Pdf Opera - Penne Matte
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Pdf Opera - Penne Matte
RICORDI << E tu, Giacomo? Qual è il ricordo più bello della tua infanzia? >> L’attenzione si sposta su di me. Pensavo di averla fatta franca, di esser passato inosservato anche all’ennesima seduta di terapia di gruppo, e guarda caso il Destino mi porta in giro ancora. Faccio un sorso d’acqua ed accartoccio il bicchiere di plastica, buttandolo con un tiro da tre punti nel cestino. << Beh, ecco, sono il più giovane in questo gruppo. La mia adolescenza la sto finendo di vivere solo adesso. Non posso andare tanto indietro con gli anni. E poi non ricordo molto bene la mia infanzia, ho cercato di rimuoverla per fare un po’ di spazio nella mia memoria.>> Il mio tentativo di eludere la domanda mi schifa talmente tanto che se fossi saltato fuori dalla finestra e mi fossi dato alla fuga diretta avrei fatto una figura migliore. << Non preoccuparti, puoi parlarci anche di un tuo ricordo relativamente recente. Siamo tutti curiosi di sentire un tuo racconto. >> mi risponde don Fabio tutto sorridente. Questa mandria di psicopatici disperati mi sta fissando perché sanno che un mio discorso bello lungo li aiuterà a trascorrere quest’ora più velocemente. Sembrano delle groupies sedicenni assatanate sotto al palco della loro boy-band preferita. E sia. Avranno il racconto che vogliono. Almeno così avrò una scusa per scroccare delle sigarette a qualcuno dei pazienti. << Diciamo che il ricordo che ora mi è venuto in mente non va ad inquadrare un momento ben preciso, ma un periodo della mia vita, precisamente il Maggio di qualche anno fa. Facevo il terzo superiore, e rischiavo di rifarlo per la seconda volta. I miei voti erano colati a picco durante il secondo quadrimestre. Il perché? Non ve lo so dire. Forse per dei problemi familiari, forse riguardava il motivo per cui sono qui, o forse la mia vita era semplicemente noiosa e desideravo che qualche malessere mi facesse sentire più animato, chissà. Fatto sta che sentivo un insaziabile ed irrefrenabile bisogno di libertà, di fare ciò che volevo quando volevo, ed ovviamente studiare non rientrava in quest’ambito. Avevo perfino programmato una fuga da casa mia per iniziare a vagare nel mondo, avevo racimolato qualche soldo e avevo programmato un itinerario preciso. Naturalmente non avrei mai portato a compimento un progetto simile, vista l’enorme capacità della mia forza di volontà. >> Mi chiedo se questa gente conosca il sarcasmo, ma andiamo avanti. << Avevo litigato con tutto e tutti. Ero solo come un cane, ma non mi ha mai dato gran fastidio la solitudine. Quello che mi faceva impazzire era la noia. Non c’era niente che mi potesse attirare, che potesse svagarmi e farmi distrarre dalla mia incapacità di distrarmi. Sarei sprofondato ancor di più nell’Oblio, se non fosse stato per un piccolo programma alla radio. Ogni sera, su una stazione che ormai credo sia spenta, un presentatore amatoriale conduceva un programma chiamato “Il Falò”. Michele, era questo il nome del presentatore: leggeva, recitava e discuteva riguardo a tantissime storie, alcune famose, altre meno, altre ancora scritte addirittura da lui. Ogni tanto qualche ascoltatore commentava, e lì si scatenava un nuovo dibattito. Era stimolante, davvero. Se sono riuscito a mantenere il senno, ripeto, è solo grazie a questo Michele. Chissà che fine ha fatto adesso…comunque non preoccupatevi, adesso arriva la parte sdolcinata. Per volere del Fato, un giorno mi alzai dal letto e ripresi a studiare. Non so neanch’io il perché, >> in effetti non so il perché di tante cose che ho fatto, ma questo il mio pubblico non deve saperlo, << so solo che quello studio intenso che mi impegnò per tutto il mese di Maggio mi fece rinascere: iniziai ad uscire, a riaprirmi con i miei compagni ed amici, ritornai perfino a scrivere e a sorridere. Chi mai avrebbe pensato, all’epoca, che il rischio di una semplice bocciatura mi avrebbe spinto a vivere ancora di più. E fu proprio grazie allo studio che la conobbi. Grazie il mio interesse nella letteratura, sono riuscito a partecipare ad un concorso la cui premiazione si tenne a Perugia il 15 di Maggio. La mia professoressa di italiano accompagnò me ed un manipolo di altri secchioni senza alcuna caratteristica che potesse suscitare il mio interesse all’evento. E poi la vidi. L’unica ragione che ho trovato nella mia esistenza per cui valga la pena vivere. Si chiamava Clarissa. Quel giorno era il mio unico pensiero. Naturalmente non l’ho dato a vedere. Mi sono seduto poco più avanti di lei, intento con un orecchio a fingere di prestare ascolto alla premiazione, con l’altro a cercare di immaginare ogni suo singolo particolare dal suono della sua voce. Il giorno dopo mi contattò lei. E poi anche il giorno, e quello dopo ancora. Per tutto il mese di Maggio non facemmo altro che parlare ore ed ore la sera, dopo che io avevo finito di studiare e di aggiungere qualche riga alla mia opera. In quel periodo mi alzavo dal letto ed affrontavo tutti gli impegni della giornata solo per poter arrivare, un po’ stanco, alla sera e parlare con lei di qualsiasi argomento ci passasse sottomano. Capii che se prima di allora non avevo alcun motivo di migliorare la mia persona, sotto ogni punto di vista, era giunto il momento di iniziare a fare qualunque cosa per migliorarmi, solo per attirare ancora di più la sua attenzione. Iniziai a studiare ancora più sodo, a sembrare più intelligente, a curare di più il mio aspetto…queste stronzate qui, insomma. Arrivati a Giugno, tutti i miei debiti furono saldati e riuscii a passare con una buona media e con uno sforzo didattico minore delle mie aspettative. A volte mi chiedo cosa possa combinare se m’impegnassi davvero in quello che faccio, ma vabbè. Con la scuola tolta dall’equazione, ogni mio singolo muscolo fremeva dalla voglia di chiedere a Clarissa di uscire. Ancora non sapevo quanto sarebbe stata importante per me. Non avevo ancora immaginato che sarebbe stata lei il mio primo e per ora unico amore, e la mia prima ed unica fonte di dispiacere, eppure il periodo che precedette la nostra relazione è anche uno dei momenti più complessi e vivi che conservo gelosamente all’interno della mia mente. >> Guardo l’orologio. Tra pause teatrale, gesti e dizione perfetta, penso di aver rubato una discreta mezz’oretta a questa seduta inutile. Gli altri pazienti applaudono al meglio che possono per qualche istante, per poi tornare ai loro pensieri contorti e malsani. Don Fabio mi guarda ed annuisce, è fiero di me. Posso ritenermi soddisfatto. << Bene, molto bene Giacomo. Avete visto che non è così difficile aprirsi con gli altri? E’ una cosa terapeutica. Vi fa star bene. Tutti quanti noi sentiamo il bisogno di dover parlare di qualcosa, di dover confessare qualcosa al prossimo, dunque seguiamo questo bisogno! La settimana prossima voglio che qualcun altro segua lo stesso esempio di Giacomo. Ora potete andare. >> Mi alzo dalla sedia seguendo la marea, cercando di non attirare troppo l’attenzione. Maledico il fatto di non esser sordo, quando sento la voce di don Fabio pronunciare il mio nome. Mi volto verso di lui con un sorriso di cortesia. << Che c’è Don? Qualcosa non va? >> Il suo sorriso amorevolmente superiore mi dà il voltastomaco, ma devo fare buon viso a cattivo gioco se voglio uscire da questo letamaio. << Sembravi molto lucido, nel tuo racconto. Ricordandola non hai avuto crisi o scatti d’ira. E’ un passo avanti, non trovi? >> << Se lo dice lei, Don. Io ho sempre detto di esser sano come un pesce. >> Dietro i suoi occhi socchiusi so che mi sta giudicando ed analizzando, so che sta registrando ogni mia singola azione. E’ pur sempre questo il suo lavoro: verificare che i pazzi non siano pazzi. << I test dicono tutt’altra cosa, sai? >> Alzo le spalle innocentemente. << Cosa posso farci. Non garbo molto al dottor Mirani, lei lo sa. >> << So anche che sei qui da troppo tempo, e che sei l’unico paziente che ancora deve superare l’ostacolo più grande di tutti. Giacomo: perché sei qui? >> Il sangue mi sta dando alla testa, ma devo cercare di controllarmi. Vorrei tanto fare una scenata, ma la cella d’isolamento non mi sembra il posto più accogliente del mondo, ora come ora, e vorrei evitare di passarci anche un singolo secondo in più, là dentro. << Alla prossima settimana, Don. >> Gli volto le spalle ed esco dalla cappella. Il sole mi investe con tutta la sua potenza, accecandomi. Vedo Enrico che fuma un po’ clandestinamente le sue sigarette, anche se tutti quanti sanno che è Mirani che gliele fa trovare dentro la sua stanza mensilmente, per tenerlo tranquillo ed evitare che aggredisca di nuovo gli infermieri. Mi avvicino e lo saluto. << Vuoi fare un tiro? >> << Dammene direttamente una. Vi ho fatto perdere metà incontro. >> Ci pensa qualche istante prima di accendermene una nuova. << Grazie. >> Prendo una boccata di fumo, ed i miei nervi si son subito placati. Mi sembra la sostanza più limpida e salutare della storia dell’umanità. << Ma quella storia lì, quella che hai raccontato…era vera? Esiste per davvero una Clarissa? >> Lo guardo dritto nei suoi occhi vitrei. Per un momento penso di dirgli la verità. Dio, che cazzo ci sto a fare in questo buco? << Ma ti pare? Ho inventato tutto di sana pianta, giusto per avere qualcosa da dire. Non sono mai stato a Perugia. >>