolizione/rimessione
in
pristino
delle
opere
abusive
e
alla
acquisizione/attrezzatura di aree a verde pubblico.
Il comma 4-quater consente alle Regioni a statuto ordinario (lasciando dunque ferme le competenze
delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome) di aumentare l’importo delle sanzioni
pecuniarie. Non solo. La nuova norma prevede la periodica reiterabilità di dette sanzioni qualora
permanga l’inottemperanza all’ordine di demolizione. Quindi la sanzione è applicabile più volte
fino a quando l’opera non viene completamente demolita.
4 - Comunicazione di inizio lavori estesa alla manutenzione straordinaria
(art. 6, comma 4 TUE)
Come noto, l’articolo 6 del TUE disciplina l’attività edilizia libera, ovvero gli interventi che sono
eseguibili senza alcun titolo abilitativo, fra cui rientrano a pieno titolo “gli interventi di
manutenzione ordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a”.
Al comma 2 sono invece elencati gli interventi che analogamente possono essere eseguiti senza
alcun titolo abilitativo, tuttavia previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei
lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale.
Tra questi interventi, alla lettera a, si annoverano “gli interventi di manutenzione straordinaria di
cui all’articolo 3, comma 1, lettera b”, compresi gli interventi consistenti nell’apertura di porte
interne o nello spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali
dell’edificio.
In tal caso, l’interessato trasmette all’amministrazione comunale l’elaborato progettuale e la
comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria
responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti
edilizi vigenti, nonché che sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul
rendimento energetico nell’edilizia e che non vi è interessamento delle parti strutturali dell’edificio;
la comunicazione contiene, altresì, i dati identificativi dell’impresa alla quale si intende affidare la
realizzazione dei lavori.
Naturalmente, l’ampliamento della definizione di manutenzione straordinaria si riflette anche sul
numero degli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo ma semplicemente previa
comunicazione dell’inizio dei lavori: già prima dell’ultima novella legislativa la manutenzione
straordinaria era realizzabile mediante comunicazione dell’inizio dei lavori, ma con la limitazione
per cui l’intervento non dovesse comportare aumento del numero delle unità immobiliari o
implicare incremento dei parametri urbanistici. Tali limitazioni sono ora state eliminate.
Di contro, ad un ampliamento degli interventi realizzabili mediante semplice comunicazione di
inizio lavori corrisponde un incremento delle sanzioni applicabili in caso di mancato rispetto della
norma: la mancata comunicazione dell’inizio dei lavori di cui al comma 2, ovvero la mancata
comunicazione asseverata dell’inizio dei lavori di cui al comma 4, comportano la sanzione
pecuniaria pari a 1000 euro (prima limitata a 258 euro). Tale sanzione è ridotta di due terzi se la
comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione.
5 - Frazionamento e accorpamento di unità immobiliari ricompresi nella manutenzione
straordinaria (art. 3 e 6 TUE)
La legge 164/2014 ha ampliato la definizione di manutenzione straordinaria, rinnovando l’articolo
3, comma 1, lettera b e l’articolo 6, comma 2, lettera a del DPR 380/2001. In tale definizione sono
ora ricomprese “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali
degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che
non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni
di uso”.
Precedentemente alla modifica, si parlava invece più restrittivamente di “volumi e superfici delle
singole unità immobiliari”. Peraltro, a detti interventi si aggiungono ora anche quelli “consistenti
nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se
comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico
urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga
l’originaria destinazione di uso”.
La novella normativa ha permesso così di superare il “duplice limite” che finora caratterizzava tutti
gli interventi di manutenzione straordinaria: “l'uno di ordine funzionale, costituito dalla necessità
che i lavori siano diretti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell'edificio, e l'altro di
ordine strutturale, consistente nella proibizione di alterare i volumi e le superfici delle singole unità
immobiliari o di mutare la loro destinazione” (T.A.R. Napoli, sez. II, sentenza 13/09/2013 n. 4265).
Similmente si era espressa la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. V, sentenza 17/07/2014 n.
3810), secondo cui non era “qualificabile intervento di manutenzione straordinaria, sul piano
strutturale, quello che non rispetta i limiti afferenti ai volumi e alle superfici delle unità
immobiliari, con preservazione delle relative destinazioni d'uso”.
Anche la Corte di Cassazione (sez. III penale, sentenza 16/03/2010 n. 20350) non aveva potuto fare
a meno di osservare che la manutenzione straordinaria “non può comportare aumento della
superficie utile o del numero delle unità immobiliari, o, ancora, modifica della sagoma o
mutamento della destinazione d'uso”.
Come detto, cadono ora le restrizioni relative alla superficie e al numero delle unità immobiliari:
interventi che modificano tali parametri rientrano comunque nella definizione di manutenzione
straordinaria.
6 – La segnalazione certificata di inizio attività: ricorso alla SCIA in luogo della denuncia di
inizio attività
Abbiamo detto degli interventi riconducibili ad attività edilizia libera, al più previa comunicazione
di inizio attività (art. 6) e di quelli soggetti a permesso di costruire (art. 10).
Per esclusione, sono infine realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività “gli
interventi non riconducibili all’elenco di cui all’articolo 10 e all’articolo 6, che siano conformi alle
previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia
vigente”.
Sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività – prosegue il comma 2
– le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie,
che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma
dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e
non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire.
Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di
agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del
procedimento relativo al permesso di costruire dell’intervento principale e possono essere
presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.
Innanzitutto si desidera far notare come l’espressione «denuncia di inizio attività» sia stata quasi
ovunque sostituita nel DPR 6 giugno 2001, n. 380 con l’espressione: «segnalazione certificata di
inizio attività». Così è accaduto anche in relazione ai commi 1 e 2 dell’art. 22: la denominazione
dell’articolo è rimasta “interventi subordinati a denuncia di inizio attività”, ma limitatamente ai
suddetti commi nel testo non si parla più di “denuncia di inizio attività”, bensì di “segnalazione
certificata di inizio attività”. Inoltre, la nuova legge si è premurata di aggiungere il successivo
comma 2-bis, secondo cui “sono realizzabili mediante segnalazione certificata d’inizio attività e
comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che
non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni
urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti
dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio
storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore”.
Uniche eccezioni sono rappresentate dagli articoli 22, 23 e 24, comma 3, laddove permane appunto
l’indicazione “denuncia di inizio attività”, sopravvissuta nei casi in cui essa si ponga in alternativa
al permesso di costruire.
Ricordiamo che la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) ha fatto la propria comparsa
nel ventaglio dei titoli abilitativi grazie all'art. 49, comma 4 – bis, della Legge 30 luglio 2010 n°
122, con il quale era stato profondamente rinnovato l’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n° 241,
relativo alla Denuncia di Inizio Attività, ed era stato in sostanza introdotto un meccanismo di
sostituzione automatica della disciplina della SCIA a quella della DIA, anche in edilizia (sebbene
inizialmente, all’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’articolo 49 della legge 122/2010, si
erano venuti a creare non pochi dubbi interpretativi in merito all’assenza di un riferimento esplicito
al comparto delle costruzioni e al Testo unico dell’edilizia, facendo sì che i Comuni adottassero
regimi differenziati).
La SCIA sostituisce ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione, permesso o nulla osta
comunque denominati. Ai sensi del comma 2 del rinnovato articolo 19, l'attività può essere iniziata
dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente. Veniva così
cancellato il termine di 30 giorni che, ai sensi della previgente normativa, doveva necessariamente
intercorrere fra la denuncia alla pubblica amministrazione e l’inizio dell’attività.
Purtuttavia l’Amministrazione competente, entro i successivi 60 giorni (nei casi di Scia in materia
edilizia, a mente del comma 6-bis, il termine è ridotto a 30 giorni), procede alla verifica della
segnalazione e delle dichiarazioni e certificazioni poste a suo corredo e, in caso di accertata assenza
dei requisiti e dei presupposti di legge, ha il potere di inibire la prosecuzione dell’attività salvo che
l’interessato non si conformi entro un termine fissato dall’amministrazione medesima che,
comunque, non può essere inferiore a 30 giorni (articolo 19, comma 3, primo periodo).
Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 ovvero di
cui al comma 6-bis, ovvero nel caso di segnalazione corredata della dichiarazione di conformità di
cui all’art. 2, comma 3, del regolamento di cui al DPR 9 luglio 2010 n. 159, all’Amministrazione è
consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e
culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato
accertamento
dell’impossibilità
di
tutelare
comunque
tali
interessi
mediante
conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente (comma 4).
L’ente pubblico può in ogni caso intervenire in autotutela ai sensi dell’articolo 21 quinquies (per
sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto
non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico
originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato) e
dell’articolo 21 nonies (il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies,
esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro
organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato
annullamento del provvedimento illegittimo).
L’Amministrazione può altresì incidere sul provvedimento consolidatosi mediante la procedura
interdittiva di cui al primo periodo del comma 3 purché sia accertato che in sede di SCIA siano state
rese dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false e mendaci (chiunque,
nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività,
dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti è punito con la reclusione da
uno a tre anni) o, come già ricordato, in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico
e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato
accertamento
dell’impossibilità
di
tutelare
comunque
tali
interessi
mediante
conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente.
Si aggiunga infine che, ai sensi del comma 6-ter, la SCIA (come la denuncia e la dichiarazione di
inizio attività) non costituisce un provvedimento tacito direttamente impugnabile.
7 – La denuncia di inizio attività (DIA) alternativa al permesso di costruire
In alternativa al permesso di costruire, l’art. 22, comma 3, del DPR 380/2001 contempla la
possibilità di realizzare mediante denuncia di inizio attività i seguenti interventi:
a) gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c) (ristrutturazione edilizia
pesante);
b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da
piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano
attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e
costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in
sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti;
c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici
generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche.
Ai suddetti interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante denuncia di inizio attività
alternativa al permesso di costruire (cosiddetta Super-DIA) ai sensi dell'articolo 22, comma 3, si
applicano le sanzioni penali e pecuniarie di cui all’art. 44, qualora eseguiti in assenza o in totale
difformità dal prescritto titolo abilitativo.
Alla Super-DIA, avente valore di permesso di costruire, si applica la disciplina della denuncia di
inizio attività di cui all’art. 23 TUE. Il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la
denuncia di inizio attività, almeno 30 giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo
sportello unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista
abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità edilizia ed urbanistica
delle opere da realizzare. La denuncia di inizio attività, corredata dall'indicazione dell'impresa cui si
intende affidare i lavori, è sottoposta al termine massimo di efficacia pari a tre anni. La
realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è subordinata a nuova denuncia. L'interessato è
comunque tenuto a comunicare allo sportello unico la data di ultimazione dei lavori.
Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine di 30 giorni sia
riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato
di non effettuare il previsto intervento. È comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di
inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa
urbanistica ed edilizia.
Ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale,
che va presentato allo sportello unico, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto
presentato con la denuncia di inizio attività.
8 – Modello Unificato per il permesso di costruire e la segnalazione certificata di inizio attività
Un’importante novità introdotta dal Decreto Semplificazioni è quella dei moduli unici nazionali per
gli interventi edilizi. I moduli unici, da adeguare, dove necessario, alle specificità regionali,
manderanno in pensione gli oltre 8000 moduli (almeno uno per Comune) utilizzati per la
presentazione delle varie pratiche edilizie.
L'azione del Governo prevede:
1. la predisposizione dei modelli per la presentazione della comunicazione di inizio lavori per
interventi in edilizia libera, dell’agibilità, della "SuperDia" (attesa indicativamente per maggio
2015) e delle specifiche tecniche (attesa indicativamente per luglio 2015) per la gestione telematica
dei modelli unici;
2. la predisposizione delle istruzioni per l'uso dei modelli;
3. l'adozione dei moduli semplificati (compresi quelli già predisposti per la SCIA e il permesso di
costruire) da parte delle Regioni e dei Comuni.
Il processo di adozione di tutti i modelli unici e della relativa documentazione dovrebbe completarsi
entro dicembre 2016.
Un primo accordo, senza scadenza, è stato raggiunto da Regioni e Comuni nella Conferenza
unificata del 12 giugno 2014 in relazione alla modulistica per gli interventi da avviare con
Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) e permesso di costruire. Ciascuno dei due nuovi
moduli è composto da tre sezioni: nella prima vanno indicati i dati generali del richiedente e
dell'intervento, nella seconda sezione gli eventuali altri soggetti coinvolti nell'intervento edilizio,
nella terza i dati contenuti nella relazione tecnica di asseverazione.
La seconda parte dell’intesa riguarda i moduli unici semplificati per Comunicazione di Inizio
Lavori (CIL) e Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (CILA): la scadenza per l’adozione da
parte di Regioni ed enti locali dei suddetti moduli, composti di parti invariabili e di parti che invece
le Regioni possono modificare o integrare, era fissata per il 16 febbraio 2015.
Alcune Regioni, fra cui l’Emilia Romagna, hanno addirittura reso automatico l’adeguamento da
parte dei Comuni: oltre la data limite fissata dalla Regione per proporre eventuali adattamenti a
livello municipale, lo standard unico regionale prevale in automatico sui modelli di tutti i Comuni
della Regione.
In Lombardia è in atto la consultazione al Tavolo Regionale sull’edilizia (con gli ordini
professionali, allargato alle principali associazioni di categoria, ANCI e altri soggetti eventualmente
interessati), ai fini della personalizzazione regionale della modulistica unificata.
9 – Permesso di costruire convenzionato (nuovo articolo 28-bis TUE)
La legge 164/2014 introduce in ambito urbanistico, mediante il nuovo art. 28-bis del TUE (DPR n.
380/2001), il “permesso di costruire convenzionato”: si tratta di un provvedimento utilizzabile in
luogo degli strumenti di pianificazione attuativa, qualora le esigenze di urbanizzazione possano
essere soddisfatte, sotto il controllo del Comune, con una modalità semplificata.
Alla base del rilascio dell’istituto vi è una “convenzione” nella quale devono essere specificati gli
obblighi, funzionali al soddisfacimento di un interesse pubblico, che il soggetto attuatore si assume
ai fini del conseguimento del rilascio del titolo edilizio, il quale resta la fonte di regolamento degli
interessi in gioco, pubblici e privati. Sono soggetti alla stipula di detta convenzione:
a)
la cessione di aree anche al fine dell'utilizzo di diritti edificatori;
b)
la realizzazione di opere di urbanizzazione (in tal caso, resta invariato quanto dispone il
Codice dei contratti sulle opere di urbanizzazione a scomputo all’articolo 32, comma 1, lettera g);
c)
le caratteristiche morfologiche degli interventi;
d)
la realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale.
La convenzione può prevedere modalità di attuazione per stralci funzionali, cui si collegano gli
oneri e le opere di urbanizzazione da eseguire e le relative garanzie. Per quanto concerne il termine
di validità del permesso di costruire convenzionato, la nuova norma prevede che esso possa essere
modulato in relazione agli stralci funzionali previsti dalla convenzione.
Al procedimento di formazione del permesso di costruire convenzionato si applica quanto previsto
per il permesso di costruire dal DPR 380/2001 (ovverosia il Capo II del Titolo II), mentre la
convenzione è sottoposta alla disciplina di cui all'art.11 della legge 241/1990, in materia di accordi
integrativi o sostitutivi del procedimento.
Il legislatore nazionale ha così contemplato un istituto già da tempo impiegato in alcune regioni
come strumento di attuazione delle previsioni dello strumento urbanistico comunale.
In Lombardia, l’istituto viene disciplinato nella LR 12/2005 in relazione al medesimo scopo per il
quale era stato inserito nella previgente l.r. n. 1/2001, cioè semplificare al massimo le possibilità
operative nei centri storici, così da favorirne il recupero attraverso una snellezza amministrativa che
è anche economicità d’azione e garanzia di buon risultato.
Per tale motivo, l’utilizzo di tale titolo edilizio è stato esteso in tutto il “tessuto urbano consolidato”
del Piano delle Regole del PGT, ovverosia l’insieme delle parti di territorio su cui è già avvenuta
l’edificazione o la trasformazione dei suoli, comprendendo in essi le aree libere intercluse o di
completamento. Pare utile precisare che le previsioni del Piano delle Regole – giacché
ordinariamente indirizzate a singoli interventi edilizi – sono attuate mediante permesso di costruire /
Dia o Scia secondo la tipologia di intervento. In taluni casi, quando si tratta di ambiti che
riguardano interventi su più edifici e che necessitano di una disciplina di dettaglio più specifica, il
Piano delle Regole può assoggettare l’intervento ad un piano attuativo o, appunto, ad un permesso
di costruire convenzionato.
In maniera molto semplicistica, il permesso di costruire convenzionato può essere definito come un
istituto che si pone a metà strada tra il “piano attuativo” previsto dallo strumento urbanistico
comunale (PGT) per un definito ambito di trasformazione ed il permesso di costruire usuale
rilasciato per la singola proprietà privata. E’ utilizzabile per la realizzazione di interventi in aree
certamente non comportanti l’esigenza di una pianificazione integrale, nelle quali sia necessario
soddisfare esigenze di interesse pubblico.
La convenzione che accompagna il permesso di costruire convenzionato è dunque intimamente
connessa con una “componente di città pubblica”, stabilendo la nuova norma che il
“convenzionamento” deve riguardare e specificare gli obblighi relativi alla cessione di aree, alla
realizzazione di opere di urbanizzazione, alle caratteristiche morfologiche degli interventi e alla
realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale.
Si comprende, quindi, quanto sia importante che il Comune individui preventivamente, ai fini di
una corretta, integrata e programmata pianificazione (della quantità e qualità) degli spazi pubblici,
le aree nelle quali sarà possibile impiegare il permesso di costruire convenzionato.
L’istituto avrà i tempi di istruttoria del permesso di costruire usuale; tuttavia nell’ambito del
procedimento di formazione del nuovo titolo abilitativo troverà spazio la “fase di negoziazione” con
i privati per la puntuale definizione del contenuto della convenzione come pure la successiva
necessaria approvazione della convenzione medesima da parte dell’Organo competente comunale ai
fini del rilascio del titolo.
Relativamente alle competenze per l’approvazione del convenzionamento, si rammenta che ai sensi
dell’art. 28-bis, comma 2, è fatta salva la facoltà per le Regioni di “spostare” la competenza sulla
Giunta comunale. Si potrebbe ritenere che l’approvazione della convenzione possa anche avvenire
in maniera analoga all’approvazione dei piani attuativi. Quindi, in Lombardia, per tutti i permessi di
costruire convenzionati conformi al PGT sarà competente la Giunta comunale; per quelli non
conformi, sarà competente il Consiglio comunale.
10 – Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici per interventi di
ristrutturazione edilizia (art. 14 TUE)
L’articolo 14 del DPR 380/2001 contempla la possibilità di rilasciare il “permesso di costruire in
deroga agli strumenti urbanistici […] esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse
pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale”.
La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare unicamente i
limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli
strumenti urbanistici generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni
di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.
Dell’avvio del procedimento viene data comunicazione agli interessati ai sensi dell’articolo 7 della
legge 7 agosto 1990, n. 241.
La legge 164/2014 ha aggiunto in particolare all’articolo 14 il comma 1-bis: “Per gli interventi di
ristrutturazione edilizia, attuati anche in aree industriali dismesse, è ammessa la richiesta di
permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d’uso, previa deliberazione del Consiglio
comunale che ne attesta l’interesse pubblico a condizione che il mutamento di destinazione d’uso
non comporti un aumento della superficie coperta prima dell’intervento di ristrutturazione, fermo
restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall’articolo 31, comma 2, del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre
2011, n. 214, e successive modificazioni”.
Per i medesimi interventi di cui al comma 1-bis, è previsto che la deroga operi anche in relazione
alle destinazioni d’uso.
Si desidera, a titolo informativo, far notare che, nella versione dell’articolo 14 alla quale aveva dato
forma il Decreto Sblocca-Italia, prima della sua conversione in legge, il permesso di costruire in
deroga agli strumenti urbanistici era ammissibile non soltanto per interventi di ristrutturazione
edilizia, bensì anche per interventi di ristrutturazione urbanistica; quest’ultima facoltà è poi stata
stralciata in sede di conversione in legge del Decreto.