Il pensiero di Cristo e i fattori costitutivi del cammino dell`uomo

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Il pensiero di Cristo e i fattori costitutivi del cammino dell`uomo
Il pensiero di Cristo e i fattori costitutivi del cammino dell’uomo
“Educarsi al pensiero di Cristo” Lett. Past., card. Angelo Scola
2° Incontro di catechesi parrocchiale
Una premessa
Esplicito i motivi per i quali, in questo secondo incontro, ci chiediamo di prendere in considerazione tre
parole significative: ragione, libertà, sentimento.
Il primo motivo riprende l’affermazione che l'uomo, creatura di Dio, è fatto a Sua “immagine” e “somiglianza”.
(Gen 1,26)
Cosa significa a immagine e somiglianza di Dio?
All’uomo è dato di partecipare dell'essere stesso di Dio che è perfetta ragione e libertà. Dio crea l'uomo
come entità simile a Lui, unica e originale rispetto a tutte le altre realtà create, proprio perché lo rende
capace di ragione e di libertà.
Il secondo motivo ci aiuta a cogliere il valore e l’importanza di questi fattori nella affermazione e nello
sviluppo dell’esistenza umana e del suo compimento nel contesto della esperienza della fede cristiana
secondo la famosa espressione di Dante:
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”. (Dante, Divina Commedia, Inf., XXVI, vv 118-120)
Mi sostiene in questa riflessione la testimonianza di Benedetto XVI: “Fede e ragione sono i valori in cui ho
riconosciuto la mia missione [sta parlando dei suoi otto anni di pontificato] e per le quali la durata del
pontificato non era importante”. (Benedetto XVI, Ultime conversazioni, a cura di Peter Seewald, pag 22)
1 La ragione
1.1 Cos'è la ragione?
La ragione dice la necessità e la capacità dell'uomo di rendersi conto della realtà secondo la totalità dei suoi
fattori.
È lo strumento che permette all'uomo di prendere coscienza, di conoscere, nel senso più semplice e
profondo del termine, la realtà, se stessi, gli altri, il mondo.
L’uomo infatti è quel livello della natura, cioè della realtà esistente, in cui la natura ha la possibilità di
prendere coscienza di sé e delle cose, in modo consapevole. Del resto, non ci sarebbe vita veramente
umana senza l’implicazione della ragione che tende alla conoscenza. La documentazione più elementare ci
è offerta dall’esperienza del bambino con i suoi infiniti “perchè” sospinta e sollecitata dalla fragilità della sua
incoscienza.
Conoscere è prendere coscienza della realtà non tanto o soltanto nel suo aspetto coglibile dai cinque sensi,
ma soprattutto nel sua identità di significato, di scopo (lo scopo come suggeriva un mio alunno è il significato
riconosciuto utile per sé, conveniente per la propria vita).
Non sarebbe possibile un rapporto dignitosamente umano con le cose se non ci rapportassimo consapevoli
del loro significato cioè della loro verità, come conoscenza della totalità.
Gli uomini hanno dato e danno il nome alle cose preoccupandosi di custodirne lo scopo. Trattiamo le cose
obbedendo al loro scopo. Questo è bene, giusto e costruttivo. Non obbedire allo scopo: questo è male,
ingiusto e distruttivo.
Per questo la ragione è sorgente di intelligenza (intus-legere), capacità di lettura in profondità delle cose.
Non possiamo venir meno a questo compito perché “Il sonno della ragione genera mostri”. (Francisco Goya,
1797)
Non sarebbe possibile la vita come rapporto con sè e con la realtà, non sapremmo come trattare, gestire,
servirci e servire la realtà. Ci troveremmo costretti o a fuggire dalla realtà o a trattarla secondo istintività,
reattività o immediato e egoistico tornaconto.
“Da tempo l'uomo occidentale ha bruciato la bisaccia e il bastone del viandante, con la sua commovente
attitudine alla domanda. La dimora dell'uomo non è più l'orizzonte, ma il nascondiglio, dove non incontra
nessuno e dove perciò comincia a dubitare della sua stessa esistenza. (Tarkovskij)
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La ragione porta a galla il volto della realtà, la sua verità e la rende contenuto di una presa di coscienza.
Così la ragione realizza se stessa. È un occhio spalancato sulla realtà che vede e ne riconosce i lineamenti.
Siamo lontani dalla concezione drammaticamente diffusa per cui la ragione è “misura” della realtà che
pretende definire il senso delle cose come se fossero opera sua.
La famosa affermazione “Cogito ergo sum” di Cartesio e il concetto della “dea ragione” degli illuministi sono
state espressioni di un lento cammino che ha portato la cultura occidentale a ridurre il compito della ragione
per poi assolutizzarlo. Per questo Benedetto XVI nell’incontro con i rappresentanti della scienza,
all’università di Regensburg, in Germania, nel 2006 afferma: “si tratta ... di un allargamento del nostro
concetto di ragione e dell'uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo
anche le minacce che emergono da questa possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci
riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione
autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento e dischiudiamo ad essa nuovamente
tutta la sua ampiezza”
1.2 La necessità di una attenzione
La ragione per conoscere chiede una condizione: l’osservazione attenta e appassionata alla realtà; non
conosci se in qualche misura non sei in un rapporto di simpatia con la realtà. Uno studente capisce più
facilmente una materia se piace.
“Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità,
molto ragionamento e poca osservazione conducono all’errore.
La nostra è una società fatta di ideologie che antepongono al dato della realtà uno schema fabbricato
dall’intelletto così il trionfo dell’ideologia consacra alla rovina della civiltà” (Alexis Carrel, Riflessione sulla
condotta della vita)
Questa affermazione è un giudizio pungente sulla pesante tentazione dell’uomo moderno e il secolo XX ne è
stato una testimonianza tragica.
1.3 Una sottolineatura particolare: il valore dell’esperienza
Vi è un pezzo di realtà che ci sta particolarmente a cuore: è la realtà della mia persona, della mia esistenza
umana con il suo molteplice relazionarsi a se stessa, agli altri, alle circostanze della vita. Qui si percepisce
più profondamente l'urgenza di una intelligenza del vivere. Qui la ragione dell'uomo avverte tutto il suo
vertiginoso compito di fare chiarezza, di portare a galla gli ideali e i valori della vita.
Ciò è possibile solo imparando a essere attenti e in ascolto di ciò che viviamo, di ciò che sperimentiamo, di
ciò che ci accade. Lo testimonia questa osservazione di don Primo Mazzolari: “Stanno sempre alla finestra e
guardano (da spettatori, aggiungo io) e credono di poter capire come è fatta la realtà”.
Questa è la strada che permette alla ragione di poter capire sempre di più, di scoprire sempre di più ciò che
l’esperienza rende evidente come contributo di verità, di senso e di valore. In questo contesto si riconosce
che l’uomo è una imprescindibile unità di due fattori tra loro irriducibili che la storia ha chiamato: corpo e
anima, materia e spirito.
1.4 La ragione conduce alla religiosità
Nella attenzione alla realtà, la ragione riconosce che essa insegna, cioè è segno dell’insondabile Mistero che
“sottende ogni cosa”, come diceva Einstein, fino a giungere alla ragionevole consapevolezza che la
religiosità è il contenuto che più realizza la ragione. La religiosità compie la ragione in una unità
imprescindibile.
“Tutta la legge della esistenza umana consiste solo in ciò: che l’uomo possa sempre inchinarsi dinanzi
all’infinitamente grande. Se gli uomini venissero privati dell’infinitamente grande, essi non potrebbero più
vivere e morrebbero in preda alla disperanza».(F. Dostoevskij)
Rompere questa unità è arroganza, è follia. “L'amara scoperta che Dio non esiste ha ucciso la parola
destino, ma negare il destino è arroganza, affermare che noi siamo gli unici artefici della nostra esistenza è
follia”. (O. Fallaci, Un uomo)
Rompere questa unità è insipienza: "Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di
Dio, e dai beni visibili non riconobbero Colui che è, non riconobbero l'Artefice, pur considerandone le opere".
(Sap 13, 1)
Le conseguenze sono gravi.
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La prima: la vita facilmente si dissolve fino al punto di affermarne una assurdità che rende impossibile un
attaccamento amorevole ad essa.
La seconda: la vita si prostra nell’adorazione dell’opera delle proprie mani, dello sforzo della propria volontà,
dell’imporsi della propria misura non riuscendo comunque mai ha realizzare un atto interamente umano. lo
dimostra l'angosciante dramma di Ibsen in cui, il protagonista Brand che per tutta la sua vita ha cercato la
costruzione della perfezione, non può che concludere la sua vicenda con il riconoscimento di un fallimento:
"Rispondimi, o Dio, nell'ora in cui la morte m'inghiotte: non è dunque sufficiente tutta la volontà di un uomo
per conseguire una sola parte di salvezza?" ( H. Ibsen, Band)
1.5 La ragione abbraccia la fede
Così come la ragione è in grado di riconoscere la verità delle cose, allo stesso modo essa è in grado di
riconoscere la Verità, qualora la incontri. È l’esperienza di Giovanni e Andrea e dei discepoli, che seguono
Cristo perché riconoscono una corrispondenza umana cui è irragionevole non andare dietro.
"Maestro, anche noi non comprendiamo quello che tu dici, ma se andiamo via da te dove andiamo? Tu solo
hai parole che danno senso alla vita". (Gv 6, 68-69)
Oggi, per noi, la Chiesa è il luogo che custodisce la stessa esperienza di duemila anni fa.
1.6 La ragione realizzata dalla fede
La fede è la ragione che ha incontrato e riconosciuto la persona di Cristo.
E per questo arriva a una profondità di intelligenza che non sarebbe data altrimenti.
Vi è una espressione di San Paolo che pongo a riferimento per lo sviluppo di questo contenuto.
“Pur vivendo nella carne, vivo nella fede del Figlio di Dio, il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me”
(Gal 2,20)
Non è strappato via nulla di ciò che appartiene alla vita concreta: esigenze, rapporti, lavoro, politica, affetti,
circostanze, ma tutto è investito di uno sguardo e di una intelligenza nuovi. Il nostro cardinale nella sua
lettera “Educarsi al pensiero di Cristo”, riprendendo la frase di san Massimo Confessore: “Anch'io, infatti,
dico di avere il pensiero di Cristo che pensa secondo Lui e pensa Lui attraverso le cose” (p, 40), dice che
“l'incontro con Gesù per il credente è la sorgente di un nuovo modo di pensare gli affetti, il lavoro, il riposo, la
festa, l'educazione, il dolore, la vita e la morte, il male e la giustizia. Egli trova in Cristo il criterio per valutare
ogni cosa approfondendo l'unità della propria persona” (p 41). Prosegue più avanti: “Il pensiero di Cristo non
è anzitutto un insieme di conoscenze intellettuali. È piuttosto una mentalità, un modo di sentire e di intendere
la realtà che scaturisce dall'aver parte con Cristo”. (p 41) L'esperienza dell'abbraccio di Cristo alla mia
persona è generatrice, nella pazienza del tempo e con l’aiuto degli amici, di una intelligenza e quindi di una
relazione sempre più intensa, più chiara, più amorevole con tutti e con tutto.
Ma ancor di più, tutto il concreto della vita diventa ambito del maturarsi della mia familiarità con Gesù, verità
mia e del mondo, rendendo per ciascuno sempre meno astratta o sentimentale l’affermazione di san Paolo:
“Vivo, non io, sei Tu che vivi in me”. (Gal 2,20)
1.7 L’intelligenza della fede, non lo “schema del mondo”
Dice il nostro cardinale: “Assecondare l'incontro con Cristo, mettersi alla sua sequela comporta una
permanente conversione, vale a dire un cambiamento di mentalità per assumere sempre di più la persona e
l’esistenza di Cristo come criterio del proprio pensare ed agire; (pag.48) e poco prima a pagina 47 afferma:
“Per questo Paolo, con profondo realismo, ammonisce i cristiani, che sono nel mondo, a non conformarsi
alla mentalità del mondo o, come suggerisce il verbo greco, a non lasciare che sia il mondo a conformarci al
suo schema”.
"E non vogliate conformarvi a questo secolo, (mè syschematízesthe), ma trasformatevi rinnovando la vostra
mente, affinché possiate distinguere qual è la volontà di Dio, ciò che è bene, ciò che gli è gradito, ciò che è
perfetto" (Rm 12,2)
Il cardinale prosegue ancora: “Non ci si può conformare al mondo quando propone schemi distruttivi nei
confronti delle singole persone, della famiglia umana e della stessa creazione. Essi provengono, come
l'evangelo Paolino ha mostrato, dall’enigma originario del peccato dell'uomo, dal suo cuore ferito e smarrito
che rimane esposto alla seduzione della affermazione di sé a scapito di tutto e di tutti”. (Rm 3,9-18; 5,1221;14-25).
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1.8 L’intelligenza della fede e la positività della realtà
La vita di Gesù e la storia che ne è nata affermano una ultima positività della realtà e della vita in tutte le sue
circostanze.
“Ora noi sappiamo che tutte le cose cooperano al bene per coloro che amano Dio” (Rm 8,28)
Una certezza che sfida, che provoca; alcune volte percepita come irragionevole, contro la ragione, da
visionari. Eppure il cristianesimo rende evidente, nei fatti che accadono e nella testimonianza di tanti fratelli,
la possibilità reale di questa certezza.
Quando usiamo la ragione come intelligenza che riconosce l’origine e il contenuto più vero della realtà nel
Mistero che la fa essere perché la ama, allora si scorge l’orizzonte della positività.
La realtà è positiva perché c’è Lui, perché “è Lui la realtà”, dice san Paolo (cfr. Col 2,17)
“Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell'ultimo giorno». Gesù le
disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me,
non morrà in eterno. Credi tu questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di
Dio, colui che viene nel mondo»” (Gv 11, 23-27)
“Anche se muore, vivrà”: è la ragione, sorretta dall’esperienza, che tiene conto di tutti i fattori, che non si
arresta alla superficie, legge dentro, guarda la realtà e riconosce la Sua presenza. “Si, io credo che Tu sei il
Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”, cioè la verità del mondo.
È uno sguardo che si impara con umiltà, fedeli alla grazia che ci è donata, nella domanda a Cristo perché
aumenti la nostra fede e nella forza della testimonianza che ci è data dalla vita dei fratelli.
Nel libro “Ultime conversazioni”, alla domanda che il giornalista rivolge a Benedetto XVI: “nella sua vita le
notti oscure di cui parlano molti santi non ci sono proprio mai state?” Il Papa risponde: “completamente buie,
diciamo, no, ma in certe situazioni il rapporto con Dio diventa difficile: sono i momenti in cui mi chiedo
perché c'è tanto male al mondo e come tutto questo male si possa conciliare con l'onnipotenza e la bontà
del Signore”.
Il giornalista, incalzandolo, con la successiva domanda: “come si affrontano questi problemi di fede?”, egli
risponde: “io li affronto per prima cosa non abbandonando la certezza di fondo della fede e rimanendo, per
così dire, immerso in essa e sapendo che se non capisco una cosa, non è perché sia sbagliata ma perché io
sono troppo piccino per comprenderla. Alcune volte è successo che ci sia arrivato a poco a poco ed è
sempre un dono quando all'improvviso uno vede qualcosa che prima non vedeva. Ci si rende conto che
bisogna essere umili”. (Benedetto XVI, Ultime conversazioni, a cura di Peter Seewald, pag 27)
1.9 Ragione e sentimento
La vita di tutti i giorni ci fa constatare che nell’esperienza umana è presente un fenomeno particolare che
chiamiamo: sentimento. Esso si sperimenta come una reazione o uno stato d’animo o una emozione che la
circostanza, nella quale ci si trova coinvolti, genera in noi. Niente entra nella nostra vita e nella nostra
conoscenza senza determinare uno stato d’animo: curiosità, indifferenza, gioia, dolore, simpatia, antipatia,
rabbia, delusione… E niente è conosciuto “freddamente”.
Poichè la persona umana è una unità profonda di molteplici fattori, la ragione non può essere concepita e
vissuta separata dal sentimento. Se ciò avvenisse la conoscenza si ridurrebbe a puro processo cerebrale, a
freddo meccanismo intellettuale. L’uomo sarebbe un robot pensante.
D’altra parte nemmeno il sentimento può disgiungersi dalla ragione. La vita sarebbe definita dalle reazioni,
dagli stati d’animo, dalle emozioni. Si genererebbe un “sentimentalismo” sterile, incapace di portarci alla
conoscenza delle cose e della esperienza. Non saremmo più capaci di un giudizio sulla realtà. Le due
derive, razionalismo e sentimentalismo, genererebbero una violenza alla persona.
Il sentimento può invece aiutare il processo conoscitivo agendo come stimolo e strumento, come “lente” che
favorisce la “messa a fuoco” di ciò che “l’occhio della ragione” vuole comprendere in modo intelligente;
come avviene, per fare un esempio semplice, nell’utilizzo del cannocchiale.
Oggi, la società e quindi ciascuno di noi, è facilmente tentato di assecondare un rapporto con
la vita, guardata e equivocamente giudicata dal sentimento. Lo testimonia l’uso esagerato e esasperato del
verbo “sentire”: “sento, non sento il suo amore, “sento, non sento Dio”, “faccio quel che mi sento”, “non mi
sento.di ...”
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2 La libertà
2.1 Che cosa è la libertà?
Mi introduco alla riflessione con alcune citazioni, ben conosciute.
La prima si riferisce a un episodio della Divina Commedia.
Quando Dante arriva in purgatorio incontra Catone, il custode del purgatorio, che chiede a Virgilio perché
Dante sia lì e Virgilio risponde con la famosa espressione:
“...libertà va cercando, ch’è si cara,
come sa chi per lei vita rifiuta”. (Purgatorio Canto I, vv. 70-72)
La seconda è da tratta dal libro Don Chisciotte della Mancia: “Quando don Chisciotte si vide in campagna
aperta, libero e sbarazzato dagli amorosi detti di Altisidora, parevagli di trovarsi nel suo centro e di sentirsi
rinnovare il coraggio per proseguire le gesta delle sue cavallerie. Rivoltosi a Sancio gli disse: «La libertà, o
Sancio, è uno dei doni più preziosi dal cielo concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che
stanno ricoperti dal mare non le si possono agguagliare: e per la libertà, come per l'onore, si può
avventurare la vita, quando per lo contrario la schiavitù è il peggior male che possa arrivare agli uomini. Io
dico questo, o Sancio, perché tu hai ben veduto co' tuoi occhi le delizie e l'abbondanza da noi godute nel
castello or or lasciato; eppure ti assicuro che in mezzo a que' sontuosi banchetti e a quelle bevande gelate,
sembravami di essere nello strettoio della fame. Io non gustava di alcuna cosa con quella soddisfazione con
cui gustata l'avrei se fosse stata mia propia, mentre l'obbligo del dovere e della retribuzione ai benefici ed
alle grazie ricevute sono altrettanti legami che non lasciano campeggiare l'animo libero. Beato colui cui ha
dato il cielo un tozzo di pane senz'altro obbligo fuor quello di essergli grato. (Don Chisciotte di M. Cervantes
di Saavedra, cap. 57)
La terza ricorda un fatto della storia: “La libertà innanzitutto, la libertà è l’uomo”. (Lo studente rivoltoso,
Piazza Tienanmen, Pechino 1989)
Come sempre, anche oggi, nessuno metterebbe in discussione il grande bene della libertà dell’uomo al
quale tutti gli altri beni sono subordinati. La libertà è bene supremo
Ma cos'è la libertà?. Alcuni sintetici passaggi.
2.2 La libertà è compimento di sé
La vita ci insegna che la libertà si sperimenta come risposta o soddisfazione di ciò che si desidera; si pone
nella prospettiva di una realizzazione delle proprie attese, delle proprie esigenze e quindi ultimamente come
compimento di sè, della propria umanità. Non dunque l'essere libero per un momento, per una sera, non
solo essere libero in cento, duecento, mille occasioni, ma sempre; pienamente liberi cioè la libertà.
Libertà di essere felici.
2.3 “Quid animo satis”: la libertà è capacità di Dio
Che cosa basta all’animo? Si domandava san Francesco. (I fioretti di san Francesco, cap. VIII)
Che casa compie totalmente il nostro desiderio? Che cosa basta veramente?
Nessuno può sottrarsi, se è sincero con la propria esperienza di uomo, alla inesauribilità della attesa del
proprio cuore.
La semplicità e la genialità umana hanno sempre constatato, pur riconoscendo che in tante circostanze
realizziamo ciò che desideriamo, lo scarto tra la realtà del desiderio e la possibilità della sua risposta. Puoi
avere in mano tutto il mondo, dice Gesu (Lc 12, 16-20), eppure sentire che qualcosa manca sempre e anche
quando ottieni ciò che desideri ciò che hai tra le mani non esaurisce il tuo anelito e tu sei costretto a
“accusare le cose d’insufficienza e di nullità e patire mancamento e voto”, come dice Leopardi. (G. Leopardi,
Pensieri, LXVIII). Allo stesso modo, in tante occasioni dobbiamo riconoscere vero ciò che afferma François
Mauriac: “Mi sono sempre ingannato sull’oggetto dei miei desideri. Non sappiamo quel che desideriamo”
(Groviglio di vipere, Mondadori, Milano 1986, p. 201)
Non è l’affermazione di un cinico pessimismo ma un intelligente realismo che mantiene viva l’apertura e il
riconoscimento che siamo fatti per l’infinito, per Dio.
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La libertà è così la capacità di Dio, di dire di sì a Colui che la ragione, quando essa legge con onestà
l’esperienza della vita, rende evidente come verità e bene supremo della nostra esistenza.
In questo orizzonte di certezza e di esperienza, ogni desiderio, seppur piccolo, compiutamente o
incompiutamente corrisposto, è contributo di bene e di positività per la vita.
“Ciò che un uomo cerca nei piaceri è un infinito, e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di conseguire
questa infinità”. (C. Pavese, Il mestiere di vivere, op. cit., p. 190).
2.4 Il fondamento della libertà
“L'uomo è creato libero, è libero, foss’anche nato in catene” (Friedrich von Schiller)
La libertà appartiene all’uomo in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio. É una capacità del suo
essere, della sua natura definita come partecipazione all’essere stesso di Dio, costituita come diretto
rapporto e appartenenza a Lui.
La libertà non è data dal rapporto biologico e affettivo coi genitori, nè dai vincoli sociali, culturali o psicologici.
Tutti questi fattori, incidono ma non determinano l’identità dell’uomo. Io sono Tu che mi fai.
La libertà, in altri termini, non viene data all’uomo dall’esterno. Egli è libero per il fatto che è stato creato
libero.
“Il dato di fatto che non mi sono fatto da me stesso, diviene lo sfondo su cui si staglia la libertà dell'uomo,
[costituisce] il materiale che infiamma questa libertà”. (H. Arendt, Che cos’è la filosofia dell’esistenza?, Jaca
Book, pag 75)
Per questo nessuno e nessuna condizione possono radicalmente uccidere la libertà; può essere solo
soffocata, deturpata, violata ma non strappata via.
“La peggiore minaccia per la libertà non sta nel lasciarsela togliere - perché chi se l'è lasciata togliere può
sempre riconquistarla - ma nel disimparare ad amarla” (G. Bernanos, Rivoluzione e libertà, pag 16)
Ciò che oggi è preoccupante sta nel fatto che corriamo il rischio, anche inconsapevolmente, di vivere
nell’assenza della libertà o di accontentarci di una libertà formale come surragato di una libertà reale.
“Si temono la libertà e la responsabilità e quindi si preferisce soffocare dietro le sbarre che ci si è costruiti da
sé” (G. Janouch, Conversazioni con Kafka, p. 27)
2.5 La libertà è per la verità
Quando in classe ai miei alunni ponevo la domanda: cos’è per voi la libertà?, per me era oramai scontato
sentirmi rispondere: la libertà è poter scegliere; la libertà è scelta. Se puoi scegliere, sei libero; se non puoi
scegliere, sei schiavo.
“L'essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così
si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso ci inghiotta; e nel diritto di
resistere, di essere impopolare, di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera
libertà è questa, e senza di essa non c'è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l'illusione di averla”
(Isaiah Berlin)
La capacità di scegliere è certamente fattore dell’esercizio della libertà dell’uomo. Permette all’uomo di
rendere personale il cammino della vita nel rapporto con se stessi, gli altri, le cose, il mondo, superando il
puro determinismo dell’istinto, proprio degli animali.
Ma la libertà non si realizza affermandosi solo come pura possibilità di scelta.
La libertà è capacità di scegliere ciò che mi compie secondo verità, nel servizio di ciò che mi costituisce, di
ciò che mi realizza, di ciò che corrisponde alla mia identità di creatura amata da Dio e redenta da Cristo.
La libertà è amore, consapevole e responsabile, alla verità.
Negare il rapporto con la verità produce due tragiche conseguenze.
– La prima è ben descritta in questa puntuale e pungente riflessione del cardinal Ratzinger in riferimento alla
concezione di libertà propugnata dallo scrittore e filosofo Jean Paul Sarte. Il cardinale afferma: ”...vorrei
ancora gettare uno sguardo sulla filosofia della libertà forse più radicale del nostro secolo, quella di Jean
Paul Sartre, nella quale il problema appare in tutta la sua serietà e in tutta la sua gravità. Sartre percepisce
la libertà dell'uomo come la sua condanna. A differenza dell'animale, l'uomo non ha nessuna natura.
L'animale vive la sua esistenza secondo una norma in lui innata; non ha bisogno di riflettere su che cosa
deve fare della sua vita. Ma l'essere uomo è indeterminato. È un problema aperto. Io stesso devo decidere
che cosa voglio intendere con essere uomo, che cosa farne, come configurarlo. L'uomo non ha alcuna
natura, ma è solo libertà. Deve vivere la vita da qualche parte, ma comunque essa finisce nel vuoto. Questa
libertà senza un significato è l'inferno dell'uomo.
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Ciò che allarma in questa impostazione di pensiero è che qui la separazione di libertà e verità è portata alle
estreme conseguenze: non esiste nessuna verità. La libertà non ha nessuna direzione e nessun criterio. Ma
questa totale assenza di verità - la totale assenza di ogni legame anche morale e metafisico, la libertà
assolutamente anarchica come determinazione essenziale dell'essere umano - si svela, per colui che cerca
di viverla, non come l'esaltazione suprema dell'esistenza, ma come la vanificazione della vita, come il vuoto
assoluto, come la definizione della condanna. Nella estrapolazione di un radicale concetto di libertà, che per
Sartre stesso fu esperienza di vita, diviene visibile che la liberazione dalla verità non produce la pura libertà,
ma la toglie. La libertà anarchica, assunta in modo radicale, non redime l'uomo, ma ne fa una creatura fallita,
un essere senza senso”. (Tratto da Studi Cattolici, 430, dicembre 1996) La libertà come pura scelta è libertà
per la libertà. È il suicidio della libertà.
– La seconda rende evidente l’inevitabile processo di rottura da ogni legame e da ogni rapporto perché
percepito come vincolo condizionante e limitante la propria libertà. La libertà è assenza di legami. L’uomo
così scivola inevitabilmente in una solitudine presuntuosa che spesso degenera in potere violento. Lo
documentano i fallimenti tragici e le drammatiche contraddizioni delle rivoluzioni (Liberté, Égalité, Fraternité;
Pane, Pace, Libertà) e delle ideologie del passato, così come le vicende di cronaca dei nostri giorni.
2.6 L’inevitabile connubio di ragione e di libertà: un cammino educativo
La vita è per tutti un cammino, nel tempo, di paziente e costante realizzazione. “Nessuno nasce già fatto”. È
una legge che vale per tutti i fattori della vita, in particolare per la libertà. Si impara a essere liberi, passo
dopo passo.
Un primo passo.
Inizialmente la libertà si mette in moto per la forza di stupore e di attrattiva che la realtà genera in noi, per il
solo fatto che essa c’è. È l’affermarsi di una evidenza elementare, primordiale, che in quanto tale, come
diceva Aristotele, non ha bisogno di ragioni perché l’evidenza è evidente a se stessa.
Un secondo passo
La ragione, occhio attento e appassionato, valorizzando il corretto apporto del sentimento e ponendo il
nostro vissuto in rapporto con le attese del nostro cuore, permette di riconosce ciò che è promessa di bene,
di bellezza, di bontà e di verità e quindi provvidenziale e conveniente per la vita.
È la capacità di vagliare e di giudicare ciò che rende possibile alla nostra capacità di scelta di realizzarsi
come libertà a servizio della verità. Non solo, ma è questa facoltà di giudizio la sorgente che ci permette,
tante volte inconsapevolmente, di gridare con gioia di fronte al cielo stellato: che bello! o di fronte al figlio
appena nato: che miracolo! o di urlare, con le lacrime in viso, per un dolore imprevisto e ingiusto: “perchè?”
Senza giudizio non c’è libertà.
“L'uomo moderno è sempre capace di giudicare, poiché è sempre capace di ragionare. Ma la sua facoltà di
giudicare non funziona più, come un motore senza benzina. Al motore non manca alcun pezzo; però non c'è
benzina nella riserva. Per molti questa indifferenza verso la verità e la menzogna è più comica che tragica.
Io la trovo tragica... Chi è aperto indifferentemente alla verità e alla falsità è maturo per una tirannia. La
passione per la verità va di pari passo con la passione per la libertà” (G. Bernanos, Rivoluzione e libertà,
Borla, Torino 1963, pp 49 50)
2.7 La libertà è Cristo
Nessuno può realizzare la vita con le sole proprie forze. Non sono negate le potenzialità dell’essere umano
ma anzi ne è realisticamente riconosciuta la infinita e drammatica sua grandezza. Occorre tempo, ma
occorre ancor di più un maestro e una compagnia.
Lo testimonia Dante parlando del suo maestro Brunetto Latini:
"Ché ‘n la mente m'è fitta, e or m'accora
la cara e buona immagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m'insegnavate come l'uom s'etterna".
Dante, Inf. XV, 82-84
Lo testimonia, con impeto sconvolgente, un uomo che ha pronunciato parole di impensabile profondità.
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“Io sono la via, la resurrezione, la vita" (Gv 14,6); “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,8); “Se
rimanete nella mia parola, siete realmente miei discepoli, e conoscerete la verità, e la verità vi renderà liberi”
(Gv 8:31-32).
Solo Gesù di Nazaret, il figlio di Dio, ha potuto dir così; nessun altro uomo.
Soltanto Cristo può compiere la mia libertà.
Chi ha incrociato Gesù e L’ha seguito con lealtà, senza dimenticare nulla della propria esperienza e del
proprio cuore, ha potuto dire: “Tu solo hai parole che spiegano la vita”. (Gv 6, 68)
Da quel giorno è nata una speranza certa per l’uomo di tutti i tempi, per l’uomo di oggi.
“...Or – Dio che sempre amai – t’amo sapendo
d’amarti; e l’ineffabile certezza
che tutto fu giustizia, anche il dolore,
tutto fu bene, anche il mio male, tutto
per me Tu fosti e sei, mi fa tremante
d’una gioia più grande della morte...”. (Atto d’amore, Ada Negri)
Noi siamo stati coinvolti in questa grazia: la certezza dell’esistenza del “Tu che mi fai”, che diventa
compagno di cammino, in ogni istante, attraverso il legame con Cristo e gli “uomini nei quali Egli traspare”
(Benedetto XVI).
Come ai discepoli di Emmaus, confusi e delusi, così anche a noi Cristo risorto si fa compagnia per liberarci
dalla presunzione delle nostre capacità, per rialzarci dalla nostra fragilità, per strapparci dall’oscurità del
nostro sguardo, per rompere la grettezza del nostro cuore.
La Sua presenza esalta la ragione e la libertà.
2.8 La libertà di amare
Nell’intreccio di ragione, verità e libertà, l’uomo, creatura fatta a immagine e somiglianza del Creatore,
partecipe della Sua natura di Amore Trinitario, può vivere l’esistenza nell’orizzonte ideale e reale dell’amore.
L’amore infatti è consapevolezza del vero e dedizione libera e personale ad esso.
Il cristiano lo chiama “carità”.
“Facendo la verità nella carità”. (Ef 4,15)
«Sono consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il
conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta
valorizzazione. In ambito sociale, giuridico, culturale, politico, economico, ossia nei contesti più esposti a tale
pericolo, ne viene dichiarata facilmente l'irrilevanza a interpretare e a dirigere le responsabilità morali. Di qui
il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della «veritas in
caritate» (Ef 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della «caritas in veritate». La verità va
cercata, trovata ed espressa nell'«economi » della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e
praticata nella luce della verità. In questo modo non avremo solo reso un servizio alla carità, illuminata dalla
verità, ma avremo anche contribuito ad accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di
persuasione nel concreto del vivere sociale. Cosa, questa, di non poco conto oggi, in un contesto sociale e
culturale che relativizza la verità, diventando spesso di essa incurante e ad essa restio”. (Benedetto XVI,
Caritas in veritate, 2009)
grazie
don Luigi
Milano, 4.12.2016
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