Riassunto a cura di Antonio Gualtieri.

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Riassunto a cura di Antonio Gualtieri.
Riassunto a cura di Antonio Gualtieri.
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I
ntroduzione. La prefazione al Convegno sotto riportata spiega molto efficacemente lo spirito e il
filo conduttore dell’intera giornata, sottolineando la necessità di ridurre al minimo gli “effetti
collaterali” della pratica agonistica del calcio.
L'obiettivo del condizionamento fisico nel calcio, oltre a fornire uno stimolo con specifici adattamenti volti a migliorare la
prestazione atletica, è tutelare il benessere fisico in una competizione sportiva caratterizzata da un lungo periodo di attività
che spesso supera i 200 allenamenti e le 50 partite all’anno. In tale ottica, questa iniziativa intende fornire ai partecipanti
conoscenze specifiche sull’ottimizzazione della preparazione fisica nel calcio ai fini del raggiungimento della massima
prestazione riducendo il rischio infortuni.
Per dare un panorama il più ampio possibile ai partecipanti, il convegno è stato organizzato in due parti:
la mattina è stata dedicata a materie mediche, mentre nel pomeriggio sono stati affrontati temi più vicini
all’allenamento sportivo. Si allega in coda il programma completo.
M
attina. Il primo intervento è stato quello del professor Rainoldi, il quale ha presentato
un’ampia revisione della bibliografia internazionale sull’epidemiologia degli infortuni nello
sport e in particolare nel calcio. Come descritto da Hootman (2007) il calcio è lo sport con
maggior infortuni in gara dopo il football e il wrestling, ma anche in allenamento, superato soltanto dai
due precedenti e dalla ginnastica artistica. Anche per quel che riguarda gli infortuni del ginocchio il
calcio è ai primi posti insieme allo squash, al football e allo sci alpino.
La professoressa Giannini, esperta di diagnostica per immagini, dopo un’introduttiva classificazione
delle lesioni muscolari, tendinee e legamentose ha attirato l’attenzione con un messaggio in
controtendenza per quel che riguarda le tempistiche di una diagnosi per immagini post-trauma. Ha
infatti condiviso la sua esperienza per quel che riguarda gli esami diagnostici nelle prime 48 ore dopo
l’infortunio, sostenendo, contrariamente a quanto solitamente divulgato, che l’aumentata quantità di
liquidi in un muscolo o articolazione traumatizzati aiuti l’esecuzione del test stesso e faciliti la diagnosi.
La dottoressa ha poi aperto una parentesi sulla terapia con PRP (Platelet Rich Plasma, plasma arricchito con
piastrine), sottolineando due aspetti fondamentali per il successo di questa tecnica: precocità
dell’intervento, da farsi entro 14 giorni dalla lesione, e altrettanto precoce inizio del movimento del
muscolo interessato, elemento necessario per permettere al plasma iniettato di diffondersi in tutta la
porzione anatomica danneggiata. Dati clinici dimostrano come lesioni di 2° grado trattate nel modo
sopra indicato abbiano richiesto soltanto 30 giorni di prognosi contro i 50 solitamente prescritti.
Sulla terapia con PRP si è concentra l’analisi del professor Borrione, la terza presentazione del mattino.
I dati dei suoi studi confermano quanto riportato dalla precedente relatrice: dopo una lesione di 3°
grado trattata con PRP sono stati sufficienti in media 52 giorni per tornare all’attività agonistica invece
dei 117 di un normale iter riabilitativo. L’ampio progetto di ricerca guidato dal professore ha dato
risposte a diversi interrogativi su questa tecnica:
1. il PRP non stimola la produzione fibrotica, quindi non aumenta il rischio di recidiva;
2. il PRP aumenta la risposta fisiologica precoce a un trauma con lesione, promuovendo la
produzione di tessuto muscolare, di collagene e della matrice extra-cellulare;
3. il PRP inibisce l’apoptosi dei mioblasti, ovvero evita la morte delle cellule deputate a formare
nuove cellule muscolari;
4. il PRP non stimola l’angiogenesi (neo-formazione di vasi ematici) e non ha effetti sistemici
(motivo per cui il PRP è stato rimosso dall’elenco delle sostanze dopanti della WADA).
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La relazione si è conclusa con alcuni consigli pratici, primo fra tutti quello di non utilizzare FANS,
tipologia di farmaci che ridurrebbero l’efficacia della terapia: nel caso in cui siano stati assunti nel
recente passato è necessario un periodo di wash-out.
La mattina è proseguita con un intervento del professor De Carli, che ha presentato i dati
epidemiologici sugli infortuni delle Nazionali italiane di calcio maschili e femminili. Il ginocchio è
l’articolazione più soggetta a infortuni: i più colpiti sono i difensori, seguiti dai centrocampisti e infine
dagli attaccanti. Per quel che riguarda il LCA (Legamento Crociato Anteriore) le donne fanno registrare
il triplo degli eventi rispetto agli uomini. Interessante e innovativa è l’analisi biomeccanica dei
movimenti che tipicamente comportano un infortunio di ginocchio: tramite una lunga analisi video del
momento della lesione associata a una ricostruzione grafica della struttura scheletrica l’equipe del
professore è in grado di individuare con una buona approssimazione il momento del trauma,
comprendendo meglio il movimento incriminato. Tra questi il più comune (71% dei casi) è lo stress in
valgo associato all’ extra-rotazione della gamba propriamente detta. Altrettanto interessante è l’analisi
del momento della gara in cui il rischio per questo tipo di infortunio aumenta: il 64% si verifica nel
primo tempo e una buona parte nei primi 15' del 1° o 2° tempo, etichettando il trauma del ginocchio
come un “infortunio da alta intensità”.
P
omeriggio. La seconda parte del Convegno si apre con la presentazione del dottor
Rampinini, dedicata alla validazione e alla correlazione tra alcuni test funzionali e la
prestazione del calciatore. Da diversi studi lo YoYo Intermittent Recovery Test Level 1 (IRTL1) si è
dimostrato correlato con la distanza totale e la distanza percorsa ad alta intensità (> 15 km/h), così
come con la potenza metabolica a diverse intensità, durante una partita di calcio.
Molto interessante la riflessione sull’analisi dei dati derivanti dai test funzionali. Una prima osservazione
è stata dedicata alla variazione del risultato tra una sessione di test e l’altra: per quel che riguarda, ad
esempio, il cambiamento della prestazione nell’HIT (High Intensity Test) la variazione degli ioni H+ deve
essere superiore al 10% per poter osservare un miglioramento o peggioramento della prestazione
calcistica. Un altro spunto importante è la consapevolezza di cosa nasconda la media di un gruppo:
solitamente l’accumulo di lattato medio di una squadra in un test come l’HIT si riduce al termine del
periodo preparatorio per poi rimanere costante durante l’anno, ma questa apparente stasi della media è
determinata sicuramente da peggioramenti individuali che compensano altrettanti miglioramenti. Ecco
quindi che un elemento determinate al fine di una corretta valutazione diventa l’analisi dello storico
individuale del calciatore.
Anche parte della relazione del professor D’Ottavio è stata dedicata alla valutazione funzionale. Infatti,
sono state proposte alcune varianti dello YoYo con un passaggio ad ogni cambio di direzione oppure
interamente in conduzione palla. Nel primo caso la prestazione del test si è ridotta mediamente del
34%, mentre nel secondo caso del 61%. La sua proposta è stata quella di utilizzare questa differenza tra
YoYo a secco e YoYo con palla per quantificare il costo del compito tecnico per il singolo giocatore e
quindi pesarne la qualità tecnica, che sarà maggiore quanto minore sarà il calo tra il primo e il secondo
test. Il professore ha poi presentato alcuni concetti slogan, quali le 4 C della tecnica (Coordinazione +
Condizione + Cognizione, il tutto supportato dalla Competizione) e l’utilità dell’allenamento al fine di
ridurre la turbolenza della partita (l’allenamento x creare fatica x contrastare fatica).
La lezione del professor Impellizzeri si è concentrata, dopo una breve introduzione all’ormai noto
programma di prevenzione 11+ della FIFA, ai complessi e lunghi processi di validazione scientifica di
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un programma di allenamento (in questo caso preventivo). Altrettanto interessante è stata la
differenziazione fatta fra un cambiamento statisticamente significativo e un cambiamento rilevante, non
sempre legati fra loro. A questo fine è stato riportato l’esempio dell’incremento di forza dopo un
allenamento con esercizi di squat: fin tanto che l’aumento del massimale (1RM) non supera il 10% i
vantaggi in uno sprint non saranno rilevanti anche se l’incremento nell’esercizio di squat risulta
statisticamente significativo. Altro spunto di riflessione emerso durante le domande al relatore riguarda
l’attualissimo core-training: lo squat è uno degli esercizi in cui il reclutamento dei muscoli della cintura
addominale è ai massimi livelli, molto di più dei classici esercizi di core stability.
La lunga relazione del professor Castagna ha costituito un vero e proprio riassunto degli studi e delle
pubblicazioni degli ultimi anni in riferimento al controllo del carico nel calcio. Particolare attenzione è
stata dedicata alle scale psicometriche, in grado di dare informazioni sul carico interno (percepito
dall’atleta) determinato dall’allenamento. Quest’ultimo è stato dimostrato esser correlato al carico
esterno (quantificato, ad esempio, con i GPS), ma con il vantaggio di non aver alcun costo, quindi da
utilizzare senza dubbio qualora non si abbia la possibilità di avere dati oggettivi su quanto realizzato in
allenamento. Riassumendo alcuni concetti il professore ha infine ricordato le due equazioni della teoria
dell’allenamento: Performance = Fitness – Fatica; Carico = Volume x Intensità.
Il Convegno si è chiuso con la relazione del professor Sassi, il quale ha avanzato una proposta pratica
di prevenzione per il calciatore professionista, basata sull’ allungamento muscolo-tendineo dinamico, le
propriocezione dinamica, l’allenamento della forza con macchine a volano e cambi di direzione, il
monitoraggio del Training Load: in altre parole il sempre in evoluzione Metodo Juventus che di anno in
anno si migliora e integra con nuove proposte.
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