Une amie (Traduzione)

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Une amie (Traduzione)
Une amie / un'amica
Avevo 15 anni, non mi si può biasimare se non me ne accorsi subito. A 15 anni ci si può
accordare il lusso di soffrire per dei problemi ridicoli, ci si costruisce la propria esistenza di
microscopiche catastrofi esagerate. Si pensa che i nostri dolori siano più grandi di quelli di
chiunque altro sulla faccia della terra. Ero persa in questi pensieri adolescenziali. Periodo di
Merda, lo chiamavo. Lei era al mio fianco, tutti i giorni di una vita sempre uguale. Lei che non era
mai triste, che non aveva mai un problema, ma che in quei giorni sospirava sempre più spesso. E
diceva di averlo anche lei, il Periodo di Merda. Ma i suoi Periodi di Merda duravano poco, di
solito. Due o tre giorni, al massimo.
Dopo due mesi ce l’aveva ancora. Non mi preoccupai: “passerà”, mi dicevo.
“pronto?” eravamo fuori insieme, mi accompagnava ad una festa. “no, non vado a mangiare dalla
nonna, mangio qualcosa fuori con Flo…” Flo sono io e quella sera non avremmo assolutamente
mangiato insieme. Fui tentata di chiederle perché avesse mentito a sua madre, ma decisi di
lasciar perdere: era solo un episodio.
Nei due mesi successivi mi accorsi che non faceva mai merenda al pomeriggio, che non si
prendeva più la solita merendina alle macchinette la mattina. “passerà” mi dicevo.
Poco a poco il suo viso si spense. Sorrideva, rideva, ma sembrava stanca, o preoccupata. Cosa
c’era che non andava?
E soprattutto, perché non me ne parlava?
Con il tempo notai piccoli gesti che non avevo voluto vedere: come il lancio dei biscotti in canale
la mattina, la fatica nel fare i ponti, il saltare pranzi e cene appena poteva. Lo ignorai. Erano solo
episodi.
Quando arrivò la primavera era l’ombra di se stessa. I vestiti leggeri lasciavano indovinare il suo
corpo magro. Troppo magro. Era dimagrita in un modo impressionante. Aveva sempre avuto un
fisico invidiabile: ora non le invidiavo il bacino puntuto e le scapole in fuori. La pelle era tirata
sulle ossa, sul viso. Quando la guardavo qualcosa mi chiudeva lo stomaco, ma non le chiesi
niente, non gliene parlai mai. Non me ne accorsi, ma avevo paura di lei.
Quando la scuola finì, venne a mangiare da me. La misi alla prova. E mangiò. Non quanto me,
ma mangiò. Tirai un sospiro di sollievo: non avevo immaginato bene.
“torno subito.” Mi disse con quel suo sorriso stanco e si allontanò verso il bagno. Rimasi seduta
un istante, poi mi si accese una luce. La seguii senza far rumore e ascoltai, nascosta dietro la
porta del bagno.
Ebbi paura. Molta paura. E feci l’unica cosa che si fa quando si ha veramente paura: scappai. E
abbandonai la mia amica anoressico-bulimica nelle grinfie del suo problema.
Sono passati quattro anni e ora stringo una mano da cui la vita scivola via. Un mano fatta di pelle
e di ossa. Una mano senza forze. Ricordo i giorni in cui evitavo il suo sguardo in corridoio, in cui
avevo smesso di passarla a prendere la mattina, in cui non rispondevo ai suoi messaggi.
Giorni in cui forse, avrei potuto salvarla.
Ma oggi, oggi è troppo tardi.
Emma Fusaro IV A