La famiglia luogo della differenza

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La famiglia luogo della differenza
La famiglia luogo della differenza
Introduzione
Ringrazio per l’invito, ma premetto che non sono un teologo, i miei studi
giovanili erano di altra natura (la psicologia).
La vita pastorale svolta in molte situazioni diverse e particolarmente in
parrocchia, mi ha obbligato a confrontare i nostri percorsi pastorali con ciò che
lo Spirito, unico protagonista della Chiesa, ha già detto e dice alla Chiesa
attraverso la comunione ecclesiale che si esprime nel Magistero preparato e
accompagnato
dalla
riflessione
teologica.
Mi
permetto
anche
di
contestualizzare il tema che svolgo secondo il titolo dato a questo seminario
“L’esodo della famiglia nel tempo della crisi” perché potremmo
riscontrare che all’interno della famiglia ci sono alcune delle diversità che
chiamano i suoi componenti ad un esodo totale da sé fino a scoprire un esodochiamata più grande che è quello verso Dio.
1. Osserviamo le differenze
Chiunque osserva una famiglia, nota immediatamente tra tutti i componenti
delle differenze: di carattere, cultura, pratica religiosa, salute e malattia, gusti
ecc…
Ma ci sono differenze molto più profonde significative: maschio-femmina;
sposo-sposa; genitori-figli; giovani-anziani; fratello-sorella. Sono tutte
differenze orientate alla comunione, a comporsi in unità. Ma la libertà e
l’educazione possono farle arrivare tanto alla comunione quanto alla
separazione o viverle in tutti i gradi intermedi che ci sono fra i due opposti.
Va anche osservato che la coppia-famiglia non vive isolata (anche se abita in
una casa isolata); è sempre inserita in un ambiente relazionale nel quale le
differenze si moltiplicano: suoceri e suocere, fratelli e sorelle dei genitori,
cugini e cugine, colleghi di lavoro, vicini di casa, ospiti occasionali, amici dei
genitori e dei figli, amici d’infanzia o di studio e di lavoro o gli stessi emigranti
ospiti.
Alcune di queste relazioni coinvolgono la famiglia in differenza di presenze che
vengono accolte o rifiutate. Potremmo elencare altre diversità che vengono
introdotte direttamente in famiglia e che con essa interagiscono. Sono quelle
portate dai mass-media e che talora diventano relazioni stabili fino ad occupare
più tempo e passione che per chi abita nella stessa casa. Ma proprio in questo
mare di differenza è legittimo domandarsi se la coppia-famiglia abbia in sé le
coordinate per gestire le differenze.
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2. La differenza originaria della coppia (uomo donna, sposo sposa) è
stata pensata e voluta da una differenza-unità: Dio Trinità
Nella lettera alle famiglie di S.Giovanni Paolo II (1994) leggiamo al n. 6:
Alla luce del Nuovo Testamento è possibile intravedere come il modello
originario della famiglia vada ricercato in Dio stesso, nel mistero trinitario
della sua vita. Il « Noi » divino costituisce il modello eterno del « noi »
umano; di quel « noi » innanzitutto che è formato dall'uomo e dalla donna,
creati ad immagine e somiglianza divina.
Nel 2004 l’allora Card. Ratzinger, Prefetto della Congregazione della Dottrina
della Fede, in una lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione
dell’uomo e della donna, scriveva (n. 6):
«Dio creò l'uomo a sua immagine, ad immagine di Dio lo creò, maschio e
femmina li creò» (Gn 1, 26-27). L'umanità è qui descritta come articolata, fin
dalla sua prima origine, nella relazione del maschile e del femminile. È questa
umanità sessuata che è dichiarata esplicitamente «immagine di Dio».
Ma questa differenza caratterizza l’umanità come realtà relazionale. Nello
stesso documento, si legge ancora:
Sin dall'inizio essi [uomo e donna] appaiono come “unità dei due”, e ciò
significa il superamento dell'originaria solitudine, nella quale l'uomo non trova
“un aiuto che gli sia simile” (Gn 2,20). […] La differenza vitale è orientata alla
comunione ed è vissuta in un modo pacifico espresso dal tema della nudità:
«Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano
vergogna» (Gn2,25). In tal modo, il corpo umano, contrassegnato dal sigillo
della mascolinità o della femminilità, «racchiude fin “dal principio” l'attributo
“sponsale”, cioè la capacità di esprimere l'amore: quell'amore appunto nel
quale l'uomo-persona diventa dono e — mediante questo dono — attua il
senso stesso del suo essere ed esistere».
Questa differenza originata ha iscritto dentro di sé, con altrettanta precisione,
la chiamata ad una unità, unica nel suo genere: diventare una cosa sola «per
questo l’uomo abbandonerà suo padre sua madre e si unirà a sua moglie e due
diventeranno una sola carne» (Gen. 2,24).
In Mulieris dignitatem n. 7, S.Giovanni Paolo II così commenta il testo della
Genesi:
Il fatto che l'uomo, creato come uomo e donna, sia immagine di Dio non
significa solo che ciascuno di loro individualmente è simile a Dio, come essere
razionale e libero. Significa anche che l'uomo e la donna, creati come «unità
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dei due» nella comune umanità, sono chiamati a vivere una comunione
d'amore e in tal modo a rispecchiare nel mondo la comunione d'amore che è
in Dio, per la quale le tre Persone si amano nell'intimo mistero dell'unica vita
divina.
Possiamo quindi sintetizzare che Dio ha costituito questa differenza totale (ogni
cellula del corpo maschile si distingue dalle cellule del corpo femminile) per
una tensione all’unità che ha voluto imprimervi come il segno che l’unità e la
piena valorizzazione, come attuazione delle differenze. Papa Benedetto XVI, in
Deus Caritas est (n. 2), dopo aver fatto l’elenco di tutte le possibili relazioni di
amore, così si esprime:
Ricordiamo in primo luogo il vasto campo semantico della parola « amore »:
si parla di amor di patria, di amore per la professione, di amore tra amici, di
amore per il lavoro, di amore tra genitori e figli, tra fratelli e familiari,
dell'amore per il prossimo e dell'amore per Dio. In tutta questa molteplicità di
significati, però, l'amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima
concorrono inscindibilmente e all'essere umano si schiude una promessa di
felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per
eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore
sbiadiscono.
Ma questo “in principio“ lo dobbiamo guardare solo come un inizio dell’albero
genealogico o contiene un principio vitale nel costruire Chiesa e società,
nell’affermare la bellezza delle differenze orientate all’unità?. Questa originale
struttura di uomo-donna unita a differenza e finalizzata solo a se stessa è dare
un volto a sposo-sposa o invece ad essere principio generativo di un modo di
vivere? L’identità coniugale, unica, anche se piccola forma comunitaria creata
da Dio, possiede il segreto di Dio per l’umanità?
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3. Dalla coppia, come da sorgente, scaturiscono
essenziali del vivere sociale con tutte le sue differenze.
le
coordinate
Iniziamo dal presupposto che, l’essere differenza e unità, immagine
somiglianza, non è finalizzato ad offrire agli umani una carta d’identità, ma un
modo di vivere. Sappiamo che la coppia nella sua differenza-unità è chiamata
ad estendere, a mostrare e partecipare la qualità del vivere trinitario che,
come a cascata, scende nelle varie modalità di diversità per comporle in
comunione.
Metto in evidenza le quattro più significative che, vissute in famiglia, possono
estendersi nel vivere le differenza anche fuori della famiglia.
a. La complementarietà
Escludiamo fin dall’inizio l’idea che la complementarietà corrisponde
all’immagine della mezza mela che ha bisogno dell’altra metà per essere
intera. La complementarietà non svilisce ne’ diminuisce la compiutezza della
persona in sé, ma offre invece ad essa la possibilità del “compimento”, della
piena realizzazione di sé.
Fisicamente siamo costituiti in relazione-con, in relazione-per, e questo si
realizza solo nel dono di sé. Come ciascuno di noi ha l’identità di “essere in sé”,
così ha anche la coordinata dell’essere-per. La persona non è se stessa se non
è dono, se non è in relazione.
La coppia è l’icona viva e precisa che si è sé stessi solo se si è dono, se si
accoglie e si dona, se si attua la circolarità del dare e ricevere, ricevere e dare.
Questa icona viva vale per tutti, anche per i non sposati. I consacrati
esprimono il loro essere immagine tanto quanto vivono la reciprocità nel dare e
ricevere.
Ciò che caratterizza la nuzialità, non è solo la sessualità, ma è il raccogliere e il
donare tutto e per sempre. Vivere cioè in uno stato di dono e di accoglienza
(qui si vede la reciproca testimonianza che possono darsi sposi e consacrati).
La famiglia, luogo delle differenze, conosce e pratica la composizione in unità,
in reciprocità dell’offrire e ricevere, nell’essere se stessi donando.
Ma questo non vale solo per la sessualità ma per tutto il vivere. Ne consegue
che la famiglia è esperta di complementarietà, la vive sulla propria pelle
quotidianamente, sa come comporre non solo una complementarietà delle
diversità sessuali ma anche tutto il maschile e femminile. Da questa
complementarietà scaturisce anche quella dello scoprire le singole persone
come dono, in una complementarità più grande. Questa arte della coppiafamiglia va messa a frutto nella comunità ecclesiale e sociale. La differenza si
può comporre nella complementarietà di ciascuna persona. Chi la vive in
famiglia la può estendere anche ad altri.
E’ la complementarietà che in varie declinazioni compone le differenza
all’interno della famiglia: genitori-figli; fratelli e sorelle; giovani e anziani;
nonni e nipoti ecc...
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Il dramma è che questa originale ricchezza sia chiusa in famiglia e da questo
pozzo nulla esca verso un mondo di differenza, che ha sempre bisogno di
comporre le differenze.
b. La condivisione
Nella pluriforme diversità presente nella famiglia, vi è un altro elemento
originale di gestione delle differenze che è la condivisione. Nella coppia la
condivisione è totale perché i coniugi hanno il dono e la vocazione di
condividere tutto della loro vita e della loro persona. Non esiste al mondo un
modo di vita più alto di condivisione, di quella che viene vissuta nella coppia.
Condividere tutto non è sempre qualche cosa di spontaneo ma il frutto di una
volontà, di far crescere l’amore e la fiducia che conduce a questa piena
condivisione.
La condivisione si allarga poi in vario modo ai figli e con loro vi è uno stile di
condivisione non solo della casa anche della vita. È una condivisione che, a
seconda delle sue qualità si allarga alla rete parentale e ad altre situazioni di
povertà, di necessità e di differenza.
Il rischio è che questo dono straordinario, questo meccanismo umano di
condivisione, si fermi alla porta di casa e non riesca a permeare il tessuto
ecclesiale e sociale. La condivisione familiare è un dono che non viene esteso
fuori, non c’è connessione tra famiglia e mondo esterno ad essa che ha un
estremo bisogno di condivisione.
c. La corresponsabilità
Nella coppia, con il matrimonio, nasce una responsabilità di ciascuno per il
bene comune. Così lo descrive la Lettera alle famiglie di S.Giovanni Paolo II al
n. 10:
Le parole del consenso matrimoniale definiscono ciò che costituisce il bene
comune della coppia e della famiglia. Anzitutto, il bene comune dei coniugi:
l'amore, la fedeltà, l'onore, la durata della loro unione fino alla morte: « per
tutti i giorni della vita ». Il bene di entrambi, che è al tempo stesso il bene di
ciascuno, deve diventare poi il bene dei figli. Il bene comune, per sua natura,
mentre unisce le singole persone, assicura il vero bene di ciascuna.
La responsabilità di ciascuno diventa corresponsabilità verso tutti per l’oggi,
per il domani, per le persone, per la casa fino alla corresponsabilità per il
gatto, per il cane o il canarino.
Nella coppia-famiglia c’è un continuo vivere ad educarsi alla responsabilità
circa qualche aspetto della vita di famiglia. Anche in questo caso la differenza
delle persone si coordina (con piccoli o grandi risultati) per una forma di
corresponsabilità verso le persone e il bene comune.
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Come mai che questo “bene sociale”, che è la corresponsabilità in famiglia,
questa “ricchezza” di capacità gestionale del bene comune, non passa alla vita
ecclesiale e sociale?
Talora non passa nemmeno tra le famiglie cristiane praticanti e la vita
parrocchiale (Cfr E.S.M., 112)1
d. La compresenza
La compresenza è quel dinamismo psicologico per il quale quando si stabilisce
un rapporto di amore profondo per una persona (moglie, marito, figli) si crea
una sua costante presenza nella mente e nel cuore. È certamente il vertice
dell’amore.
Ce lo fa intravedere Gesù stesso nel suo rapporto con il Padre e con chi lo ama.
“Se uno mi ama verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23),
e ancora Gv17, 21: “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità”.
Le persone di una famiglia, anche se molto diverse, si percepiscono come
corpo, come unità di persone, c’è una compresenza reciproca.
Com’è possibile che da questa ricchissima tavola di amore non cada nemmeno
una “briciola” a servizio della Chiesa e della società? Quanto è lontana la
comunità cristiana dal percepirsi come corpo, pur avendo al suo interno
persone che lo vivono abitualmente in coppia, in famiglia?
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110. Assumendo la realtà umana dell'amore ed elevandola a segno e mezzo di salvezza, il Matrimonio cristiano
rappresenta un momento particolare della mediazione fra Chiesa e mondo, fra il Vangelo e la storia, e ne rende vivo il
reciproco dialogo. La vita cristiana dei coniugi è una testimonianza che arricchisce non solo la Chiesa, ma anche la
società civile. E la missione che scaturisce dal sacramento non esaurisce il suo influsso nell'ambito della comunità
ecclesiale, ma lo prolunga nell'ambito della intera comunità umana.
111. La promozione umana, distinta ma inseparabile dalla evangelizzazione, è il principale servizio che gli sposi
cristiani sono chiamati a compiere nell'ambito della società civile (cf La giustizia nel unondo, Sinodo dei Vescovi 1971).
Tale servizio consiste anzitutto nel vivere all'interno del proprio nucleo coniugale e familiare un'esperienza quotidiana
di autentico amore, come richiamo e stimolo ai valori dell'incontro interpersonale e del dono gratuito di se stesso offerti
ad una società, prigioniera del mito del benessere e dell'efficienza.
112. I coniugi, inoltre, contribuiscono al bene comune della società mediante l'educazione dei figli, ai quali offrono
l'esempio non solo del proprio amore reciproco, ma anche di un amore che oltrepassa confini della famiglia per
estendersi a tutti, specialmente ai poveri e agli oppressi, e nei quali stimolano l'apertura verso il bene della società intera.
113. La funzione educativa dei genitori si estende, in modi propri, all'interno della scuola e nella gestione comunitaria
di tutte le strutture educative, sia pubbliche che private. Il dovere-diritto all'educazione non può essere infatti oggetto di
delega incondizionata e irresponsabile, ma esige la partecipazione consapevole e ordinata di coloro ai quali spetta il
compito originario.
114. Gli sposi cristiani, infine, devono assumersi la loro parte di responsabilità nel rendere più umana, e cioè più
consona alle esigenze della giustizia, la convivenza sociale. Entro questo contesto è urgente risvegliare la coscienza
delle coppie e delle famiglie cristiane riguardo all'importanza di un loro contributo propriamente politico al bene della
società, partecipando democraticamente e secondo coscienza al laborioso processo della sua storica evoluzione.
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4. La differenza-unità di sposo-sposa con il Sacramento delle nozze
riceve il dono di partecipare dell’amore unitivo che c’è tra altre
diversità Dio-umanità, Cristo-chiesa.
Gli sposi, con l’effusione dello Spirito Santo, partecipano di questo amore
straordinario. L.G. n.11:
I coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale
significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre
tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5,32), si aiutano a vicenda per raggiungere la
santità nella vita coniugale; accettando ed educando la prole essi hanno così,
nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo
di Dio.
I Vescovi italiani, molti dei quali Padri sinodali e quindi primi «traduttori» del
Concilio, così scrivono nel 1975 in E.S.M. 34:
Gli sposi partecipano all'amore cristiano in un modo originale e proprio, non come
singole persone, ma assieme, in quanto formano una coppia.
II vincolo che unisce l'uomo e la donna e li fa "una sola carne" (cf Gn 2,24)
diventa in virtù del sacramento del Matrimonio segno e riproduzione di quel
legame che unisce il Verbo di Dio alla carne umana da lui assunta e il Cristo
Capo alla Chiesa suo Corpo nella forza dello Spirito. Per questo la coppia
cristiana non si sostiene soltanto per la naturale complementarità esistente
tra uomo e donna, né si regge unicamente sulla volontà di comunione degli
sposi; ma ha la sua originale sorgente in quel legame che indissolubilmente
unisce il Salvatore alla sua Chiesa e la sua ultima matrice nel mistero della
comunione trinitaria.
Ancora al n. 43:
Per i battezzati il patto coniugale è assunto nel disegno salvifico di Dio e
diventa segno sacramentale dell'azione di grazia di Gesù Cristo per
l'edificazione della sua Chiesa. […] In tal modo il patto coniugale, segno e
strumento dell'azione del Salvatore, è costitutivo della coppia cristiana,
facendola partecipe del vincolo sponsale di Cristo con l'umanità redenta.
Al n. 44:
L'amore coniugale cristiano è nel mondo presenza e testimonianza della
grazia del Salvatore, che purifica, rinnova ed eleva la realtà umana.
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L’unità dei diversi uomo-donna diventa dono di grazia trasmettitrice
dell’accoglienza e dell’amore unitivo, che Dio ha per l’umanità, che Gesù ha per
la Chiesa. Una “comunità di diversi” (uomo-donna, diventa sacramento).
Mi è caro qui citare un grande teologo già esperto al Concilio Vaticano II, il
quale spiega come nella Chiesa sacramento, il matrimonio sia l’unica comunità
costituita Sacramento. Scrive che il matrimonio è l’unica comunità ecclesiale
che nasce interamente da Dio, sia nel momento vocazionale che nella forma
essenziale del “noi” coniugale. (G. Pattaro, La Parola di Dio sul matrimonio in
dialogo, 2007, pg72) .
In un altro testo egli chiama il matrimonio: “segno che annuncia la solidarietà
salvifica di Dio con gli uomini” (cfr G. Pattaro, Fidanzamento e matrimonio
come esperienza di fede, Marcelliana,1978, pg 48).
La chiamata-dono sacramentale colloca gli sposi in un atteggiamento
particolare nei confronti della differenza: non cancellare, né asservire, né
ammansire le diversità ma coglierle nella comunione di amore.
Come l’esperienza coniugale insegna, è solo l’unità di amore che può far
emergere la bellezza e differenza del coniuge, facendo cadere ciò che nella
differenza non è essenziale.
Sono solo i genitori che amano totalmente ciascun figlio nella sua differenza.
Diventano illuminanti le parole della F.C. n. 13:
ll legame coniugale cristiano […] rappresenta il mistero dell'Incarnazione del
Cristo e il suo mistero di Alleanza.
Non c’è più possibilità di pensare il matrimonio e la famiglia come un angolo
privato di vita ma soltanto come un dono che attualizza l’accoglienza di Dio per
l’umanità e di Cristo per la Chiesa. Le diversità sono tutte comprese dentro
questo abbraccio.
Nella famiglia ritroviamo anche il paradigma di crescita progressiva per essere
stabilmente
capaci
rivivere
la
missione
cristiana.
Sentirsi
figli,
contemporaneamente sperimentare di essere fratelli, diventare capaci di
amare fino a dare la vita (sponsalità) per essere fecondi di vita (paternità e
maternità).
Dio ha posto fin da principio, nella coppia-famiglia, il suo segreto per la vita
dell’umanità, per il suo benessere.
Il matrimonio e la famiglia, nella sua componente divina, contiene ciò che può
offrire alla società le coordinate essenziali del suo vivere le differenze.
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5. La famiglia è un seme che contiene un destino
Con parole più teologiche potremmo dire, come Germano Pattaro, che “La
famiglia è profezia”.
La famiglia non è un punto di arrivo ma di passaggio; la famiglia piccola,
annuncia la famiglia grande che compone tutte le differenze in unità.
La famiglia cristiana ha come scopo di costruire la famiglia grande, dove tutte
le differenze sono e saranno realmente fratelli e sorelle e l’unità nuziale sarà
con Dio.
Come per Abramo la sua chiamata era finalizzata non a costruirsi una sua
famiglia, ma un popolo, una famiglia di famiglie. Così è per ciascuna famiglia:
chiamata a costruire la famiglia dei figli di Dio.
Così il cristiano scopre che c’è una figliolanza più grande ancora: “Quale
grande amore ci dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo
realmente?” (1Gv 3,1).
Gesù invita tutti a guardare verso la nuova famiglia, che non cancella la prima.
“L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10,9), ma offre il
dono di una famiglia divina: “Voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8).
“E non chiamate nessuno Padre sulla terra, perché ma solo è il Padre vostro,
quello del cielo” (Mt 23,9).
“Ecco mia madre, ecco i miei fratelli: perché chiunque fa la volontà del Padre
mio che è nei cieli, questi è per me fratello sorella e madre” (Mt 12,48-50)
“A chi ha lasciato tutto per lui, Gesù promette cento volte tanto in fratelli,
sorelle, madri e figli vivere a vita eterna” (Mc 10,30).
In queste parole è scritto lo spazio, il luogo di accoglienza delle differenze nella
famiglia e della famiglia cristiana. In questa luce va promossa e valorizzata
l’Eucaristia domenicale della famiglia. Andare a Messa significa andare a
verificare la direzione della propria famiglia, se va o no nella linea di costruire
una Famiglia grande, con un solo Padre, una sola Tavola, un solo Pane e tutti
fratelli.
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Conclusione
L’essere immagine somiglianza non è una radice ancestrale della famiglia, ne’
la sacramentalità del matrimonio è data solo ad uso e consumo privato della
famiglia ma è un dono prezioso per tutti. Come afferma il Catechismo della
Chiesa Cattolica (n. 1534):
Due altri sacramenti, l'Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla salvezza
altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene
attraverso il servizio degli altri. Essi conferiscono una missione particolare
nella Chiesa e servono all'edificazione del popolo di Dio.
La famiglia è un dono divino per l’umanità e la Chiesa e la sua preziosità non
dipende dal numero di famiglie che la vivono, ma dal fatto che le coppiefamiglie, che vivono questi ideali, dicano concretamente la bellezza che Dio ha
visto nella famiglia fin dal principio: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era
cosa molto buona” (Gen 1,31)
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